Capitolo 10 "Limbo"

Jake's Point of View:

Ero davvero imbarazzato. Quel succhiotto l'avevo notato solo quella mattina. Era opera di Jason e la cosa mi imbarazzava davvero, perché era come aver ceduto. Odiavo il fatto di essere stato marchiato da quelle labbra, perché era un segno di debolezza. Mi toccai il collo e tornai a guardare Tomas.

"Senti, di chi è quella moto?" chiese lui, dopo un lungo silenzio.

Non sembrava molto felice, era come se qualcosa lo turbasse.

"Be', è il tuo compleanno e quella moto ha un fiocco."

"No, chi mi regalerebbe una moto? È un po' improbabile."

"Noi."

Ci voltammo: erano Daniel e Blane.

"Ragazzi, lo avete davvero fatto per me?" chiese Tomas.

Loro annuirono e si cambiarono un'occhiata veloce. Li guardai e alzai gli occhi al cielo.

"Scusate, da quand'è che siete amici? Che mi sono perso?" chiesi.

Mi guardarono, come se non sapessero che dire. Daniel diede le chiavi a Tomas che andò insieme a Blane a provare la moto.

"Dan, da quando frequenti quello là?"

"Un po', ma non è così male come credevo. È un buon amico."

Scossi la testa e sospirai.

"Stai dicendo che è miglior di me? È quello che stai insinuando?"

"Ehi, che problemi hai?"

"Smettila di far sempre finta di niente, è davvero fastidioso."

"Sai Jake, sei davvero asfissiante. Smettila di tormentare tutti solo perché hai un periodo difficile. E per tua informazione, Blane è davvero una brava persona, perché ce l'hai così tanto con lui?"

Mi scese una lacrima. Mi morsi il labbro inferioe così forte che iniziò a sanguinare.

"D-Daniel, tutto okay?" chiese Blane, che era appena tornato.

"Ehi, sì tutto okay. Dov'è Tomas?"

"È tornato a casa, era stanco."

Guardai Blane e delle lacrime iniziarono a rigare le mie guance.

"Perché? Perché?!" esclamai.

"Jake, che ti prende? La discussione di prima riguarda me e te, non prendertela con lui." disse Daniel.

"Tu non sai niente, non..."

Mi bloccai, perché qualcuno aprì la porta d'ingresso di scatto.

"Ehi Jason." lo salutò Daniel.

"Ehi Dan..."

Jason tirò fuori un pacchetto di sigarette, se ne mise una tra le labbra e mi guardò. Abbassai lo sguardo e tirai su con il naso. Gli occhi mi bruciavano e non potevo nemmeno asciugarmi le lacrime.

"È tutto così assurdo." dissi, guardando tutti e tre.

Iniziai a camminare lungo il vialetto. I polsi mi facevano malissimo, come la caviglia.

"J-Jake! Ehi Jake! Dove pensi di andare? Non puoi camminare fino a casa in quello stato!"

Ignorai la voce di Daniel e continuai a camminare. Era buio e c'era un silenzio assordante. Quella era una delle zone più tranquille di Londra.
Mentre camminavo, notai che una macchina si era fermata accanto a me. Continuai a camminare, aumentando il passo. Sentii delle mani bloccarmi le spalle e sobbalzai. Mi voltai.

"Isaac? Ma mi stai seguendo o cosa?"

"Mmm, ti ho visto andare via a piedi e ho pensato di darti un passaggio. Penso che tu ne abbia proprio bisogno."

"Non ho bisogno di niente, lasciami in pace!"

Si sfregò le mani e le appoggiò sulle mie guance.

"C-che fai?" chiesi.

"Stai gelando, ti riscaldo."

Deglutii e socchiusi la bocca. In effetti faceva davvero freddo.

"Guarda, sei tutto rosso."

"Eh? Ma che dici..."

"Dai andiamo, ti accompagno a casa."

Annuii con un po' di esitazione e salii in macchina. Mise in moto e iniziò a guidare. Cercavo di non guardarlo, concentrandomi sulla strada.

"Allora conosci Tomas?" chiesi.

"In realtà no, sono stato invitato da Teo."

"Tu e Teo siete amici?"

