Capitolo 21 "Giocare con il fuoco "

Non sapevo cosa stavo facendo. Non sapevo cosa ci facevo davanti a casa sua. Ero stato impulsivo.
Mio fratello non era a casa quel venerdì sera, mi sentivo solo.
Finalmente decisi di bussare, ma poi mi voltai subito dopo convincendomi che non fosse in casa.

"Volevi andartene senza salutarmi?" la sua voce mi indusse a bloccare i miei passi.

In pochi minuti mi ritrovai seduto sul divano del suo appartamento, con lui accanto a me a sorridere come un ebete. Lo osservai e stranamente, riconobbi una somiglianza tra Jason e quello sconosciuto con cui mi ero scontrato in corridoio.

"Vuoi dormire qui, stanotte?" se ne uscì.

"Sì, se non ti da fastidio."

"Non mi dai fastidio, però devo farti una domanda prima."

"Anch'io, ma inizia tu." affermai.

Prese ad accarezzare le mie mani, poi piantò le sue iridi verdi nelle mie.

"Che ci facevi con Daniel, in cortile?"

Sgranai gli occhi: così all'improvviso faceva la scenetta del geloso, seriamente?

"Parlavamo."

"Di cosa?"

"Del fatto che c'è un nuovo alunno a scuola, un alunno un po' particolare. Vuoi dirmi qualcosa?"

Abbassò lo sguardo ed io capii che ci avevo preso in pieno: l'arrivo del nuovo ragazzo lo stava turbando.

"Jason, tutto okay?"

Lo sentivo tremare.

"Chi è... Blane?" domandai con un filo di voce.

"Non dire quel nome, non azzardarti più a pronunciarlo. E non avvicinarti a quel mostro." proferì, in tono freddo. "Vado a dormire." concluse.

Si sollevò dal divano, sparì in corridoio e sentii sbattere la porta: non l'avevo mai visto così fragile.
Lo raggiunsi subito dopo, sdraiandosi accanto a lui. Fissammo il soffitto per un po', dopodiché, con esitazione, feci intrecciare le dita delle nostre mani.

"Non volevo turbarti, scusa." sussurrai.

Lui si voltò a guardarmi e lasciò che le nostre bocche si unissero in un morbido bacio a stampo.

"Okay, ragazzino."

Ricominciava con i soprannomi, non era un buon segno.
Mi diede le spalle ed io guardai fuori dalla finestra: osservando la luna che era l'unica fonte di luce in quella stanza buia e silenziosa.

Un rumore assordante mi fece sobbalzare. Mi alzai di scatto, notando che Jason non si era mosso di un centimetro; dunque mi accorsi della fastidiosa sveglia sul suo comodino e la impugnai, irritato da quel suono infernale.

"Jason!"

"Mmh..." mugugnò, da sotto le coperte.

"Come si spegne questa cosa?"

"Mmmh."

"E questo che dovrebbe significare?!"

Lui si decise a togliere le coperte, scoprendo il proprio volto e spegnendo l'aggeggio che aveva interrotto il mio sonno. Mi guardò infastidito, infine uscì dalla stanza.
Dopo esserci preparati, andammo nella sua macchina, rimanendo là seduti in silenzio per un po'.

"Come stai?"

"Non ho voglia di parlarne, Jake."

Sospirai ed appoggiai la testa sul finestrino, lasciando che la sua testardaggine vincesse.
Arrivati a scuola, percepii gli occhi di tutti su di noi, mentre dei bisbigli e commenti di stupore ci accompagnavano fino all'ingresso, dove le nostre strade si divisero.
Sarah mi accolse con un sorriso stampato in faccia.

"Nom immagini nemmeno..." iniziò.

"Cosa?"

"C'è un nuovo alunno e-..."

"Daniel mi ha detto tutto."

"Che intendi fare?"

"Che significa, cosa dovrei fare?"

"Non dirmi che la faccenda non ti ha incuriosito."

"Jason sembra turbato da questo Blane, quindi cercherò di non tirare più fuori l'argomento." risposi secco.

"Okay, se lo dici tu... Tomas!"

Vidi il ragazzo che avevo minacciato di prendere a calci a casa di Sarah qualche settimana prima. Lasciò un bacio a stampo sulle labbra della rossa, poi si accorse della mia presenza.

"Jake, giusto? Scusa per quello che è successo, davvero io-..."

"È okay. Perdonami per averti minacciato di sai-..."

Feci un gesto goffo con la mano, poi ridacchiammo.
E mentre mi allontanavo sentii Tomas dire: "Questo Jake non è tanto male." Non potei fare a meno di sorridere per quella frase.

Le lezioni furono noiose. Tutti continuavano a chiedere della mia salute ed io iniziavo ad averne abbastanza. A ricreazione andai alla solita panchina nel cortile, per ascoltare della musica in santa pace, ma mi accorsi che qualcuno si era appena seduto accanto a me. Ero sicuro fosse Jason ed ero pronto a sorridere mentre mi toglievo le cuffiette, ma quel sorriso divenne un'espressione confusa in pochi istanti.

"Ciao." mi salutò lo sconosciuto.

Era il ragazzo con cui mi ero scontrato in corridoio qualche giorno prima.

"Mi segui?" chiesi un po' acido.

Capelli color castani ed occhi verdi, proprio come Jason: la somiglianza mi inquietava un po'.

"Allora, che ascolti?"

"I 'Bring Me the Horizon', ma ripeto: mi stai seguendo?"

Lui sorrise con malizia ed afferrò una delle due cuffiette, iniziando a muovere la testa a ritmo di musica.

"Quindi piacciono anche a te? Ho sentito dire che fanno un concerto a fine Luglio, qui a Londra. Ti andrebbe di andarci?"

Era sordo, idiota o semplicemente entrambi?

"È un appuntamento o cosa? Non ti conosco nemmeno."

Ci guardammo negli occhi per un po' infine lui scoppiò a ridere e mi porse nuovamente la cuffietta.
Alcuni studenti che stavano seduti là vicino ci guardarono ed iniziarono a bisbigliare tra di loro. Sospirai.

"Tutto okay?"chiese lui.

"Sì, mai stato meglio." replicai in tono freddo.

Mi sentivo osservato, sembrava che il passatempo preferito in quella scuola fosse farsi gli affari degli altri.
Andai in classe e mi sedetti accanto a Daniel, il quale non mi degnò nemmeno di uno sguardo.

"Stai giocando con il fuoco." si limitò a dire, giocherellando con una penna tra le dita.

Lo guardai stranito.

"Che?"

In quel momento suonò la campanella e la professoressa fece i primi passi nell'aula.

"Daniel che intendi dire?" sussurrai.

"Sai cosa intendo dire."

"Jake, silenzio! Se tu ed il nostro caro Daniel dovete spettegolare, potete anche uscire." ci riprese la professoressa.

Diedi un'ultima occhiata a Daniel, poi mi voltai verso la cattedra.
Giocare con il fuoco? Che significava? Cercai di non pensarci e per tutta la giornata attesi con ansia la festa che si sarebbe tenuta quella sera. Una strana emozione mi pervase: cosa sarebbe accaduto? Perché me lo sentivo, sentivo che sarebbe successo qualcosa.

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