Capitolo 20 "Cassie Miller"

Cassie's Point of View:

"Cass, papà è di nuovo ubriaco..."

Appoggiai il libro che stavo leggendo sul mio letto e guardai mio fratello Julyan. Stava sulla soglia della porta della mia camera, con le braccia incrociate e uno sguardo affranto.
Sospirai e mi alzai dal letto, arrivando fino a lui.

"Quanto ha bevuto?"

"Ha finito sette bottiglie della sua birra preferita."

"Dio, ma quante volte ti ho detto di controllarlo?!"

"Guarda che anche tu sei sua figlia e poi ieri sera l'ho aiutato io, stasera ti tocca."

Lo spinsi leggermente a lato e scesi al piano di sotto. Quando arrivai in sala, vidi mio padre sdraiato a terra, circondato da bottiglie di birra. Mi avvicinai lentamente a lui e lo scossi leggermente con la punta del piede destro.

"A-Alzati papà..."

Non ci fu nessuna reazione da parte sua. Mi chinai e vidi che in mano aveva una foto: era una vecchia foto di famiglia in cui c'eravamo io, Julyan, papà e mamma. Gliela strappai dalle mani e iniziai a scuoterlo con tutta la forza che avevo.

"Svegliati! Mi hai sentita?! Alzati ubriacone!"

Lui mugulò e aprì gli occhi lentamente.

"Coccinella mia, che ci fai qui?"

Sorrise, con gli occhi mezzi socchiusi. Strinsi i pugni e mi alzai.

"Non chiamarmi così, stronzo."

"Cassie Miller stai parlando a tuo padre, ricordatelo!"

Sobbalzai leggermente per quell'improvviso cambio di voce e feci un passo indietro. Forse avrei dovuto semplicemente lasciarlo parlare, come sempre, infondo era ubriaco. E invece quella volta, reagii, perché ero stanca di subire.

"No, John Miller, tu non sei mio padre, sei solo un ubriacone."

Si alzò, barcollando e mi diede un colpo sul volto. Piegai la testa di lato. Mi toccai la guancia che formicolava ancora e lo guardai, con le lacrime agli occhi. Non era tanto il dolore a farmi male, ormai ero abituata a prenderle. Ciò che mi feriva era che ormai mio padre era un fallito e stava rovinando la famiglia

"Cassie hai finit-..."

Mio fratello entrò in sala, ma si bloccò appena vide la scena.

"L'hai picchiata ancora? Ma non ti vergogni? Che razza di padre sei?!"

Si scagliò contro di lui, spingendolo ripetute volte.

"Julyan, figlio mio, non odiarmi anche tu, ti prego..."

"M-Me ne vado." dissi, quasi in un sussurro.

A quel punto i due si girarono verso di me e mi guardarono.

"Cassie non fare cazzate, vai in camera tua e riposati." disse Julyan.

"Ho detto che me ne vado." ripetei, più convinta.

"Hai solo diciassette anni, dove vorresti andare?"

"A prendere dell'aria fresca, dato che questa casa mi fa sentire morta. Mi serve un po' di vita."

Uscii di casa, prendendo solo una leggera felpa nera e il mio zaino verde acqua. Ignorai le urla di mio fratello, che mi richiamavano e iniziai a correre. Guardai il cielo e continuai a muovermi. Sentivo il vento tra i capelli, i mille rumori di Londra, sentivo che per una notte sarei stata libera.

-

Non so come, ma quando aprii gli occhi, mi ritrovai sdraiata su una panchina di un parco. La cosa più assurda era che il parco era quello che si trovava davanti alla scuola.
Mi alzai, sentendomi estremamente pesante. Il mio alito sapeva di alcool e fumo.

"Ma che caz-..."

Sbadigliai, non finendo la frase.
Non ricordavo molto della sera prima.
Camminai verso scuola e controllai l'orario sul mio telefono: erano le 7:30.
Andai in cortile e mi sedetti su una delle panchine. Quando la scuola iniziò a riempirsi, misi il cappuccio della felpa, per non essere riconosciuta dato che avevo un aspetto orribile.

"Cass, stai giocando a nascondino o cosa?"

Alzai lo sguardo di scatto e notai che davanti a me c'erano Sarah, Jake, Teo e Helen.

"In realtà io..."

"Oh mio Dio, ma hai fumato?" chiese Jake.

"Ma sei lontano da me, come fai ha sentirlo?"

"Radar(?)" disse lui.

Tutti scoppiarono a ridere.

"Quello è un livido?" chiese Sarah, avvicinandosi.

"N-no.." risposi, sperando che non facesse altre domande.

"Chi ti ha picchiata, Cass?"

Jake si sedette accanto a me, avvolgendomi le spalle, con un braccio.

"Ho detto che sto bene!"

Ci fu un lungo silenzio, finché Helen non parlò.

"E quello chi è? Sembra che ce l'abbia con noi, si sta avvicinando."

