Giovedì 11 aprile 2002

Avevo passato un improduttivo pomeriggio, mi giravano un po' i coglioni. Perdevo tempo a discutere dei contenuti, avevo sbagliato ad accettare tutta la crew, l'unico che aveva un'idea di quello che stava facendo era Masta ma proprio lui aveva fatto l'errore di considerarsi troppo parte di quella "roba". Stavo uscendo di casa quando mi ero visto la tipa che ballava con loro, Silvia.

«Oh zia, tutto a posto? Cazzo fai qua?» avevo chiesto, sinceramente stupito della sua presenza.

«Volevo parlarti.»

«Senti scusa, purtroppo ho una cosa che devo fare per forza adesso.»

«No vabbè non c'è problema.»

«No, no figurati, se mi vuoi parlare parliamo. Ti va se magari ci becchiamo stasera? Di' coi tuoi che c'andiamo a vedere un film o che so.»

«Si, ok ma non c'è bisogno che gli dico una cazzata, gli dico che esco con un amico, mica sono segregata.»

«Beata te, ho costruito la mia vita con i miei su delle cazzate.»

«Io spero di non essere costretta a fare una cosa del genere.»

«Spero per te zia. Ci stai se ci becchiamo qua alle nove stasera?»

«Ok dai, alle nove qua.»

«Squillami.»

«Non ho il tuo cellulare.»

«Io si» avevo detto cercandola in rubrica e chiamandola.

«E come fai a averlo?»

«Non ti incazzare, ci sta, dai.»

C'era rimasta male? Problemi suoi. Io non volevo essere preso alla sprovvista da lei, non si sa mai nella vita.

Alle nove mi aveva squillato, aspettandomi in bici. Ero sceso in felpa grossa con cappuccio e zainetto pieno di bombolette, mi andava di farle fare una bravata, giusto per vedere quanto credeva in me.

«Lasciala in cortile, ce la giriamo a piedi» ed eravamo partiti per andare verso il centro.

«Mi sa che non ami il tuo quartiere.»

«Forse mi piace, la gente un po' meno.»

«Io abito in un quartiere che assomiglia a questo, diciamo come tipo di case, magari non ci sono così tante persone benestanti.»

«Regolare, più o meno so dove abiti.»

«Non sei di molte parole, rapper dalla lingua sciolta.»

«Basta dire quelle giuste.»

Eravamo entrati in un parchino e mi ero parcheggiato su una panchina più avanti, accendendomi una sigaretta. Ed aveva iniziato a parlare di Francesco Bosi, un ragazzo disagiato che aveva iniziato a vedersi con la loro crew perchè forse aveva chiuso il suo sito porno gay preferito, mi ero detto. Speravo mi dicesse anche lei che era inutile, e che voleva una mano per liberarsene, ma già sapevo che non lo avrebbe detto: era una figlioccia di Zarco.

«Secondo me non andrebbe escluso così dalla crew.»

«E chi lo esclude? È sempre al garage, è un pezzo fisso della loro crew.»

«Non mi sembra che tu lo abbia coinvolto nel progetto del tuo disco.»

Avrei potuto anche dirle come stavano le cose nella mia testa, che come parolieri, in quella crew non c'era gente nemmeno per scrivere le cantilene della Melevisione. Ma continuavo a ripetermi che in fondo se volevano giocare a fare quelli rimasti fermi ai block party, chi ero io per svegliarli?

«A me servivano delle basi, zia.»

«Si ma. Quando si è un team sarebbe meglio trovare il modo di lavorare tutti per il medesimo obbiettivo.»

«Non c'è un team, per come la vedo io.»

«Come no?»

«No, c'è il demo di Jay.»

«E non ci può lavorare in qualche modo tutta la crew?»

«Questo è l'altro punto: non sono della crew. Io sono Jay e basta, collaboriamo, sistemiamo le basi, ma basta.»

«Quindi, ci usi.»

Non avevo potuto trattenere un sorriso, per la sua perspicacia.

«Collaboriamo, questo è il mio demo, ci sono le mie parole e le mie idee, e le basi le costruiamo in base a come le vorrei. E su questo Masta fa paura.»

«E alla fine cosa ci guadagnamo noi?»

«Che le produzioni del demo sono KKS, un paio di feat per Zarco, se il demo gira voi girate col demo. Regolare.»

«Ma, perchè non vuoi far più parte della crew, scusa?» aveva insistito, come un pitbull che non ti molla.

«Non mi interessa, ho discusso già troppo per crew, nomi, gente e altre cazzate. Mi sono rotto il cazzo dell'hip hop così, te l'ho detto.»

«Per noi conta molto però.»

«Per voi. Però abbiamo idee diverse, modo di fare diverso.»

«È sempre per i motivi che ti avevano allontanato?»

«Si, può darsi.»

«Non parli molto.»

«Senti,» avevo cercato di tagliare corto su un argomento che detestavo come le crew «ho capito che questo mondo me lo devo girare per i cazzi miei, basta branchi, gite organizzate e lezioni di stile.»

«E chi te le fa le lezioni?»

