Dans les erreurs d'hier
1829
Non si è ripresentato, non così spesso come aveva promesso, in seguito, probabilmente indaffarato dagli impegni.
Tale e quale a suo padre.
Un messaggio svelto, recapitato tramite posta, all'incirca sei anni fa, nell'ultimo quarto del 1823, vergato dalla calligrafia inconfondibile di suo nipote, le annunciava un lieto evento.
«Congratulazioni! Siete diventata prozia. Carl ha avuto una bambina. Il marito della madre ha acconsentito a darle il suo stesso nome. Costanza. Curiosa coincidenza che entrambe si chiamino come nostra madre, no? Carl Thomas vi saluta e vi manda i suoi più affettuosi e deferenti baci. FXWAM. Milano. 27 dicembre 1823.»
Franz Xaver Wolfgang Amadeus Mozart.
Il redivivo Wolfgang Amadeus di Constanze.
Ufficialmente la piccola, nata lo stesso giorno della defunta sorellina del padre, Theresia, è stata battezzata nella memoria di uno dei nomi di quest'ultima, Constanze appunto. Ufficialmente. Nannerl ha sogghignato maladrina.
Stanotte disdegna la cena e si accomoda sul davanzale della finestra per raccogliere l'ultimo raggio di luce perseverante nel tramonto infuocato. Sono trascorsi otto anni e quel batticuore generato dalla presenza di Franz non è sloggiato da questa dimora. Ne permea le pareti, un unguento benefico lenente tante cicatrici mai rimarginate fino in fondo. Riaffiorano ricordi. Vanno e vengono come le onde sulla spiaggia.
L'immagine finale nella conversazione predomina.
Franz Xaver, a Praga, scimmietta con le piume ritte in testa, evoca un'altra scimmietta ammaestrata. Wolfie, il vero Wolfie.
Un'immagine grottesca, ma che, per contrasto, riesce a far rivivere a Nannerl i magici, soavi, splendenti giorni dei viaggi, delle carrozze, di Schönbrunn, Versailles, Buckingham Palace. I giorni del duo affiatato, dei reami fiabeschi, del regno sottosopra. Di Nannerl e Amadé, Amadé e Nannerl.
Franz Xaver Wolfgang n'è una parodia, una storpiatura adorabile. Per fortuna, durante quella visita, suo nipote ha capito e non ha profanato la fuga con cui Nannerl intende riempire e colorare i giorni che le rimangono da vivere. Una fuga nella musica, una finestra sul passato. Quello bello. Quello radioso e felice.
Un'epoca sfumata, disciolta nell'acido della crescita, resistente tenacemente nei ricordi solo in lei e per lei. Nessuna penna potrebbe restituirla appieno.
Nessuna.
Nannerl ha collaborato con i primi biografi, quei fanatici accaniti che, dalla dipartita di Wolfie, l'hanno eletta a una sorta di cronista postuma della fama del fratello, lusingandola, contattandola, blandendola, addirittura sfruttandola e fuorviando le sue parole. Gli ingranaggi si azionano. Tutto sta per cominciare.
La leggenda sta per nascere.
Nomi autorevoli del panorama letterario: Friedrich von Schlichtegroll, che scrisse alcune note importanti poco dopo la morte del musicista, convalidate proprio da Nannerl. Friedrich Rochlitz, nel 1797. Franz Niemetschek, nel 1798. Il sommo Stendhal nel 1814. Innumerevoli altri verranno dopo. Romanzi e narratori talvolta famosi, un cammino di pagine infinito, che si snoda negli anni.
La stessa Constanze ha prodotto, coadiuvata dal secondo marito, una sua personale versione, un tomo sulla storia del primo.
E Carl Thomas - Franz Xaver giura che non esista testimone più affidabile nella sua ottica, il suo amato fratello - oh sì, la testimonianza di Carl Thomas, appena un bimbo all'epoca...
Stamani è venuto il dottor Nicholas Closset, un caro amico di mamma e papà nonché medico personale di famiglia, una garanzia a cui ricorrere nei momenti d'infermità.
