Capitolo 13 "Mania"

*Nota*: Se ci sono delle lettrici/lettori che soffrono di questo disturbo (bipolarismo) o che conoscono persone che ne soffrono, mi dispiace se il modo in cui lo presento non è perfetto. La mia conoscenza è tratta solo da articoli e documentari. Non è mia intenzione offendere nessuno 🖤. Buona lettura.

Daniel's Point of View:

Blane rientrò alle sette di mattina in punto. Aveva un'aria miserabile ed io conoscevo quell'espressione.
Mi alzai dal divano e lo raggiunsi in corridoio, senza proferire parola. Che parlasse prima lui, se ne avesse avuto il coraggio. Misi su un bel sorrisetto ed aspettai con pazienza che i suoi occhi incontrassero i miei.

"Buongiorno amore mio." la sua voce era roca e spezzata.

Lo guardai dalla testa ai piedi, accorgendomi che quella T-Shirt non era sua.

"Buongiorno, Blane."

Lui alzò leggermente il volto, togliendo l'attenzione dalle sue scarpe che stava slacciando, poi tornò a fare ciò che aveva iniziato, posandole accanto al portaombrelli.

"Che c'è, perché mi chiami per nome? Lo fai solo quando vuoi confessare una cazzata che hai fatto o quando sei arrabbiato con me." disse.

Si accigliò leggermente e prese il mio volto tra le mani, facendo per baciarmi, ma io voltai la testa di lato.

"Ma dai, Blane, chi stiamo prendendo in giro? Teo è un pessimo bugiardo. La prossima volta se proprio vuoi essere coperto, fatti aiutare da una persona che sappia mentire."

Spostai le sue mani ed andai in cucina, iniziando ad armeggiare nella dispensa, cercando qualcosa da cucinare. Ero incazzato, sì, ma doveva esserci una spiegazione logica a tutto ciò.

"Sì, gli ho chiesto di mentire. E allora?"

Bloccai tutte le mie azioni per processare quelle dannate parole ed espirai, incredulo.

"Vuoi sapere dove sono stato? Da Ian. Era a pezzi a causa di Isaac e l'ho accompagnato a casa per consolarlo."

No, il mio ragazzo non mi stava sul serio dicendo di aver passato la notte dal suo ex, dal corpo perfetto e la faccia da angelo. Non stava succedendo.

Respira. Profondamente. Daniel Taylor. Non strangolarlo. Non, prenderlo a schiaffi.

"Blane, cosa mi stai dicendo? Quella maglietta è sua?"

Mi voltai a guardarlo: aveva quella faccia, la conoscevo bene, quella faccia da idiota che faceva quando aveva combinato una cavolata.

"Blane, tu e Ian non avete..." non riuscii a finire quella frase.

"No, non abbiamo fatto niente. Ian era a pezzi ed aveva bisogno di una spalla su cui piangere."

"Ah e la spalla doveva essere proprio quella del suo ex ragazzo? Cosa mi stai nascondendo Blane Johnson? Guardami negli occhi almeno, quando ti parlo!"

Le sue iridi verdi incontrarono le mie, facendomi sospirare: i suoi occhi erano marcati da due profonde occhiaie ed erano rossi come se avesse pianto per ore.
Mi avvicinai e gli accarezzai una guancia, cercando risposte.

"Che succede, amore, sai che puoi dirmi tutto."

Lo feci indietreggiare fino al tavolo e ve lo feci appoggiare, facendo poi incontrare i nostri bacini. Gli lasciai un bacio leggero sul collo, per poi arrivare alle sue labbra. Esitai.

"Ti amo, Blane. Puoi dirmi tutto."

Lui lasciò che le nostre labbra si sfiorassero, ma poi abbassò le mie mani, togliendole dal proprio volto e mi guardò dritto negli occhi.

"Non posso farlo, adesso. Non ci riesco."

Si allontanò da me, andando al piano di sopra. Okay, quella situazione era assurdamente strana e mi confondeva. Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi per qualche istante, prima di riaprirli e seguirlo velocemente.
Era in camera ed aveva appena indossato la tuta che usava per dormire. Lo spinsi sul letto e lui non ebbe il tempo di protestare, perché mi misi a cavalcioni su di lui e gli bloccai i polsi sul materasso.

