Capitolo 30 "Forget"
Jake's Point of View:
"Caro Blane, se stai leggendo questa lettera, significa che sono già in aereoporto o sono già partito. Ti ho scritto perché sei l'unica persona che potrebbe capire, forse. So che abbiamo litigato e ci siamo odiati per mesi, ma ora basta. Sì Blane, ti perdono. Siamo stati migliori amici, amanti, fratelli e ora voglio andarmene con un peso in meno, quindi accetta le mie scuse per favore.
Allora, sono davvero nella merda amico mio. Non te ne ho parlato, perché avevo paura. Avevo paura che avresti provato a fermarmi o lo avresti detto a qualcuno, a Jake magari. Non ti posso dire dove sono diretto, ma sappi solo che non avevo scelta. Non provare a seguirmi o a chiamarmi, sarà tutto inutile.
Di' a Jake che deve dimenticarsi di me e stagli accanto. Sarà dura per lui accettare tutto questo. Salutami i ragazzi e soprattutto, cerca di non metterti nei guai.
-Jason.
Quando finii di leggere quella lettera mezza inzuppata, guardai Blane con le lacrime agli occhi e iniziai a singhiozzare.
"Cosa cazzo significa? Come pensa di avere il diritto di farmi questo proprio ora?!"
Blane mi strinse le mani e la lettera cadde a terra.
"Appena sono andato via dal Regency, sono andato a casa sua perché mi aveva inviato un messaggio. Ho tentato di chiamarlo e sono corso in aereoporto subito dopo aver letto la lettera, ma non sapevo dove fosse diretto. Mi dispiace davvero, io non so che dire..."
Strinsi un cuscino del divano e lo lanciai a terra, alzandomi di scatto.
Mi coprii il volto con le mani e sentii una forte angoscia avvolgermi all'improvviso, come se la realtà mi stesse prendendo a schiaffi a poco a poco, facendomi realizzare che tutto ciò non era solo un brutto sogno.
Iniziai a tremare e sentii le gambe cedere, ma prima che potessi cadere, delle braccia forti mi afferrarono e un piacevole calore mi avvolse.
"Jake..." sussurrò, accarezzandomi i capelli.
Alzai lo sguardo e incontrai le sue iridi color verde smeraldo.
"Andrà tutto bene." concluse, stringendomi ancora più forte a sé.
E in quel momento mi sentii al sicuro e quelle parole, dette con quella sicurezza, mi fecero sentire meglio.
Strinsi la sua maglietta da dietro e mi sfogai tra le sue braccia per minuti che sembrarono infiniti.
Poi improvvisamente lui mi prese per mano e mi portò al piano di sopra, entrando in camera mia. Chiuse la porta alle nostre spalle ed io lo guardai con sguardo confuso.
"B-Blane?"
"Shhh..." sussurrò.
Mi fece sdraiare sul letto e si mise accanto a me, abbracciandomi da dietro.
"Blane..." mormorai.
Appoggiò la fronte sul mio collo e mi lasciò un leggero bacio sulla pelle.
"Dormi, hai bisogno di riposare."
Scossi la testa e lasciai che un'altra lacrima rigasse il mio volto.
Mi sentivo impotente, volevo solo piangere e urlare.
"Non posso, non ci riesco..."
"Non aver paura, rimarrò qui per tutto il tempo di cui ne avrai bisogno. Domani troveremo una soluzione, te lo prometto." sussurrò al mio orecchio.
Anche se non ero ancora tranquillo, mi rilassai appena e chiusi gli occhi.
Quella notte dormii tra le braccia di Blane Johnson. Le sue forti braccia mi confortarono e mi protessero dagli incubi. Le sue braccia riuscirono a farmi addormentare, nonostante stessi cadendo a pezzi.
-
Blane' Point of View:
La mattina dopo, Jake non c'era più. Mi alzai dal suo letto e mi guardai intorno: la camera era piena di foto, disegni e poster. Sulla scrivania c'era un album dei Bring Me The Horizon, che mi fece tornare in mente il concerto in cui io e Jake eravamo andati, l'estate prima.
Sorrisi appena a quel ricordo, poi decisi di uscire dalla camera per non invadere la sua privacy.
Quando fui in corridoio, mi ritrovai davanti una ragazza con addosso un semplice asciugamano lila legato al petto e un'espressione scioccata.
"Ahhhh! Chi cazzo sei tu?!" esclamò, tentando di coprirsi le gambe.