Alzai lo sguardo e sospirai.

"Mio fratello."

Tutti mi guardarono stupiti e io scrollai le spalle.

"Che sono quelle facce? Non mi avete mai chiesto se ho un fratello."

"Potevi dircelo! Guarda che figo!" esclamò Sarah, per poi coprirsi la bocca.

"Signorina Brown, Tomas verrà informato delle sue fantasie su altri ragazzi." intervenne Teo.

"No!"

"È sì."

Fui grata di quella distrazione e accolsi mio fratello con uno sguardo mortificato.

"No, ma tu sai quanto cazzo mi hai fatto spaventare? Hai diciassette anni non puoi fare ciò che vuoi!"

"È un piacere rivederti Julyan." risposi semplicemente, incrociando le braccia.

"E guarda quel livido. Ci hai almeno messo del ghiaccio? Hai tutta la guancia gonfia."

Mi alzai e mi stiracchiai.

"Mammina nevrotica." gli dissi, facendo ridacchiare gli altri.

"Non chiamarmi più così, coccinella."

"Julyan!"

"E poi chi sono questi? Quei teppistelli dei tuoi amici?"

"Mi scusi, signor Miller, noi in realtà non siamo teppistelli, a parte questo biondo qua che a volte fuma cose che non dovrebbe." disse Teo, arruffando i capelli di Jake, che lo fulminò con lo sguardo.

"Scusa ehm..." iniziò Julyan.

"Teo."

"Sì, allora, scusa Teo, ma ti sembrò così vecchio? Guarda che ho solo diciannove anni."

"Quasi venti." precisai.

La campanella suonò.

"Ciao io vado!" salutai tutti.

"Tu non vai a scuola conciata così, sembri una di quei barboni alla stazione centrale di Londra." mi bloccò Julyan

Helen lo guardò e ridacchiò: Helen che rideva ad una battuta?

"Ho detto ciaoo!"

Corsi a scuola e dopo essermi data una sistemata in bagno, andai in classe. Cercai di non pensare alla mia vita incasinata e la matematica, riuscì a farmi distrarre. Allora serviva a qualcosa.

-

Nonostante l'inizio un po' difficile, quella giornata stava andando abbastanza bene. Mancavano solo due ore al suono dell'ultima campanella. Andai sul balcone sul tetto della scuola, in cui vi era un specie di serra su un lato. Iniziai ad ammirare i bellissimi fiori. Amavo stare lì, amavo la natura, quei profumi e quei colori vivaci.
All'improvviso, la mia attenzione fu colta da delle risate. Mi voltai e vidi Daniel e Blane, appena usciti dalla porta, che ridevano e scherzavano.
Si accorsero della mia presenza e si irrigidirono di colpo.
Li guardai e feci per andarmene, ma Daniel mi bloccò.

"Cass, dobbiamo parlare."

"Non voglio sentire e poi ho da fare, scusa."

Feci un finto sorriso e cercai di liberarmi dalla sua presa.

"Io vado." disse Blane.

Incrociai il suo sguardo, prima che tornasse dentro. Quegli occhi verdi, ormai li odiavo.

"Coccinella, io..."

"Non chiamarmi più così, non te lo meriti."

Lui sembrò deluso.

"Cass, io..."

"Cassie." lo corressi nuovamente.

"Mi dispiace per averti trascurata in questo periodo."

"Ma dove cazzo sei stato? Pensavo che dopo la vacanza in montagna le cose fossero risolte."

"Lo erano, penso."

"Ma smettila, si capisce che avevi solo bisogno di scopare un po'."

"Cosa dici? Non è così, io non sono quel tipo di persona."

"E come sei allora?"

Prese un respiro profondo.

"Perdonami, ma...Ho molte cose in testa e non so come fare. Poi mi hanno detto che stamattina puzzavi di fumo e alcool. Cass tu non sei una ragazza che lo fa, non ti distruggi con quelle cose. Allora, perché lo hai fatto? E poi quel livido che hai in faccia?"

"Non te ne deve fregare niente, sono cazzi miei. Non preoccuparti ti rendo il lavoro più semplice: Daniel Taylor, tra noi è finita."

Andai verso la piccola porta che portava all'interno della scuola.

"Non puoi dire sul serio."

"Oh sì invece."

"Dopo mesi, mi lasci così?"

"Ma non fare il falso, so che sei felice che lo abbia fatto io per te."

"Dammi solo del tempo."

Sospirai e aprii la porta, dandogli le spalle e facendo cadere qualche lacrima.

"Non c'è più tempo, Daniel..."

"Una pausa, ti prego."

Abbassai lo sguardo, guardando le mie converse grigie. Lo rialzai e sbattei la porta alle mie spalle, correndo via da quel posto. E corsi, senza nemmeno sapere dove stavo andando. Ultimamente non facevo altro, correvo semplicemente, finché le gambe non cedevano ed ero abbastanza lontano dalle cose, anzi dalle persone che mi facevano del male.

