Stefano Grandi a Feedora
"Maestro Grandi, io sono 79141, sono qui per darle il benvenuto a Feedora!"
Sono appena sceso da un treno a levitazione magnetica di ultima generazione. Una giovane ragazza mi attendeva esattamente all'uscita della porta automatica numero diciotto. Indossa un vestito svasato verde, scarpe e occhiali della stessa tinta. Non è molto alta, ma ha delle belle gambe slanciate.
"Buongiorno," la saluto "mi ripete il suo nome, per piacere?"
"Si, sono 79141, maestro!" Conferma la mia prima impressione. È un cazzo di numero, non un nome!
Non posso dare a vedere di essere troppo sprovveduto, ma non conosco bene le usanze di questo posto. Il mondo reale è abbastanza all'oscuro di ciò che avviene all'interno di questo grande laboratorio scientifico. Notizie ufficiali riportano di esperimenti immaginifici per il miglioramento della specie e la cura di un'infinità di piaghe. Per certo o per intero, la realtà non la conosce nessuno, se non i pochi al vertice o a capo del progetto Feedora.
"Senti 71...qualcosa..." mi passo una mano tra i capelli, leggermente imbarazzato "mi sono già dimenticato le altre cifre...per semplificare ti chiamerò Gilda, se non ti dispiace..."
"Gilda" ripete lei, come se stesse pronunciando una parola nuova "va bene, ma che significa?"
"Oh," dico muovendo una mano, "non importa il significato," a dirla tutta non lo ricordo "però Gilda è la figlia di Rigoletto, nell'omonima opera di Verdi!"
"Ah!" Esclama, per chiudere un argomento che evidentemente non le interessa particolarmente. "Mi segua, maestro, io sono una cicerinformatrice di Feedora, in pratica le spiegherò tutto ciò che le tornerà utile sapere durante la sua permanenza qui!"
"Molto bene" e mi sento sollevato. Il video di briefing, che mi era stato inviato dopo la conferma che sarei stato disponibile a venire qui a dirigere un'opera con i musicisti del musicasterio, era troppo pesante per il mio antiquato computer e non sono quindi riuscito ad aprirlo.
"Prima di entrare a Feedora, maestro, dobbiamo espletare alcune formalità. Non ci metteremo molto tempo" mi precede per qualche passo, scendiamo una rampa di scale, percorriamo una breve galleria e prendiamo delle scale mobili che ci conducono in superficie, passando da una tettoia in vetro formata da tante piccole piramidi, fino all'aperto.
"Stiamo raggiungendo l'ingresso di Feedora, maestro, percorreremo il corridoio di sterilizzazione e ci cambieremo gli abiti per evitare di introdurre batteri o virus."
Siamo davanti ad una cinta muraria realizzata completamente in metallo simile all'alluminio per colore, ma molto più rigido e pesante. Il suono che produce quando vi sbatto sopra i pugni è molto più grave e, con mia grande sorpresa, il materiale è freddo al tatto, nonostante il sole vi rifletta contro.
Suoniamo un pulsante rosso, un citofono emette un bip e la ragazza che mi accompagna si identifica: "79141 con l'ospite autorizzato Grandi Stefano".
Un puff sordo annuncia l'apertura di una porta scorrevole dello stesso materiale proprio davanti ai nostri occhi. Non mi sarebbe stato possibile notarla da chiusa, non ha giunture di alcun tipo, combacia alla perfezione col resto della struttura.
"Ecco, mi segua!"
Entriamo in un corridoio chiuso, percorriamo un centinaio di metri, forse meno, raggiungiamo due nicchie poste ai lati. Gilda si inserisce in quella alla mia destra e attende che io faccia lo stesso, specularmente. Mi posiziono quindi a sinistra.
"Dobbiamo spogliarci, ora. I nostri abiti saranno risucchiati da questa campana e i nuovi abiti ci saranno recapitati qui" mi mostra una sorta di imbuto posto sul soffitto della cupoletta e un'anta vetrata posta internamente al muro.
"Qui? Ora?" chiedo stupito.
"Certo!" mi risponde la mia cecirinformatrice, iniziando a togliersi le scarpe.