Sgranai gli occhi e mi guardai intorno, in cerca di una possibile via di fuga.
"I-Io sono-..."
"Che ci fai in casa mia?"
"Sono un amico di Jake!"
Lei assottigliò gli occhi e continuò a coprirsi le gambe con le mani, perché l'asciugamano era un po' corto.
"Oh..." disse, rilassandosi un po'.
Continuai a guardarla in modo un po' insistente, capendo che quella doveva essere la sorella di Jake.
"Che stai guardando, ragazzino?" chiese lei, scocciata.
"N-Niente, niente! Ho altri gusti, non devi preoccuparti. E poi, con tutto il rispetto, non sono un ragazzino. Ho diciannove anni."
Lei mi fulminò con lo sguardo ed io feci un passo indietro: quella tipa metteva quasi paura.
Dopo qualche istante scoppiò a ridere e scosse la testa.
"Dovresti vedere la tua faccia, Blane! Certo che mi ricordo di te, l'amichetto di Jason e Jake. Comunque so che sei gay, stavo solo scherzando."
Alzai un sopracciglio e socchiusi le labbra, stupito: si era appena presa gioco di me?
"Allora mi conosci, perché non me lo hai detto subito? Mi hai fatto vergognare come un ladro..." mormorai.
Lei ridacchiò e si aggiustò leggermente l'asciugamano, tirandolo un po' su.
"Dai, era solo uno scherzo! Comunque penso che Jake se ne sia già andato, aveva qualcosa da fare."
"Capisco, allora io tolgo il disturbo."
Annuì e si fece da parte, per farmi passare. Camminai fino alle scale, ma mi bloccai, perché lei fischiò in segno d'apprezzamento.
Mi voltai lentamente, guardandola confuso.
"C-Che c'è?" chiesi, nervoso.
Lei si mordicchiò il labbro inferiore e rise.
"Certo che è uno spreco che tu sia gay. Con il bel fondoschiena che ti ritrovi, le ragazze ti andrebbero dietro come dei cagnolini che seguono il proprio padrone."
"Ma, ma..." balbettai, arrossendo.
In quel momento uscì un ragazzo da una delle stanze e ci guardò scocciato.
"Sono fottutamente stanco, ma che avete da dirvi voi due?" mormorò, grattandosi la testa.
Aveva davvero una brutta cera e due occhiaie enormi e profonde.
"Eric non rompere, torna a dormire." disse la ragazza, per poi farmi un cenno di saluto e sparire dietro alla porta di una delle camere.
"E tu dovresti essere?" chiese Eric, sbadigliando.
"I-Io... Meglio che me ne vada!" conclusi, correndo fuori casa.
Quando fui all'esterno dell'abitazione, feci un respiro profondo e inizai a camminare. Imprecai mentalmente, perché il giorno prima non aveva nemmeno preso la macchina, ma per la fretta avevo corso per mezza Londra sotto alla pioggia.
Due pullman e venticinque minuti dopo, arrivai a casa mia. Aprii la porta e buttai la giacca sul mobiletto che stava là accanto.
Andai in cucina e fissai la bottiglia ancora piena di vodka alla menta, appoggiata sul tavolo. Era come se mi stesse chiamando, come se mi stesse pregando di berla. Feci un lamento frustrato e l'afferrai con rabbia, andando in sala.
"Daniel?"
Era seduto sul divano con lo sguardo abbassato e i capelli un po' spettinati. Appena sentì la mia voce chiamarlo, mi guardò e il mio cuore si fermò per qualche istante: aveva pianto e le sue iridi color del cielo, erano cupe.
"Daniel..."
Mi avvicinai, ma lui si alzò di scatto, guardandomi con rabbia e tristezza.
Prese la bottiglia che avevo in mano e la fece infrangere a terra. Sobbalzai appena per quel gesto improvviso e guardai i pezzi di vetro, circondati dal liquido verdastro.
"Cosa ti prende, che significa?"
Prese dei fogli di carta dal tavolino in mezzo alla sala e me li sbatté sul petto.
"Vaffanculo! Sei solo un bugiardo, egoista, traditore!" sbottò, iniziando a singhiozzare.
"Daniel, c-cosa..."
Guardai i fogli che ormai erano caduti a terra e capii: erano le ultime analisi che avevo fatto in ospedale.
Afferrai le sue guance tra le mani e appoggiai la mia fronte sulla sua.
"Dan, mi dispiace di non avertelo detto, ma non volevo farti preoccupare."