"Sì, frequenta il mio corso di letteratura."

"Oh, capisco."

Si fermò all'incrocio adiacente alla mia casa, perché il semaforo era rosso.

"Stai bene?" chiese, appoggiando una mano sulla mi gamba destra.

"M-ma che domande fai..."

Strinse la presa sulla mia gamba e mi guardò negli occhi.

"È verde..." dissi, togliendo la sua mano.

Tornò al volante. Parcheggiò davanti a casa mia e si voltò verso di me.

"Non hai ancora risposto."

Alzai gli occhi al cielo e appoggiai una mano sulla maniglia della portiera. Lui me la bloccò e mi fece girare verso di lui.

"Senti, grazie per il passaggio, ma ora devo andare."

"Che ti prende? L'ultima volta eri interessato e ora sembra che tu non ne voglia sapere niente di me."

"Interessato? Che ti salta in mente?"

Mi baciò, ma appena le sue labbra si appoggiarono sulle mie, lo respinsi.

"Cosa cazzo fai?! Non toccarmi!"

Tentò di baciarmi nuovamente, ma io gli diedi uno schiaffo. Calò il silenzio.

"I-Isaac..."

Abbassò lo sguardo e si toccò la guancia, che era diventata rossa.
Scesi dalla macchina ed entrai in casa il più velocemente possibile.

"Cazzo, cazzo, cazzo!"

Buttai le stampelle a terra e andai in sala. Mi sdraiai a terra e iniziai a fissare il soffitto. Il mio respiro era affannato. Sentii un improvviso peso al cuore.
Mi passai la mano destra sulle labbra, più volte e con forza. Quel sapore mi dava quasi fastidio, perché ero così abituato alle labbra di Jason, che quelle di Isaac mi infastidivano. Chiusi gli occhi, riprendendo fiato. Sentii dei passi: era Mercy.

"Jake, che ci fai qua per terra?" chiese con voce roca e stropicciandosi gli occhi.

Era in pigiama e aveva l'aria assonnata.

"Scusa, non volevo svegliarti."

Si chinò lentamente, per poi sdraiarsi accanto a me.

"È tutto okay piccolo?"

"Non chiedermi più come sto, perché tanto la sai la risposta."

"Che è successo?"

Scossi la testa e mi girai, dandole le spalle.

"Che ne dici di andare a letto? Magari dormendo ti sentirai meglio."

"Non posso-..."

"Perché?"

"La caviglia mi sta massacrando e i polsi mi fanno così male che non posso muoverli." dissi, con un filo di voce.

"Oh piccolo..." sussurrò lei, in tono dolce.

Mi abbracciò da dietro e iniziò a massaggiarmi i polsi.

"Andrà tutto bene." disse.

Mi morsi il labbro inferiore e chiusi gli occhi.

"Promesso?"

"Promesso."

-

Era venerdì. Era stata un lunga settimana, triste e noiosa. Dopo la sera del compleanno di Tomas, Mercy decise, anzi mi costrinse a rimanere a casa e saltare le lezioni. Sabato avrei fatto l'ultimo controllo alla caviglia. Stavo molto meglio, ma i miei polsi erano rossi e con qualche livido a causa delle stampelle.
Mi alzai dal letto e mi passai una mano tra i capelli. Andai in bagno e mi feci una doccia.
Nonostante fossero già le dieci di mattina, Mercy e Eric dormivano ancora.
Suonarono al campanello. Scesi le scale con molta cautela e aprii la porta.

"Che cosa..."

Era Jason.

"Prima che tu dica qualsiasi cosa, non sono qui per te, ma per tuo fratello."

"Sta dormendo. Ma lui sa che saresti dovuto venire?"

"Da quando si fanno visite su appuntamento agli amici?"

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo.

"Sì, lo sapeva." disse.

"Bè, se me l'avesse detto me ne sarei andato a fare un giro."

"Sì, con quella caviglia?"

"La caviglia è a posto e non uso più le stampelle."

"Oh sì, ma dovresti, se non vuoi prolungare..."

"Ho detto che sto bene." dissi, in tono freddo.

Mi afferrò per un polso.

"Cazzo!" imprecai.

