Capitolo 4 "Verità nascoste"

Jake's Point of View:

Guardai Jason negli occhi ed iniziai ad aggiustargli la cravatta nera. Lui non si oppose ed iniziò a seguire i miei movimenti con gli occhi. Era da un paio di giorni che non parlavamo quasi per niente, ma in quel momento, sapevo che aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto. Era una domenica mattina, una nuvolosa domenica mattina e tra qualche ora si sarebbe tenuto il funerale di Adam McCurthy.

"Jason..." lo richiamai.

Lui non alzò lo sguardo e scostò le mani, continuando da solo.

"Smettila di ignorarmi, lo odio!" alzai la voce spazientito.

A quel punto le sue iridi verdi incontrarono le mie, facendomi correre un brivido lungo la schiena:
non c'era nessun sentimento, niente. I suoi occhi erano vuoti.

"J-Jason, tesoro-..."

Le sue mani andarono a stringere le mie spalle con forza. Mi spinse contro la porta della camera e mi baciò con fare frenetico, accarezzandomi i fianchi. Lo lasciai fare, assecondandolo e lasciando che la sua lingua incontrasse la mia, umida, calda. Si schiacciò completamente contro di me, continuando a possedere la mia bocca con passione. Quasi senza fiato, si staccò, guardandomi negli occhi e stavolta vi lessi tristezza, angoscia, paura. Ancora con il fiato corto per il bacio di poco prima, gli appoggiai una mano sulla nuca e lo baciai a stampo, per poi lasciare che la sua fronte si appoggiasse sulla mia spalla, dove si sfogò per qualche minuto. Chiusi gli occhi ed accarezzai la sua schiena, incapace di pronunciare alcuna parola di conforto. Non sapevo nemmeno cosa era la cosa giusta da dire, quindi per evitare equivoci, rimasi in silenzio, ascoltando impotente i suoi singhiozzi.

"Non gli ho nemmeno detto addio... Non gli ho nemmeno detto addio..." sussurrò, con voce spezzata.

Al funerale Carolyn non aveva fatto altro che piangere: i suoi occhi erano stanchi, rossi, esprimevano delusione e dolore. Edward aveva stretto la mano di Mercy per tutto il tempo e a volte aveva sussurrato delle parole di conforto all'orecchio della povera madre, che non avevano fatto altro che farla piangere di più. Jason aveva fissato la bara ininterrottamente, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Il mio sguardo cadde su Aleksandr: guardava la bara con inespressività, quasi fosse annoiato. Non capivo nemmeno perché fosse lì. Improvvisamente il suo sguardo si alzò di scatto, cogliendomi in flagrante. Ci fissammo per qualche istante, poi lui fece una specie di sorrisetto ironico e distolse lo sguardo.
Quando il prete recitò le ultime parole e tutti ebbero detto addio all'uomo, che ora era solo un mucchio di cenere in una bara di legno, la gente iniziò ad avviarsi alle proprie auto per andare a casa dei McCurthy. Jason rimase immobile, così non mi mossi nemmeno io, aspettando al suo fianco.
Allungai una mano ed afferai la sua, intrecciando le mie dita con le sue.

"Tesoro..." sussurrai al suo orecchio. "Gli altri aspettano."

Lui sospirò ed annuì, per poi seguirmi in macchina. Durante il tragitto, non fece altro che fissare il nulla fuori dalla finestra, mentre io cercavo di concentrarmi sulla strada. Improvvisamente sentii una leggera pressione sulla mia gamba: abbassai lo sguardo e vidi la sua mano, tremante, insicura. Parcheggiai davanti alla casa di famiglia dei McCurthy e mi voltai a guardarlo: i suoi bellissimi occhi ormai erano costantemente umidi di lacrime. Appoggiai una mano sulla sua guancia e mi avvicinai, baciandogli prima la fronte, poi le guance rigate dalle lacrime, infine le labbra.

"Sono qui con te, okay? Non ti lascio, l'ho promesso." lo rassicurai.

Annuì e sospirò, per poi scendere dalla macchina ed entrare in casa. Non sarebbe stato facile.
Entrai in casa e mi guardai intorno: persone vestite di nero, espressioni abbattute, gente che sussurrava per non fare troppo rumore ed una triste atmosfera.
Dopo una buona mezz'ora andai nel giardino sul retro per fumare una sigaretta. Allentai la cravatta e presi un respiro profondo, guardando il cielo: era cupo. Qualche istante dopo sentii dei passi alle mie spalle e mi voltai, vedendo Aleksandr: aveva un'espressione neutra sul volto e non sembrò notarmi immediatamente. Poi i suoi occhi incontrarono i miei ed io sentii quell'ansia e quel brivido di freddo che mi scorreva lungo la schiena ogni volta che lo guardavo.
Si avvicinò a me ed allentò la cravatta, sospirando.

