14 • Make me forget what we arguin' about (Pt.1)

Gli sembrava che il tassista spingesse l'auto alla stessa velocità di una lumaca.

«Può sbrigarsi per favore?» sbottò con un moto di stizza.

«Urlare non farà muovere il traffico» replicò l'uomo, infastidito. Poi si sistemò il cappello, mettendo dritta la visiera. «Non la vede la coda? Ho un taxi, non un bulldozer.»

«Avrei fatto meglio ad affittare quello, allora...!»

Levi incrociò le braccia, le gambe che si muovevano ritmicamente per via dell'impazienza e dell'ansia che gli stavano attanagliando le viscere.

Ogni minuto, ogni metro era uno in meno a separarlo da Eren.

La voglia di stringerlo e la paura di farlo lo rendevano un fascio di nervi.

Per il vocalist era strano essere lì. L'ambiente lo confondeva.

Nonostante non fosse una persona narcisista o vanitosa, Levi si era abituato alle cure e attenzioni straordinarie che venivano dedicate ad L. Lì invece, a Shiganshina, nessuno poteva riconoscerlo ed essere trattato come una persona qualsiasi era un'esperienza quasi nuova.

«Sai amico è stata una lunga giornata anche per me» replicò il tassista, guardandolo dallo specchietto retrovisore. «Hai due cose, proprio lí, attaccate alla fine delle gambe e si chiamano piedi. Che ne dici di usarli?»

Avesse saputo dove accidenti si trovasse, gli avrebbe lanciato una banconota da cento giusto per lo sfizio di non sentirlo più blaterare ed avrebbe percorso il resto del tragitto come gli aveva appena suggerito. Nessuno osava trattarlo in quel modo, mai.

Quando si guardò intorno, però, il paesaggio poco familiare lo convinse a mordersi la lingua se non voleva rischiare di perdersi e ritardare ancora il momento in cui avrebbe rivisto il moccioso.

«Pensa a fare il tuo lavoro, amico

Trascorsero almeno un'altra mezz'ora imbottigliati in un ingorgo, imboccando poi una strada che li portò in un quartiere periferico, tranquillo e silenzioso.

Era lì che Eren era nato, dove era cresciuto ed aveva vissuto.

Sembrava il set di qualche comica serie TV famigliare: casette a schiena, piccoli giardini, garage aperti, fermate dell'autobus, bambini che venivano chiamati in casa dai genitori ora che il sole stava tramontando.

Il tassista si fermò nel mezzo di una strada e lo fece scendere davanti ad un piccolo viottolo di piastrelle, accanto ad una cassetta della posta con "Jaeger" scritto a mano. Appoggiata al muro, legata con una catena, c'era una moto coperta da un telo. Sembrava che nessuno la usasse da parecchio tempo. Le luci erano accese.

La famiglia era in casa.

Levi non accennava a voler scendere.

«Che c'è, non hai più fretta?»

Gli arrivò un rotolino verde di banconote dritto in faccia, e il tassista si massaggiò il naso offeso.

«Tieni pure il resto.»

Il corvino posò le suole delle scarpe sul selciato del villino dal tetto rosso, facendo un respiro profondo. Un passo dopo l'altro, si trovò dinanzi all'uscio di casa Jaeger, il dito sul campanello ed il cuore che batteva come impazzito.

Quasi subito sentì, dall'altra parte della porta, i suoni della casa che si fermavano. Una voce femminile disse qualcosa, passi veloci fino alla soglia.

La serratura scattò e Levi si sentì gelare alla vista di un viso dalle dolci forme curve, labbra rosee e morbide, pelle scura e grandi occhi nocciola.

Il figlio era davvero l'immagine riflessa della propria madre.

«Buonasera?» disse la donna, richiamando la sua attenzione.

Si esibiva davanti milioni di persone da anni, cantando a squarciagola fino a sentire le ginocchia tremare, ma non aveva mai avuto il palato così arido come in quel preciso istante.

Si schiarì la voce, tentando di mantenere un tono fermo e pacato. Non era mica la sera del ballo scolastico, porca puttana, doveva darsi un contegno.

«Buonasera, signora. Cerco suo figlio Eren, è in casa?»