"Scusa-..."

"Lasciami."

Lui continuò a fissarmi, rimanendo immobile.

"Ragazzi, tutto okay?"

Era Eric, che probabilmente si era svegliato per il rumore. Scostai Jason e mi voltai.

"Oh, mi ero completamente dimenticato che saresti passato oggi. Arrivo subito, Jake prepara del tè." disse.

Non mi diede nemmeno il tempo di oppormi, perché corse al piano di sopra. Andai in cucina, ignorando completamente Jason. Lui si tolse la giacca e mi seguì.
Cercai di prendere un pentolino per scaldare l'acqua, ma non riuscivo ad alzarmi in punta di piedi. Lui mi si piazzò dietro e lo prese al posto mio, appoggiandolo accanto al lavandino. Abbassai lo sguardo e mi guardai i polsi. Me li afferrò delicatamente e mi lasciò un bacio su un lato del collo.

"Perdonami..."

"Per cosa? Per il polso o per qualcos'altro?"

Iniziò a massaggiarmi i polsi e appoggiò il mento sulla mia spalla destra.

"Perdonami Jake, ti prego..."

Inarcai leggermente la schiena e lo guardai con la coda dell'occhio, spostando leggermente il volto di lato.

"Perché riesci sempre a farmi sentire così..."

"Così come?" chiese.

"Fragile. Quando sto con te mi sento come un bicchiere di vetro pronto a cadere da un momento all'altro."

"Allora cadi..."

"Che?"

"Lasciati andare..."

Si morse il labbro inferiore e iniziò a baciarmi il collo, da dietro. Deglutii e socchiusi gli occhi.

"Jake?"

Mi voltai di scatto.

"Eric..." dissi.

Sgranai gli occhi.

"Voi due state insieme?" chiese, con un sorriso stampato in faccia.

Allontanai Jason, spingendolo leggermente dal petto e guardai mio fratello.

"No, non stiamo insieme, ciò che hai visto non è..."

"Non devi nasconderti, lo sai che non ci sono problemi."

"Non stiamo insieme! E mi faresti un piacere se ve ne andaste a fare un giro, fuori da questa casa."

"Okay, ora calmati, sono pur sempre tuo fratello maggiore."

Stavo esagerando, ma era come se le parole mi uscissero da sole.
Mi voltai verso Jason e appoggiai il mio indice al suo petto.

"Ti prego, stammi lontano. Credimi sarà meglio per me e per te."

Feci per andarmene, ma lui mi bloccò per una spalla.

"Smettila! Pensi che io sia il ragazzo freddo e senza cuore che se ne frega?! Bé Jake, ti sbagli, perché tu non immagini nemmeno quanto odio me stesso per ciò che ti ho fatto. A volte vorrei soltanto farla finita, ma poi penso a te e penso che sarebbe un peccato non vedere mai più i tuoi bei occhi azzurri. Sto impazzendo, te lo giuro, e mi sento sempre peggio ogni volta che mi respingi."

Lo guardai a bocca aperta: i suoi occhi erano umidi. Uscì, quasi di corsa. Eric sospirò e si passò una mano tra i capelli. Mi guardò deluso e seguì Jason, chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle.
Mi sedetti sul tavolo e iniziai a guardare fuori dalla finestra.
Sentii un'improvvisa sensazione di vuoto, poi un forte senso di colpa. Non mi sarei mai aspettato che Jason soffrisse così tanto per quel che era successo. Era strano vederlo così vulnerabile, soprattutto perché lui era un tipo abbastanza duro.
Iniziai a dondolare le gambe avanti e indietro, continuando a fare lunghi sospiri. Dopo quei momenti di intimità che avevamo avuto negli ultimi tempi, sentivo che dentro di me si era riaccesa una fiamma che stava spegnendo il rancore che provavo nei suoi confronti. Ero stanco di quei giochetti, non ero più un bambino. Avrei dovuto scegliere: perdonarlo o mettere fine a tutto.
Mi trovavo in un limbo dal quale sarebbe stato difficile uscire.
Ma ormai ero abbastanza grande e sapevo che in un modo o nell'altro le cose sarebbero andate bene. Almeno speravo.




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