"Mi offri una sigaretta?" chiese, con il suo accento russo.

Mi imbambolai per qualche istante, poi allungai una mano alla mia tasca destra. Presi il pacchetto di sigarette e gliene porsi una. Lui la posizionò tra le labbra e fece un mezzo sorriso, che mi indusse a distogliere lo sguardo.

"Che peccato che il signor McCurthy sia morto così presto. Deve essere stato uno shock per Jason."

Scossi la testa e lo guardai con espressione ironica.

"Non far finta che te ne freghi qualcosa."

Il suo sorrisetto non lasciò la sua bocca nemmeno per un momento, mentre pronunciavo quelle parole.
Iniziò a fumare e fece qualche tiro prima, di ghignare e rispondere alla mia frase precedente.

"Ma io non sto fingendo, sono profondamente addolorato dalla perdita del signor McCurthy." replicò, usando un tono esagerato.

Lo fulminai con lo sguardo e feci un'altro tiro: ma come faceva ad essere così sfacciato?

"Non mi sorprenderebbe scoprire che c'entri qualcosa con la sua morte..." mormorai, infastidito dal suo comportamento.

A quel punto lui buttò la sigaretta a terra, schiacciandola e si avvicinò pericolosamente a me, afferrandomi per una spalla. Sentivo il suo respiro sfiorarmi il lobo dell'orecchio destro e le sue dita affondare quasi nella mia pelle per quanta forza ci stava mettendo. Mi sarebbero rimasti di sicuro dei lividi.

"Solo perché studi psicologia pensi di poter leggere la mente di qualunque persona, ma questo con me non funziona. Ciò che hai detto è molto grave, un'accusa infondata ed infantile. Poi, se fossi in te non mi preoccuperei per qualcuno che non c'è più, ma per il tuo maritino..." terminò la frase con tono malizioso, un tono che mi fece gelare il sangue nelle vene.

Lasciò la presa dalla mia spalla, mi guardò con i suoi occhi di ghiaccio per un'ultima volta, poi tornò dentro, lasciandomi confuso, arrabbiato e con mille dubbi in testa.

-

Ian's  Point of View:

Ero profondamente turbato, non mi piaceva affatto quella situazione. Sulla casa regnava quasi il silenzio. La gente non parlava, sembrava quasi sussurrasse. Non conoscevo il signor McCurthy personalmente, ma Jake aveva detto che sarebbe stato carino se fossi venuto al funerale, per appoggiare Jason. Così avevo deciso di andarci, ma più i minuti passavano e più me ne pentivo. Decisi di andare al piano di sopra, in cerca di... In realtà non sapevo nemmeno io di cosa è sapevo che era davvero senza rispetto curiosare in casa degli altri, ma avevo bisogno di un po' di pace e di svuotare la mente dalla malinconia per un po'. Controllai che nessuno mi stesse guardando e salii le scale, facendo attenzione a non fare rumore. Una volta al piano di sopra spalancai la bocca: sapevo che i McCurthy fossero ricchi, ma quel posto era davvero esageratamente grande! Iniziai a camminare per il corridoio principale, fermandomi ogni tanto a guardare le foto di famiglia: sembrava che nessuno avesse vissuto in quella casa per anni.
All'improvviso sentii dei passi provenire dalle mie spalle e mi voltai.

"Non è come sembra, io stavo solo cercando il bagn-..."

Non so se posso descrivere le centinaia di emozioni contrastanti che provai nel momento in cui vidi Isaac Wood davanti ai miei occhi: sorpresa, shock, frustrazione, rabbia, desiderio... Ero confuso, cosa diavolo ci faceva lui là?
Se ne stava lì, immobile a fissarmi con quegli occhi azzurri e con un'espressione neutra.

"Ian..."