È venuto a controllare il papà. La mamma ha mantenuto fede alla parola data l'altro giorno, allora. Ha chiamato il medico. Carl n'è contento, anche se la sua figura, costantemente abbigliata di scuro, macchinante con aggeggi acuminati e multiformi, appuntiti e minacciosi, gli incute un poco di paura. La sensazione di quelle dita dalle nocche pelose e polpastrelli ruvidi che ti ispezionano in ogni angolo, anche nelle intimità private... che ribrezzo. Però a Carl piace la sua borsa. Attraverso quale magia riesce a contenere un numero così spropositato di utensili?
Bello...
Gli è stato imposto di rimanere in salotto a vegliare su Franz. Ma Wowi sonnecchia nella culla, il pugnetto viscido di bava, e Carl si è stufato di farla ondeggiare. Avanti e indietro, avanti e indietro. Uggia e noia! È più interessato a informarsi sul papà. Alla fine, in soldi spicci, cosa lo affligge? Quale malattia gli ha diagnosticato il dottore?
Carl spera nulla di grave. Magari un'influenza stagionale. Soffrirebbe a vedere il papà malato. Già sembra tanto giù di recente, abbattuto...
Perciò, mentre il suo fratellino si pasce nei suoi sogni di poppante, Carl si acquatta, in punta di piedi, a un palmo di naso dalla porta serrata della camera nuziale. Sono faccende da grandi, lo rassicurerebbe la mamma, un sorriso a mitigare l'ansia. Carl mica è un citrullo. Ha sette anni compiuti, è cresciuto, avverte l'atmosfera cupa in casa e pretende delle spiegazioni. Soprattutto sul papà.
Ha origliato i battibecchi tra lui e la mamma e il suo pallore persistente lo inquieta. Un sacco. Teme che gli possa capitare un accidenti. Papà trasandato, dalla fronte madida di sudore e gli occhi come gorghi rossastri. Papà che trinca a dismisura e si è trincerato, da settimane, dietro la roccaforte dei suoi spartiti.
Non è che... n-non è che adesso vuole bene più alla sua musica che a lui, Franz e alla mamma, vero?
Dal foro della serratura Carl sbircia. Papà, spogliato degli indumenti tranne che della camicia, delle brache e delle calze, seduto sulla sponda del letto disfatto. La mamma, in piedi, a marciare avanti e indietro per la stanza, tormentandosi le mani o le frange dello scialle che le avvolge le spalle, oppure snocciolando i grani del rosario in vita.
E il dottor Closset, esaminante il suo paziente, scrutante il palato con una candela, con un cucchiaio, forzando le palpebre a sbarrarsi con il pollice e l'indice, osservante i riflessi, la reazione della pupilla, il colore del catarro che ha chiesto al papà di sputare in un fazzoletto. Salassante. Estrae un coltellino, pratica una piccola incisione sul piede del papà e un rivolo di sangue cola in una bacinella appostata tra le lenzuola, purpureo e denso, vischioso come inchiostro. Vomitevole.
Carl respinge un conato. Nessuno deve sospettare della sua intrusione.
«Da quando siete soggetto a questi deliqui?» pone il dottor Closset, la parrucca candida e impomatata in stridente contrasto con il nero della sua uniforme.
Papà, concluso il salasso, è ancor più spaventosamente esangue di quanto non fosse prima. La testa ciondola in avanti. Sembra che sia a un soffio dallo svenire.
«Io...»
«Si verificano sovente?»
All'unisono mamma e papà rispondono convinti. Lei un deciso: «Sì.» e lui un altrettanto flebile: «No.»
Mamma aiuta papà a rimettersi seduto, a infilarsi le calze, un lento e affannato risollevarsi.
«Mio marito è modesto, Herr Doktor. È refrattario ad ammettere la gravità del suo malessere.»
«Si tratta di banali vertigini...» rantola papà scuotendo volitivamente il capo, i boccoli biondi intrisi di sudore che si appiccicano alla fronte come spire dorate, il lino pezzato della camicia aderente al torace.
