Capitolo 23 "Essere me stesso"

Era una giornata di metà Marzo. Mancavano tre mesi alla fine della scuola. Io e Jason non ci eravamo più parlati da quella sera, cioè da quasi due settimane. Quando ci incrociavamo nei corridoi della scuola, io cercavo il suo sguardo, ma lui abbassava subito la testa.
Anche Blane non l'avevo più visto. Ero davvero frustrato, perché era stato solo un piccolo bacio e a causa di una sciocchezza simile, il muro che divideva me e Jason, si stava rialzando, giorno dopo giorno.

"Smith, si alzi immediatamente!"

Sollevai la testa dal banco e mi accorsi che mi ero adsormentato durante l'ora di filosofia. La professoressa continuava ad imprecare e parlare a voce alta, ma io non compresi nemmeno una parola di quello che mi stava dicendo.

"Se vuole dormire, lo può fare fuori dalla mia classe! Ehi, mi sta ascoltando?"

Ancora un po' stordito per l'insolito risveglio, mi alzai dalla sedia allontanando il banco e mi diressi verso la porta.

"Comunque si faccia qualche domanda anche lei, come i grandi filosofi. Non si è mai chiesta, perché gli alunni si addormentano durante le sue ore?"

Lei mi guardò stupita.

"Filosofia è una materia che lei non sa insegnare. Arrivederci e buon lavoro."

Chiusi la porta dietro le mie spalle e sentii delle risate provenire dalla mia classe. Iniziai a camminare per i corridoi della scuola, senza una meta. Intravidi un ragazzo girato di spalle e pensai subito che fosse Jason, quindi mi precipitai verso di lui e gli posai una mano sulla spalla, inducendolo a voltarsi.

"Posso aiutarti?"

Non era lui.

"Ehm... no scusa ti ho scambiato per uno che conosco."

"Ah okay." detto questo si allontanò con aria un po' confusa.

Sospirai per la figuraccia che avevo appena fatto: ero davvero così disperato? Suonò la campanella che annunciava la fine della seconda ora.

Mi girai e vidi degli occhi verdi che mi stavano fissando. Sentii il cuore in gola.

"Jason."

"Prima che tu dica qualcosa di stupido, volevo farti sapere che il progetto è finito e che preferirei studiare da solo questo periodo."

Continuava a osservarmi con una strana espressione, come se non sapesse ciò che stava dicendo.

"Jason io-..."

"Guarda c'è il tuo amichetto, vi lascio da soli."

Mi voltai dall'altra parte e vidi Blane. Jason lo fulminò con lo sguardo, poi se ne andò.

"Jake, tutto okay?" domandò Blane.

"Oh, sì, penso di sì. Tu sapresti spiegarmi perché avete litigato?"

Lui sospirò e fece per andarsene, ma io lo bloccai, mettendo una mano sul suo petto. Arrossii di colpo.

"S-scusa..." mormorai, abbassandola.

"Di niente, solo che non vorrei parlarne." proferì, con un sorriso.

Almeno su una cosa quei due andavano d'accordo: mantenere il segreto del loro conflitto.

"Andiamo a prendere un po' d'aria?" propose infine.

"Non posso, ho matematica."

"Rifiuti un po' di svago per una noiosissima ed interminabile ora di matematica?"

"Che ci vuoi fare? Sono un bravo ragazzo."

"Allora ti farò divertire io oggi."

Mi prese per mano e mi trascinò letteralmente per le scale; dunque salimmo ed arrivammo davanti alla porta che conduceva al tetto della scuola.

"Non abbiamo né le chiavi né il codice." gli feci notare.

"Fidati di me."

Aprì la tastiera e digitò i quattro numeri.

"Come hai fatto?"

Lui rise ed insieme, andammo fuori.

"C'eri mai stato?" domandò.

"In realtà no e non dovremmo essere qui."

"Jake, non essere noioso. Le cose bisogna farle e basta a volte o poi ci si ripensa."

"Come quando ci siamo baciati?"

Lui si allontanò un po', guardando il cielo e sorrise.

"Esattamente! L'abbiamo fatto e basta."

"Sì ed è per questo che ora Jason non mi degna nemmeno di uno sguardo."

Mi voltai e sedetti su un muretto, poi lui seguì il mio esempio.

"McCurthy è un viziato che pensa di ottenere tutto con la forza."

A quelle parole sentii una strana rabbia travolgermi: sentivo il disperato bisogno di difenderlo.

"Non dire queste cose, ci sarà un motivo che lo spinge ad odiarti così tanto."

"È soltanto un'egoista. Gli ho dato ciò che voleva, ma lui non l'ha apprezzato. Perché lo difendi, ti ha ricattato?"