Io la imito e la guardo. Si sveste con gesti estremamente pratici e misurati. In pochi secondi mi rivela tutta la sua pelle nuda. Non riesco a smettere di guardarla. Ho ormai raggiunto la mia terza età ma non sono ancora immune al corpo femminile. Gilda comprende il mio turbamento ma aspetta, con estrema tranquillità, che anche io mi liberi dei miei abiti.
"Maestro, le regole sugli accoppiamenti qui a Feedora sono molto rigide. È la Società che stabilisce tra chi devono avvenire e suggerisce anche i momenti piú opportuni"
"Oh" dico in un sospiro "non volevo certo..."
"Non si preoccupi, so che al di fuori di qui le usanze sono differenti. Qui da noi la promiscuità non è praticata!"
È curioso il suo punto di vista, ma non intendo approfondire. Come Gilda, avvicino i miei abiti alla campana, che prontamente li risucchia. Immediatamente dopo apro la piccola anta in vetro, alle mie spalle, e ne estraggo un cambio completo.
"Aspetti a vestirsi maestro. Prenda con sé il vestiario e mi segua, per piacere. Passeremo sotto una doccia sterilizzante e attraverseremo due postazioni di controllo medico, prima" la ragazza si posiziona nuovamente al centro del corridoio. Io l'affianco. Dopo pochi passi, ai nostri piedi troviamo un cerchio rosso che, come ci saliamo, prima Gilda e poi io, si abbassa leggermente e diventa verde. Subito parte una lieve pioggia vaporizzata di acqua dal forte odore di cloro che si irradia da ogni lato. Questo lavaggio dura pochi istanti. Il ritorno della luce rossa nel cerchio suggerisce di avanzare. Al passo successivo una forte sferzata di aria calda ci asciuga. Mi pare di essere al lavaggio auto e mi aspetterei la lucidatura, invece una luce blu conica, che parte da un punto imprecisato, mi attraversa da ogni parte. Al passo ancora successivo mi trovo immerso in una luce bianca e cilindrica che nasce dal soffitto.
"Abbiamo finito, maestro, siamo pronti per vestirci ed entrare a Feedora! Qui ogni persona indossa sempre abiti del colore della mansione che svolge. Lei è un ospite onorario e porterà vestiti neri bordati di argento così, chiunque la vedrà, le porterà il dovuto rispetto" Gilda mi sorride e io la guardo rivestirsi, su una panchina metallica predisposta, con i suoi gesti così efficaci.
"Come viene decisa la mansione degli abitanti?" le chiedo
"La Società individua per ciascuno il ruolo più idoneo" mi risponde con un briciolo di supponenza.
"E come mai, secondo te, tu sei una cicerinformatrice?" mi interessa sapere.
"Io sono particolarmente brava ad interagire con le persone, ho una buona capacità di adattarmi a chi mi sta di fronte. Credo sia per questa ragione." Stesso tono distaccato.
"Capisco..."
Raggiungiamo una seconda porta, identica alla precedente. Gilda preme il pulsante rosso, si identifica. La porta si apre e Feedora mi appare.
È ancora una volta Gilda ad accompagnarmi nell'appartamento che mi ospiterà durante la mia permanenza. Dodicesimo e ultimo piano di un palazzo molto simile a quelli circostanti, solo più alto.
"Da qui ha una splendida visuale della città" dice Gilda, affacciandosi a una grande finestra. Non posso che confermare. L'ordine impeccabile della città mi trasmette un senso di sicurezza e di oppressione allo stesso tempo.
"Maestro, il suo appartamento è predisposto per le sue esigenze. C'è un bagno fornito di doccia e gli schermi sono stati disattivati" non comprendo questa sua informazione ma non la commento, "le consiglio di controllare periodicamente la bocchetta di uscita della pneumoposta, tramite la quale avrà le indicazioni sugli impegni che l'attendono!"
"Grazie mille, Gilda, è stata molto preziosa!" Faccio per baciarle la mano.
"Dovere, maestro!" mi risponde freddamente, "Ah, dimenticavo...il suo frigorifero è pieno di ogni gusto di syntejuice e i pasti le verranno recapitati qui alle nove, alle dodici e trenta e alle diciannove e trenta. Ogni pasto sarà calibrato in base al responso dei suoi esami clinici!"