"Allora, pensi che sia stupido? È da mesi che hai qualcosa che non va, sono stato in silenzio per abbastanza tempo. Prima inizi a stare fuori notti intere, poi le stupide scuse del tuo lavoro ed ora mi vieni a dire che hai dormito da Ian? Blane, dimmi la verità, vuoi lasciarmi? Non ti piaccio più? Ti annoio, non è così?"

I suoi occhi diventarono lucidi, ma nessuna lacrima uscì: era sempre stato troppo orgoglioso per piangere. Ma io riuscii a vederla, nelle sue iridi, riuscii a percepirla dalle sue mani che tremavano: la paura. Ci avevo preso e no, non mi sarei arreso così.
Andai a baciargli il collo, leccandolo di tanto in tanto e lasciando dei morsi forse un po' troppo forti. Quell'idiota non poteva entrare nella mia vita ed andarsene così senza una spiegazione logica, ma chi si credeva di essere? Fottuto Blane Johnson.

"D-Daniel, ti prego..." ansimo, ormai travolto dal piacere scaturito dai miei gesti decisi.

Lo guardai ed andai a leccargli le labbra, senza baciarle però. Aspettai che lo facesse lui. Stava resistendo, si vedeva, tentava con tutto sé stesso di respirare con calma, ma le sue mani che ora stavano stringendo i miei fianchi con vigore, lo tradirono.

"Ti prego? Ti prego cosa, mmh?" mormorai, con tono di voce basso e caldo. "Ti prego cosa, Blane..." sussurrai quasi.

Lui cambiò posizione con uno scatto veloce, infilandosi tra le mie gambe.

"Ah..." ansimai, a causa del contatto brusco con il materasso.

"Non avresti dovuto farlo, Daniel." strinse i miei fianchi aumentando la forza, lasciandomi sicuramente dei lividi. "Ora non posso più controllarmi."

"E allora non farlo."

Misi una mano sul suo collo e lo feci avvicinare a me.

"Non controllarti." conclusi.

Le sue labbra trovarono le mie, coinvolgendole in un bacio bagnato e scoordinato. La sua intimità iniziò a muoversi contro la mia, facendomi gemere tra un bacio e l'altro. E quando si fermò di scatto, guardandomi negli occhi, capii che sì, quell'idiota mi amava, ma qualcosa di oscuro aveva spento le sue iridi. Qualcosa che avrebbe messo alla prova la nostra relazione.

-

Jake's Point of View:

Era passata una settimana dalla cena e mentirei se dicessi che fu una settimana tranquilla. Cassie ci aveva chiesto una mano per preparare e decorare la sua nuova tavola calda, la quale avrebbe inaugurato nel giro di poche settimane, Teo era in piena crisi esistenziale a causa di Alana, che ora dormiva sempre più spesso da suo cugino Jamie e Robert, i quali mi avevano praticamente pregato di far ragionare la ragazza: probabilmente erano stanchi di trovarsi nel bel mezzo di quella faida amorosa.
Sarah e Tomas mi avevano chiesto di badare al piccolo Albert un paio di sere, sfiniti dai turni di lavoro stressanti. Daniel aveva passato quasi tutti le sere al telefono con me, raccontandomi delle tensioni che c'erano tra lui e Blane e fui quasi scioccato nel constatare che quest'ultimo avesse avuto la faccia tosta di ammetere di aver passato una notte da Ian.
E poi c'era proprio il piccolo Ian Hall, che dopo la cena era sparito completamente. Smarrito, disperso, scomparso, era come se fosse evaporato nel nulla. E tutti noi sapevamo cosa significasse: stava avendo un episodio.

"Salve, signor Hall." salutai il padre del ragazzo, il quale fu più che felice nel vederci.

Sarah ed Helen si limitarono ad un cenno.

"Salve signore." canticchiò Albert, il quale andò ad abbracciare una gamba dell'uomo.

Quest'ultimo si illuminò nel vedere il bambino e lo prese in braccio.

"Ma guarda un po', c'è anche questa piccola peste."

Gli pizzicò una guancia con fare scherzoso e ci fece cenno di andare, dicendo che avrebbe pensato lui al piccolo.

Arrivati davanti alla porta esitammo. Helen e Sarah mi guardarono.

"Cosa? Perché io?" protestai.

"Fallo e basta." sbuffò Sarah.

Bussai un paio di volte, in attesa di una risposta, che non arrivò mai.

"Ian? Sono Jake, apri la porta."

Abbassai la maniglia, ma ovviamente il battente era chiuso a chiave.

"Abbiamo il tuo gelato preferito, alla vaniglia. Dai, facci entrare." continuai.

