Capitolo 43 "Love"

Sarah's Point of View:

Tomas ed io eravamo seduti sul divano di casa mia, mentre mia madre davanti a noi. Ci fissavamo da qualche minuto ormai e c'era una tensione quasi palpabile. Dopo un po', mia madre tossì e rise in modo ironico.

"E così questo è il teppistello che ti ha messa incinta?" disse, continuando a sorridere in modo quasi inquietante.

"Mamma!" la ripresi.

Tomas si mosse a disagio sul divano e si grattò la nuca.

"Colpevole." rispose.

Mi diedi uno schiaffetto sulla fronte e desiderai di poter sparire dalla faccia della terra.

"Oh ma che bello, almeno lo ammette!" esclamò mia madre.

"M-Mi dispiace, dovevamo stare più attenti." mormorò Tomas, per poi sospirare.

"Credimi, ti dispiacerà ancora di più quando ti stancherò le palle, ragazzo."

Quella conversazione era assurda. Una madre psicopatica ed un ragazzo ingenuo...Che si poteva chiedere di più dalla vita, è? Ma il peggio doveva ancora arrivare.

"Con tutto il rispetto, signora Brown, non credo sia il caso... Tengo alle mie palle."

"Se è davvero così, allora dovevi pensarci prima di infilare il tuo coso nel buco sbagliato! Mia figlia ha solo diciotto anni!"

"Oh Gesù bello, cosa sto sentendo..." mormorai, alzandomi dal divano e mettendomi le mani tra i capelli rossicci.

Tomas si schiarì la gola e fece per parlare, ma io lo bloccai mettendogli una mano sulla bocca.

"No, no, no, Sarah. Fallo parlare, sono curiosa di sentire cosa ha da dire il signorino." disse mia madre, con espressione di sfida.

Tomas tolse la mia mano dalla sua bocca e guardò mia madre dritta negli occhi. Qui si metteva male. Molto male.

"Le ricordo, signora Brown, che si scopa in due." replicò Tomas in modo serio, mostrando due dita.

"Non l'hai davvero detto..." mormorai, coprendomi il volto con le mani.

Mia madre spalancò la bocca e lo guardò accigliandosi.

"Che stai tentando di dire?"

"Che sua figlia era consenziente, non l'ho mica obbligata!"

"Non parlare di me come se non fossi qui." mi lamentai, beccandomi un'occhiataccia da entrambi. "Okay, okay, continuate a scannarvi, quando avete fatto ditemelo."

"Okay, senta signora Brown-..."

"Mi fai sentire vecchia, chiamami Veronica. E non usare il cognome del mio ex marito."

Tomas annuì e prese un respiro profondo.

"Veronica, sarò sincero con te. Appena ho scoperto che Sarah è incinta, mi sono fatto prendere dal panico, ma..." mi guardò negli occhi. "Amo tua figlia più di qualunque altra cosa e questa gravidanza non mi spaventa più come prima. Le starò accanto fino all'ultimo e mi prenderò cura sia di lei che del bambino."

Mia madre lo guardò ancora non molto convinta.

"Siamo adulti ormai. Sono un uomo e ti prometto che mi prenderò tutte le mie responsabilità e renderò felice tua figlia."

Sorrisi per quelle belle parole e mi feci scappare una lacrima di commozione. Tomas era l'uomo della mia vita e quella ne fu solo una conferma.
Mia madre si alzò e Tomas fece lo stesso.

"Promettimi solo una cosa, ragazzo." disse, con tono di voce più dolce.

Tomas annuì, mentre mia madre lo guardava dritto negli occhi.

"Tratta la mia principessa come la tua regina e falla sentire sempre amata." detto questo, se ne andò al piano di sopra.

Io e Tomas ci guardammo e sorridemmo. Lo abbracciai, nonostante il pancione ci dividesse un po' e lui mi lasciò un delicato bacio sulla fronte.

"All'inizio pensavo che avrei dovuto assistere ad una rissa, giuro... E non posso credere che hai davvero detto davanti a mia madre che si scopa in due...è stato imbarazzante!" dissi, dandogli un leggero colpetto sul petto.

"Ha minacciato di staccarmi le palle!" si difese lui.

Risi e gli baciai una guancia, incrociando le braccia dietro al suo collo.

"A volte sai essere proprio un idiota, ma ti amo lo stesso."

Sorrise e mi abbracciò nuovamente. Improvvisamente lo sentii singhiozzare e mi accigliai.

"Tesoro?" lo richiamai.

"P-Perdonami, è l'emozione..."

Si sfogò per un po' sulla mia spalla, per poi guardarmi. Era la cosa più tenera che avessi mai visto: le guance rosse e gli occhi ancora piene di lacrime di felicità.

"Fammi la tua regina Tomas..."

Sorrise.

"Lo sei già, Sarah Brown."