Strabuzzo gli occhi per lo stupore. Questo posto ha un'organizzazione centralizzata che limita notevolmente la libertà delle persone. Credo che nessuna persona, nata e cresciuta nel mondo reale, potrebbe scientemente decidere di trasferirsi qui e comunque difficilmente sarebbe accettato dalla Società.
Mi rilasso brevemente sul letto. Le lenzuola sono nere, bordate di argento, come tutto quello che indosso e mi circonda. Alle diciannove e trenta esatte suona il mio citofono. Apro la porta e un ragazzone alto e biondo, vestito completamente di arancione, mi porge una scatola di metallo chiusa ermeticamente.
"La sua cena, Maestro Grandi, io sono 34123, il suo fattorino. Stasera il menù prevede ripieni di carota e noci con vitamina A e bastoncini aragosta e spinaci. Tutto senza iodio."
"Grazie, ragazzone!" prendo la mia cena, per nulla invitante, e saluto quel bellissimo ragazzo, considerando che forse, questo cibo, tanto male non deve fare.
Mangio da solo, in silenzio. Nella mia mente risuona Verdi, l'ouverture della Forza del destino. Adoro quest'opera, quella che dovrò dirigere qui a Feedora, anche se è ammantata da infauste dicerie. Mi è già capitato di dirigerla, in molte occasioni nella mia lunga carriera, e non mi ha mai portato alcuna sfortuna.
Prima di coricarmi, controllo la bocchetta della pneumoposta. Una lettera mi informa del mio appuntamento dell'indomani mattina con la dottoressa Alyssa Shellenberger, neuroinnestogenetista: la vera ragione che mi porta qui.
Alle nove e zerozero si presenta il mio fattorino con la colazione.
Indosso i miei nuovi abiti neri e argento e, seguendo le istruzioni ricevute tramite pneumoposta, raggiungo il palazzo medico numero uno e la stanza numero quattro, dove mi attende una donna, vestita di bianco, dietro ad una scrivania in vetro.
"Si accomodi, Signor Grandi!"
"Buongiorno, dottoressa!" dico, un po' timoroso.
"Come sa, siamo qui per studiare le sinapsi del suo cervello, per stabilire quali siano i collegamenti responsabili del suo orecchio assoluto."
"Si" le dico. Questa donna non è per nulla attraente, non ispira fiducia e non trasmette tranquillità.
"Lei ha accettato di sottoporsi al nostro studio sperimentale. Un esito positivo della nostra ricerca ci permetterà di riconoscere l'area del cervello che reagisce agli stimoli uditivi e quali siano i collegamenti messi in atto da chi, come lei," qui fa con le dita un odioso segno di virgolette "sente le note. Per poterli poi replicare in altri soggetti. Le abbiamo fatto, prima del suo ingresso a Feedora, un check-up di salute. Gli esiti non sono ancora disponibili, non tutti perlomeno, perciò non posso ancora avere il quadro completo della sua situazione. Ad ogni modo, partirei con l'analisi del suo cervello. Che dice?"
Pare non avere alcun tempo da perdere, alcun interesse ad intessere conversazioni.
"Si, certo" rispondo. Mi fa sedere su una poltrona in pelle nera, comodissima, mi mette in testa un casco metallico collegato con dei fili ad una schermo che io non posso vedere. Mi appoggia degli auricolari alle orecchie e allaccia qualcosa al mio braccio sinistro.
"Le mando delle stimolazioni uditive, lei non deve fare nulla se non rilassarsi e ascoltare come fa di solito"
Chiudo gli occhi ed ascolto quello che passa dagli auricolari: suoni naturali, versi animali, voci e musica. Sento ogni nota e, le poche volte che apro gli occhi, vedo la dottoressa scrivere cose su una tavoletta elettronica. Il tutto dura all'incirca un'ora. La dottoressa poi mi toglie tutti gli aggeggi a cui ero collegato.
"Molto bene, maestro. Ora devo incrociare alcuni dati. Spero di non avere più bisogno di disturbarla, in ogni caso, so dove trovarla!" Mi sorride, con uno sforzo tale che intendo che essere cordiale non è una sua abitudine.
"Posso farle una domanda, dottoressa?" le chiedo.
"Si" mi risponde senza inflessione.
"Come mai lei ha un nome?" mi guarda da sotto gli occhiali.