A quel punto la porta si spalancò, rivelando un Ian distrutto: le occhiaie profonde avevano tolto la luce nei suoi occhi, le labbra secche, i capelli spettinati e a coprirlo solo una felpa oversize e dei pantaloncini.

"Quel gelato potete anche andarlo a buttare nel cesso, non lo voglio." si limitò a dire prima di sbattere nuovamente la porta.

Helen sospirò rumorosamente, la riaprì e noi la seguimmo all'interno della stanza semibuia. Il letto era disfatto, dei libri di storia dell'arte erano sparsi su tutto il pavimento ed una pila di vestiti ricopriva la sedia posta accanto alla scrivania. Era peggio delle altre volte, di solito Ian si limitava a starsene a letto e noi dovevamo in tutti i modi riuscire a farlo alzare, per lavarsi o mangiare almeno. Ma quella volta, qualcos'altro aleggiava nell'atmosfera di quella stanza: rabbia e caos. Lo si percepiva da quei volumi che ostruivano il passaggio.
Sarah aprì le tende ed iniziò a mettere a posto quel disordine, mentre Ian si sedette al centro del letto, portandosi le ginocchia al petto.

"Allora, sei sicuro di non volerne nemmeno un po'?" chiese Helen, aprendo la vaschetta.

"Ho detto che non lo voglio quello stupido gelato." mormorò, continuando a fissare un punto indefinito sul pavimento.

Mi sedetti accanto a lui e la bionda fece lo stesso.

"Che succede, Ian?"

"Jake, studi psicologia. Cos'è che non capisci nella parola 'bipolarismo'? Devo farti un disegno?" rispose, con tono freddo.

"Non sono stupido, certo che so che cosa significa, ma non hai avuto un episodio misto da mesi. Cosa succede?"

"No, ti sbagli, sono semplicemente depresso e voglio rimanere nella mia stanza a marcire. Da solo."

Si alzò dal letto e calciò qualche libro, per farsi spazio, andando verso il proprio armadio. Lo aprì ed iniziò a frugare tra la montagna di vestiti, buttandone alcuni a terra.

"Ian, sei irritabile, ansioso e non riesci a stare fermo, penso di riconoscere la differenza tra un un episodio depressivo ed uno misto. E sai cosa viene di solito dopo questa fase. Forse è meglio che nelle prossime settimane tu passi più tempo con noi-..."

"Sì, sì, di solito poi attraverso una lunga fase maniacale. Molto, molto, lunga. L'ultima è durata, quanto? Un paio di mesi? Almeno non sentirò più niente, non voglio sentire niente, non voglio più percepire questo dolore. E no, non mi farete da babysitter, so ciò che faccio, non ho bisogno di voi." farfugliò.

Fermò i suoi movimenti e si mordocchiò un dito, iniziando a camminare avanti ed indietro, come se stesse riflettendo.
Sarah, che aveva appena finito di mettere un po' di ordine in quel campo di battaglia, lo bloccò per le spalle.

"Ora basta, Ian. Siediti, ti prego..." sussurrò, in tono dolce. "Vogliamo solo aiutarti."

Lui la guardò profondamente negli occhi per qualche istante, per poi scoppiare in una sonora risata. Afferrò il volto di Sarah, accarezzandole le guance.

"A te che importa? Pensi che non so che mi odi e che hai paura di me?" le soffiò in faccia.

"Ian..." lo richiamò Helen, avvicinandosi ai due.

"No, seriamente. La prima volta che ho avuto un episodio maniacale ti ho quasi uccisa. Vi ricordate?" scoppiò a ridere nuovamente, per poi continuare, mentre Sarah era ancora immobile, stretta nella sua presa, incapace di proferire parola. "Due anni fa, alla festa del tuo ventesimo compleanno. Mi sono presentato fatto di Dio solo sa cosa e quando hai tentato di abbracciarmi per calmarmi, ti ho spinta." Ian la spinse, come a voler accompagnare quelle parole con un esempio.

Mi alzai velocemente e riuscii ad afferrarla, prima che andasse ad urtare contro il muro.

"Proprio così. Solo che, quella sera Jake non è riuscito a salvarti e sei caduta, sbattendo la testa. Il sangue, Dio, quanto sangue c'era sul pavimento della tua cucina." continuò, con occhi lucidi, ma continuando a sorridere con malizia.

"Ian, se non ti fermi adesso, giuro che ti faccio male." lo minacciò Helen, piazzandosi tra lui e Sarah, la quale era affondata tra le mie braccia.