La donna - e no non si era sbagliato - si illuminò sentendo quelle parole.

Da quando il figlio era tornato era stato sempre così triste e solitario. Solo negli ultimi giorni aveva cominciato ad uscire di nuovo con gli amici, a fare qualcosa di diverso da... qualsiasi cosa facesse chiuso in camera, sospirando. Ed ora un ragazzo era venuto a cercarlo, finalmente. Pur essendo decisamente più uomo rispetto a suo figlio, il suo aspetto era giovanile così come i vestiti che indossava. Carla saltò subito alle conclusioni, decidendo che doveva trattarsi di un suo amico.

«Certo! Ovviamente! Vieni, entra, entra pure» esclamò la donna, aprendo di più la porta e facendosi indietro. «Eren! Eren, scendi! Non mi aveva detto di una visita, altrimenti vi avrei preparato qualcosa... Ti fermi a cena... Uhm...?»

Presa dall'entusiasmo, si era accorta solo dopo aver chiuso la porta di non aver nemmeno chiesto il nome al nuovo arrivato

. Tuttavia, non ci fu tempo di rimediare.

Al piano di sopra, una porta si aprì ed una voce ancora distante li raggiunse.

«Mamma, che c'è? Perché urli come s-»

Eren si fermò in cima alle scale, le dita strette al corrimano. Gli ci era voluto meno di un secondo per riconoscere, anche da lontano, anche dall'alto, il profilo dell'uomo in piedi accanto a sua madre.

«... Levi?»

Il tempo cessò di scorrere. Tutto era sparito: i mobili, le pareti, il pavimento stesso a sostenerli, la donna dagli occhi grandi solo un vago ricordo nella mente del corvino.

Erano soli, sospesi nel nulla, a guardarsi dopo una settimana dove credevano che tutto fosse perduto. Che quel bacio sfuggevole fosse stato l'ultimo tocco, quel "ti amo" sussurrato la sola prova che si fossero amati davvero, prima che quel biglietto spezzasse entrambi in punti che solo la reciproca presenza avrebbe potuto ricucire.

Il suo fu un flebile mormorio, appena udibile persino a Carla che era al suo fianco, ma Levi sentiva il bisogno di pronunciare il suo nome, sentirlo di nuovo reale dopo che aveva tentato con ogni energia rimastagli di estirparlo dal proprio cuore.

«Eren...»

L'attimo di esitazione che si protrasse tra i due, portò la donna a sollevare le sopracciglia ed Eren si sentí gelare.

Non poteva permettere che i suoi genitori scoprissero tutto. Non quando ciò che avrebbe potuto raccontare loro era solo la storia di una serie infinita di bugie e sotterfugi dall'amaro finale. Lasciò andare il corrimano, fingendosi più calmo di quanto non fosse mentre il cuore batteva così forte da impedirgli quasi di sentirsi pronunciare: «Sali Levi.»

Doveva portarlo via da lì, prima di tutto. Al resto avrebbe pensato poi.

L'uomo assecondò la sua richiesta, seguendolo al piano superiore nel silenzio più assoluto. Il tono di Eren, pacato eppure fermo, deciso, convinse la madre a non porre domande. Non subito, almeno.

Quei brevi gradini per Levi equivalevano a una vera e propria scalata verso il paradiso, dopo l'inferno in cui aveva vissuto quei sette, interminabili giorni.

Voleva stringerlo, ma al tempo stesso si rifiutava di farlo. Aveva subito cercato con lo sguardo l'unica cosa che non gli avesse restituito e la quale, di fatto, lo legasse ancora a lui, in qualche modo. Un tacito indizio che lo incoraggiasse ad annullare quella stupida distanza di cortesia, come fossero semplici conoscenti in vena di chiacchiere futili. Invece, il suo collo scuro era fasciato da una tanto strana quanto sciocca bandana, fuori contesto in quel periodo dal clima caldo.

Nascose i palmi sudati nelle tasche dei jeans. La verità era che aveva paura, una paura fottuta che Eren lo avesse lasciato per davvero e si fosse convinto che tra loro non potesse funzionare, di essere troppo diversi quando invece semplicemente erano due lati della stessa medaglia, uniti in un unico e indivisibile punto.