-

Jason's Point of View:

Cassie mi aveva chiamato, dicendomi di raggiungerla a casa di Blane immediatamente, così chiesi a Jake di accompagnarmi.
Quando arrivammo Cassie venne ad aprirci la porta.

"Cosa ci fai qui? Dov'è Blane?"

"Si è chiuso in bagno. Ha ricevuto una chiamata ed è scoppiato in lacrime." disse lei, presa dall'ansia.

"Jake, rimani con lei, vado io."

Salii le scale di corsa, rischiando anche di inciampare e mi precipitai davanti alla porta del bagno.
Bussai un paio di volte e lo richiamai.

"Blane! Sono io, Jason! Apri la porta!"

Sentii dei singhiozzi all'interno e degli oggetti cadere a terra. Bussai nuovamente, stavolta con più forza.
Non poteva fare un'altra cazzata, non l'avrei sopportato.

"Blane, voglio aiutarti..."

Sentii la chiave scattare nella serratura della porta e l'aprii. Blane era seduto a terra, lo specchio sopra al lavandino era rotto e c'erano oggetti sparsi a terra. Le sue nocche erano piene di sangue e le lacrime non smettevano di rigare il suo bellissimo volto. Nel vederlo in quelle condizioni, sentii una fitta al cuore. Mi inginocchiai davanti a lui e lo guardai negli occhi verdi, ora spenti.

"Blane, amico, cos'hai combinato?"

Singhiozzò e scosse la testa.

"M-Mi ha c-chiamato..."

"Chi? Dimmi chi era."

"Lucy."

Sentendo quel nome rabbrividii, ricordandomi la storia che ci raccontò la dottoressa quando Blane aveva tentato il suicidio. Ma perché lo aveva chiamato dopo mesi? È cosa gli aveva detto di così terribile da turbarlo in quel modo.

"Che ti ha detto?"

"Viene a prendermi, ha paura che tenti di nuovo di farmi del...male."

Lo abbracciai, facendo in modo che si tranquillizzasse, ma non funzionò: continuava a tremare e a piangere. Cazzo, non potevo sopportarlo! Non doveva soffrire così.

"Allora le diremo che non vuoi andare. Hai diciannove anni, non ha il diritto di decidere per te."

Lui rise in modo triste e tirò su col naso, staccandosi dall'abbraccio.

"Jason, non è quello il problema..."

"E allora qual è?"

Mi guardò negli occhi con un'espressione distrutta, che distrusse anche me.

"Dereck verrà con lei e credimi, vederlo è l'ultima cosa che voglio. Quel bastardo mi ha rovinato la vita."

Sgranai gli occhi e deglutii. Dereck, quel Dereck, stava venendo a Londra. Strinsi i pugni e mi alzai per prendere un asciugamano. Lo inumidii e mi inginocchiai nuovamente, per pulire il sangue sulle sue nocche.

"Jason-..."

"Blane, non devi aver paura di quello stronzo. Ti giuro che se prova anche solo a torcerti un capello, glie ne farò pentire." la mia voce era ferma e lo sguardo serio.

Lui sembrò rilassarsi appena e ciò mi rese felice. Gli regalai un mezzo sorriso e tornai a pulirgli le ferite.

-

Isaac's Point of View:

"Isaac! Da quant'è che non ci sentiamo!" esclamò mia madre, inducendomi ad allontare appena il telefono dall'orecchio.

Sospirai e guardai fuori dalla finestra della cucina.

"Sì, perdonami, ma ho avuto da fare..."

"Scuola?"

"Più o meno."

"Allora, quando hai intenzione di venire a trovarci? Sei partito così senza dire niente e non ti sei nemmeno degnato di lasciare una lettera o un messaggio. A tua sorella Kayla manchi e anche a me."

Presi una bottiglia d'acqua dal frigo e ne bevvi un sorso, per poi sospirare.

"E papà?"

Ci fu un attimo di silenzio, che sembrò un'eternità.

"Tuo padre si è pentito di ciò che ti ha detto e fatto..."

"Lo ha detto?"

"Lo ha dimostrato, Isaac."

Altro silenzio.

"Torna a casa, tesoro. Ci manchi ed i tuoi amici chiedono sempre di te..."

Guardai fuori dalla finestra per l'ennesima volta, ripensando a quel lungo ed estenuante anno. Ero stanco, non potevo nasconderlo. Reduce da una battaglia che sapevo già, anche se inconsciamente, persa in partenza. Jake non avrebbe mai scelto me ed io lo sapevo, eppure ci avevo provato. Era nel mio essere, non mi arrendevo senza combattere.
Poi era arrivato Ian, che in una sola notte mi aveva fatto completamente perdere la testa.
Eppure in quel momento sentivo il bisogno di tornare a casa, in un posto con persone familiari e che mi accettavano per ciò che ero.

"Mamma, torno a casa."

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