"Ma io non voglio fermarmi, Helen Bailey. La nostra Barbie perfetta, la ragazza della porta accanto. Non trattarmi come se anche tu non fossi tanto malata quanto me. Sappiamo tutti che non riesci nemmeno a mangiare una briciola di pane senza dover ficcarti due dita in gola e vomitare subito dopo."

Cosa gli prendeva, non lo avevo mai visto così. Cosa lo aveva ferito tanto da ridurlo in quello stato? Gli episodi misti erano anche peggio di quelli depressivi e maniacali, perché un momento poteva fare una cosa orribile ed il momento dopo i sensi di colpa lo consumavano, inducendolo a punirsi.

"E poi c'è Jake, il nostro eroe, che non riesce nemmeno a salvare il suo matrimonio da un coglione dagli occhi belli spuntato dal nulla. Smettila di fare l'eroe. Smettila di tentare di salvare la gente, cazzo, sai quanto è irritante? Dopo che ho quasi ucciso la tua cara Sarah, stavo per farla finita, ti ricordi? Ho ingoiato due flaconi interi di antidepressivi e bevuto fino al vomito. Ricordi, Jake? Be', avresti dovuto lasciarmi morire, perché per colpa tua ora sto soffrendo e... non vuole smettere. Questo dolore-..." si toccò il petto ed iniziò a piangere.

Era un buon segno, doveva sfogarsi, doveva lasciarsi andare o sarebbe esploso. Mi avvicinai, ma lui indietreggiò, asciugandosi le lacrime, che però non volevano saperne di fermarsi.

"Io non ce la faccio." disse Sarah, uscendo dalla stanza.

Ian si voltò verso la finestra, dandoci le spalle. Guardai Helen, che sembrava ancora turbata a causa delle parole velenose che Ian aveva pronunciato poco prima. Il suo disturbo alimentare era un argomento sensibile e lui lo sapeva, voleva ferirci, era la sua tattica difensiva: spostava l'attenzione sugli altri, per non dover combattere i propri demoni.
Helen mimò un "perdonami" e seguì Sarah, lasciandomi solo con lui.

"Perché sei ancora qui?"

"Non provare mai più a dire che avrei dovuto lasciarti morire." lo ripresi, avvicinandomi lentamente. "Tutte quelle parole dette con malizia, dette per ferire. Tu non le pensi davvero, ora sei solo arrabbiato, ma devi ancora dirmi per cosa."

"Io non devo assolutamente niente. Ora vattene."

"È per Isaac, non è così?" chiesi, fermandomi accanto a lui.

"Ma perché tutti pensano che la mia vita giri intorno a quel ragazzo? Ho cose più importanti a cui pensare ed Isaac ora è l'ultimo dei miei fottuti problemi."

"Ed Aleksandr? Non sembravi a tuo agio l'altra sera."

Ridacchiò ironico e finalmente mi guardò negli occhi.

"Diciamo che lo conosco, ma non posso dirti né come né il perché; però Jake, ti consiglio di stargli lontano. Aleksandr non è una persona con cui vuoi iniziare una guerra."

"E questo che diavolo dovrebbe significare? Ha minacciato anche te?"

Nei suoi occhi riconobbi della preoccupazione, ma non volevo insistere, perché anch'io avevo vissuto in prima persona le intimidazioni di Aleksandr.

"Va bene, ho capito, lasciamo perdere per ora. Dai, ti preparo qualcosa da mangiare, vai a farti un bagno caldo e raggiungimi di sotto.

"Dovresti odiarmi, per tutte le cose orribili che vi ho detto."

"Il fatto che ti interessa dei miei sentimenti significa che hai riacquistato un po' di lucidità, bene. No Ian, non ti odio, non è colpa tua. Ora vai."

Scesi al piano di sotto e feci per entrare in cucina, ma sentii il padre di Ian discutere animatamente al telefono: stava parlando di trasporti e merce che non era stata recapitata in tempo.
Il padre di Ian si occupava di un'azienda di trasporti, che collaborava con la compagnia dei McCurthy, da qualche anno ormai.
La telefonata terminò ed io entrai in cucina.

"Signor Hall, vorrei preparare la cena, spero non stia disturbando."

"Jake, ci conosciamo da anni e ti ostini ad essere così formale."

"Perdonami, Luca. È l'abitudine. Comunque, con chi stavi parlando? Ho sentito di merce non consegnata in tempo? Devo preoccuparmi?"