Entrò nella stanza del ragazzo, i propri passi leggeri quasi temesse di poterlo in qualche modo disturbare presentandosi così, di punto in bianco, di nuovo nella sua vita.

Solo quando ebbe chiuso la porta, Eren di rese conto di aver appena invitato Levi Ackerman nella sua camera, rimasta intoccata dai tempi dell'adolescenza: alle pareti si contavano almeno cinque poster diversi, di vocalist e band. C'erano album e gadget, ricordi di vari concerti, sparsi in giro, come se l'intera camera fosse una specie di santuario.

In qualsiasi altro momento sarebbe morto d'imbarazzo, tuttavia aveva altro a cui pensare.

Vederlo apparire sulla soglia di casa era stato come veder realizzare un sogno, e l'istinto di gettarsi semplicemente tra le sue braccia era stato quasi irresistibile. Aveva deglutito a fatica e sentito il pomo d'Adamo sfregare contro il cuoio del collare, che nascondeva con cura sotto quel bollente ritaglio di stoffa: era meglio soffrire il caldo che privarsi dell'unica cosa che ancora lo legava a lui.

La sua mano tremava, stretta attorno alla maniglia. Aspettò un po' prima di riuscire a parlare, e lo fece appoggiandosi alla porta come se si sentisse senza forze all'improvviso.

«... Perché sei qui?»

L'incertezza trasudava da ogni fibra del suo essere eppure, quando dovette rispondere a quella domanda, la voce di Levi non vacillò un solo istante.

«Perché tu sei qui.»

Come al solito, le sue parole gli arrivavano dritte al cuore. Dovette scuotere la testa più volte, per impedire a quel pensiero di insinuarsi e metter radici, rievocando ricordi scomodi.

«No-Non puoi piombare a casa delle persone così...»

«E tu non puoi credere di potertene andare in quel modo e proseguire la tua vita come se niente sia mai accaduto.»

I palmi di Levi si posarono sulla superficie della porta a cui Eren era ancora poggiato, costruendo una gabbia dalle sbarre deboli. Se avesse voluto, se davvero lo avesse desiderato, l'uomo lo avrebbe lasciato libero: di spostarsi, di spingerlo via, di rimuoverlo dalla mente e cancellarlo dall'anima. Con la sola forza dello sguardo, lo incatenò a sé perché nulla era più importante di quello che stava per accadere in quel preciso momento. «Come se noi non fossimo mai esistiti.»

Eren non si mosse. Non diede neanche cenno di volerlo allontanare, di voler scappare.

Poteva forse essere un buon segno?

Vide le labbra di Eren tremare, mentre la sua mente si affollava di pensieri e risposte che avrebbe potuto dargli. Le bocciava tutte, sentendole sempre come inadeguate, sbagliate, disperate.

«Questo non c'entra...»

«No? Perciò stai dicendo di avermi lasciato di tua iniziativa e non sotto minaccia? Dimmelo, Eren, qui e adesso: che non ti manco, che non vuoi che io sia qui, che non mi ami più o forse non lo hai mai fatto. Dimmelo, ed io ti crederò...»

Il movimento fu lento, talmente cauto che le dita pallide sembravano sospese nell'aria e non si stessero avvicinando alla sua gola, sfiorando la stoffa colorata e spingendola delicatamente verso il basso. Il collare era lì, a fasciargli la pelle caramellata, e Levi sentí la speranza crescere prepotente dentro di sé.

«... ma se così non fosse, dimostramelo.»

Eren aveva abbassato gli occhi, seguendo il movimento senza muoversi, senza osare anche se avrebbe dovuto impedirglielo. E poi le parole che Levi aveva pronunciato fecero click nella sua mente ed Eren sollevò la testa così in fretta da farlo quasi sussultare. La bandana tornò al suo posto.

«Minacce?» balbettò. «Tu sai... Sai... Cosa sai?»

«So del video. So di Erwin.»

Levi indietreggiò di un passo, le braccia che ricadevamo ai lati dei fianchi. Adesso Eren era libero di fare la propria scelta, quella dettata dal cuore e nient'altro.

«Non rappresenta più un problema per nessuno, tantomeno te. Qualunque cosa ti abbia detto, qualunque ricatto, non ha più alcuna valenza. Dimmi cosa vuoi, Eren, ed io asseconderò ogni tua richiesta.»