«Se vuoi farmi entrare in un tuo progetto, sono io che devo cambiare. Se tu invece segui me, sei tu che al massimo cambi. E questa è la strada che ho preso. I gruppi hip hop chiudono, dall'America all'Italia. Il genere cambia e cambierà sempre di più. Le crew sono preistoria.»

«E quindi niente Jay della KKS, dico bene?»

«Ti scoccia?» avevo replicato con una domanda che aveva l'intenzione di provocare una vera reazione.

«Non lo so, mi sembra che potevi darci tanto.»

«Dici?»

«Si, ognuno può dare qualcosa, ma tu avresti dato molto.»

«Non credo che tutti diano qualcosa.»

«No? Perchè?»

«Alcuni succhiano la ruota, altri vengono a farsi i viaggi da alternativi, altri fanno i grossi, i qua qua qua, pensano che alle fighe piaccia il tipo thug scopiazzato, vogliono fare i neri con ferro caldo e il cazzo duro.»

«Nella crew nostra non è così però.»

«Francesco si schifa perché il rap americano è banale, no?» avevo chiesto, perchè più volte questo Francesco aveva fatto presente di detestare certi stilemi.

«Si, ha ragione, spesso volgare e banale nei temi.»

«È il rap che deve piacerti, è il sentire le parole che escono veloci, azzannano feroci, è il fluire delle parole, la potenza delle parole, di quello che pensi.»

«Guarda fidati sa un botto di cose. Non capisco perché per te lui è un danno per la crew.»

«Non dà niente, cerca per iscritto quello che passa da pelle a pelle.»

«Dovresti pensare lo stesso anche di me allora.»

«Lo pensavo.»

«Ah si? Pensavi che ero inutile?»

«No, pensavo che eri solo una sgrilla che aveva trovato un parco cazzi ancora inesplorato, con l'optional della ganja gratis.»

Era rimasta su quella frase ad effetto. Ma era esattamente quello che avevo pensato di lei in quei primi giorni quando avevo avuto modo di osservarla.

«Stima zero.»

«Per come ci venivi attorno, per come facevi tutta l'entusiasta, i sorrisi, la scusa della fly per annusare se c'erano chiavate buone.»

«Mi interessavo a qualcosa che non conosco, scusa tanto.»

«Beh, poi mi guardavi i tatuaggi, sei salita da me. Ti vedevo già a farmi un bocchino da leggenda. Invece sei già sopra di loro!»

Beccatelo, dimmi che non ho ragione, e se vogliamo, faceva ancora in tempo a farlo.

«Perchè non te l'ho....»

«No, perchè ti frega della sostanza, perchè hai sogni, hai energia, perchè hai capito che è questo fantomatico "hip hop" è una parola che tutti qui usano a piacimento, più o meno onestamente. Non devi essere tu a modellarti su quello che gli altri ti dicono essere hip hop. E poi perchè non mi hai dato uno schiaffo quando ti ho detto del bocchino. E poi sai ballare e non te ne frega un cazzo di dove vieni e dove vai e conti solo di stare bene e di esprimerti e i canoni servono ai mediocri.»

«Grazie Jay.»

«Fare un bocchino è facile: ti faccio vedere che mi piaci, sei a casa mia, faccio un po' il coglione, hai la scusa per farlo. Nessuna ha avuto le palle di venire nella mia tana e tenere al centro di tutto le creazioni, più facile farsi una striscia di bamba e succhiare il cazzo a uno che la bamba te la da gratis e dice che sta per diventare famoso.»

«Il problema è che, boh... penso che lo diventerai sul serio.»

«E io mi ricorderò che tu dentro sei come me.»

Era molto, molto diversa dalla Dily, era una che metteva la testa fuori solo per le cose concrete, non dava sé per gli altri, ma voleva gli altri per sé. Se una voleva essere al centro a costo di mettere tutto sul lato fisico, l'altra voleva che tutto passasse per l'emozione, lasciando defilati il più possibile i corpi. Eravamo andati nella zona dell'ippodromo scavalcando l'inferriata di un cantiere della Secante in via di completamento, e lei dietro, senza una piega. Aveva capito, voleva farlo, e questo mi elettrizzava ancora più dell'idea che ci stessimo imboscando per scopare. Arrivati davanti a un pilone doppio, debolmente illuminato dalle luci della strada che incrociava, avevo aperto lo zaino con le bombolette e avevo tirato fuori il bozzetto.

«Hellrazor!»

«Ce lo leggo a malapena.»

«Wildstyle spinto.»

Con un gessetto avevo riportato lo scheletro poi le avevo dato una mascherina e avevo iniziato a farla lavorare alle cose più semplici, il graffito partiva dal viola in alto e scendeva verso il giallo acceso in basso. Una volta finito le vedevo gli occhi affascinati nell'oscurità. Avevo tirato fuori lo stencil per la firma JAY e ce ne eravamo andati, ancora con l'adrenalina che andava su e giù, era il primo graffito dall'arresto.

«Facile facile qui, con la protezione del cantiere.»

«Di solito fate allo scoperto?»

