Giovedì 17 gennaio 2002
Il garage era sempre lo stesso squallido posto, ma aveva un briciolo di sentore di casa. Dentro avevo trovato sempre gli stessi, più o meno sempre nelle stesse posizioni. Una bandana rossa scura per l'occasione, avevo salutato Zarco con un certo calore, poi avevo lanciato a Masta un saluto quasi tributo, e per i breaker c'era stata l'idea di ignorarli quando avevo visto che con loro ballava una tipa, e li appresso c'era il suo moroso che con il breaking c'entrava come me in un convento di francescani.
«Bella a tutti, vecchi e nuovi.»
Era bastato un mezzo sguardo per capire che il morosino mi odiava: lo sentivo a pelle, e ne ero stato contento. Perché era la conferma che da quel posto non si poteva che fuggire e tutto ciò che si poteva fare era sfruttarlo per progetti migliori.
A tal proposito, avevo visto per la prima volta Masta all'opera in prima persona: non che ci fosse molto da vedere, era capace di passare mezz'ore intere senza dire una parola, con le cuffie in testa, spostando gli effetti di poche frazioni di punto. Mentre lo vedevi lavorare ti veniva per forza in mente un equilibrista che aggiunge un oggetto dopo l'altro da mantenere in una sequenza traballante sul naso o sulla testa.
Quello che mi lasciava più spaesato era il suo totale silenzio, pur sapendo che non era certo un chiacchierone. A mia volta non sono stato mai uno che parla tanto per riempire il silenzio, ma come riusciva a non dire una parola lui, io non ho mai visto nessuno. Quando finiva il lavoro non diceva neppure «finito» o «ecco qua». Lo capivi perché girava leggermente il Pc verso di noi, staccava le cuffie e attaccava le casse.
Ammetto che la tipa che ballava con loro aveva il suo perchè, e non era da tutte infilarsi in una crew di soli maschi, a meno che non cercasse cazzi da lucidare. La Dily era a Roma, con tutto il suo daffare, per rimanere in tema di membri maschili. Così, per non chiudermi le porte a prescindere, il mercoledì successivo ero andato a salutarla per annusare l'aria.
«Bella zia. Tutto a posto? L'altra volta non ho dato il meglio, lo so. Adesso il tuo ragazzo non c'è, sennò l'avrei detto anche a lui: non mi pongo sempre al top, faccio fatica a perdere i brutti vizi.»
«Per me non c'è stato mai problema. Per Volo forse un po' di agitazione gliel'hai fatta venire. Ma mi spiegherò e la prossima volta vi metterete a posto.»
Ma non avevo resistito a mettere qualche puntino sulle "i". Non tanto perché lui non c'era, quanto per capire che distanza ci fosse tra il suo sentire e quello del moroso. Lei l'aveva buttata sul volemosebbene, la crew voleva bene anche al suo moroso pur essendo un "diverso" rispetto all'hip hop (un classico di Zarco), e tutti spingevano dalla stessa parte, come una meravigliosissima crew.
Anacronistica ma meravigliosa. Ancora più anacronistica quando avevo capito che per loro non erano le produzioni il punto centrale della collaborazione, ma la combo produzioni+feat. In cuor mio avevo subito storto il naso, perchè i feat me li volevo scegliere io, e se proprio si doveva fare, ne avrei fatti un paio. Alla fine, capendo che non potevo tirare più di tanto, rischiando di perdere Masta, ci eravamo accordati su tre per lo Zarco e uno per il Vecchio. Volevo subito liberarmi di quest'ultimo perché era mediocre, l'ho già detto.
Il Vecchio era tornato nelle Marche dove stava facendo servizio civile. Così l'avevo sentito per cell.
«Ok, Vecchio, Zarco ti ha detto del demo, mi piacerebbe fare un pezzo forte con te, fortissimo.»
Avevo appositamente cercato un argomento intrattabile per lui: usare le donne, trattarle come oggetti, addizionarle di roba e scoparle per trarne un semplice piacere fisico. Non avrebbe mai accettato, e se avesse accettato avrebbe messo assieme poca roba, avrebbe chiesto aiuto, gli avrei scritto io la parte e vaffanculo uno me lo sarei tolto di mezzo.