L'uomo posò il telefono sul tavolo e scosse la testa.

"No, è tutto okay, risolverò tutto. Puoi dire a Jason che passerò domani mattina in ufficio? Aveva detto di volermi parlare, ma tra il funerale di Adam e tutto il resto..."

"Sì, ma certo, gli riferirò il messaggio."

Sembrava nervoso e non era affatto un buon segno, perché Luca era un uomo dal temperamento calmo e che riusciva ad illuminarti la giornata con un solo sorriso. 
Fece qualche passo versò le scale che portavano al piano di sopra, ma lo richiamai, attirandone lo sguardo.

"Luca, se ci fossero dei problemi, tu me lo diresti, vero?"

Sapevo che avrebbe mentito, volevo solo averne la certezza: ero già consapevole del fatto che qualcosa non andava. Lui distolse lo sguardo, sorridendo appena.

"Certo, lo farei."

La famiglia di Aleksandr si occupava di trasporti, così come il padre di Ian. Il russo aveva praticamente minacciato Ian davanti ai miei occhi alla cena di una settimana prima, forse perché lui sapeva qualcosa che non avrebbe dovuto. I pezzi del puzzle iniziavano a tornare.
L'uomo sparì al piano di sopra ed io sospirai, mentre nel silenzio di quella cucina realizzavo che Luca Hall nascondeva qualcosa e che Aleksandr Tchaikovsky probabilmente, ne era coinvolto.

-

Ian's Point of View:

Aprii la porta e feci per richiuderla subito dopo quando vidi chi aveva bussato, ma il mio tentativo fu bloccato.

"Sei solo?" chiese Aleksandr, guardandosi intorno.

"Perché? Così puoi uccidermi e liberarti di me senza testimoni scomodi? Sì sono solo, ora sparisci." risposi acido, tentando nuovamente, invano, di chiudere la porta.

Lui entrò in casa senza fare complimenti e richiuse la porta alle proprie spalle. Ecco, ci mancava solo uno psicopatico a rovinare la mia vita. Sarah e Helen non mi parlavano praticamente più da due settimane, mentre Jake sembrava troppo preso ad indagare su quello stronzo che ora si trovava proprio davanti a me.

"Ho sentito che Jake ti ha fatto visita qualche settimana fa, con le sue due amichette, la bionda e la rossa, non ricordo i loro nomi..." iniziò, con tono vago.

"Ora mi stalkeri pure, wow. Ho detto che non dirò niente, non c'è bisogno che continui a minacciarmi."

"Io non ti stalkero." disse, fingendosi offeso. "Ho sentito Jake parlarne con Jason in ufficio questa mattina. Sembrava preoccupato per il suo piccolo Ian. Sapevo fossi pazzo, ma non così pazzo."

Mi sfiorò una guancia, ma io mi scostai prontamente, fulminando con lo sguardo. Ma da dove era uscito quello stronzo? Fino ad un paio di mesi prima non lo conoscevo nemmeno, poi spuntava all'improvviso e si presentava nell'ufficio di mio padre, minacciandolo. Non sapevo di cosa si trattasse, il giorno in cui li avevo visti discutere ero riuscito ad origliare poco e niente, prima di essere scoperto da Aleksandr stesso. Aveva aperto la porta dell'ufficio di mio padre e mi aveva trascinato dentro, stringendomi per una spalla. Poi aveva apertamente detto a mio padre, il quale era sbiancato per il terrore, che se non avesse accettato la sua proposta, la mia 'incolumità sarebbe stata messa a rischio.
Da allora aveva continuato controllarmi di tanto in tanto e quando finalmente mi ero deciso a dire la verità a Jake la sera della cena, Jasmine aveva rovinato tutto, interrompendo ed Aleksandr mi aveva minacciato nuovamente, togliendo ogni briciolo di coraggio che mi era rimasto.

"Hai quasi ucciso la tua amichetta e fai a me la predica?" continuò.

Strinsi i pugni, preso da una rabbia improvvisa. Dopo quasi un mese di un episodio misto, ero lentamente caduto nella mania e controllarmi sarebbe stato impossibile. Avevo voglia di urlare, di spingerlo fuori da casa mia con la forza, di dirgli quanto odiassi la sua esistenza.

