Capitolo 4 "Amici? Mai."

Stavo davanti alla porta del suo appartamento da dieci minuti ormai: perché non mi decidevo a suonare? Era imbarazzante lavorare con lui, ma dovevo.

"Che stai facendo, ragazzino?"

Mi voltai.

"C-ciao, non eri in casa?"

"No, sono andato a comprare una cosa. Stai aspettando da molto?"

Non potevo dirgli che stavo lì immobile da dieci minuti, perché non avevo nemmeno avuto il coraggio di suonare.

"No, no..." mormorai.

Lui aprì la porta e mi fece segno di entrare: era un appartamento enorme.
Mi fece accomodare in sala, la quale era ben arredata e con una vista stupenda.

"Vado a cambiarmi, arrivo subito."

Annuii e quando sparì in corridoio, non resistetti alla tentazione. Mi alzai dal divano ed iniziai a dare un'occhiata qua e là. Su uno dei tanti scaffali c'erano delle foto ed una in particolare catturò la mia attenzione: due bambini, probabilmente Jason e un suo amico, un uomo ed una donna. Uno dei due bambini sorrideva, sembrava felice. Presi in mano la foto.

"Che fai?"

Lasciai cadere la foto facendo rompere la cornice, dunque mi voltai, sobbalzando appena.

"S-cusa... io non volevo..." farfugliai.

Mi chinai per raccogliere i pezzi, non accorgendomi dei pezzi di vetro ed improvvisamente percepii un bruciore intenso all'indice destro.

"Sei davvero un idiota." disse, avvicinandosi a me.

Si chinò ed afferrò la mia mano destra.

"Stai sanguinando."

Mise il mio indice in bocca.

"Ehi, che cazzo fai?" domandai, dimenandomi un po'.

Senza rispondere, mi trascinò in bagno.

"Senti, mi spieghi cosa-..." non riuscii a finire la frase.

Prese la cassetta del pronto soccorso ed iniziò a medicare la ferita. Io mi limitai a guardarlo stupito, confuso da quell'atteggiamento improvviso da buon samaritano.
Lui alzò il volto e sorrise con un angolo della bocca.

"Smith, com'è che sei diventato tutto rosso?" mi prese in giro.

La sua faccia era a pochi centimetri dalla mia: riuscivo a sentire il suo respiro sfiorarmi le guance.

"D-dobbiamo studiare." me ne uscii, preso alla sprovvista.

Si allontanò, facendo spallucce e rimise tutto a posto, mentre io tornai in sala. Lui mi raggiunse subito dopo e ripulì il disastro che avevo combinato.
Dopodiché si sedette sul divano, accanto a me.

"Sei tu in quella foto?" chiesi.

"Non sono affari tuoi, ragazzino. Ora iniziamo a studiare, non ho tempo da perdere."

Passammo il pomeriggio sui libri e, troppo occupati a studiare, non avemmo nemmeno il tempo di litigare o lanciarci frecciatine. C'eravamo solo noi, due normali ragazzi che frequentavano la stessa scuola e quegli stupidi libri. Forse fu proprio per quello che iniziai a pensare che Jason non fosse poi così male: e se quell'assurda situazione con Sarah fosse solo un malinteso?

"Ehi, ci sei?" la sua voce mi fece tornare alla realtà.

"Devo andare."

Senza nemmeno attendere una sua risposta, presi le mie cose ed uscii, sbattendo la porta. Ero frustrato: perché ero stato così bene e mi ero rilassato in quel modo con un completo sconosciuto?
Arrivato a casa mi precipitai in camera mia, ma la porta si spalancò subito dopo.

"Dove sei stato?"

"A casa di Jason."

Eric mi guardò stupito e si sedette sul letto, accanto a me.

"E perché l'avresti fatto?"chiese.

Gli spiegai del progetto.

"Quindi che tu lo voglia o no, ora devi passare del tempo con lui. Sono sicuro che diventerete buoni amici."

Alzai un sopracciglio e lo guardai stranito da quelle parole.

"Jason ed io non saremo mai amici."

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