Avevo un po' fatto il grosso.

«Si, la legge è impotente e io faccio come mi pare quando mi pare per dare un tocco di colore a 'ste pareti grigie.»

«Ben brutto il color cemento in effetti, dà tristezza.»

«Da un momento all'altro potrebbero mettersi ad urlare "Qualcuno ci imbratti, cazzo!".»

Poi aveva guardato l'orologio, per lei supponevo che fosse quell'orario che causava punizioni e urla tipo questacasanonèunalbergo.

«Domani hai scuola, vero?»

«Si, che palle. Tu l'università?»

«C'è tempo zia, vado a Milano tra una mesata.»

«Milano? Non avevi detto Roma?»

«Ci sono cose che funzionano solo a Milano. A livello commerciale diciamo.»

Tornammo sotto casa mia, io avevo cose da fare giù, ero ripartito.

«Ma non vai a letto.»

«No, mi faccio qualcosa al Mac.»

«Da solo?»

«Si, perchè?»

«Perchè sei scemo, da soli si fa solo la cacca. Ti accompagno.»

Ed eravamo andati al Mac, con lei che continuava a cercare di cavarmi info sul demo:

«Allora, il demo?»

«Si, siamo a buon punto.»

«Si ma dai, dimmi come sarà.»

«Sarà forte, altro non ti dico.»

«Tipo la roba che avevate te e il Vecchio al tempo in cui facevate coppia?»

Non potevo non ridere, ripensando a tutto il percorso fatto, gli errori, le incazzature, la gente di merda e quella che era servita per arrivare fino a lì, nel frattempo di scalini ne avevo fatti diversi.

«Preistoria zia, hai presente quando non sai dove sbattere la testa?»

«Io non ho mai sentito cosa avevate preparato per quella volta.»

«Stupidaggini tipo "me la giro fiero / il mio abito nero / per il mio veleno non esiste siero".»

«Meglio di altre cose che ho sentito.»

«Cazzate, alla gente non gli frega cosa pensi, quanto ce l'hai con quelli diversi da te, men che meno gli frega che ti dici da solo quanto sei hip hop o quanto sei gangsta.»

Poi era arrivato uno dei miei amici a cui avevo dato appuntamento, con fluidità l'avevo salutato, mi aveva passato la grana e io avevo passato le dosi, tre minuti di conversazione scarsa e se n'era andato. La dimostrazione che fosse una maniera collaudata e assolutamente sicura stava nel fatto che lei manco si era accorta di quello che succedeva, aveva infatti subito ricominciato, fra l'altro con domande sull'assurdo andante.

«Quindi che ci metti nel demo, roba sentimentale?»

«Si, come no, Massimo Ranieri.»

«Allora che vuoi metterci?» continuava con le mille domande, come se qualcuno man mano gliene passasse di nuove su qualche fogliettino.

«Storie, esperienze. Niente commenti.»

«Storie, tipo De Andrè.»

«Può darsi, non lo conosco così bene. So che non ci saranno commenti, si deve arrangiare la gente a trovarci un senso, se ce lo vuole trovare.»

Aveva cercato di esporre questa analogia tra le storie della gente di sotto e i cantautori italiani che piacevano a suo padre. Non ero interessato, perché non avevo intenzione di portare all'attenzione di nessuno i "problemi". Quello che intendevo mettere nei pezzi non era classificato per me come problema: se un tipo voleva spacciare, libero di farlo così come persone rispettabilissime gabbavano gli altri vendendo lasciapassare per l'aldilà, se una tipa voleva scopare per tirare su soldi non avrebbe trovato in me una persona che la etichettasse come una con un "problema". Poi era passata la Nina, tanto per parlare di gente che scopava per soldi, l'avevo salutata con calore ed avevamo scambiato il tutto. La Silvia era stata più attenta, forse perché era una ragazza, forse gelosia.

«Jay, cos'è 'sto viavai di tuoi amici tutti casualmente qui a quest'ora?»

«Tengo il giro, zia.»

Mi era uscita una specie di risata complice, ma lei non aveva colto. Ci ero rimasto male a pensare che, dopo aver letto tutti i miei testi, e mi avesse visto tutti quei giorni, non avesse capito cosa era vero e cosa fiction.

«Di che?»

«Un po' di additivo per la serata.»

«Erba?»

«Si anche.»

«Anche più pesante?!»

«O più leggera, dipende dai punti di vista.»

Si era irrigidita, improvvisamente, ingiustificatamente, si era alzata come se improvvisamente quel posto le desse fastidio, come se fosse seduta su una poltrona elettrica.

«Devo andare.»

«Tutto a posto?»

Lo avevo detto più per cortesia che altro, era evidente che qualsiasi cosa io avessi detto o fatto non sarebbe servita a niente. Il fatto che io smerciassi qualche dose l'aveva letteralmente messa nel panico.

Non la capivo. Era stata per ore, per giorni, a sentirmi parlare e rappare di quello, e improvvisamente si accorgeva di non potermi stare a un metro. Avevo finito con calma le patatine e poi me ne ero andato a casa.

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