Capitolo 5 "Nella tana della volpe"
Jake's Point of View:
"Sì, lo so. Mi dispiace per l'inconveniente, il signor McCurthy la contatterà al più presto...S-Sì, sono desolato. Arrivederci."
Staccai la chiamata e sospirai frustrato. Venti minuti. Quella chiamata era durata venti maledetti minuti, nei quali mi ero dovuto sorbire le lamentele di un cliente dell'azienda McCurthy, solo perché Jason non andava a lavoro da una settimana ormai. Lo so, non era facile andare avanti, ma aveva delle responsabilità molto grandi: un'azienda così grande non poteva essere lasciata a sé stessa per così tanto tempo.
Salii al piano di sopra ed entrai in camera da letto: era sdraiato sul letto, i capelli umidi, segno che aveva appena finito di farsi la doccia.
Sbuffai ed incrociai le braccia al petto, scuotendo la testa.
"Ti ho detto mille volte che quando ti fai la doccia devi asciugarti per bene i capelli, ora il cuscino è tutto bagnato."
"È per dirmi questo che sei salito fino al piano di sopra?" disse, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
Strinsi i pugni, respirando profondamente e tentando di mantenere la calma.
"No. È il quarto cliente che mi chiama e si lamenta, sono stanco. Devi tornare a lavoro. So che è difficile, ma devi almeno provarci, se non vuoi che l'azienda fallisca..."
A quel punto lui si alzò, piazzandosi davanti a me, guardandomi profondamente negli occhi: sentii dei brividi percorrermi la schiena, perché era da settimane che non mi guardava così, con desiderio.
"Ora non mi va di parlarne..." sussurrò, attirandomi bruscamente a sé.
"Continuando ad ignorarli, i problemi non spariranno da soli."
Mi accarezzò la schiena un paio di volte, per poi afferrarmi le natiche infilando le mani direttamente nel mio intimo.
Sobbalzai appena, colto di sorpresa e leggermente eccitato da quell'iniziativa.
"Voglio fare l'amore con mio marito, i problemi possono anche aspettare per ora."
Sentii il cuore battermi forte nel petto, per chissà quale motivo, ero profondamente emozionato, come se fosse la prima volta.
Iniziò col baciarmi lentamente, prendendosi il tempo per assaporare le mie labbra con le sue, come se il tempo non esistesse affatto. Iniziò con delicatezza, ma sensualmente, stringendomi le natiche di tanto in tanto. Quei movimenti non passarono inosservati, infatti tra le mie gambe potei sentire già un principio di erezione. Come se non bastasse, aggiunse la lingua, rendendo il bacio ancora più erotico. Qualche altro secondo e Jason iniziò e strusciarsi contro la mia erezione, cosa che mi rese impossibile trattenere un gemito, che vennne subito soffocato da quel bacio ormai diventato un contatto dettato dall'esigenza di trovare piacere.
Il bacio venne interrotto bruscamente da Jason, che mi spinse sul letto. Mi guardò come un predatore che ha appena trovato la sua preda, per un attimo ebbi quasi paura di quello sguardo. Si spogliò, sfilandosi prima la maglietta, poi i pantaloni che usava di solito per stare a casa. Guardai la sua erezione, così dura che il membro andava a toccare quasi il suo stomaco.
Si inginocchiò ai piedi del letto ed allungò le mani, andando ad aprire il bottone dei jeans che stavo indossando: mi ero vestito, perché avevo un appuntamento con Sarah, ma ormai l'incontro potevo anche dimenticarlo. Liberato dagli stretti jeans, tolse anche la mia camicia, per poi passare ai boxer.
Mi osservò e finalmente sorrise.
"Sei bellissimo."
Due parole, dette con amore. Due parole così pure, che riuscirono a farmi fremere l'anima. Allungai una mano, appoggiandola sulla sua guancia. Lui si posizionò tra le mie gambe chinandosi su di me, fino a sfiorare le mie labbra.
"Ti amo." sussurrò.
Non so perché, ma una lacrima rigò il mio volto.
"Anch'io..." risposi.
Allargai di più le gambe, aggrappandomi a lui come se fosse la mia unica ancora di salvezza al mondo, pronto ad accoglierlo dentro di me. Dovette forzare un po' all'iniziò, perché non mi aveva preparato. Quando fu finalmente dentro, aspettò pazientemente il mio consenso, prima di iniziare.
"Tutto okay?" chiese con dolcezza, baciandomi il collo.
"Mmh..." fu la mia unica risposta, che uscì come un mugolio di piacere.