"Io sono una delle fautrici del progetto Feedora, non sono un esperimento!"
"Oh" faccio io, e non mi va di perdermi in cazzate tipo quale onore, complimenti o che ne so. Quella donna è già abbastanza piena di se medesima. La natura deve averla dotata di cinismo ed intelligenza tali da riuscire a tollerare la sua bruttezza estetica e la totale mancanza di ironia e empatia. Oppure queste ultime sono solo conseguenza di bruttezza e intelligenza. Non lo so e non mi interessa particolarmente scavare la psiche di una persona così fastidiosa.
Ci stringiamo le mani e ci salutiamo. "Ah, maestro, so che ha bisogno di uno sfogo sessuale...penseremo anche a quello!"
"Prego?" le dico, seriamente stupito.
"Il suo cervello reclama un accoppiamento!" mi volta le spalle, chiude la porta e mi lascia basito.
Rientro nel mio appartamento. Per le scale incrocio un tale, un tizio di una certa età, forse di una decina d'anni più giovane di me. Sta parlando ad uno strano apparecchio. Non un cellulare, una cosa piú simile a dei walkie-talkie, pare un oggetto fatto a mano con pezzi di recupero. Rallento il passo per ascoltare la sua conversazione: " Si, Paolo, t'ho detto che mi devi portare quei muffuletta di contrabbando. Solito posto, solita ora. Non mi deludere più!"
È tutto ciò che riesco a sentire. Questa figura mi incuriosisce molto, moltissimo. Non è vestito esattamente come gli altri, sebbene ogni cosa in lui, dagli abiti ai capelli, sia in tonalità di grigio. Quando gli sono vicino cerco e trovo il modo di sbattergli contro. Voglio parlare con lui.
"Mi perdoni, scusi!" dico.
"Ehi" parte furioso per poi sedare l'animo alla vista del mio abbigliamento. "Non fa niente!"
"Io sono Stefano Grandi" gli porgo la mano.
"Alexander" mi risponde.
"Abita qui?" chiedo.
"Si, abito qui! Lei quanto resta?"
"Pochi giorni, domenica vado via." Dico, passandomi le mani tra i capelli. "Senta" continuo, "mi tolga una curiosità, perché lei è vestito diversamente dagli altri abitanti di Feedora?"
"Le spiego, ma solo perché lei è un forestiero. Io sono un outsider. Documento all'esterno ciò che avviene qui a Feedora"
"Un giornalista?" domando.
"Più o meno, si! Mi è concesso di muovermi fra il fuori e il dentro. Con limiti ben definiti. Infatti, facciamo che lei non mi ha visto parlare al fonofono e non ha sentito alcun discorso...diciamo che le offro un cubano per il suo silenzio e magari anche uno spumante italiano...che gliene pare?"
"Mi pare eccellente. L'aspetto nel mio appartamento...all'ultimo piano. Beviamo e fumiamo insieme, ok?"
"Perfetto, a dopo!"
Feedora, penso, è un posto come gli altri. Esiste anche qui un mondo sotterraneo da scoprire. È un micromondo con un sacco di regole da infrangere.
La serata, insieme al mio nuovo amico Alexander è piacevolissima. Mi rivela che Feedora non è immune da prostituzione, droga ed eccessi, che vengono tollerati dalla Società, a suo parere, per motivi di ricerca sociologica. Dibattiamo parecchio anche se lui sembra spesso non ascoltare. Quando gli parlo di musica di certo non mi sta a sentire e va avanti coi suoi discorsi. Quando invece l'argomento sono le mie conquiste, in quel caso, si! Non perde una parola, fa occhi piccoli e curiosi e pare prendere le sembianze di una mangusta.
Presto Alexander si congeda e va. La pneumoposta mi informa che riceverò a breve la visita di una procreatrice elitaria. Dovrò rispondere alla missiva per far sapere alla società se la trovo di mio gradimento.
Ricevo infatti la visita di una ragazza, vestita di rosso porpora. È giovane, alta e formosa. Mi ricorda tantissimo una mia vecchia conquista, una cantante interprete di Amneris. "Amneris," le dico "accomodati!"
"Sono 89715, una riproduttrice elitaria. Mi hanno mandato qui per conoscerla. Non mi aspettavo di incontrare un anziano!" mi dice senza accento.