Quella era una notizia troppo scioccante per essere assimilata. Per un attimo l'aria tesa che si respirava tra loro, il peso che schiacciava i loro petti ed il nodo che stringeva gli stomaci, tutto scomparve. Eren sgranò gli occhi, sollevò le sopracciglia e si passò una mano tra i capelli gridando un «Cosa?!» che a Levi arrivò dritto al petto.

Finalmente la voce dell'amore della sua vita non tremava più.

«Che vorrebbe dire "Non è più un problema", non uscirtene con queste frasi da Terminator senza contesto! Che cosa è successo?! Quando? Cosa ti ha detto?!»

Il sospiro che emise Levi non fu uno di quelli stanchi o esasperati, bensì di sollievo.

«L'ho colto con le mani nel sacco. Ha tentato di raggirarmi, dicendomi che lo avevi ricattato col filmato girato da Hanji all'Aqua. Sfortunatamente per lui, non gli ho creduto. Non mi avresti mai privato della musica. È fuori dai giochi, ti basti sapere questo.»

«Oh...»

La mano tra i capelli scese sul viso, ed Eren si sedette a terra, lasciandosi scivolare lentamente lungo la porta. Se prima si era sentito senza forze, ora davvero sembrava che le gambe non potessero reggere un minuto di più.

Dopo qualche momento passato a concentrarsi sul respiro, da dietro le dita chiuse arrivò di nuovo la sua voce un po' soffocata.

«È ancora vivo, almeno?»

«Purtroppo. Ho potuto dargli un solo pugno, ma ti garantisco che è stato molto soddisfacente. E forte, soprattutto.»

L'uomo fletté le ginocchia, piegandosi alla stessa altezza del ragazzo, il viso disteso e l'espressione serena.

«Non hai niente da dirmi, Eren? Domandi di Smith, eppure non mi chiedi come sono stato io, senza di te...»

«Non sono certo di volerlo sentire...» rispose, abbassando le mani.

L'aveva sentito avvicinarsi, eppure una parte di lui non si era aspettato di trovarselo a distanza così ravvicinata, con l'ombra di un sorriso sulle labbra e gli occhi tranquilli a guardare proprio lui, che si sentiva come seduto nell'occhio di un ciclone.

Per quanto sarebbe durato?

La mano del vocalist trovò la zazzera castana dell'altro in una carezza gentile, quasi di conforto.

«Forse non ne hai bisogno. Anche se per motivi diversi, suppongo che il nostro stato d'animo fosse piuttosto simile.»

Eren piegò la testa in direzione della sua mano. Essere di nuovo toccato da lui era qualcosa che aveva sognato, senza porvi alcuna speranza.

«Lee,» disse, a voce bassa «mi dispiace... Mi dispiace così tanto...»

«Dovevi venire da me.»

«Lo so! Lo so, ma... Mi ha colto di sorpresa, è stato tutto così veloce e poi ha cominciato a parlare di avvocati e denunce, per me, per te, per tutti quanti ed io non... Non...»

Il silenzio calò nuovamente nella stanza, ma stavolta non vi erano tensione o incertezza. Levi aveva inghiottito ogni sua parola, sigillandogli la bocca con le labbra, e il sospiro appagato che emise ridusse Eren all'impotenza più assoluta. Lo sentì tremare, all'inizio, ed infine sciogliersi e ricambiare.

Si abbracciarono, lottando per trovare su quel pavimento duro una posizione comoda finché stanco, il vocalist lo trascinò direttamente sulle proprie gambe.

Dio, se gli era mancato...

Solo ora, perso in quel bacio, sentí di essere tornato davvero a respirare. Fu come se Eren gli fosse entrato direttamente nei polmoni, estendendosi al pari di una linfa vitale in ogni angolo e giuntura del suo corpo, restituendogli tutto ciò che aveva portato via con sé.

Restarono così per minuti interi, le labbra incollate e gli arti intrecciati in un groviglio incomprensibile eppure giusto come poco altro, beandosi semplicemente di quel tiepido calore troppo a lungo negato.