"Stronzo... T-Tu non mi lascerai, hai capito? I-Io non ce la posso fare senza di te..." balbettò, tirando su col naso.
Sentii un profondo senso di colpa invadermi. Come potevo far piangere una creatura così innocente e bella? Perché riuscivo sempre a far soffrire le persone che decidevano di starmi accanto?
Asciugai le sue lacrime con i pollici, poi sfiorai le sue labbra con le mie.
"Ci vorrà più di questo per liberarti di me." sussurrai.
Gli diedi un bacio a stampo e mi staccai subito, guardandolo negli occhi e accarezzandogli dolcemente le guance.
"Non lasciarmi, Blane."
"Non ti lascio, Daniel."
E dopo quelle due frasi non ci furono altre parole, ma solo molti baci, vestiti a terra e i nostri corpi che fremevano dal desiderio di aversi.
Facemmo l'amore quella mattina, più e più volte. La sua voce che gemeva il mio nome, le sue mani sulla mia pelle, le sue labbra sulle mie, mi diedero un'altra conferma.
Amavo Daniel Taylor con tutto il mio cuore e non lo avrei abbandonato per nulla al mondo. Anche a costo di sfidare la morte.
-
Cassie's Point of View:
"Mamma, chi sono?" chiesi, dopo quasi cinque minuti di silenzio.
Lei mi guardò confusa con i suoi occhioni color nocciola, ormai un po' spenti.
"Oh coccinella, perché lo stai chiedendo? C'è forse qualcosa che non va?" disse lei, sedendosi sul letto.
Mi aggiustai un po' sulla sedia e la guardai, facendo spallucce.
"No, niente..." mormorai, iniziando a giocherellare con alcune ciocche dei miei capelli.
"Vieni qua."
Mi sedetti sul letto e lei mi accarezzò la testa, sorridendo appena.
"Ricordi quando eri piccola e ti facevo sempre quelle treccine che tu adoravi?"
"Sì..."
Alzai leggermente lo sguardo verso il soffitto, mentre alcune immagini della mia infanzia mi invadevano la mente.
Mia madre prese tre ciocche dei miei capelli, iniziando ad intrecciarle. La guardai e socchiusi gli occhi, mentre le sue mani lavoravano tra le mia chioma rossiccia.
"E quando tuo fratello Julyan piangeva e tu lo abbracciavi e cantavi per lui finché non si calmava? Anche se eri la minore, eri sempre pronta a prenderti cura della famiglia."
Mi si innumidirono gli occhi a quelle parole, ma mi morsi il labbro inferiore per non lasciarmi andare.
"E anche ora, mentre sta andando tutto in frantumi, tu continui a lottare per rimettere insieme tutti i pezzi. In questo istante vorresti piangere, ma non lo fai, perché non vuoi che io mi preoccupi, non è così?"
Scossi la testa, poco convinta e dopo qualche istante cedetti, affondando il volto nel petto di mia madre. I singhiozzi mi impedivano quasi di respirare e la gola mi bruciava.
"Piccola mia, sei un essere umano. Sei una ragazza, una donna, una sorella e fai anche da madre ora che io sono bloccata su questo letto d'ospedale. Tutto questo peso, ti ha fatto perdere la sicurezza che avevi prima."
Prese uno specchio da sopra al comodino ed io la guardai confusa.
Lei mi asciugò le lacrime e sorrise, mettendo lo specchio davanti al mio volto.
Guardai la mia immagine riflessa in esso e socchiusi la bocca.
"Cassie Miller, ecco chi sei. Una bellissima ragazza dai capelli rossi e gli occhi color nocciola. Una persona che mette la felicità degli altri prima della sua. Tu sei Cassie Miller, la mia tenera bambina che riesce sempre a far sorridere le persone. Non dimenticartelo mai, tesoro."
Mi portai una ciocca di capelli dietro all'orecchio e sfiorai la treccina che mia madre aveva fatto. Sorrisi, prendendo in mano lo specchio.
"Grazie mamma, sei fantastica."
Lei annuì e sorrise, ma c'era della tristezza nei suoi occhi.
"Mamma?" la richiamai.
"Sì?"
"Promettimi che ce la farai."
Mi sentivo come una bambina che cercava di reprimere la realtà, ma era più forte di me: non potevo immaginare una vita senza mia madre.
Lei sospirò e mi strinse le mani.
"Cassie, non posso fare promesse che non posso mantenere."