"Lui non-... Lui ha solo bisogno di una persona che gli sappia tener testa! Non è un egoista, anzi-..." tentai di spiegare.

"Quindi vuoi dire che tu gli sai tener testa?"

Non risposi e sospirai.

"Che sei un duro? Che se ti baciassi adesso tu riusciresti a respingermi?"

Ci guardammo negli occhi e le mie gambe si fecero molli. Quelle iridi erano pericolose, lui era pericoloso: riusciva a mettere in soggezione con uno schiocco di dita.

"Che stai facendo? Smettila di provocarmi con quello sguardo."

"Hai detto che sei un duro, no?" continuò.

Fece per baciarmi, ma io lo allontanai, spingendolo leggermente dal petto.

"Non pensarci nemmeno." lo ammonii secco.

"Devi lasciarlo andare, perché Jason un giorno si sveglierà ed all'improvviso non gliene fregherà più niente di te."

"Sarà stato ferito in passato, è per questo che fa il duro, ma in realtà ha l'anima fragile." risposi.

Ci fu un po' di silenzio, in cui io mi voltai di nuovo verso Blane, il quale aveva abbassato lo sguardo.

"Forse è stato ferito da una persona a cui teneva." conclusi.

Mi alzai, lasciandolo a riflettere da solo. Mentre scendevo le scale, mi accorsi che ormai l'ora era quasi finita e che non valeva la pena entrare in classe. Mi recai al bar e vidi Daniel seduto ad un tavolino, da solo. Stava scrivendo su un quaderno ed aveva una tazza di caffè in mano. Ne presi una anch'io e mi avvicinai a lui.

"Che ci fai qui?"

"Non sei l'unico ad odiare matematica, Jake."

Mi sedetti accanto a lui: sembrava infastidito.

"Eri con Blane?"

"Come fai a saperlo?"

"Vi ho visti correre mano nella mano nel corridoio. Poi ne parlano un po' tutti. Non c'è bisogno che fingi con me."

"È questo che intendevi quando mi hai detto che stavo giocando con il fuoco?"

"Bè direi proprio di sì: stai tradendo Jason con il suo peggior nemico, non sei molto corretto."

"Io e Jason non stiamo insieme."

"Certo, come no."

"Io non sono g-..."

"Gay? Non sei gay? Jake non devi più nasconderlo, è okay. Non capisco perché tu ti faccia tutti questi problemi."

Sospirai.

"Chi altro lo sa?" chiesi, per poi bere un sorso della mia bevanda.

"Un po' tutti."

Mi sentivo angosciato, davvero angosciato.

"Perché Blane e Jason si odiano così tanto?" chiesi, più frustrato che mai.

"Non lo so. C'è di mezzo una ragazza, come ti avevo già detto. Nessuno sa precisamente cosa sia successo nell'estate tra il primo ed il secondo anno."

"Capisco, ma Blane non sembra così terribile, che avrà commesso di tanto grave?"

"Come fai a saperlo? A me quel tipo non convince. Stai attento Jake, non voglio che tu ti metta nei guai."

"Di che parli? Non mi farà del male. Penso che abbia solo bisogno di qualche amico."

Daniel sospirò.

"Okay, stai attento."

"Okay papà." dissi ironico.

Scoppiammo in una risata. Quello era il Daniel che conoscevo: divertente, scherzoso e spensierato. Iniziai a guardarlo con un po' troppa insistenza, perso nei miei pensieri.

"Ehi, Jake? Perché mi fissi in quel modo?" mentre lo diceva si passò la mano tra le ciocche bionde.

"Niente, sei carino quando ridi."

Sgranò gli occhi e mi diede una pacca sulla spalla.

"Wow, si vede che sei gay, ma non provarci con me.' disse ironico.

"Ah. ah. Scherzavo, idiota."

Scoppiammo di nuovo a ridere ed alcuni si voltarono a guardarci. Mi sentivo libero e un po' più sollevato. Con lui, con Sarah, con Jason potevo essere me stesso. Non dovevo nascondermi, non dovevo vergognarmi della mia natura.
Il problema era che la scuola, Londra e il mondo erano grandi, troppo grandi e non tutte le persone erano come i mie amici. Non sarebbe stato facile, perché molti non mi avrebbero accettato.
Ero gay, ma per farlo accettare agli altri dovevo prima farlo io e ci sarebbe voluto del tempo. Senza Jason mi sentivo impotente, perché era lui la causa di tutto quello e ciò che provavo lo volevo condividere solo con lui.

"Jake, tutto okay?"

"Sì..." esitai per qualche istante. "Tutto okay."

Dopo la fine delle lezioni andai a casa. Prima di aprire la porta presi un bel respiro profondo, mi fermai in corridoio per appendere la giacca; poi Sentii delle voci provenire dalla cucina. Mi voltai e vidi...

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