Capitolo 40 "I ragazzi che si amano"
"Sì. Jake Smith?"
"Sì, sono io."
Avevo un'espressione interrogativa e mi aspettavo che anche lo sconosciuto si presentasse.
"Oh giusto, che sbadato."
Mi tese la mano.
"Edward McCurthy."
Gliela strinsi.
"McCurthy?"
Annuì con la testa.
"Il..."
"Il fratello di Jason."
"Ma lui non mi ha mai parlato di te."
"Posso entrare?"
Mi guardai alle spalle, poi mi girai nuovamente verso di lui.
"Ma certo, prego."
Chiusi la porta alle nostre spalle e lo feci accomodare in sala.
"Tu sei il suo..."
Ebbe un attimo di esitazione.
"Ragazzo?" concluse.
"Non esattamente...Tutto questo è strano. Lui non mi ha mai parlato di te."
"A Jason non piace parlare di me."
"Eppure mi aveva promesso che avrebbe raccontato tutto..."
Mi guardò e per quel che istante mi persi nei suoi occhi.
"Dov'è? Non risponde al telefono, non è a casa..."
"Ha da fare. Mi ha parlato così tanto di te e dato che lui non può raggiungerti, ho pensato di farlo io. Volevo farti sapere che sta bene e che non vede l'ora di ritornare."
"Da dove?"
"Sta aiutando nostro padre con un affare un po' complicato."
"Cioè? Perché tutti questi segreti? Dimmelo e basta."
"Non posso."
Iniziai a fissarlo: assomigliava tantissimo a Jason.
"Ora è meglio che vada."
"S-sì certo."
Lo accompagnai alla porta, poi lo bloccai per un braccio.
"Digli che mi manca e che..."
"Anche lui ti ama tantissimo. Nostro padre ancora non capisce, ma un giorno lo farà."
Lo lasciai e lui se ne andò. Chiusi la porta e andai in cucina. Mi affacciai alla finestra, per vedere Edward sparire oltre al vialetto. Sentii solo il rumore soffocato dalla lontananza, della sua macchina: se ne era già andato.
La vita di Jason era come una grande scatola cinese: quando ne aprivo una, ve ne era un'altra all'interno. Andai in camera per riposarmi: ero davvero distrutto.
-
"Ehi, Teo!"
Si girò di scatto e si guardò intorno un po' confuso.
"Sono qui!"
Agitai il braccio per attirare la sua attenzione.
"Jake!"
Gli andai incontro facendomi strada tra la folla di studenti.
"Hai qualche notizia di Jason?"
"Sì, finalmente."
Quella risposta mi fece sentire sollevato. Era come se mi fossi tolto un peso.
"Allora? Che ti ha detto?"
"Bè ho incontrato suo fratello, non so se lo conosci. Ha detto che in questi giorni sta con suo padre per aiutarlo nel lavoro."
"Sì l'ho incontrato qualche giorno fa. Ma ti ha detto dov'è?"
"Al momento si trova in un hotel nel centro di Londra."
"E sai il nome?"
"Credo sia...Ba..."
Riflette per un attimo.
"Ah sì! Il Baglioni Hotel!" concluse.
"Quello italiano! Sì lo conosco."
"Edward mi ha detto che ora Jason non può vederti e che non devo dire a nessuno dove si trova..."
Si diede un leggero schiaffo sulla fronte. Sorrisi e lui arrossì di colpo.
"Ma tanto tu l'avresti scoperto lo stesso. Sei così determinato nel fare le cose." disse.
Lo abbracciai.
"Sei il migliore." sussurrai al suo orecchio.
Lo salutai e andai in classe. Mentre camminavo mi fermai all'angolo del corridoio principale del primo piano. Quello che vidi mi fece quasi rabbrividire: Helen era appoggiata ad un armadietto e Tomas le stava toccando i capelli. Lei si dava un sacco di arie. Si girò, mi fece l'occhiolino e sorrise. Le mostrai il dito medio e continuai per la mia strada.
Mi dispiaceva per tutto ciò che aveva passato, ma quella ragazza era insopportabile. Come si permetteva di fare la smorfiosetta con il fidanzato di Sarah?
Arrivai davanti alla porta della classe, ma mi accorsi che la porta era chiusa e che la lezione era già iniziata. Era l'ultima ora del venerdì e c'era matematica. Decisi di saltarla e di tornare a casa. Inviai un messaggio a Daniel e uscii da scuola, dopo aver firmato il permesso.
Eric stava in cucina ed era sorpreso del mio ritorno.
"Sono solo le 12:00, che ci fai qui?"
