11.

Mark arrivò verso le 6:30. Jane era sveglia e s'era bevuta un tè. Nel sentire l'auto che entrava nel vialetto sferragliando, violentando il silenzio, e si fermava dietro la sua Ford, mise su il caffè. Poi andò ad aprire di modo che Mark non bussasse. Il giornalista entrò con il suo zaino in spalla. Pareva più leggero dell'ultima volta. Mark la salutò e andò dritto verso il tavolo. Ci posò sopra lo zaino, l'aprì e tirò fuori un grosso libro dalla copertina di cuoio con incisi sopra, in rilievo, dei volti urlanti. Nel mezzo dei volti c'erano due parole che parevano rammendate nel cuoio con dello spago nero e spesso: VERBA DAEMONUM.

Jane si avvicinò: «Ho messo su il caff...»

Si interruppe. Mark si accorse che fissava la copertina.

«Da strizzare il buco del culo, eh?» fece il giornalista.

Jane non rispose. S'era fatta di colpo seria e attenta, come se pensasse che il libro potesse saltarle addosso e morderla. O almeno a Mark diede quell'impressione.

«Che le piglia?» chiese Mark. «Pare che ha visto un fantasma.»

«Lo preferirei», mormorò Jane.

Si mise accanto a Mark e girò il libro verso di sé. Il contatto col cuoio, cedevole sotto le dita, le provocò un brivido di ribrezzo. Cominciò a sfogliarlo con cautela. Mark vide susseguirsi pagine fitte di parole. Era scritto a mano. Le code delle "a" e i trattini delle "t" avevano i riccioli. La scrittura era fitta e piccola. Riempiva tutta la pagina. Lo spazio tra parole e margini era appena visibile. C'era inoltre un simbolo diverso ogni sei pagine. Era disegnato nell'angolo alto, a sinistra. Mark ne indicò uno.

«Che roba è?» chiese.

«Un sigillo. Serve per l'evocazione», rispose Jane.

«Evocazione di che?»

Jane voltò pagina e Mark fece un passo indietro. C'era un disegno che prendeva tutta una pagina ed era incredibilmente realistico. Il giornalista riconobbe il demone che l'aveva fatto volare contro una parete. Sotto i piedi della creatura blasfema c'era scritto CARNAKI. Nella pagina accanto a quella dov'era disegnato il mostro c'era una sequela di parole fitte e un simbolo chiuso in un anello nero. Mark però guardava il disegno del demone: alto, magro e con le costole che spingevano sotto la pelle grigia e butterata. L'artista, se così lo si poteva definire, aveva replicato anche il batacchio tra le gambe rachitiche del demone. Penzolava come un salmerino appeso per la coda. L'espressione del mostro era furente.

«Cristo santo...» mormorò Mark.

Jane scostò una sedia dal tavolo e prese posto. Cominciò a leggere le parole che scorrevano accanto e sotto il simbolo per l'evocazione del demone. Mark si allontanò. L'occhio continuava a cadergli sul ritratto del mostro. Ne era attratto e spaventato al tempo stesso. Si recò in cucina, attirato dall'odore di caffè e dal gorgoglio della moka. Mandò giù un dito di caffè e tornò da Jane, che stava ancora esaminando quella sequela di parole fittissime.

«Cosa dice?» chiese Mark.

«Molte cose», fece Jane.

«Qualcuna utile?»

«Forse. Per esserne sicura devo studiarlo con calma.»

Jane sollevò la testa e guardò Mark.

«Nel senso che devo levarmi dai piedi?» chiese Mark. Jane sorrise. «Posso almeno finire il caffè?»

«Certo.»

Mark bevve, posò la tazzina nel lavello in cucina, tornò di là e disse: «Conosco la strada.»

Uscì mentre Jane scorreva la pagina con un solco profondo tra le sopracciglia grigie.

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