Quando si separò da lui, facendo scorrere le dita pallide tra le ciocche d'ebano dell'altro, Levi posò la fronte sulla sua.

La voce fremette appena, quando gli disse: «Non farlo mai più... ti prego.»

«No... No...» rispose ed i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Cercò di trattenerle al punto da cominciare a tremare, per non apparire troppo debole o emotivo, per l'ennesima volta non tanto adulto quanto lo era il suo compagno. Ma Levi lo baciò di nuovo, stavolta sulla guancia e lo strinse in un abbraccio in cui Eren finalmente riuscì a rilassarsi e sfogare tutto ciò che aveva dovuto tenersi dentro, perché nessun'altro avrebbe potuto capire.

Solo Levi.

Solo lui.

Ad Eren non serviva nient'altro.

L'uomo lo cullò dolcemente, movimenti piccoli e delicati, mentre Eren si liberava del fardello che in quei giorni - in quei mesi - si era portato sulle spalle in completa solitudine.

Quanta pena aveva patito, nel subire tacitamente le angherie da parte di Smith? Quanto lo stress che mente e corpo avevano dovuto accumulare, senza alcuna forma di sollievo? Quanta la paura che si era tenuto dentro, incapace di urlare al mondo intero che il loro amore non fosse sbagliato ma solo degno di esser vissuto...?

Levi inspirò il suo profumo, strofinando la guncia sul suo capo spettinato. Non avrebbe permesso a nulla e nessuno di frapporsi tra di loro. Mai più.

«Shhh, va tutto bene, sono venuto a prenderti. Non voglio allontanarmi da te neanche un istante.»

«A prendermi?»

Eren alzò la testa ed il corvino poté specchiarsi in quegli occhi lucidi ed arrossati, un vero pugno allo stomaco nonostante sapesse che quelle lacrime ora erano di sollievo.

Gli prese il volto tra le mani, carezzandogli coi pollici le gote ancora umide come se fosse un oggetto prezioso. E lo era: il suo fan, la sua musa, il suo tutto.

«Ti ho fatto una promessa, Eren, quella di iniziare una vita insieme ed ho tutta l'intenzione di mantenerla.» Una breve pausa, un respiro profondo, e quella che inizialmente era stata solo una vaga idea prese la forma di una proposta ufficiale. «Vieni a vivere a Mitras... con me.»

C'erano ancora lacrime agli angoli dei suoi occhi, che si spalancarono a quelle parole. Subito, il suo cuore prese a battere, a martellare forte come se dovesse schizzar fuori dal petto, ed il sangue salí alla testa, al viso.

Era evidente che il ragazzo non si aspettasse un invito del genere, l'espressione dipinta sul suo volto ne era l'adorabile prova. Eppure, non era la prima volta che sentiva Levi pronunciare simili parole, sebbene in quel momento gli sembrassero quasi sacre.

«Non ho mai voluto, amato qualcuno tanto quanto amo te.»

«Oh... Lee...»

Eren gli sorrise e nonostante fosse sera, Levi si sentí come scaldato dai raggi del sole di primavera, caldo eppure delicato.

Un attimo dopo, si ritrovò stretto in un abbraccio quasi disperato.

Finalmente, finalmente, l'uomo si sentí di nuovo a casa.

Le sue mani cinsero i fianchi di Eren, risalendo la schiena e poi le spalle, giungendo infine al suo collo. Le dita sciolsero il nodo della bandana rivelando il collare, e Levi sorrise: nulla era più giusto di così.

Le loro labbra si cercarono, si accarezzarono, si fusero nell'unica forma che avrebbero avuto per il resto della vita ed Eren sospirò, felice e sereno.

Proprio mentre stavano per approfondire quel contatto, però, il bussare al di fuori della porta li riportò alla realtà; si trovavano ancora nella camera del giovane e, oltre la soglia, c'era la sua famiglia.

«Eren? È tutto a posto?»

Tra le braccia del suo amato, il ragazzo cacciò un urlo silenzioso, coprendosi la bocca con una mano. Non aveva idea di quanto tempo fosse effettivamente passato, ma non era stato particolarmente attento al volume della propria voce... Che l'avessero sentito piangere? O avessero capito qualcuna delle parole che si erano scambiati? In fondo, quelle pareti non era poi così sottili...

