Capitolo 8 "Io non ho paura di te"

Jake's Point of View:

"Fai piano, ricordati che siamo nel tuo ufficio." sussurrai, stringendo di più le mie gambe dietro la sua schiena.

Ero andato da Jason per pranzare insieme a lui, ma mi ero ritrovato sulla sua scrivania e mezzo nudo, nel giro di pochi istanti.
Lui si sfilò la cravatta e la buttò per terra, per poi bloccarmi i polsi sulla liscia superficie del tavolo.

"Non ti prometto niente."

Alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai alle sue labbra, per poi catturarle in un bacio lento, ma voglioso.

"Io in realtà sono venuto qui per mangiare con mio marito, ed ecco cosa ottengo in cambio." dissi, per poi mordicchiare il suo labbro inferiore.

A quel punto mi penetrò con un solo movimento ed io persi il fiato per qualche istante. Lui sorrise, compiaciuto dalla mia reazione e prese a baciarmi il collo, leccandolo di tanto in tanto. Iniziò a muoversi con una lentezza quasi frustrante. Mugolai ed accarezzai i suoi capelli, per poi afferrarli quando i movimenti del suo bacino divennero più veloci e decisi.

"Non preoccuparti tesoro, quando avrò finito con te, avrò molta fame."

Quella frase non fece che aumentare la mia eccitazione. Dovetti coprirmi la bocca con il dorso della mano, per trattenere dei gemiti che in realtà volevano solo farsi strada nell'aria di quella grande stanza. Lui continuò ad aumentare la forza delle spinte, fregandosene del fatto che eravamo in pieno giorno e che quello fosse un ufficio!

"Non trattenerti, fammi sentire quanto ti piace." riuscì a dire, tra una spinta e l'altra.

"N-No ci sentiranno..." risposi, ormai quasi al limite delle mie forze.

Andai a mordergli una spalla per non gemere e lui ansimò, lasciandomi i polsi, per poi afferrare i miei fianchi subito dopo.

"Non ce la faccio più..." mormorai, affondando la mia testa nella sua spalla, nel vano tentativo di soffocare altri lamenti.

Lui si riversò nel preservativo, per poi abbassarsi subito dopo all'altezza della mia intimità, leccare la punta del mio membro ed ingoiare parte del mio seme.
I nostri respiri erano corti, eravamo sudati ed avevamo addosso l'uno l'odore dell'altro. Lui, che era ancora inginocchio, alzò lo sguardo e sorrise, leccandosi le labbra. Gli accarezzai una guancia e socchiusi gli occhi, piegando un po' la testa all'indietro.

"Ti amo."

""Ti amo anch'io." risposi, ancora con il fiato corto.

Dopo esserci dati una ripulita e vestiti, mi sedetti sulle sue gambe, prendendo il pranzo dal mio zaino.

"Sono stato ore ai fornelli e sai quanto io odi cucinare."

Presi una forchetta e gli diedi un bacio a stampo.

"Apri la bocca."

Lui sorrise malizioso ed io risi, scuotendo la testa. Iniziai ad imboccarlo, mentre lui di tanto in tanto mi baciava il lato del collo.
Quella pace fu interrotta da Aleksadr, che piombò nell'ufficio, con una pila di fogli in mano.

"Signor McCurthy, sono arrivati i moduli che aveva richiesto qualche giorno fa, dovrebbe firmarli."

Appoggiai la forchetta sul tavolo e lo guardai in modo freddo, ricevendo in cambio uno dei bei sorrisetti falsi che il russo riservava sempre ed esclusivamente per il sottoscritto.

"Salve, signor Smith." mi salutò.

Ridacchiai con ironia, ripensando al modo in cui mi aveva trattato al funerale di Adam, così in contrasto con il suo carattere di fronte a Jason.

"Ah, ora sono il signor Smith?" bofonchiai, estremamente irritato dalla sua farsa.

Aleksandr si limitò a continuare a sorridere ed alzare un sopracciglio: odiavo quelle false epressioni da innocente. Jason mi accarezzò la schiena, tentando di farmi calmare, poi si rivolse al suo assistente.

"Okay, lascia tutto sulla mia scrivania, lo farò più tardi."

Quando fummo di nuovo soli, sospirai di sollievo e mi alzai dalle gambe di Jason.