"Mi spiace che tu sia delusa" le dico, un po' offeso.
"No, non sono affatto delusa, solo stupita, di solito mi accoppio con uomini giovani e del mio stesso stato sociale. Se sono qui ci saranno ottime ed indiscutibili ragioni"
Un tempo non avrei atteso un attimo. Avrei fatto immediatamente ricredere quella creatura così avvenente quanto poco sensuale per modi e parole quasi distaccate. Non ho le stesse possibilità di allora ma non voglio perdere questa meravigliosa occasione che Feedora mi offre.
Mi avvicino ad Amneris, le scosto i capelli e la bacio sul collo. Lei si ritrae leggermente, forse per i brividi che le provoca. Con una mano le tocco un seno, grande e morbido. Mi lascia fare. Chiude gli occhi. Sospira. La prendo dalla nuca e avvicino la sua bocca alla mia. La bacio forte, ripensandomi giovane tra quelle braccia giovani. Le nostre lingue si muovono. Le carezzo la schiena, fino al taglio del sedere. Le apro il vestito, chiuso come una semplice vestaglia, mi allontano di poco per fissare quell'immagine.
"Mi hanno detto di lasciarla fare, Stefano. Mi hanno anche detto di chiamarla così!"
"Ti hanno detto giusto, anche sul mio nome!" le slaccio il reggiseno, color porpora anch'esso. Mi allontano per guardarla meglio. I miei occhi vedono di più da lontano e assaporo la sua pelle che odora appena di rosmarino. Le succhio i capezzoli, con calma, la fretta è per i giovani anche se poi sarebbe più giusto il contrario dato che i giovani hanno più vita davanti. Amneris tira indietro la testa quando inizio a morderle e a succhiarle i capezzoli. La giro all'indietro e la bacio dal collo fino alle natiche. La sento respirare più profondamente. Le stringo la pancia con una mano che poi lascio scivolare sotto. La faccio stendere sul letto, i suoi occhi si sono fatti più languidi. Le sfilo gli slip con un gesto rapido. Con le dita le allargo le labbra, mi chino si di lei, la bacio sul monte di venere e inizio a succhiarle delicatamente il clitoride. Chiudo gli occhi e mi immergo in lei che si muove ritmicamente sotto la mia lingua, per assecondare il proprio piacere. Disegno cerchi, linee e succhio il suo sapore. Posso immaginare le dita dei suoi piedi tendersi, come i muscoli delle sue cosce. Le infilo un dito dentro e lo lascio fermo, appoggiato nella parte più bassa. I suoi movimenti si fanno più rapidi e più netti, finché inizia a gemere. Sommessamente e in una nota grave. Un sol. I suoi muscoli si rilassano poco a poco. Le stringo le tette tra le mani. Provo a leccarla ancora ma il passaggio della mia lingua le fa stringere le gambe. Mi tolgo i pantaloni e le mutande e la penetro. Sento un calore umido e accogliente. La invito a venire sopra di me. Voglio guardare i suoi seni muoversi mentre mi fa entrare ed uscire da dentro di lei. A volte si muove quasi come strisciando sul mio pube. Stringe. Anche io mi muovo sotto di lei e quando sto per venire serro la mascella e le stringo i fianchi fermandomi, per lasciarmi andare alle pulsazioni. Non faccio alcun rumore.
"Non mi era mai successo che un uomo mi leccasse i genitali...si sente una cosa strana!" mi dice e dentro sorrido e godo ancora.
"Ti è piaciuta quella cosa che hai provato?"
"Si! Lo suggerirò al mio prossimo partner di accoppiamento!" dice, riempiendomi di orgoglio.
La pneumoposta mi informa che è stata predisposta una sessione di prove con gli studenti del musicasterio nel teatro cittadino. Tre ore di prove. Una sola seduta prima dell'esibizione. Mi pare troppo poco, considerata la durata dell'opera intera.
Raggiungo il teatro. C'è Gilda ad attendermi. Mi racconta che la struttura è stata realizzata seguendo i migliori accorgimenti acustici. È tutto in metallo conduttore. I suoni arrivano alla stessa intensità in ogni parte della platea. Mi mostra dei fogli con le misurazioni effettuate. Inoltre, mi dice, la zona delle quinte e del pubblico sono insonorizzate, così da evitare interferenze uditive a chi sta sul palco.
