Decisioni
-Grazie mille per il tuo aiuto- riprese Tom.
-Non c'è problema- rispose Scott -Se posso chiedere, cosa ti ha fatto cambiare idea?-
Tom fece una breve pausa prima di rispondere -Io...ero in macchina e un tizio è sbucato dal nulla e ci ha mandato fuori strada. Mi sono risvegliato e avevo male dappertutto. C'erano paramedici tutt'intorno a me, che mi dicevano di stare calmo, che saremmo arrivati presto all'ospedale. In quel momento ho capito che a nessuno sarebbe importato della mia morte. Ero solo. Non avevo mai percepito la mia solitudine in quel modo orribile e...e ho avuto paura...troppa paura. Voglio farmi una vita, voglio andarmene da quella famiglia e trovare degli amici che tengano a me-
Scott dovette limitarsi a un sorriso -Sono felice che tu abbia preso questa decisione-
-Quindi- cominciò a chiedere Tom dopo qualche istante di silenzio -ora cosa facciamo?-
-Tu ti riprendi, io torno a Quantico per sistemare alcune cose. Fino a che anno sei arrivato prima di mollare la scuola?-
-Me ne manca solo uno-
-Ok- "giusto lui ha diciassette anni, avrebbe dovuto finire quest'anno" si disse -Tu tornerai a scuola-
-Ma come? Io devo anche lavorare in fattoria, se non lo faccio sono guai e...lascia stare-
-Tom è necessario che tu prenda un diploma-
-Lo so! Ma ho già provato a lottare e a fare tutto di nascosto...non mi è andata bene-
-Allora, se non ho altra scelta, parlerò io con la tua famiglia e cercherò di convincerli a mandarti a scuola-
-Sì, così loro ti diranno "sì si, sta andando" mentre invece sarò ancora lì con le capre-
-No...ti porterò via, se sei d'accordo. Verrai con me a Washington e studierai lì. Quando poi parleremo dei college allora andrai dove vuoi, ma per ora tu devi finire il liceo-
Tom rimase un attimo in silenzio. Era vero, lui voleva andarsene di lì da tempo, ma non sapeva ancora se poteva fidarsi o no di Scott. La paura che aveva provato in quei giorni di costante solitudine sul confine con la morte ancora lo opprimeva, ma Washington era lontana e quell'uomo uno sconosciuto.
-Perché mi stai aiutando?- chiese.
-Io...avevo la tua età quando persi i miei genitori. Il mio migliore amico si offrì di farmi stare da lui, ma i suoi genitori non erano così d'accordo, così mi mandarono da una lontana zia, mai vista in vita mia. Lei era di New York e quella città era davvero enorme, rispetto a dove vivevo io. Lei non era empatica. Non capiva il mio dolore, né la mia rabbia e il mio rapporto con lei era orribile. Volevo fuggire da lì e tornare a casa mia. Iniziai a studiare come un matto. Non facevo nient'altro. Mi diplomai con ottimi voti e, arrivato alla maggiore età, invece di andare al college, me ne tornai a casa. Lì c'erano i miei amici e il ricordo dei miei genitori. Studiai lì all'università statale e il resto beh...mi ha portato fin qui-
-Sul serio?-
-Sì...sembra una storia simile alla tua, me ne accorgo ora. So che quello che ti sto offrendo è tanto da parte di uno sconosciuto, ma so cosa vuol dire trovarsi con le spalle al muro, rinchiusi in un posto che si odia. Se non vuoi venire a Washington, verrò io qui di tanto in tanto a controllare che ti mandino a scuola-
-Ok...sinceramente la seconda opzione mi convince di più-
-D'accordo, ma voglio dei voti alti chiaro? Sei il mio investimento vedi di mantenere una bella media-
-Promesso-
Scott avrebbe preferito portarlo via con sé, ma capiva che dal punto di vista del ragazzo, lui non era nessuno. Doveva aspettare e creare un rapporto con lui con calma, ricordando che lui non sapeva chi fosse.
Quando uscì dalla stanza di Tom, fu quasi investito da qualcuno che correva in corridoio. Riconobbe quella figura solo dopo qualche secondo.
-Michael? Che stai facendo?-
L'uomo si fermò e lo fissò. Aveva il terrore dipinto in volto e non sembrava più lui.
-Scott, corri, veloce!-
Lui lo seguì anche se non era consigliato correre dopo il trapianto. Michael si gettò fuori dall'ospedale e si volatilizzò verso l'ala est dell'edificio. Si fermò quando arrivò sotto alcune finestre. Scott lo raggiunse poco dopo.