"Tutto okay, tesoro?"

"Licenzia quel tipo una volta e per tutte. Non lo sopporto più e non so per quanto ancora io riesca a controllarmi."

La mia voce tremava, così come le mie mani, intente a chiudere lo zaino appoggiato a terra. Sentii una lacrima scendere lungo la mia guancia destra per poi arrivare alle mie labbra. Lui si alzò e mi abbracciò, baciandomi la testa in modo delicato.

"Sai che non posso, ne abbiamo già parlato."

"Ancora la storia di quello stupido contratto?!"

Jason lasciò la presa e si appoggiò alla scrivania, guardando la grande città attraverso la vetrata.

"Mio padre lo ha assunto e nel contratto c'è esplicitamente scritto che solo lui stesso può licenziarlo o che Aleksandr deve decidere di andarsene di sua spontanea volontà."

"Ma Adam...lui non c'è più. Quindi quel contratto è inutile."

Jason prese una mia mano, facendo intrecciare le sue dita con le mie. Abbassai lo sguardo, osservando quel gesto, poi tornai alle sue bellissime iridi verdi: c'era preoccupazione nei suoi occhi.

"Dobbiamo ancora leggere il suo testamento. Mia madre è distrutta e non è ancora pronta a farlo. Appena lo leggeremo e quando questa compagnia sarà totalmente mia, avrò l'autorità per farlo. Ma fino a quel momento ho le mani legate. E poi Aleksandr..."

"Aleksandr cosa? Eh?" lo incitai.

"Lui è competente e mi sta aiutando a tenere su questa azienda. Sai che non ho ancora il master in economia e non posso fidarmi di nessuno. Tutti vogliono mettere le mani su ciò che mio padre ha costruito ed io non posso permettere che accada."

Lasciai la sua mano ed indossai la mia giacca, che era finita a terra nella foga del momento, prima di fare l'amore sulla sua scrivania. Deglutii e sorrisi, dandogli un bacio a stampo: aveva appena perso suo padre, non volevo essere un altro peso per lui. Avevo un brutto presentimento sul ragazzo russo dagli occhi di ghiaccio, ma avrei combattuto la mia guerra in silenzio, senza che Jason se ne accorgesse. Gli avrei dimostrato che Aleksandr non era così innocente come voleva fargli credere.

-

Stavo pranzando nella mensa dell'università con Daniel e Teo. Il biondino studiava pedagogia, Teo invece aveva cambiato idea sull'architettura e si era dato alla medicina. Le loro facoltà si trovavano vicino alla mia, quindi pranzavamo insieme spesso.

"Teo, sembri pensieroso." dissi, per poi prendere un sorso dalla mia bibita.

Il moro scosse la testa, guardandosi intorno: non era da lui essere così giù di morale.

"Alana ce l'ha con me, perché non ho molto tempo per lei a causa del mio tirocinio in ospedale. È persino andata a dormire da suo cugino Jamie e Robert ieri sera. Ha detto di sentirsi sola..."

Daniel gli diede un colpetto sul braccio, guadagnandosi uno sguardo confuso dal povero Teo.

"Sei proprio un marito orribile Teo, dovresti vergognarti!" lo prese in giro, per poi tornare alle sue patatine.

Io alzai un sopracciglio e lo fissai come se avessi appena visto un alieno: conoscevo Daniel da anni, ma sembrava che più il tempo passasse, più lui diventasse strano.

"Grazie Daniel, sei davvero d'aiuto."

Teo si coprì il volto con i palmi delle mani e le sue spalle iniziarono a muoversi in modo irregolare. A quel punto anche Daniel diventò serio, capendo che era una situazione grave. Ci guardammo e lui mi fece cenno con la testa, come per incitarmi a parlare.
Appoggiai una mano sulla spalla di Teo, accarezzandola lentamente: alcuni studenti la vicino ci stavano guardando come se fossimo dei poveri pazzi, cosa che indusse Daniel a fulminarli con lo sguardo.

