Non bisogna aver paura

Non appena Jack atterrò nel luogo dove soleva rifugiarsi per la notte, le due fate gli raccontarono tutte le loro deduzioni e le loro idee su ciò che stava accadendo. Quando finirono di spiegare tutto, era ormai notte inoltrata e il ragazzo mandò le due piccole creature a riposarsi, senza dire nemmeno una parola riguardo a ciò che gli avevano appena rivelato.

Solamente quando le due fate, un po' deluse, si erano rintanate nel legno cavo del solito albero, per tentare di addormentarsi e lui si era sistemato proprio lì vicino, con una gamba a penzoloni e l'altra comodamente stesa sul ramo su cui si era seduto, poggiando poi la schiena contro il tronco spesso, si lasciò andare ai pensieri. Si passò una mano sul viso, in un gesto esasperato, per poi passarla nuovamente sui capelli color della neve, sollevando la frangia e lasciando la fronte completamente scoperta. Rimase in quella posizione per una decina di secondi, non di più, poi lasciò andare il braccio, facendolo ciondolare lungo il fianco.

C'era qualcosa in tutto quello che avevano detto le sue nuove compagne che lo innervosiva, ma non voleva assolutamente darlo a vedere, in particolar modo a loro due; non tanto perché non si fidasse, anzi, per l'esatto opposto. Le due avevano fatto un lungo viaggio solo per lui, per assisterlo, aiutarlo, conoscerlo e già una volta, quando erano arrivate, le aveva deluse, rischiando di perderle per sempre, catturate da Pitch, non aveva nessuna intenzione di fare lo stesso errore. Loro si fidavano di lui, forse anche più di quanto si fidassero gli altri guardiani, forse addirittura più di quanto si fidasse Jamie, perché loro, al contrario del bambino, sapevano dell'Uomo della Luna e conoscevano le sue capacità.

Ciò che gli avevano rivelato quella sera, poteva essere plausibile, anzi conoscendo il suo nemico era anche molto probabile. Rovinare il Natale che è la festa della meraviglia e della felicità per qualsiasi essere umano, non solo avrebbe distrutto Nord, ma anche tutti loro, eppure qualcosa non tornava. Come poteva Pitch intaccare i cuori degli adulti? Poteva comprendere che i bambini si facessero sopraffare dalla paura e dagli incubi, ma un'adulto comprendeva la differenza fra immaginazione e realtà. Non era più come durante i secoli bui in cui quasi sicuramente le credenze erano diverse; i tempi erano cambiati, a momenti neanche i bambini si spaventavano più così facilmente. Come avrebbe potuto Pitch fare in modo che il mondo cadesse nella disperazione e nell'oscurità un'altra volta?

Dentro di lui, nel profondo, sentiva la risposta alla sua domanda pulsargli in petto: paura. In fondo era sempre stato quello, la paura non era altro che l'incapacità di comprendere qualcosa. Se si conosce cosa si combatte o cosa ti tormenta, sai esattamente come affrontarlo e nulla può spaventarti, ma nel momento in cui qualcosa di strano e inspiegabile si abbatte su di te, lasciandoti nella completa ignoranza ecco che arriva la paura; ciò che stava provando lui in quel preciso istante.

Nonostante l'idea delle due fate fosse parecchio plausibile, c'era ancora qualcosa che lo tormentava, qualcosa che non riusciva in nessuno modo a togliersi dalla testa. Conosceva bene il suo nemico e sapeva che non lasciava mai nulla al caso; se avesse voluto farlo fuori quel giorno nel suo covo, l'avrebbe fatto e non si sarebbe fatto certo fermare da due semplici fate dei ghiacci. Il suo minacciarlo, il suo dirgli che loro non erano così diversi l'uno dall'altro, esattamente come aveva fatto il giorno di Pasqua, subito prima di proporgli l'alleanza, lo assillava. Perché? Per quale motivo l'aveva lasciato andare? Cos'aveva in mente? A quale scopo colpirlo?

Quel colpo, ancora gli sembrava di percepire il dolore, il freddo e l'oscurità che s'impadronivano di lui. Eppure quel colpo sembrava non aver avuto nessuna conseguenza: Jamie credeva ancora in lui, lui era ancora vivo. Qual era davvero lo scopo di quell'attacco? Perché era sicuro che ci fosse un motivo a tutto quello che era accaduto.

Ecco, era quella la sua più grande paura, ciò che non conosceva lui e che lo terrorizzava. L'obbiettivo di Pitch era chiaro, ma come ci sarebbe arrivato era un mistero e se davvero per arrivare alla rovina del Natale si fosse servito di lui in qualche modo, esattamente come aveva fatto per rovinare la Pasqua? No, non poteva rifare lo stesso errore, non l'avrebbe permesso. Era vero, sicuramente aveva meno esperienza come guardiano rispetto ai suoi compagni, ma non avrebbe permesso a nessuno, mai più, di minacciare tutto ciò che i bambini rappresentavano per il mondo.

Farsi prendere dalla paura significava darla vinta a lui e non voleva farlo, non doveva farlo. Lui era lo spirito della neve e del ghiaccio, era colui che portava la felicità ai bambini quando le città si ricoprivano di bianco, quando per la troppa neve le scuole chiudevano. Lui era il custode del divertimento e non avrebbe permesso alla paura di bloccarlo. Fino alla fine avrebbe dimostrato che, anche in una battaglia dura e difficile, si poteva affrontare tutto con il sorriso e la spensieratezza.

«Non ho paura Pitch...» sussurrò, prima di chiudere gli occhi azzurri e cadere quasi subito in un sonno profondo.


Sandman stava espandendo la sua polvere dorata in ogni angolo della superficie terrestre, come faceva ogni notte. I fili dal colore prezioso si allungavano, tuffandosi nelle menti dei bambini dormienti, dando vita a farfalle, arcobaleni, gelati, coniglietti paffutti e qualsiasi cosa loro volessero e potessero immaginare.

All'improvviso un vento gelido e spaventoso spazzò via tutta la polvere d'oro lasciando ogni persona senza nessun sogno da sognare. Il guardiano aggrottò le sopracciglia, confuso, iniziando a guardarsi attorno, non era normale che un semplice vento spazzasse via tutta la sua magia.

Poi all'improvviso avvistò una figura avvicinarsi a lui e i suoi occhi ambrati sgranarono, man mano che la figura si avvicinava e riusciva a percepirne i lineamenti.

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