Il dottor Closset pulisce la lama dell'incisione in un semplice panno. Sterilizzazione? Idee bislacche. Queste innovazioni in campo scientifico dove condurranno il progresso? Il salasso è il metodo moderno per eccellenza, è risaputo. Ripone accuratamente i suoi attrezzi del mestiere nella borsa in cuoio.
«Mai sottovalutare i segnali del nostro corpo, Herr Mozart.»
Papà sbuffa, strizzando le palpebre. Gronda sudore. «Come se il minimo male fosse qualcosa di drastico...»
«Si è accasciato mentre lavorava in più di un'occasione, dottore!» insiste la mamma. Non si arrende. Carl è fiero della sua tenacia. Se papà sta male è giusto che si curi e, se proprio è sordo ai consigli, qualcuno deve picchiare duro. Qualcuno come la sua mammina. «Ha perso i sensi! Per non parlare della febbre!»
Il dottore corruga la fronte. «Febbre?»
«Sporadici episodi.» Papà dismette l'argomento, alzando le spalle e passandosi una mano sul viso. «Sarà il freddo. Insomma, vi state fasciando la testa inutilmente, tutti e due!»
«Ci stiamo preoccupando per la tua salute!» geme la mamma, torturandosi un lembo del suo povero scialle.
Papà sospira, leva gli occhi al cielo. Si drizza.
«Non ho tempo di sottopormi a visite e ispezioni.» Fa per alzarsi. «Devo terminare il lavoro!»
La mamma, fulminea, lo bracca per la spalla, inchiodandolo seduto al materasso.
«Non stacca un minuto, dottore. È questo ad allarmarmi.»
Nicholas Closset si china al suo livello, palpa gli zigomi del papà, pronunciati dalla magrezza, le occhiaie. Papà diventa sempre più smunto come un fuscello.
«Da quanto non dormite, Herr Mozart?»
«Ieri sera ho riposato un'ora intera, se proprio ci tenete a saperlo.» ribecca piccato. «E comunque non ne ho bisogno granché.»
«Tu stai male!» sbotta la mamma, al limite. Come cacciarglielo in quella sua crapa ostinata?
«Al cliente non interessa!» sibila il papà.
«Quel cliente fantomatico non esiste! Fattene una santa ragione!» Mamma si aggrappa alla pediera del letto, intagliata in motivi vegetali di ghirlande avviluppate e amorini ricciuti. «È un delirio! Un'allucinazione partorita dal tuo cervello stremato!»
Il dottore, logico, non ci ha compreso una fava. «Posso sapere, se non risulto inopportuno, a chi vi riferite?»
«A-»
«Alla Morte.»
Mamma si batte la fronte, esasperata.
«Wolfie...»
Papà è improvvisamente calmo, lo sguardo scostante, basso.
«La Morte in persona, tramite lo spettro collerico del mio defunto padre, mi ha incaricato di scrivere un Requiem.»
Carl conosce bene il suo papà. A volte è... ecco si dimostra un po' paranoico, crede che la fazione italiana a corte trami contro di lui per minare il suo operato artistico, ma queste manie di persecuzione sono passeggere. Sa, per esempio, che nutre una profonda stima per un suo collega dello Stivale. Antonio Salieri. Mai intravisto neanche lontanamente da Carl. Però queste dichiarazioni... dai, quale stupidaggine! I fantasmi che se ne fanno della musica? L'ascoltano? Ma se non hanno orecchie!
O sì? Carl si prefigge di documentarsi con nuove storie dell'orrore a riguardo. Magari dispongono di un apparato uditivo e noi lo ignoriamo!
Dopotutto le storie del terrore fanno cagliare il latte alle ginocchia ai marmocchi piccoli piccoli. Tipo Wowi, anche se scommette che il suo fratellino si rivelerà di ben più forte pasta. Carl è grande. Più o meno. Ma mamma lo definisce un ometto.
Il che significa che gli manca poco per diventare un uomo a tutto tondo!
«Avete visto?» indica, tremante, a momenti isterica, la mamma. «Avete visto, dottore, quali insensatezze farnetica?!»
«Devo consegnare la messa completa entro le prossime tre settimane.» dice il papà, fissando un orizzonte indefinito, lontano. «Non ho tempo da perdere.»