"I musicisti e i cantanti hanno appreso le loro parti alla perfezione tramite il dispositivo OtticoOsmotico. L'opera che hanno appreso è la migliore versione disponibile su supporto. Non ci sarà bisogno di molto lavoro!" afferma Gilda.
"Non ci sarà bisogno nemmeno di un direttore se devono copiare una versione già sentita!" obietto.
"Possiamo iniziare le prove!" suggerisce la mia cicerinformatrice.
L'orchestra è schierata. Mi accomodo sul podio, alzo le braccia e l'opera comincia.
Gilda ha ragione, musica e cantato paiono una registrazione. Provo a cambiare il tempo, per vedere se l'orchestra mi segue, ma niente. Chiudo. Scendo dal podio e mi avvicino ai musicisti, attoniti.
"Ragazzi, state suonando bene, anzi benissimo, ma i musicisti qui, oggi siete voi, non gli stessi che avete ascoltato e dai quali avete imparato le parti. Non avete le loro mani, i loro polmoni o le loro bocche. Sentite qui e qui" canticchio una melodia "questo è il tema del destino. È una parte fondamentale. Ogni volta che il destino interviene nella storia noi lo sappiamo, Verdi ce lo dice!" Seguono ogni mia parola. "Non preoccupatevi di spingere una nota che vi sentite addosso o di diminuirne altre. Assecondatemi se vi indico di legare. Insomma, non importa se sbagliate, voglio che sentiate il vostro strumento, l'odore che fa, il sapore che ha. Leonora" mi rivolgo alla soprano, "tu stai soffrendo moltissimo, devi far sentire il tuo pianto cantando, va bene?"
Annuiscono, spero di aver trasmesso loro un briciolo di senso dell'opera, appena un po' di amore per la musica che stanno suonando, un minimo di sentimento. Senza quello, la musica non parla di nulla, invece la musica è una lingua universale che può parlare. Anche ai feedoriani.
Riprendiamo daccapo. Questa volta Gilda mi mette al braccio un aggeggio simile ad uno sfigmomanometro. I musicisti mi seguono, Leonora e Alvaro sono più partecipi delle sventure dei personaggi. Le sbavature non mi interessano. Qui il mio unico scopo è che sentano, per poter trasmettere al pubblico.
Ritorno alla mia stanza, soddisfatto di aver soverchiato in minima parte le regole di un posto minuziosamente regolato. Arriva la mia cena e contemporaneamente una lettera dalla pneumoposta. Leggo mangiando. Concepirai un figlio con la riproduttrice elitaria 89715, dirigerai "La forza del destino" e morirai a Feedora. Rileggo più volte, il cuore inizia a battermi rapidamente, il respiro si affanna. Scatto in piedi e mi tocco la fronte. Non so che fare. Una smania immensa mi pervade. Anche le gambe mi tremano. Ho paura. Forse si tratta di un sadico scherzo, eppure non sono tranquillo. Esco dalla mia stanza, scendo all'appartamento di Alexander. Ho bisogno di parlare con qualcuno. Di essere rassicurato.
"Lex, vogliono farmi fuori? Potrebbe trattarsi di uno scherzo?"
Alexander vede il mio turbamento ma non può far altro che rispondermi: "Stefano, se la società ti dice questo, questo sarà!"
"Mi uccideranno?" chiedo, pietrificato.
"Non lo so, ma prima dovrai concepire, quindi hai un po' di tempo, no?"
Rifletto, Lex ha ragione. Non dovrò piú incontrare Amneris. Così sarò salvo. Potrei anche evitare di dirigere l'opera, ma non posso tirarmi indietro. Dirigere è la mia missione, soprattutto oggi, soprattutto qui.
Torno nel mio appartamento, non posso dormire. Penso a ciò che potrebbero farmi, ai modi in cui potrebbero ammazzarmi
Forse con quel cibo? Appena l'opera terminerà me ne andrò da qui. Se mi lasceranno andare. E se volessero trattenermi contro la mia volontà? Magari per fare esperimenti sul mio cervello o per punirmi per aver cercato di rompere qualche regola del cazzo!