"Mamma, tu ce la farai. Non devi arrenderti, me lo hai sempre insegnato anche tu, infondo. S-Sono sicura che i tuoi bellissimi capelli ricresceranno e un giorno rimetterai quel bel vestito verde acqua e a fiori che ti piace tanto. Potremmo anche andare a fare una vacanza al lago, come facevamo un tempo. A papà... A lui farebbe piacere. Adorava pescare con Julyan, ricordi?"
"Cassie..."
"Andrà tutto bene, t-tu... ce la farai."
Mi abbracciò e iniziò a piangere, stringendo la mia maglietta da dietro.
"Non voglio morire, tesoro..." sussurrò, con voce rotta.
Quella frase mi fece male, molto male. Mia madre si era mostrata debole ed io mi sentii improvvisamente sola, come se avessi la responsabilità di rimettere tutto a posto. Era una strana sensazione, quasi opprimente.
"Non morirai, mamma. Non morirai."
-
Jake's Point of View:
Quando vidi Edward uscire dal grande edificio dell'azienda, corsi verso di lui. Ormai era sera e le stelle iniziavano a riempire il cielo.
"Jake, come stai?"
"Sei serio? Ormai so tutto, o almeno una parte del tutto. Perché non mi hai fottutamente detto che Jason stava per partire? Avrei potuto fermarlo!"
"Jake non è così facile..."
Scossi la testa e strinsi i pugni.
"Non voglio sentire nient'altro, solo... Dimmi dov'è."
"Non posso."
Strinsi il colletto della sua maglietta, con un coraggio che non sapevo nemmeno da dove venisse. Forse era più la disperazione che stava guidando le mie azioni: dovevo sapere.
"Dimmi dov'è, ti prego!"
"Tu non capisci, io non posso. Lo faccio per te, per proteggerti."
Feci ricadere le braccia lungo i miei fianchi, arrendendomi: dal suo sguardo capii che non mi avrebbe dato risposte.
"Però posso darti un consiglio: dimenticalo." disse, dopo un po' di silenzio.
"Stai scherzando? Come posso dimenticare la persona che ho amato per più di un anno? Edward, devi capirmi..."
"Fallo e basta!"
"Dammi un buon motivo per farlo, allora!" sbottai.
Lui prese un respiro profondo e mi guardò negli occhi, afferrandomi per le spalle.
"Jason sta per sposarsi e non tornerà. Avrà dei figli probabilmente e inizierà una nuova vita. Devi andare avanti e dimenticarti di questa storia, se non vuoi soffrire troppo. Sappi solo che tutto ciò che sta facendo, lo sta facendo per il tuo bene..."
Abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente, imprecando a bassa voce. Prese un pacchetto di sigarette e ne mise una tra le labbra, accendendola.
Io ero rimasto completamente sconvolto da quelle parole.
"C-Cosa?"
"Hai capito bene..."
Scossi la testa e delle lacrime scesero dai miei occhi. Come poteva Jason farmi una cosa del genere? Perché proprio in quel momento poi? Proprio quando avevo deciso di perdonarlo e ricominciare.
"Se è uno scherzo, non è affatto divertente..."
"Mi dispiace."
Mi voltai e iniziai a camminare, senza nemmeno salutarlo.
Avevo passato tutta la giornata a girovagare per Londra, saltando anche la scuola, per prepararmi mentalmente a tutto ciò che Edward mi avrebbe detto.
Ma quello era davvero troppo forte da digerire. Nemmeno una notte passata a piangere mi avrebbe aiutato a farlo.
Mi bloccai a guardare l'insegna di un bar che lampeggiava ininterrottamente. Controllai nelle tasche e tirai fuori cinquanta sterline.
Mi avvicinai all'entrata e spinsi la pesante porta. L'interno era illuminato da dei lampadari con delle luci fioche e i tavoli erano quasi tutti vuoti. C'era un'atmosfera triste, ma piacevole allo stesso tempo. Al bancone c'erano un paio di uomini già ubriachi, che parlottavano e ridevano con voce roca.
Mi avvicinai al bancone e mi rivolsi alla barista girata di spalle. Appoggiai le cinquanta sterline sulla superficie del bancone e sospirai.
"Dammi le cose più forti che avete. Stanotte devo dimenticare una persona. Cosa praticamente impossibile..." mormorai.
Quando la ragazza si voltò, sgranai occhi e bocca.
"Cassie?"
"Jake?"
Spazio me:
Dedico questo capitolo a SophiaHerondale23, grazie per gli apprezzamenti e i commenti (ho fatto anche rima, ceh)♡.
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