Si sta rivolgendo a se stesso o ai presenti?
«Perdere la vostra salute, invece, compenserebbe?» lo provoca il dottore.
«Se non hai già perso il senno!» infierisce la mamma.
«Stanzi...»
«È la febbre, vero, dottore?» gli domanda disperata. «Prende a stento le medicine, la tosse non gli passa, si tappa tutto il benedetto giorno qua dentro a comporre come un posseduto! Non so più cosa fare, a chi rivolgermi!»
«Ma io sono posseduto.» sentenzia il papà con voce grave, profonda, fisso a quel punto remoto oltre le pareti di questa stanza, di casa, oltre i confini di Vienna. «Dalla musica.»
«Siete esausto, Herr Mozart.» replica con accortezza il dottor Closset. «È differente.»
Papà artiglia il bordo del materasso. Un sorrisetto inquietante gli arriccia le labbra scarlatte, risaltante su quell'incarnato cadaverico e sfigurato dal sudore.
«La Morte non si ferma mai. È instancabile...»
Mamma si ricaccia un singhiozzo in gola, un mano alla bocca.
«Piuttosto che assumere i vostri tonici si tracanna tutte quelle bottiglie! Più gliene butto e più quelle si moltiplicano!»
«Bevete?» Il dottore ne pare scontento. «Non ve lo avevo forse categoricamente vietato?»
«Eccome, dottore!» rincara la mamma. «Ma non ascolta!»
«Il vino m-m-mi... aiuta...» farfuglia il papà.
«In cosa?»
«M-Mi aiuta... c-colma il... il male... che sento... qui.» Si colpisce il cuore. Appare così vulnerabile, piccolo, indifeso. Uno scricciolo abbisognante un pilastro. «È u-una ferita. Profonda...»
Mamma e il dottor Closset si scambiano un'occhiata più che eloquente: ma sta uscendo dai gangheri?
Poco dopo, persuaso il papà a stendersi - a Carl è parso che crollasse tra i guanciali - escono nel corridoio. Carl fila in salotto prima che lo scoprano. Wowi s'è svegliato, mulina le braccine, scuote il suo sonaglino d'argento in una mano e con l'altra ciuccia il succhietto per le gengive dall'amuleto protettivo a guisa di corno in avorio. Gorgoglia uno scroscio di risatine quando un soldatino di Carl irrompe nella sua culla e prende a marciargli sul pancino. Lo diverte!
«Elimino il molosso! Aaaah!»
Carl aguzza l'udito. La mamma sta trattenendo il dottor Closset in corridoio. Un vociare sommesso, di adulti confabulanti.
«Cosa ne pensate?»
«Riposo assoluto.» asserisce pragmatico il dottore. «Senza discussione. È allo stremo delle energie. Spettri, tetri discorsi di morte... non ragiona più. Certo, è alquanto singolare riscontrare un tale avvilimento in un giovane uomo nel fiore degli anni, ma l'ossessione compulsiva per il lavoro non conosce età. Voi cercate di distrarlo per quanto vi riesce possibile. Nascondetegli gli spartiti, assicuratevi che dorma e che non si trascuri, portatelo fuori, a respirare un po' di sana aria fresca. Che interrompa il vizio del bere seduta stante, i reni si deterioreranno altrimenti. Vi prescrivo impacchi freddi per la febbre e uno sciroppo al fine di debellare la tosse. Se non dovesse migliorare non esitate a chiamarmi.»
Carl è certo che la mamma si sia segnata. Scongiuriamo il peggio
«Quel Requiem... lo sta distruggendo... è come se gli fossero spuntati due cervelli: uno moribondo e uno che rigurgita ininterrottamente musica!»
«È solo stanco, signora. Solo estremamente stanco.»
I giorni successivi sono una sequela di porte chiuse, di inviti a badare al fratellino, a giocare con lui, la mamma dissimulante, imbastente sorrisi artefatti. Giorni misteriosi e d'angoscia, papà che si oppone, tenta di fare di testa propria e finisce confinato a letto. La sua tosse, i suoi rantoli. Il suo Requiem. Le lacrime di mamma.
