Dopo due giorni e uno zaino stava tornando a casa di suo padre. Lì tra la porta e la libreria aveva lo spazio necessario per appendere il suo quadro, quello che guardava notte e giorno; pizzicata nella cornice la sua lettera, quella che rileggeva sempre.

La sua porta, lievemente accostata, tremò al suono di un pugno leggero.

"Vieni..."

Suo padre e un vassoio di pasticcini la aspettavano.

"Ti piace sempre vincere facile".

"Mi piace solo vederti felice!"

Si sedettero sul letto, come facevano una volta. Senza troppi giri di parole Ivy iniziò a pronunciare quel discorso che per due giorni aveva provato e riprovato.

"Sono stata arrabbiata con te, perché non capivo come mai avessi preferito lei a noi".

"Ivy..."

"Fammi finire."

Un respiro.

"Io non lo so perché hai tradito la mamma, non lo voglio sapere, ma devi capire che quando ho scoperto di Felicity anche io mi sono sentita tradita".

Due respiri.

"Sentivo come se la tua realtà non ti avesse soddisfatto abbastanza e ne volessi un'altra. Mi ha fatto tanto male".

Come previsto, il discorso era perso in lacrime, vergogna, risentimento, rabbia.

"Mi dispiace, mi dispiace", sentì sussurrare.

"Ho fatto una cosa orribile. Non mi sono comportato bene. Pensavo che se non gli avessi dato importanza non vi sarebbe pesato, ma sbagliavo. Eli ci ha fatto l'abitudine, ma tu no e io non ti ho dato quello che meritavi. Hai tutto il diritto di essere arrabbiata, ma arrabbiati con me, non prendertela con Felicity. Lei è sempre stata sola e adesso sa di avere tutti noi, ci ama così tanto..."

La pioggia amara sul suo volto scorreva insieme alla mancanza, l'affetto, la rassicurazione.

"Ci proverò papà".

"Ne sono sicuro, e io ce la metterò tutta per farmi perdonare", disse col suo volto tra le mani.

Sorrise timidamente, tenendo per sé che non c'era bisogno di mettercela tutta, perché Ivy lo aveva già perdonato; ma forse vederlo sudare un po' non le sarebbe dispiaciuto, soprattutto se per farsi perdonare le avrebbe portato le brioches tutte le mattine.