Posai lo zaino sul tavolo.
"Sono arrivato tardi all'ultima lezione e ho deciso di saltarla."
Presi una mela e mi avviai verso le scale.
"La scuola sta per finire, ma questo non ti da il diritto di fare quello che vuoi."
Scesi i pochi gradini che avevo fatto e mi affacciai in cucina.
"Ah sì, domani non torno dopo scuola."
"Ehi ma almeno mi ascolti quando parlo?"
Inclinai leggermente la testa.
"Sì certo. Cosa ti fa pensare il contrario?"
Salii le scale ignorando le altre lamentele di mio fratello e chiusi la porta della camera alle mie spalle. Quella giornata la passai in preda all'ansia: il giorno dopo sarei andato da Jason. Lo volevo. Mi mancava...
-
"Ehi amico! Oggi usciamo?"
Mi girai verso di lui e scossi la testa.
"Avanti!" insistette.
"Taylor!"
Daniel fece uno scatto che lo fece quasi cadere dalla sedia, ma io lo afferrai per la manica della camicia. La professoressa Russell si avvicinò al nostro banco e la classe scoppiò in una risata.
"Silenzio!" esclamò.
Stava a braccia conserte con gli occhiali abbassati fino alla punta del naso.
"Jake, Daniel..." iniziò.
Io e lui ci guardammo straniti: ci aveva chiamati per nome? Non lo faceva dal primo anno e cioè da quando ci aveva preso di mira.
"Allora sa il nostro nome." sussurrò Daniel.
La Russel lo fulminò con lo sguardo poi continuò il discorso.
"Ragazzi sapete che tengo a voi, ma quest'anno mi avete fatto mi avete fatto passare per la professoressa cattiva, perché sono sempre stata costretta a riprendervi durante le mie lezioni."
Si aggiustò una ciocca di capelli che le copriva la visuale, dietro all'orecchio, poi sospirò e sorrise.
"Ma capisco che siamo tutti stanchi e che manca poco alla fine della scuola. Perciò, non credo a ciò che sto per dire..."
Si appoggiò una mano sulla fronte, poi finì la frase.
"Siete liberi di andare, la lezione è finita."
"Ma è appena iniziata..." le feci notare.
Daniel mi coprì la bocca con una mano.
"Non hai sentito? È finita." disse a denti stretti.
La classe si stava svuotando a poco a poco, mentre la Russel si era avvicinata alla lavagna per cancellare tutti gli appunti che aveva iniziato a scrivere. Daniel le diede un bacio sulla guancia.
"Taylor?!"
"Anche noi le vogliamo bene. È la migliore!!"
Uscimmo dalla classe continuando a urlare. Mi girai e vidi che la Russel stava in piedi sulla soglia dell porta della classe. La salutai con un cenno e lei ricambiò. Poi mi unii di nuovo alle urla di Daniel.
-
Il taxi mi lasciò davanti all'hotel. Pagai e rimasi là davanti per qualche istante. Mi guardai, accorgendomi che non ero vestito molto elegante: una t-shirt e delle vans nere unite ad un paio di jeans. Fissai per un po' la scritta 'Baglioni Hotel', poi entrai.
"Salve, posso aiutarla?"
L'uomo della reception aveva un'accento strano.
"Sì, grazie. Sa per caso se c'è una stanza prenotata a nome di Jason McCurthy?"
"Mi scusi, ma non sono tenuto a darle queste informazioni."
"Ma..."
Mi guardai intorno.
"A me serve saperlo." sussurrai.
"Okay, ma le dirò solo questo. C'è una camera a nome di McCurthy. Posso sapere il suo nome?"
"Jake Smith."
"Smith, suo padre è il famoso.... "
"Sì sì. Grazie per l'informazione io aspetterò qui."
Alzò le spalle e mi fece cenno di andare. Mi sedetti su una poltrona e presi una rivista. Lessi per una buona mezz'ora, poi decisi di uscire a fare una passeggiata per ammazzare il tempo. Il pomeriggio passò in fretta e verso le 18:00 ritornai all'hotel: speravo che Jason sarebbe stato lì almeno per cena. Entrai, e lo stesso uomo che mi aveva accolto qualche ora prima si avvicinò a me.
"Non dovrei, ma te lo dico lo stesso..."
Aveva smesso di darmi del "lei".
"Il signorino McCurthy è rientrato da poco e andrà a cena fra circa un'ora e mezza."
Ringraziai e lui si allontanò. Iniziai a camminare avanti e indietro per la hall, finché non vidi Jason scendere dalle scale. In quel momento il mio cuore si fermò: era stupendo con quella camicia bianca e quei pantaloni eleganti.