-

Uscii da quella camera di ospedale, la n.127. Ormai sognavo quelle cifre, perché visitavo mia madre quasi ogni giorno. E anche dopo quella giornata così stressante, decisi di andare da lei. Era stata ricoverata lì, qualche mese fa: cancro al seno, probabilità di vita minime e tanto dolore. Mi distruggeva vederla così, senza quei bei capelli rossi, i suoi occhi accesi, il suo sorriso.
Dopo il suo ricovero, papà aveva ceduto subito, iniziando a bere e a saltare il lavoro. Per questo dovevo lavorare part time in un bar e in una pizzeria. Quella era la serata della pizzeria, quindi ero già in uniforme.
Dopo essere uscita dalla camera, iniziai a camminare per il lungo corridoio, fino all'ascensore, salendoci. Per fortuna era vuota, ma al secondo piano, salì una delle ultime persone che avrei voluto vedere in quel momento.
Sbuffai e mi feci piccola, in un angolo.

"Cass, ma che sorpresa vederti qua, ora consegni pizza a domicilio?"

"Blane non rompere i coglioni e cerca di stare zitto per almeno un altro piano." dissi, incrociando le braccia al petto.

"Come faccio a romperti i coglioni, se non ce l'hai?" ghignò.

"Mi irriti il sistema nervoso, sai che significa?"

"Che vorresti scopare con me?"

"Che vorrei farti passare la voglia di fare battutine squallide a forza di calci."

Le porte si aprirono.

"Finalmente, libera da questo supplizio. E comunque non scoperei con te nemmeno da morta."

Feci un cenno con la mano come per salutarlo, ma poi alzai il dito medio. Lui ridacchiò.
Iniziai a camminare, fino ad uscire fuori dall'ospedale, ma lui continuò a starmi dietro.

"Ma che fai, mi segui? Non hai una casa, un cane, un Daniel Taylor da scoparti?"

"Guarda che io scherzavo quella volta, non l'ho davvero scopato. Non ancora..."

Mi bloccai e lo guardai.

"Brutto bastard-..."

"Gli insulti non mi feriscono, prova qualcos'altro."

Gli diedi un calcio in mezzo alle gambe.

"E questo?" chiesi.

Lui si chinò leggermente.

"Q-Questo l'ho sentito un po', f-forse devo imparare a chiudere la bocca."

"Forse."

Lo guardai agonizzare, finché non si riprese.

"Comunque oggi ho lasciato Daniel. Ora è tutto tuo."

"Che significa?"

"Hai ottenuto ciò che volevi. Tu ottieni sempre ciò che vuoi, non è così?"

"No, non sempre, suppongo."

Alzai gli occhi al cielo e sospirai.

"Devo andare a lavoro, ciao Blane."

Mi bloccò per un polso e mi fece girare di scatto.

"Cosa vuoi?!" esclamai.

"Cos'è quel livido e perché eri in ospedale? Sono stronzo, ma non cieco."

"Non andrò a raccontare i cazzi miei ad una delle persone che odio di più in questo mondo."

"Cass..."

"Non chiamarmi 'Cass', è irritante sentirlo dalla tua bocca."

"Ho fatto dei controlli e hanno detto che se continuo a fumare erba e a bere, presto morirò."

Ci fu un attimo di silenzio.

"Ti ho detto il mio motivo, ora dimmi il tuo."

Mi sentii quasi in dovere di farlo, perché lui mi aveva detto una cosa così privata.

"Mia madre ha un cancro al seno, sta morendo."

"Oh, m-mi dispiace...cazzo." sospirò. "E il livido?"

"Mio padre mi picchia, lo fa da ubriaco..."

Mi sfiorò la guancia, ma io gli scostai la mano.

"Ora cerca di tenere quella bocca chiusa, nessuno deve sapere." dissi.

"Ti fidi di me o non mi avresti mai detto una cosa così."

"L'ho fatto perché mi sono sentita in dovere di farlo."

Sorrise appena e mi abbracciò.
Il suo petto era caldo e aveva un buon profumo.

"Mi spieghi che cazzo stai facendo?"

"Ti abbraccio, ne abbiamo bisogno tutti e due."

Lasciai le braccia lungo i fianchi e chiusi gli occhi, sospirando.
In quel momento non lo odiavo più così tanto, ma ciò non cambiava tutto il male che aveva fatto in passato.

"Ora devo andare a lavoro, lasciami." dissi, spingendo le mie mani sul suo petto.

"Okay, allora ci si vede."

"In realtà mentirei se dicessi che mi dispiacerebbe se sparissi per qualche giorno, mese, anno."

Ridacchiò e ammiccò, mettendosi le mani in tasca.

"Stai attenta Cassie Miller."

"E tu cerca di non morire Blane Johnson."

Ci scambiammo due strani sorrisi e ci girammo, andando ognuno per la propria strada.

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