Papà si allontana. Diventa una porta che a Carl è vietato aprire. Un allettato che gli è proibito disturbare. Niente incursioni in camera, sta dormendo. Niente giochi maneschi, la febbre di papino si è alzata. Stai bravo e buono vicino a tuo fratello.
I bambini non devono percepire il turbamento dei grandi.
Ma Carl lo percepisce e quel corridoio si allunga, dilatandosi. Diventa un ponte in procinto di collassare. Il fragile collegamento tra lui e il suo papà. Spostano persino il suo lettino e la culla di Franz nella camera deputata agli ospiti.
Papa? Papa? Papa, wo bist du? Kannst du mich hören? Mir ist so kalt, nimm mich in den Arm. Jeder sagt ich darf dich nicht stören. Warum kann ich nicht bei dir sein?
Diventa lo spiraglio di una porta socchiusa, una fenditura di luce nelle tenebre e i deliri febbrili di papà. La febbre non cala, gli schizza alle stelle.
Papà? Papà? Papà, dove sei? Mi senti? Ho tanto freddo, prendimi in braccio. Tutti dicono che non ti dovrei disturbare. Perché non posso stare insieme a te?
Carl rinuncia a ficcare il naso, ad avventurarsi di striscio. Quando mamma accudisce papà - quasi sempre ormai, in pianta stabile al suo capezzale - lui trae Franz dalla culla o dal tappetino dei balocchi e si accuccia con lui sotto il tavolo.
Il loro antro segreto.
«Papà guarirà in quattro e quattr'otto, vedrai Wowi.»
Rinsavirà anche da quel Requiem, vero?
Allora perchè un pomeriggio arrivano a frotte dei colleghi di papà e la zia Josepha, coniugata Hofer, prima superlativa interprete della Regina della Notte, e circoscrivono il suo letto? I cantanti Benedikt Schack e Franz Xaver Gerl, il primo Sarastro. Intonano, loro tre, le prime battute del Lacrimosa, un pezzo della messa funeraria di papino.
"Il giorno della sua morte si fece portare la partitura a letto. «Non ho forse previsto che scrivevo questo Requiem per me stesso?» disse, poi rilesse ancora una volta il manoscritto da un capo all'altro, con attenzione, gli occhi inumiditi dalle lacrime."
E perché, poco dopo quell'adunanza, Carl ode, dalla camera da letto, il pianto agghiacciante della mamma?
«Wolfie? Wolfie? Wolfie?! Svegliati, Wolfie! Svegliati! Wolfie! Wolfie, pensa a me e ai bambini! Wolfie! Wolfie, ti prego! Wolfie!»
Nannerl, ora, è assalita dal desiderio di frugare nelle ultime oscure ore del suo Wolfie, quello reale, il primo. Ne ha saputo poco o nulla. Frammentariamente. Sussurri. Indiscrezioni. Un vociare alimentato dai pettegolezzi.
Wolfie che non riusciva a guarire da un misterioso male che lo minava nel corpo e che gli fiaccava lo spirito. Wolfie che ripeteva di avere la morte dentro, come un cancro. Wolfie farneticante di inviati in nero, della cupa Morte commissionante un Requiem per il suo funerale.
Wolfie che sosteneva di essere stato avvelenato.
Proprio a Constanze sarebbe da imputarsi il durevole sospetto a carico di Antonio Salieri, il rivale italiano, il nemico, l'occulto colpevole della fine di Amadeus. Una versione da lei accreditata ispirante... chi è quello scribacchino russo?
Nannerl non lo rimembra
Povero Salieri. Saranno fondate le accuse a suo carico? E chi se ne importa. La calunnia è un venticello, asserisce un'aria di Rossini. Salieri è stato investito da una tormenta. E, per qualche contorta ragione, la plebe gode nel danzare con lui nell'occhio del ciclone. Forse perché li distoglie dalle loro tormente interiori.
Forse perché sanno di non poter mai eguagliare Wolfie e, nel profondo, si rassegnano a essere Salieri.
Ma Salieri è davvero l'antagonista della Storia... o l'ambasciatore dei dolori dell'umanità?