"Senti Teo, sei un marito fantastico, quest'idiota sta solo scherzando. Quando hai deciso di diventare medico, hai anche preso un impegno serio ed Alana ne era consapevole. Quando sarai un dottore a tutti gli effetti, ci saranno notti in cui ti chiameranno e tu dovrai lasciare la tua amata moglie sola. Ma ciò non significa che tu non la ami. Ciò non ti rende un marito orribile, ma una persona che è pronta a fare dei sacrifici per salvare delle vite. Alana ti ama e sono sicuro che capirà prima o poi." dissi, per poi stringerlo in un abbraccio caloroso.

I suoi singhiozzi divennero più silenziosi e lui sospirò, sollevato, dopo quello sfogo che probabilmente aveva trattenuto dentro di sé per troppo tempo. Sciolsi l'abbraccio e sorrisi, per poi dargli un fazzoletto.
A quel punto Daniel tossì, quasi soffocando con una patatina che stava mangiando e guardò scioccato qualcosa dietro alle mie spalle.

"Quello non è lo psicopatico russo che lavora per Jason?" sussurrò.

Io mi voltai di scatto e notai che molti avevano lo sguardo puntato su Aleksandr, che stava camminando con passo deciso verso di noi.

"Cosa diavolo ci fa qua?" mormorai, ancora incredulo.

Aleksandr si fermò davanti a noi e sorrise, per poi mettersi le mani nelle tasche del suo mantello nero. Spostò lo sguardo su di me, facendomi rabbrividire.

"Salve ragazzi, spero di non aver interrotto niente. Vi dispiace se rubo Jake per un po'?"

Ci fu un lungo attimo di silenzio, che fu poi rotto dalla mia voce, quando decisi che dovevo riprendermi.

"Senti Aleksandr, sono anche disposto ad ignorare il fatto che tu sia venuto qui come se fossi uno stalker. Ma ora mi stai chiedendo di seguirti? Spero questo sia uno scherzo."

Il russo tornò serio, guardando Daniel e Teo, poi di nuovo me. Mi afferrò per un polso e mi fece alzare con forza, per poi avvicinare la sua bocca al mio orecchio.

"Seguimi con le buone, non farmi diventare una cattiva persona."

Ma che diavolo, mi stava minacciando? Tremai leggermente, deglutendo e guardando i miei amici. Annuii e lui iniziò a camminare. Io raccolsi le mie cose e Daniel mi bloccò una mano.

"Che cazzo era quella scenata? Tu non vuoi davvero andare con lui, vero?"

Anche Teo era preoccupato, si vedeva dai suoi occhi, che mi pregavano di ascoltare le parole di Daniel. Anche il mio buon senso lo stava facendo, ma forse quella sarebbe stata l'occasione giusta per scoprire di più sulla vita così segreta ed oscura di Aleksandr.

"È tutto okay, dobbiamo parlare di lavoro." farfugliai, per poi seguirlo.

Arrivati nel parcheggio, lui si avvicinò ad una Mercedes nera. Prese delle chiavi dalla tasca dei pantaloni ed aprì la portiera, facendomi segno di entrare con un cenno della testa. Esitai leggermente, iniziando ad avere un po' di paura: tutto quello era assurdo.

"Che c'è? Non ho intenzione di rapirti, non preoccuparti."

Oh wow, questo è davvero rassicurante.

Salii e richiusi la portiera da solo, sbattendola con forza.
Guidò per una ventina di minuti, i venti minuti più lunghi della mia vita. C'era silenzio. Solo la fievole musica della radio lo spezzava, ma nemmeno quella poteva rompere la tensione che c'era nella macchina.
Mi sembrò anche più straziante di quella volta in cui Daniel e Teo mi avevano fatto salire in macchina, per poi guidare per ore, mentre Jason preparava la proposta di matrimonio.

"Siamo arrivati."

Eravamo davanti al Lanesborough Hotel, uno dei più lussuosi della città.

"Okay, mi spieghi che cazzo ci facciamo qua?"

"Ho fame ed il ristorante del Lanesborough è il mio preferito."

Una volta seduti ad un tavolo in disparte nel Céleste, lui prese un menù ed iniziò a sfogliare le pagine.
Io invece, avevo le braccia incrociate al petto e mi guardavo intorno, sentendomi fuori posto, a causa del mio outfit casual.

"Penso di aver giocato abbastanza a lungo e di aver avuto fin troppa pazienza. Allora, cosa vuoi?"

Un cameriere si avvicinò e lui ordinò per entrambi.