La sua voce mi fece tremare l'anima, quella voce che non sentivo da anni. Ero un idiota, non era cambiato niente: continuavo a provare qualcosa per lui, nonostante mi avesse ferito.
Rabbia. Lo colpii sulla guancia destra e lui girò il volto leggermente di lato, non reagendo. Desiderio. Poi, lo afferrai per le spalle e lo baciai, come se da quel bacio dipendesse la mia intera esistenza. Lo sentii esitare e sì, sperai con tutto me stesso ricambiasse. Invece afferrò le mie mani con delicatezza e mi scostò, senza nemmeno guardarmi negli occhi.

"Isaac, cosa cazzo hai combinato? Dove sei stato tutto questo tempo? I-Io..."

"Tesoro?"

Una voce femminile interruppe la mia frase e lui indietreggiò di un passo. Alle sue spalle comparve una ragazza afroamericana, che si avvicinò a noi ed afferrò la mano di Isaac.

"Tesoro, dov'eri? Ti ho cercato dappertutto..." continuò la sconosciuta.

Guardai la scena interdetto, non capendo cosa stesse succedendo: perché quella ragazza aveva appena chiamato Isaac "tesoro"? Strinsi i pugni ed abbassai leggermente lo sguardo, trattenendo le lacrime.

"S-Stavo salutando Ian, un mio vecchio amico. Ian..."

Alzai lo sguardo e lo pregai con gli occhi di non farlo, di non distruggermi: perché sì, non ero stupido e sapevo che cosa stava accadendo. Eppure non volevo sentirlo lo stesso, faceva troppo male.

"Lei è Jasmine. La mia ragazza."

-

Cassie's Point of View:

Mi sedetti su una panchina in giardino. Quella situazione mi ricodava il funerale di mia madre e non mi piaceva affatto. Sospirai, guardando il cielo ancora nuvoloso: sorrisi appena, ma con tristezza.

"Cassie Miller, chi l'avrebbe mai detto che un giorno ci saremmo rivisti."

Mi voltai, riconoscendo subito quella voce.

"Blane."

Mi alzai e lui si avvicinò, abbracciandomi: era un abbraccio sincero, puro e caloroso. Così caloroso, che sentii l'istinto di piangere per la commozione, ma mi trattenni.
Eravamo là seduti da circa una decina di minuti ormai: io gli avevo raccontato dell mia nuova vita e lui della sua. Lui e Daniel vivevano insieme, Daniel studiava pedagogia all'Università e faceva del lavoro extra il weekend per guadagnare qualcosa in più, mentre Blane lavorava come fotografo per una redazione.

"Sono piacevolmente sorpresa che Daniel ce l'abbia fatta."

"A fare cosa?" chiese, confuso.

"A salvare uno incasinato come te."

Blane sorrise, ma i suoi occhi erano spenti. In realtà lo erano stati durante tutta la conversazione: c'era decisamente qualcosa che non andava.

"Tutto okay?" chiesi, preoccupata.

"Non penso mi rimanga molto tempo..."

La sua voce era leggermente roca, la sua espressione divenne cupa, i suoi occhi fissavano un punto nel nulla.

"Cosa intendi dire?"

Ero confusa e spaventata da ciò che stava per arrivare.

"Una settimana fa ho scoperto di avere un rene fottuto e che mi serve un trapianto, ma le liste sono così lunghe che probabilmente sarò già tre metri sotto terra prima che ne possa ricevere uno."

Oltre al fatto che quelle parole fossero scioccanti, la cosa realmente turbante era che mentre Blane le aveva pronunciate, la sua espressione era rimasta indifferente, come se si fosse già arreso.

"Cosa diavolo stai dicendo, Blane? I-Io non ci credo...

"È la verità, Cassie."

Lo afferrai per il colletto della camicia, scuotendolo un paio di volte.

"Perché lo hai detto a me e non a Daniel? Ma soprattutto, perché ti comporti come se non te ne fregasse un cazzo di questa situazione?!"

Lui finalmente mi guardò ed una lacrima rigò il suo volto.

"Pensi davvero sia facile dire alla persona che ami che stai morendo?"

Quella frase mi colpì nel profondo, inducendomi a lasciare la presa ed abbassare lo sguardo.

"Non può essere... Tu devi dir-..."

"Cassie?" mi richiamò una voce.

Alzai lo sguardo ed incrociai i suoi occhi azzurri: non erano cambiati affatto, sempre accesi e profondi. Ripensai alla sconvolgente rivelazione di Blane e sentii il mio cuore stringersi in una morsa, mentre guardavo quel dolce ragazzo biondo davanti a me, ancora ignaro di tutto.

"Daniel."

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