Uscì e rientrò subito dopo, lasciandomi senza fiato per alcuni secondi. Era una sensazione bellissima, lievemente dolorosa, ma piacevole allo stesso tempo. I movimenti iniziarono molto lentamente, per poi diventare spinte sempre più veloci ed intense.
Quando Jason andò a toccare quel punto, ci guardammo negli occhi, io eccitato come non mai, lui con sguardo voglioso. Continuò a stuzzicarmi nello stesso punto, fino a farmi arrivare quasi al limite.
Improvvisamente uscì da me, sdraiandosi sul letto.
"Vieni qua." disse, con voce calda.
Mi misi a cavalcioni su di lui, i nostri respiri erano affannati, le erezioni quasi dolorose, chiedevano solo attenzioni, per raggiungere il tanto desiderato limite del piacere.
Alzai leggermente i fianchi, per poi calarmi sulla sua erezione in un movimento fluido. Chiusi gli occhi per qualche secondo, godendomi quella nuova sensazione. Lui mi afferrò i fianchi, quasi con impazienza, inducendomi ad iniziare a muovermi. Fu un amplesso fatto di passione, piacere, bocche che si cercavano disperate ed unghie che affondavano nella pelle dell'altro. L'orgasmo non tardò ad arrivare, travolgente. Jason venne dentro di me, io sul suo ventre, quasi urlando il suo nome.
"J-Jason!"
Ero esausto, i nostri respiri affannati creavano un'unica melodia ed i nostri occhi si guardavano come se il mondo non esistesse. Rimasi sdraiato su di lui per qualche minuto, ascoltando in silenzio il battito del suo cuore che si era stabilizzato a poco a poco.
"Per colpa tua arriverò tardi al mio appuntamento." mormorai.
"Quale appuntamento?"
"Sarah mi ha chiamato ed invitato a bere un caffè al Regency."
"Bè, Sarah può aspettare, ho davvero voglia di te ora." disse, con voce calda.
Mi indusse ad alzare il volto e catturò le mie labbra in un bacio lento e delicato, accarezzandomi pigramente la schiena. Mi staccai di malavoglia e lo guardai negli occhi.
"Penso che ciò che Sarah deve dirmi è importante, ora devo andare..."
Jason annuì ed uscì da me, io mi alzai dal letto ed andai a lavarmi. Mentre l'acqua bollente si infrangeva come una cascata sulla mia pelle, chiusi gli occhi e sorrisi, ripensando al meraviglioso sesso che avevamo appena avuto. Ci sarebbe voluto tempo, sì, ma a poco a poco Jason sarebbe riuscito ad andare avanti e tutto sarebbe tornato alla normalità.
-
"Ma che diavolo? Un'ora e mezza di ritardo!" sbraitò infuriata Sarah, mentre mi sedevo al tavolo.
Il piccolo Albert mi salutò con quel suo sorriso sempre così puro, poi continuò a mangiare il suo pezzo di torta al cioccolato.
"Perdonami, non è colpa mia se-...!" mi bloccai e guardai Albert. "Io e Jason abbiamo avuto un piccolo "incidente" improvviso..." dissi, mordicchiandomi le labbra e sedendomi.
Sarah mi guardò per qualche secondo, alzando un sopracciglio: aveva già capito, infondo ci conoscevamo da anni.
"Oh, sì certo, un incidente! Bè "l'incidente" poteva aspettare, non credi?"
"Perdonami." mormorai. "Allora, perché mi hai chiamato?"
Sarah guardò Albert, accarezzandogli la testa dolcemente, poi tornò a me.
"Io e Tomas abbiamo da fare, staremo via un paio di giorni e volevamo chiedere a te e Jason se Albert può stare da voi."
Il bambino, ignaro di tutto, continuava a mangiare la sua torta sporcandosi bocca e guance. Sorrisi ed annuii.
"Certo, non c'è problema, ma perché non lo lasciate da tua madre?"
Sarah sospirò.
"È molto stanca nell'ultimo periodo, il lavoro le sta risucchiando tutte le forze." fece una piccola pausa, poi continuò. "Senti, non dovresti chiedere a Jason? Non voglio che questo sia un'altra scusa per litigare. Sai che nell'ultimo periodo è...stressato."
Ripensai ai suoi occhi pieni d'amore di qualche ora prima ed alle parole dolci che mi aveva sussurrato con voce calda.
"No, penso che presto le cose torneranno alla normalità. Non preoccuparti."
Ed invece avrei dovuto preoccuparmi ed ascoltare Sarah, perché trenta minuti dopo, rientrando in casa, Jason non ne fu molto felice.