-Che succede?-
-Era qui-
-Cosa?-
-Richard era qui. Voleva entrare dalla finestra nella stanza di Jack, sono sicuro-
-Michael, sono due piani-
-Stava usando il tubo della grondaia!-
-Ok, ok calmati. Torna dentro, qui ci penso io- disse estraendo la pistola.
-Io resto, lui è qui-
Scott era confuso e un po' preoccupato per Michael. Non lo aveva mai visto in quello stato in quasi trent'anni di amicizia. Era nervoso e sembrava in preda a un delirio.
-Michael torna dentro, resta al sicuro-
L'uomo lo fissò, poi sbuffò e gli diede retta.
Scott cominciò a cercare, ma non trovò nessuno nei dintorni. Cominciò a preoccuparsi per Michael. Che avesse avuto un'allucinazione? O era stato un incubo? O un momento di follia?
Jack dormiva tranquillo. Si era calmato dopo che suo padre gli aveva promesso che non avrebbe cercato Richard. Sognava di ritornare a casa e di trovare Rachel, convalescente dalla polmonite e furiosa con lui. Nel suo delirio aveva detto qualcosa di vero: era bella quando si arrabbiava, magari anche quando pensava o rideva. Era bella in generale.
Si svegliò quando sentì la porta della sua stanza aprirsi e vide una figura maschile che stava per entrare, ma in quel momento suo padre diede un pugno a quel tizio e chiuse la sua porta. Lui scattò in piedi come una molla. Richard? Che fosse lui? Com'era entrato? Come aveva fatto a trovare la sua stanza? E ora Michael era lì fuori.
Corse verso la porta, ma in quel momento sentì suo padre gridargli -Chiuditi a chiave Jack! Resta lì-
Tremò incerto sul da farsi, ma decise di obbedire a suo padre e girò la chiave. Improvvisamente si sentì un rumore, una specie di tonfo sordo, poi il silenzio più totale. Girò nuovamente la chiave e guardò in corridoio cosa fosse successo.
Michael era in piedi, con le braccia immobili lungo i fianchi e pallido, con gli occhi sgranati di fronte al terribile spettacolo che aveva davanti. Richard era a terra dentro una grande pozza di sangue che si stava pian piano espandendo. Qualche altro paziente, uscito per sbirciare, gridò terrorizzato. In quel momento alcuni agenti arrivarono e si trovarono di fronte alla medesima scena. Ordinarono a Michael di mettere le mani in alto di inginocchiarsi e lo arrestarono, mentre alcuni medici soccorrevano Richard. Jack si sentì mancare.
-Aspettate, non è colpa sua!- disse uscendo dalla sua stanza, cercando di fermare gli agenti.
-Quell'uomo voleva uccidermi, stava entrando nella mia stanza, lui l'ha fermato. Non deve averlo fatto apposta, vero papà?- chiese fissando Michael con gli occhi lucidi -Non lo hai ucciso volontariamente-
Michael non gli rispose subito, sembrava più sconvolto di lui.
-Jack andrà tutto bene...chiama Rachel, cerca di non restare solo. Mi dispiace tanto-
Gli agenti fermarono Jack per fargli qualche domanda, mentre Michael spariva per chissà dove su una volante. Jack raccontò tutta la storia, sottolineando più volte il fatto che suo padre fosse una brava persona e che non avrebbe mai ucciso nessuno, ma a quel punto nemmeno lui riusciva a crederci. Pensava al suo sguardo strano, a quella folle decisone che aveva preso, alla sua lotta per impedirgli di farlo.
-Chiama qualcuno dai servizi sociali- disse alla fine uno dei due agenti.
-No, lui resta con me, agente dell'FBI Scott Johnson. A lui penso io-
Agli altri due sembrava andare bene, quindi senza dire molto altro sparirono.
-Scott- Jack non riusciva a parlare. Era sconvolto e tremante, così Scott gli mise una mano su una spalla e gli diede una carezza -Coraggio, si risolverà tutto vedrai-
-Ha ucciso un uomo...mio padre ha ucciso un uomo-
Scott lo fece rientrare in camera sua. -Ascolta, tuo padre non è un mostro, non so come siano andate le cose, ma non riesco a credere che lui abbia volontariamente ucciso qualcuno. Qualunque cosa accadrà, dovrai essere forte. In questo momento lui si trova in una brutta situazione e tu devi cercare di non mostrarti troppo terrorizzato o starà ancora peggio-
-Ok...-
-Tranquillo, ti aiuterò-
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