Stavo per avvicinarmi, ma mi bloccai di colpo, perché una ragazza gli andò incontro, abbracciandolo. Lo prese per mano, conducendolo verso il ristorante dell'hotel. Abbassai lo sguardo e lasciai che qualche lacrima rigasse il mio viso.
"Ma che cazzo..." sussurrai.
Decisi che non mi sarei arreso: forse quella ragazza era solo un'amica.
Prenotai un tavolo e mi sedetti. Ordinai solo una bottiglia di vino. La ragazza continuava a sfiorargli il braccio e giuro che se non fossimo stati in un luogo pubblico, mi sarei alzato e l'avrei presa a schiaffi. Misi il menù davanti al volto per non farmi vedere. Quando lo riabbassai vidi che i due si stavano baciando. Feci cadere la bottiglia di vetro, che si frantumò in tantissimi pezzi. Mi chinai, ma un cameriere si avvicinò e disse di non preoccuparmi. Ormai Jason si era accorto della mia presenza, perché quel piccolo incidente aveva attirato l'attenzione di tutta la sala su di me. Presi un respiro profondo, ringraziai il cameriere e mi avviai verso l'uscita. Salutai l'uomo della reception e uscii. Iniziai a camminare e scoppiai in un mare di lacrime. Poi delle braccia mi afferrarono da dietro. Riconobbi subito quelle calde braccia e non vi fu bisogno di voltarsi.
"Vaffanculo Jason! Lasciami in pace!"
Mi fece girare per forza e mi afferrò per i polsi. Poi mi baciò. Ero confuso, quindi lo respinsi.
"Perché? Perché mi fai soffrire? Ogni volta che penso 'Dai forse stavolta è la volta buona' tu fai una cazzata che rovina tutto!"
"Jake posso spiegarti..."
"Spiegarmi cosa? Che quello era l'aiuto che stavi dando a tuo padre? Che tu non stavi baciando quella ragazza?! Non voglio ascoltarti."
Mi girai, ma lui mi bloccò per un braccio e si piazzò davanti a me.
"Quella ragazza è la figlia di un ricchissimo uomo d'affari con cui mio padre sta lavorando. Per convincerlo definitivamente a firmare un'importante contratto lui ci ha 'imposto' delle condizioni: sarei dovuto uscire con sua figlia per qualche giorno. Almeno finché non fossero tornati negli USA. Stasera era l'ultimo appuntamento."
Ero sorpreso e quella spiegazione non aveva senso.
"Come? Tuo padre sa che sei gay."
"Ma il suo socio no. Ho fatto finta di essere etero per qualche giorno. Stasera Adelle si è lasciata un po' andare e mi ha baciato. Ma io amo solo te stupido. Delle belle tette non mi faranno cambiare idea su questo."
Sorrisi.
"Adelle, è? Fammi andare a fare due chiacchiere con lei dai." dissi ironicamente.
Mi bloccò e si mise a ridere.
"Sei troppo geloso tesoro."
"Ah sì?"
"Sì. E mi piace, anzi mi fa impazzire e se potessi, farei l'amore con te, adesso."
Mi strinse per i fianchi.
"Jason siamo in un marciapiede nel centro di Londra."
"Non mi interessa, ti amo e voglio che tutti lo sappiano."
Misi le braccia attorno al suo collo.
"Allora perché non me lo chiedi?"
"Cosa?"
"Di essere solo tuo."
Sentivo il suo cuore che batteva a mille, molto più velocemente del mio.
"Vuoi essere solo mio, Jake Smith?"
"Sì che lo voglio."
Sorrisi, poi lo baciai. Mi alzai in punta di piedi, perché lui era più alto di me. Le sue calde braccia mi stringevano come se avessero paura di perdermi. Approfondimmo il bacio. Le persone passavano vicino a noi: alcuni ci sfioravano, altre si fermavano a guardarci, altri ancora ci ammiravano con invidia.
Amavo quel ragazzo e non avrei più permesso che qualcun altro lo toccasse. Finalmente, dopo mesi di scontri, litigi, baci rubati e incomprensioni, stavamo insieme. Finalmente potevo baciarlo quando volevo, senza il timore della sua reazione. Potevo fare l'amore con lui e l'avrei fatto fino a perdere il fiato.
Quella sera, una serata di fine Maggio, in quella strada affollata di Londra, Jason McCurthy mi chiese di essere il suo ragazzo ed io, naturalmente, accettai.
-
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top