Non mi aspettavo la chiamata di Stepz, non ci sentivamo da mesi, dal guaio con il processo e la successiva discussione.
«Bella Rasso. Ma tu non sei più a Roma?»
«No, sono momentaneamente tornato qua a Cesena, conto di tornare.»
«Ascolta, seriamente, tu forse dirai che adesso è facile dirlo, ma credo che la questione del processo, in pratica, l'abbiamo gestita male.»
«Intendi voi, mi auguro.»
«Si. Ripeto è facile dirlo adesso, ma quello che mi ha colpito è stato che potevi tirarci addosso merda, forse anche giustamente. Ma non l'hai fatto.»
«E perchè dovrei farlo? Non ho mai funzionato in una crew, ma mica tiro merda quando me ne vado.»
«Ma potevi. Ecco, volevo dirlo a nome mio, ma se non ho capito male anche a nome di qualche altro bro. Sei stato leale, e ti sei guadagnato la stima, e personalmente se potrò spingerti cercherò di farlo. Niente, tutto qua.»
«Quindi non devo fare niente? Non devi chiedermi niente, o cose così?»
«No, non è una telefonata pelosa del cazzo, non voglio leccare il culo, voglio dire solo le cose come stanno per me e dire scusa che non l'ho fatto prima. C'è troppa supponenza. E anche nell'intervista che hai fatto, quando parlavi dei depositari dell'hip hop, hai ragione: tante cose cambiano, non si sa se in meglio o in peggio, ma pensare che non cambi niente è da idioti.»
«Grazie Stepz. Giuro, non me l'aspettavo. Anche se rimanere solo mi ha spronato a lavorare sulla composizione, mi avete dato una mano, e mi sono divertito, in fondo.»
«Ma ora che cazzo fai?» aveva chiesto, con una voce che faceva trasparire curiosità.
«Lavoro a un demo, vediamo cosa esce.»
«E non fai uscire niente nel frattempo?»
«Non credo.»
«Senti, c'ho un amico che rompe il cazzo a quelli del Rome Zoo. Lo conosco per vie traverse, ma non è che hai voglia di fare un feat?»
«Volevi arrivare qui?»
«Jackie hai rotto il cazzo, a te nun te li devono fa' i complimenti, te devono mette' un cazzo in bocca finchè soffochi, rappa su quello, porcoddue.»
«Zio stai sereno, per natura non mi fido di molta gente.»
«E per natura nun lecco il culo, dici che vuoi sta' a Roma, ti dico che sei forte e che puoi rompe un po' il cazzo allo Zoo e mi tiri merda. Ma cazzo, conta fino a cinque prima de di' stronzate.»
«E che pezzo deve fare?»
«Chiediglielo te, nun ho voglia di perde tempo.»
«Digli che si faccia sentire, se vale la pena si può fare.»
«Dipende se me gira» e poi aveva chiuso di botto senza uno straccio di saluto.
Sì, ero stato rigido ma non me la toglieva nessuno l'impressione che l'esserci sentiti avesse quell'ultimo fine. Sì, certo, la possibilità di essere accolti in una famiglia come lo Zoo era una gran cosa, ma io non ero la Dily che faceva pompini a chiunque dicesse "lavoro nello spettacolo", io volevo essere sicuro di non perdere tempo. Quindi avevo lasciato che arrivasse qualche notizia a riguardo.
Non avevo dovuto aspettare molto, domenica pomeriggio mi aveva chiamato tal Gamil, che aveva brevemente riassunto la sua storia di ragazzo metà italiano e metà arabo egiziano alle prese con un clima di crescente intolleranza razziale e di lotta senza quartiere all'uso di sostanze stupefacenti leggere.
Era prolisso ma entusiasta, poteva essere una buona occasione ma per telefono non potevo certo risolvere tutto. Mi ero ascoltato qualcosa di lui, onestamente non era più avanti di me ma aveva il suo seguito. Così lunedi ero partito per Roma, tanto comunque l'idea era di vedere Asprilla e fare un po' di scorta anche per alcuni conoscenti di Cesena.
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