La mattina si presenta, con la colazione. Non mangio. Esco per raggiungere il palazzo medico. Voglio vedere la dottoressa Shellenberger. La trovo, nel suo studio.
"Immaginavo che sarebbe venuto da me!" mi dice.
Ho con me l lettera, gliela mostro: "è stata lei a mandarla?" chiedo visibilmente alterato.
"Si rilassi, maestro. Comunque si. Sono stata io!" ammette.
"Volete uccidermi? Io voglio andarmene via da qui!"
"Lei può andare dove vuole, quando vuole. Andrà incontro al suo destino comunque. La scelta è sua! Le dirò una cosa..." aggiunge, "la sua morte, mi creda, ci creerà non pochi problemi, ma è inevitabile!"
"Posso andarmene quando voglio?" chiedo speranzoso.
"Certamente, anche subito, ma credo che vorrà portare a termine il suo lavoro..."
Ha ragione. Quella donna indisponente sa che non rinuncerei mai a dirigere, sa anche che voglio farlo qui, anche per farle dispetto. Ma non voglio morire.
Non torno all'appartamento. Raggiungo il teatro della città. Mi siedo in platea. Ripenso la mia vita. I miei successi, le mie disgrazie, le mie lacrime e i miei sorrisi. Il destino mi ha dato, il destino mi ha tolto. Prima o poi dovrò morire, lo so, ma non vorrei che fosse adesso. Quasi nessuno lo vuole, eppure... Mi dico eppure le persone muoiono. Posso ancora salvarmi, dirigerò e me ne andrò. Fanculo Amneris.
La sera della recita sono emozionato. Emotivamente fragile e fisicamente provato dalla mancanza di riposo. Non ho più abbandonato il teatro. Ho atteso che il pomeriggio passasse e gli orchestrali arrivassero. Ho ripetuto loro alcune cose sul sentimento e sulla sensualità.
Arriva anche il pubblico. Non si sgarrano gli orari qui a Feedora. Alle ventuno l'opera inizia.
Metto tutto me stesso metto in questa rappresentazione. Le mie mani, il mio corpo, il mio sudore, la mia disperazione, la mia angoscia e la frustrazione. Quella di oggi e quella di tutta una vita. Leonora muore. L'opera termina. Chiudo e abbasso le braccia.
Mi volto verso il pubblico. Ho fatto il mio dovere qui a Feedora, gli applausi scrosciano, qualcuno è in piedi. Ci sono persino persone commosse, anche tra musicisti e cantanti. Ora posso andare via. Scappare e dimenticare.
Scendo dal podio e una stretta al cuore mi fa piegare in due.
Il respiro non arriva ai polmoni.
Mi accascio a terra e non sento piú.
Morte del Maestro Grandi a Feedora
Di Alexander Muffuletta
Stanotte alle ventitré e cinquantaquattro si è spento il grande direttore d'orchestra Stefano Grandi. Il maestro è morto davanti al pubblico, dopo aver diretto, per la prima volta in assoluto, un'opera lirica a Feedora. L'opera in questione è "la forza del destino" di G. VERDI che, già nota come portatrice di sfortuna, conferma la sua nomea. Un attacco cardiaco è stato fatale per Stefano Grandi.
La dott.ssa Shellenberger afferma: "Dai test di salute sul maestro erano emersi enormi problemi cardiaci, insanabili sia farmacologicamente che chirurgicamente. Incrociando i dati del paziente, con lo stress da lavoro rilevati, sapevamo che c'erano forti possibilità che il suo cuore avrebbe ceduto. Il maestro, nonostante conoscesse i rischi, ha voluto comunque dirigere l'opera e passare alla storia come uno dei più grandi direttori del tempo, il primo a dirigere qui a Feedora!"
Il maestro Stefano Grandi ha portato il suo modo di fare musica anche a Feedora. Ha commosso pubblico e orchestra e ha mostrato, come mai prima era accaduto in questa cittá, la caducità dell'essere umano, in scena e nella realtà. La salma verrà riportata in Italia, dove avverranno le esequie di Stato.
La riproduttrice elitaria 89715 racconta: "in brevissimo tempo ho imparato molto da quest'uomo. Sono felice di portare in grembo suo figlio e di poterlo donare alla Società."
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