1. Mamma sei ubriaca


Il denaro è denaro: che arrivi da un lavoro onesto o dal furto di un chiosco di gelati, la loro utilità non cambia!

Ivory non ha mai fatto nulla di pulito in vita sua, non appartiene alla sua natura, e come sorella ho imparato prestissimo ad accettare questo suo difetto. Dopotutto, quando mamma e papà erano troppo fatti per portare il cibo in tavola, era Ivory ad assicurarsi che non morissi di fame.

I miei vestiti? Li compra Ivory.
La mia tassa universitaria? La paga Ivory.
I miei trucchi? Sempre Ivory.

Lui si è preso una responsabilità non sua e ha sfamato anche la mia bocca, quando avrebbe potuto occuparsi solo della sua.

Non mi ha abbondata in quella casa e non mi ha nemmeno permesso di fare la sua vita. No, a me ha concesso il lusso di essere normale. Di andare a scuola, di avere degli amici e delle passioni.

Quindi sì, i soldi che ritrovo nella mia cassetta delle lettera una volta al mese sono sporchi di chissà quale crimine. Ma quei soldi mi permettono di avere un letto tutto mio e uno stomaco sempre pieno.

Ora, però, qualcosa è cambiato: da due mesi a questa parte la mia cassetta delle lettere è sempre vuota.

«Mamma, hai sentito Ivory nell'ultimo periodo?»

So che chiamare mia madre è sempre una pessima idea. Se sono fortunata sarà ubriaca e se sono sfortunata sarà così strafatta da non ricordarsi neppure il suo stesso nome. Arrivati a questo punto, però, ho terminato le idee buone e mi restano solo quelle del cazzo.

«Chi?»

Ecco, appunto...

Un'idea del cazzo!

«Ivory! Tuo figlio!» gesticolo come se potesse vedermi.

Probabilmente sarà ricoperta del suo vomito, distesa mezza nuda in qualche angolo della roulotte. E la puzza rancida, anche se ormai distante chilometri, mi raggiunge allo stesso modo, togliendomi il respiro. Indipendentemente da quanto lontano scappi, i ricordi mi riportano sempre lì.

Quante volte l'ho aiutata a ripulirsi dopo?
Ne ho perso il conto.

Ero solo una bambina allora, eppure sapevo già cosa fare quando la vedevo in quelle condizioni; la ribaltavo a testa in giù, così che non potesse strozzarsi, e le legavo i capelli perché spesso, in furia alla frenesia, se li strappava via con le sue stesse mani.

«Il m-mio ciglio?»

Sospiro.

Un giorno smetterò di pretendere di avere una normale conversazione con lei.

«Mamma vai a dormire, sei ubriaca.»

«A dormire... si...»

Riattacco e mi stendo sulla scrivania. Nella mano ho ancora stretto il pugno di banconote che mi resta: poco più di trecento dollari e devo pagare l'affitto la prossima settimana. Dopodiché, mi rimarrà abbastanza per comprarmi una corda e farla fottutamente finita.

Dove sei Ive?

Questo silenzio radio mi sta uccidendo. Non è da lui, anche se non riusciamo a vederci spesso, si assicura sempre di mandarmi un messaggio ogni tre o quattro giorni. Ora, passo le mie serata rileggendo i nostri vecchi discorsi, guardando le foto stupide che mi ha mandato lui e i video di make-up che gli ho inviato io.

Nel suo ultimo breve messaggio mi da la buonanotte, poi... il nulla.

Lo andrei a cercare, se solo sapessi... dove? Quando dico che Ivory si è assicurato che non finissi a fare la sua vita, intendo letteralmente. Non so nulla di lui e dei suoi crimini, non so dove vive e non so quali posti frequenta. Non so cosa faccia durante le sue giornate e non so nemmeno come guadagni quei soldi.

Okay, forse sono una sorella di merda.

Dovrei almeno avere una qualche conoscenza basilare sulle sue abitudini e hobby, ma Ive è specializzato nell'intrattenere conversazioni senza senso. Quando provo a fargli delle domande, le ignora o le aggira, quando provo a metterlo alle strette, smette di rispondermi e mi lascia con il visualizzato. Quindi, a conti fatti, la nostra è una relazione equa: io sono una sorella di merda, ma lui è uno stronzo.
Non so nemmeno se ha degli amici, qualcuno a cui posso chiedere.

A parte Soren.

Già... Soren Pierce.

Ho il suo numero, potrei chiamarlo- no, dovrei chiamarlo.

Fisso il mio cellulare, abbandonato a pochi centimetri dal mio naso, e lo schermo si accende all'arrivo di una notifica. Lo prendo; spero sia Ive... è un'email pubblicitaria.

Chiamare Soren.

Non ricordo più il suono della sua voce e, se mi concentro, posso finalmente fingere di non ricordare nemmeno il suo viso e i suoi occhi bicolore. Mi ci sono voluti anni, non è stata un'impresa semplice.

Sapete che c'è, va bene così. E se Ivory è morto stecchito in qualche buco puzzolente di Minneapolis: tanto peggio per lui.


🛠️

"Peggio per lui" avevo detto?

No, forse mi sono espressa male, perché non passano nemmeno due giorni che mi ritrovo con la tachicardia, punta dall'insonnia e dall'ansia, nel pieno della notte.

Mi giro e rigiro nel letto, strattono le lenzuola e il cuscino e... non trovo pace. Mio fratello è tutto quello che ho, papà è in prigione da anni e mamma non è in grado di sostenere un discorso di cinque minuti senza doversi fare una birra.

Se non lo cerco io, chi lo farà? Se non mi preoccupo io, andrà a finire in una fossa comune come il vecchio zio Joe senza neppure una lapide su cui piangerlo?

No.

Ivory non può morire prima di me. No, no e no.
Ho già pianificato tutto; dobbiamo invecchiare insieme, lontano da questo posto di merda, e io... io mi lascerò andare al sonno eterno in un'afosa giornata d'estate. Ive organizzerà il mio funerale, una cosa semplice, non ho amici che vorranno essere presenti, piangerà un po' e infine sceglierà la mia foto migliore da esporre nel soggiorno. Per ricordarmi.

Devo chiamare Soren.

La notte è fredda, le mie dita scivolano pian piano fuori dalla trapunta e si allungano verso il comodino. Prendo il cellulare, la luce mi acceca per un istante di troppo e poi mi ritrovo a fissare il display. Sono le due e trentaquattro del mattino, dovrei dormire e ripensarci domani, ma il cuore mi scoppia nel petto in questo momento e non riesco più a ignorare il rumore che fa.

Bum - bum - bum.

Martella forte, mi fa fluire il sangue nelle vene velocemente - troppo velocemente- e lo sento scorrermi dentro, ovunque, nel silenzio della notte.

Non posso chiamarlo.

Mi trema la voce, se ne accorgerebbe e non voglio che succeda. Non saprei cosa rispondere se facesse domande. Ma posso scrivergli. Apro il suo contatto, la nostra chat è vuota e immacolata, e allora scrivo due righe, poi cancello e poi riscrivo ancora e cancello di nuovo. Vado avanti così per quasi mezz'ora e finisco con chiudere il contatto. Non trovo le parole giuste. Non so cosa dirgli e non so nemmeno cosa voglio che mi dica.

E se Ive fosse davvero nei guai?

Riapro la chat.

Me: Sono Ebony, dobbiamo parlare.

Premo invio e spengo il telefono, lo nascondo sotto il cuscino così che non sia più davanti ai miei occhi. Non voglio sapere la risposta, qualunque essa sia. Lascerò il problema alla Ebony di domani; lei saprà cosa fare.

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