"Ma sai, a me non interessa se in uno dei tuoi momenti di pazzia ti venisse in mente di parlare ai tuoi amici, degli affari tra me e tuo padre. Non mi interessa se sei bipolare, pazzo o un maniaco." afferrò la mia gola, stringendola e mi sbatté al muro. Persi il respiro per qualche secondo, poi tossii per l'impatto. "Ti farò soffrire lo stesso, se parli. Quindi assicurati di tenere quella bocca impegnata con altro."

Ci fissammo per qualche istante, poi liberai la mia gola dalla presa delle sue mani e ridacchiai. Lo feci indietreggiare, appoggiando una mano sul suo petto.

"Aleksandr, io non ho paura di te, anzi, continua ad intimidirmi in questo modo. È eccitante." lo presi in giro.

Non ero in me, la mania aveva preso il sopravvento e quell'atteggiamento ne era la conferma, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare in quel momento era a quanto avessi sofferto nelle ultime settimane, oppresso dal segreto più grande di Blane e la fidanzata del mio ex, con la quale ero stato costretto a lavorare e che diventava sempre più insopportabile. Riuscivo solo a pensare a quanto volevo divertirmi e sopprimere quei problemi. Volevo farmi di ecstasy, volevo stare fuori tutta la notte e guardare il cielo fino all'alba, avevo voglia di fare quel che cazzo mi pareva. Ero stanco di essere trattato da ragazzino indifeso.
Gli sfilai il mantello e lo feci cadere a terra.

"So che non sei qui per farmi una predica sul come mi farai del male se parlo. Ho visto come mi guardi." proferii in modo eloquente.

Gli accarezzai le spalle, ma lui bloccò i miei polsi, guardandomi in modo ostile.

"Pensavo fossi perdutamente innamorato di quell'americano. Jake non faceva altro che parlarne stamattina."

Ma lo pagavano per origliare o per fare il segretario?

"Sì, infatti, sono innamorato di quell'idiota di Isaac, ma posso scopare con chi voglio e quando voglio. È un problema?" chiesi, con tono innocente.

A quel punto mi attirò a sé, facendo incontrare le nostre labbra, baciandomi con fin troppa foga. Iniziai a respirare a fatica, a causa del vigore con cui  le nostre lingue si scontravano e dovetti aggrapparmi alle sue spalle per sostenere quella passione, quasi nociva, con la quale le nostre labbra si stavano toccando.
Mi fece indietreggiare fino alla cucina, dove afferrò i miei fianchi, facendomi sedere sul tavolo. Si posizionò tra le mie gambe e riprese a baciarmi, questa volta appoggiando le mani sulle mie guance. Mugolai di piacere, quando la mia intimità si scontrò con la sua, ancora stretta nei fastidiosi pantaloni del mio pigiama. Poi andai ad accarezzare la sua schiena da sotto la camicia bianca che indossava e la graffiai, ridacchiando appena. Lui si staccò di scatto, mentre i nostri respiri pesanti andavano a riempire l'aria di quella stanza.

"Sei sicuro di volerlo fare?" chiese, accarezzandomi le labbra con i pollici.

Afferrai il suo membro, ancora coperto dai vestiti e strinsi, provocando un suo sospiro.

"Non fingere di essere dolce, come se non avessi minacciato di farmi fuori cinque minuti fa. Ora scopami se vuoi scoparmi o vattene e troverò qualcun'altro per soddisfare i miei bisogni."

"E va bene." si arrese.

Mi fece voltare con un movimento veloce e bloccò le mie mani sul tavolo. Iniziò a strusciarsi sul mio fondoschiena ed io chiusi gli occhi, chinando la testa all'indietro e lasciandomi andare completamente, permettendo che Aleksandr prendesse il controllo.
Quando iniziò a mordermi il collo, sgranai gli occhi e gemetti senza ritegno, stringendo i suoi capelli con una mano. Guardai il mio riflesso opaco nella finestra della cucina: non riuscivo quasi a riconoscermi.
Eccolo là, Ian Hall, il ragazzo bipolare che feriva le persone a cui teneva per allontanarle e che continuava ad ingaggiare in comportamenti nocivi per punirsi.
Ian Hall, il ragazzo che pensava di non meritare di essere amato.

Spazio autrice:
Ho iniziato a pubblicare una nuova storia, il titolo è "The unspoken words". È boy×boy, un po' angst e soprannaturale, ma tratta anche altri temi sensibili. La trovate sul mio profilo, aggiungetela in biblioteca per seguirne gli aggiornamenti 💛💜.

xx Thewallflowergirl13

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