In quel caso, questo ambasciatore, questo patrono dei mediocri - poco importa che sia realtà o funzione, chiunque, persino il suo stesso figlio, rimane stordito dal Genio - dovrebbe essere grato al destino.
Salieri è diventato la voce di tutti noi, se, davvero, prestando orecchio al brusio, covava risentimento bruciante verso suo fratello.
Antonio Salieri, famoso nell'infamia... un'infamia dannatamente umana e comprensibile.
Una mediocrità senza aspirazioni è sopportabile, forse proprio perché non ce ne si rende conto. Di essere umani. Piccoli. Insignificanti. Limitati.
Finiti.
Ma una mediocrità svelata dall'ardore del desiderio mostra senza maschere lo squallore della piccolezza umana - così limitata, così insignificante, ma che la musica espande, dilatando il piccolo in grande, il finito in infinito - di cui Salieri, nella fantasia della penna inclemente di Puškin, si trova investito e che riconosce intorno a sé.
Realtà o finzione? Nannerl non lo sa. Nannerl non pretende di saperlo con certezza. La realtà stessa, in fondo, è una finzione.
La nostra.
La recita della vita.
Nannerl si è accontentata a recitare la parte di comparsa. Non immagina dove la Storia la trasporterà. Le raffiche della Storia sono imprevedibili.
Dove condurrà Antonio Salieri, più reale, più penetrante e incisivo nelle leggende - leggende che rinascono, si sviluppano, si evolvono, leggende che vivono di entità propria come cuori rullanti di vita - che nella realtà?
Per zittire l'urlo di frustrazione che gli è scoppiato nelle orecchie, il Salieri letterario si prodiga per uccidere Mozart. Non come uomo, cui in fondo forse quasi si affeziona, ma come artista. I due piani però si intrecciano e, anche se mai avrebbe potuto sfiorare il corpo del giovane, riesce a portarlo alla fame, sul lastrico, a diffamarne la reputazione, a comprometterne le opportunità lavorative, ad amplificarne la pazzia fino a causarne la morte. Ma è proprio dopo la morte dell'uomo-Amadeus che l'esuberanza dell'artista-Mozart divampa.
Un fuoco d'artificio sfrenato imperversante in tutta Europa.
Ha ucciso l'uomo, ma ne ha esaltato l'arte.
Wolfie risorge, incarnato nelle sue note.
La sua musica verrà ricordata per sempre, s'infilerà nelle orecchie e nella memoria di tutti, anche del popolo. Scolpita sulle tavole dell'immortalità. Mentre l'arido Antonio acquisterà fama e successo presso la corte di Vienna e assisterà poi alla propria estinzione.
Una morte metaforica.
Amadeus è stato sepolto nel fango di un apparente dimenticanza.
Salieri verrà sepolto dal fango della propria inettitudine.
Nannerl l'ha ascoltato. Bravo, dotato... ma non scocca la scintilla.
La scintilla del Genio.
Il musicista-Salieri non potrà impedirsi di distinguere la caducità e vuotezza delle proprie opere dall'infinito portato in grembo da Mozart.
Il Genio non è un campo di battaglia con l'umano. Il Genio è una domanda, un quesito irrisolto. Non bisogna frustrarsi nel tentare di azzeccare la risposta.
O il fascino del mistero svanisce.
Le teorie riguardo a un presunto avvelenamento non sono tardate a fioccare.
Il corrispondente da Praga del Berliner Musikalisches Wochenblatt già il 12 dicembre scrive: "Mozart è morto a Vienna alla fine della scorsa settimana. Essendosi il corpo enfiato dopo la morte, si crede che sia stato avvelenato."
Ad alimentare il mistero si aggiunge il suicidio di Franz Hofdemel, marito di un'allieva di Mozart, che decise di porre fine alla propria vita proprio nel giorno dei funerali del compositore.
Nel 1823 Antonio Salieri, secondo l'opinione pubblica celebre antagonista del compositore viennese, ormai anziano e rinchiuso in un manicomio, confesserà di aver avvelenato Mozart. Verità o vaneggiamenti di un vecchio dalla demenza acuta?