"Ma che...?" non terminò la frase, si alzò dal divano del soggiorno e mi guardò confuso.
Albert se ne stava tra le mie braccia e giocherellava con i miei capelli, quindi non si accorse subito di Jason.
"Sarah e Tomas hanno da fare, sarà solo per un paio di giorni..." tentai di spiegargli.
"Jake, ti sembra il caso? Sai che non è un periodo facile né a lavoro né tra...noi."
"Sì, ma io pensavo che...-" iniziai.
"Ora devo andare, ho un'importante cena di lavoro." mi interruppe, dirigendosi verso l'ingresso.
Lasciai Albert e lui corse da Jason, aggrappandosi alla sua gamba destra.
"Zio Jason, zio Jake ha detto che una volta a casa avremmo mangiato la pizza tutti insieme!"
Jason mi guardò negli occhi, poi tornò al bambino e sorrise, arruffandogli un po' i capelli.
"Ti prometto che quando torno mangeremo la pizza, con ben quattro strati di formaggio!"
Albert saltellò felice allungando le mani verso Jason, il qualche si chinò. Il piccolo gli lasciò un bacio sulla guancia e ridacchiò felice, tornando da me. Lo presi in braccio.
Jason non mi degnò nemmeno di uno sguardo ed uscì, prendendo le chiavi della macchina.
"Zio Jason mangerà davvero la pizza con noi dopo? chiese Albert, tutto entusiasta.
Guardai la mia mano sinistra e l'anello.
"Non lo so piccolo, le promesse non sono facili da mantenere a volte..."
-
Jason's Point of View:
Aleksandr sembrava sorpreso di vedermi, indossava dei pantaloni di una tuta ed una T-Shirt bianca, vestiti semplici. Cosa mi aspettavo? Mi ero presentato all'improvviso ed a casa sua.
"Signor McCurthy?"
"Avanti, non siamo in ufficio e data la situazione penso che darmi del "tu" sia più appropriato."
"Okay, hai ragione, ma... Perché è-...sei qui?"
Già, perché ero lì? Non ne ero certo nemmeno io a dire il vero. Dovevo essere a casa con mio marito ed aiutarlo a badare al piccolo Albert, invece ora stavo davanti alla porta del mio segretario, con un'espressione da idiota. Non ricevendo alcuna risposta, si fece da parte e sorrise.
"Entra."
L'appartamento si trovava al penultimo piano ed era molto spazioso: la cucina e la sala formavano un Open space ed infondo c'era una grande vetrata che offriva una vista di Londra stupenda.
"Wow, ti pago così tanto che ti puoi permettere un posto del genere?" chiesi, con ironia.
Lui ridacchiò e riempì due tazze con del tè.
"No, faccio un lavoretto extra e guadagno un po' di più. Andiamo al piano di sopra, c'è un balcone sul tetto e la vista è molto piacevole."
"Ti aiuto a prendere le tazze-..."
Allungai le mani verso le sue e le nostre dita entrarono in contatto.
"No, non c'è problema."
Ci guardammo per qualche istante e fu un po' strano. Dovevo mantenere una certa distanza, era pur sempre il mio segretario. Ed ero sposato. Ma allora perché diavolo mi trovavo lì?
Aveva ragione, la vista era davvero piacevole. Ormai erano quasi le sei di sera, ma il sole non era ancora tramontato del tutto. Fu lui ad iniziare la conversazione.
"Allora, perché sei qui? Problemi in paradiso?"
"In paradi-...? Ah, no, no... Più o meno."
Bevve un sorso di tè e ridacchiò divertito.
"Più o meno? Sei venuto qui per ignorare e dimenticare il problema?" Si sporse un po' in avanti, diminuendo la distanza tra di noi. "O sei venuto per altro?"
Altro? La cosa diventava imbarazzante, pericolosa. Perché continuavo a fissare quegli occhi tentatori?
"Penso sia meglio che me ne vada." riuscii a dire, distogliendo lo sguardo ed alzandomi.
Aleksandr rimase seduto ed accavallò le gambe, bevendo tranquillamente un altro sorso di tè.
"Sai dov'è la porta. Spero che la prossima volta tu venga con le idee chiare. Mi piacciono le persone dirette e sicure." concluse, sorridendo.
Non riuscii a ricambiare il sorriso, ero confuso, frustrato: che diavolo era successo? Perché ero lì? E perché Aleksandr era riuscito a mandare in palla un uomo adulto e responsabile come me? Che diavolo avevano quegli occhi?
Una volta fuori dalla tana della volpe, presi un respiro profondo e guardai la mano sinistra e l'anello...
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