"Sarò molto diretto, non mi piace girare intorno alle cose. Hai un bel maritino, lo sai?"

Persi un battito sentendo quella frase: dove voleva andare a parare?

"Jason è il marito perfetto: protettivo, con un bel faccino, dolce, paziente e lavora sodo per farvi avere una bella vita. Come può una persona normale riuscire a resistergli?" continuò.

Non distolsi lo sguardo nemmeno per un istante mentre diceva quelle parole. Erano state pronunciate con malizia, giusto per provocarmi, ma io non mostrai alcuna emozione. Strinsi semplicemente i pugni, facendo affondare le unghie nella pelle del mio palmo per trattenere la rabbia.

"Sai Jake, sono il più giovane nella mia famiglia e sono stato viziato. Ottengo sempre ciò che voglio. Non importa quanto la cosa sia impossibile, non importa quante persone debba ferire per averla. Io alla fine, ci riesco sempre."

"Pensavo avessi detto che ti piace essere diretto. Vai al punto." lo interruppi.

In quel momento il cameriere di poco fa tornò con due piatti d'insalata russa e due bicchieri di vodka pura. Quando fummo di nuovo soli, lui bevve la vodka in un solo sorso, per poi puntare le sue iridi di ghiaccio nelle mie.

"Ho voglia di scopare Jason da un po' ormai e sappiamo entrambi che prima o poi accadrà. Volevo solo fartelo sapere, così da risparmiarti una delusione. Quindi...fatti da parte finché sono gentile."

Rimasi in silenzio a guardarlo, cercando di capire a fondo ciò che le mie orecchie avevano appena sentito. Dopo qualche istante scoppiai in una risata che attirò l'attenzione di alcuni clienti.

"Tu spunti dal nulla e fai di tutto per provocarmi. Fai l'angioletto davanti a Jason e ti comporti da stronzo con me. Vieni nella mia università mentre sto pranzando in santa pace con i miei amici, come un fottuto psicopatico e mi trascini in uno dei ristoranti più costosi di Londra per dirmi cosa? Di farmi da parte e che ti vuoi scopare mio marito? Ma ti senti quando parli?" sbottai, per poi passarmi una mano tra i capelli e prendere un respiro profondo.

Dovevo calmarmi, dovevo rimanere calmo.

Respira Jake, respira.

Lui prese un boccone dal suo piatto e per un istante vidi della frustrazione nei suoi occhi, che fu subito sostituita dal vuoto. Finì di masticare ed ingoiò, per poi controllare il suo orologio da polso.

"Lo dico per il tuo bene, Jake Smith, fatti da parte. Ci sono cose che sono più grandi di te e me, cose che non puoi capire."

"Jason ed io ci conosciamo dai tempi delle superiori. Abbiamo combattuto contro tutto e tutti per stare insieme, i nostri genitori omofobi, tradimenti, matrimoni combinati. Stava per sposare una fottuta sconosciuta per proteggermi e far felice suo padre, ma l'amore, quello vero, non si può buttare nel cesso così. Lui ha sempre scelto me. Sempre."

Le mie labbra tremarono appena, mentre finivo di pronunciare quella frase, ma non potevo cedere, non davanti a lui.

"Quindi Aleksandr Tchaikovsky, la prossima volta, prima di venire a dirmi che mi devo fare da parte, pensaci due volte, perché sono pronto a fare qualsiasi cosa per proteggere il nostro matrimonio. So che c'è qualcosa di oscuro in te, lo vedo nei tuoi occhi e scoprirò cos'è." conclusi, quasi sussurrando.

Lui non fece una piega, anzi continuò a sorridere strafottente e prese un ennesimo boccone della sua insalata russa.
Mi alzai e bevvi il mio bicchiere di vodka in un sorso, proprio come aveva fatto lui poco prima.

"Oh sì, un'ultima cosa: io non ho paura di te." dissi, scandendo bene ogni singola parola, per poi iniziare a camminare verso l'uscita.

Mi girai solo un'ultima volta, incrociando quello sguardo freddo. Ma stavolta era diverso, stavolta c'era dell'altro: Aleksandr era furioso.
E forse fu in quel momento, che capii che una tempesta stava per stravolgere le nostre vite. Di nuovo.

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