Costanze racconta alla famiglia Novello di come il marito "era ossessionato dall'idea terribile che qualcuno lo avesse avvelenato con dell'acqua tofana: un giorno andò da lei e si lagnò di avere un gran dolore ai fianchi e che una debolezza diffusa lo prendeva a poco a poco."
"«So che devo morire.» aveva esclamato. «Qualcuno mi ha dato dell'acqua tofana e ha calcolato il momento esatto della mia morte, per la quale ha ordinato un Requiem; è per me che lo sto scrivendo.»" Mary Novello riporta le parole di Constanze.
Anche Vincent Novello, suo consorte, amico e intervistatore della famiglia Mozart, conferma che quest'ultimo era convinto "che qualcuno dei suoi nemici era riuscito a somministrargli la pozione nociva che avrebbe provocato la morte."
Nannerl ignora i pettegolezzi. Tutto ciò che sa è che le ore finali di Wolfie si sono svolte lontano da lei e dalla carcassa putrescente della loro famiglia. Ignora anche una storiella circolante da qua a qualche anno e avente per protagonista un canarino, uno dei tanti canarini che Wolfgang amava tenere in casa.
In gabbia.
Come lei, nella gabbia delle sue memorie.
Secondo l'aneddoto, il canto del canarino, nei giorni dell'agonia e della morte imminente, causava al compositore una vera e propria, lancinante, sofferenza fisica. Tuttavia, prima di consentire che la gabbietta fosse trasportata in un'altra stanza Amadeus vi si oppose fermamente, a lungo. Dovettero persuaderlo.
Il canarino rimase, continuando a cantarellare e a fischiare.
Fino a quando Wolfgang non esalò l'ultimo ansito vitale.
Nannerl, cieca, nella solitudine eremitica della sua casa di Salisburgo, anni dopo aver fatto la conoscenza del nipote Franz Xaver Wolfgang detto Wolfie, ripensa a una lettera che Wolfgang Amadeus, detto Wolfie, le aveva mandato da Napoli.
Tanti, tanti anni fa.
Una lettera zuppa di rimpianti e nostalgia per averla lasciata a casa con la mamma.
«Scrivimi come sta il canarino. Canta sempre? Fischia sempre?»
Nannerl, vecchia e raggrinzita, nel cielo autunnale di questo 1829, ode un suono.
Un gorgheggio.
Si affaccia alla finestra.
Un canarino, evaso da una gabbia, giubila cinguettando, compiendo giravolte nell'etere. Esuberante e libero.
Der Prinz ist zum König geworden, doch was bleibt mir von dem, was ich fand? Ich holte das Gold der Sterne.
Und bin dabei verbrannt
Und ich gab alles, was ich bin, ich hab geopfert was ich hab: die Kindheit, die Jugend, die Schwester, den Vater, Freundschaft, Liebe und ein Zuhaus. Ich wollte...
Le lacrime erompono dagli argini.
Il principe è asceso a re, ma cosa sopravvive di ciò che ho trovato? Ho rubato l'oro dalle stelle
E mi sono bruciato
E ho speso tutto quello che sono, ho sacrificato tutto quello che ho: infanzia, giovinezza, mia sorella, mio padre, l'amicizia, l'amore e una casa. Vorrei...
Wolfie...
Maria Anna Walburga Ignatia Mozart, detta Nannerl, Baronessa von Berchtold zu Sonnenburg, morì nella nativa Salisburgo il 29 ottobre 1829, dopo aver instaurato un rapporto quasi materno con il nipote Franz Xaver Wolfgang.
Non ci è pervenuta nessuna sua composizione autografa.
Ma dopotutto... chi vive? Chi muore? Chi racconta la tua, la sua, la loro, la vostra, la nostra storia?
Nannerl? Constanze e Nissen? Franz Xaver e la sua musica modesta all'ombra del padre? Carl e la sua placida esistenza ai margini della Storia? Salieri e la sua immortale, emblematica invidia che lo accomuna a tutti noi? Puškin? Peter Shaffer? Miloš Forman?
Cosa resterà di tutti loro?
Ombre.
Una giostra di ombre.
E il mondo gira, di padre in figlio... o figlia?
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