«I miei genitori! Accidenti, loro non sanno ancora niente!» esclamò sottovoce.

Levi non si scompose, mantenendo la parvenza di adulto affidabile e coscienzioso, ma dentro si sentiva agitato come un adolescente che incontra per la prima volta il padre della fidanzata. Quel siparietto immaginario non era poi così lontano dalla realtà.

«Se tu sei d'accordo, credo che questo sia il momento di presentarmi.»

«Oh. Oh oh... Credo? Voglio dire, sì!»

«Eren?» arrivò di nuovo la voce di Carla.

Eren prese un lungo respiro, poi si alzò in piedi, asciugandosi per bene viso ed occhi con le mani. Con un palmo sulla maniglia, si girò per un momento a guardare verso Levi, che era rimasto alle sue spalle per tutto il tempo.

Un piccolo sorriso, un cenno del capo e un attimo dopo l'uscio venne aperto, mostrando il volto leggermente preoccupato della donna.

«Tesoro, sicuro che sia tutto a posto?» chiese, alternando lo sguardo tra il figlio e lo sconosciuto che credeva suo amico. «Vuoi che chiami tuo padre?»

«Ah ah... In effetti, sì, ma non per il motivo che credi tu» rispose Eren, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato. «Andiamo, c'è una cosa di cui devo parlarvi.»

Carla, con un canovaccio ancora tra le mani, vide il ragazzo farsi rosso in viso mentre i suoi occhi cercavano quelli del loro imprevisto ospite e, al pari di un supereroe, i suoi sensi di madre la misero in allerta. La faccenda doveva essere di una certa importanza, se voleva che entrambi fossero presenti.

«Va bene, tesoro. Andiamo in cucina, vi preparo qualcosa da bere. Tu hai preferenze...?» si interruppe, incerta su come proseguire. Il corvino accorse in suo aiuto, tendendole una mano con cortesia.

«Mi scuso per non essermi presentato, prima. Il mio nome è Levi e, se non le arreco troppo disturbo, gradirei del té.»

«Nero» aggiunse Eren senza nemmeno pensarci. «Uhm... Sono sicuro che ne abbiamo in casa... Controlliamo» aggiunse poi, afferrando il polso di Levi per correre fuori dalla stanza.

Era ancora troppo legato alle sue vecchie abitudini.

L'uomo si lasciò docilmente trasportare dall'altro fuori dalla stanza sotto lo sguardo basito della donna, godendosi il calore della sua mano a contatto con la propria pelle.

Erano quelle minuzie, i particolari che Eren faceva inconsciamente propri, che gli avevano inesorabilmente fatto perdere la testa: anni interi trascorsi con le stesse persone ogni singolo giorno e queste non ricordavano neanche il colore dei suoi occhi; poi era arrivato lui, adorabilmente timido e peccaminosamente seducente, e senza alcuno sforzo aveva imparato persino in quale verso facesse girare il cucchiaino nella tazza.

Sentiva il petto gonfio per il troppo amore, talmente colmo da sembrargli che potesse scoppiare.

Aveva davvero rischiato di perderlo, e ringraziò mentalmente l'ego spropositato di quello stronzo dalle sopracciglia folte per aver commesso lo sbaglio che gli sarebbe costato il posto di lavoro.

I tre in fila scesero al piano di sotto. Prima di entrare in cucina, Eren si asciugò di nuovo, velocemente gli occhi. Una semplice precauzione ora che avrebbe fatto un passo che l'avrebbe portato su una strada senza ritorno.

Lasciò il polso di Levi.

Quando varcò la soglia, un uomo era in piedi davanti ai fornelli. Un grembiule rosa scolorito gli stringeva i fianchi ed i suoi capelli lunghi erano legati con un codino dietro la nuca. Quando si girò verso di loro, impiegò qualche momento per riuscire a vederli, a causa della condensa che gli stava appannando gli occhiali.

«Siete arrivati, finalmente. Sapete quanto è difficile non far attaccare queste verdure alla padella?!»

La sua espressione seccata cambiò immediatamente, diventando di confuso imbarazzo quando, attraverso gli aloni opachi, vide una persona sconosciuta accanto al figlio.

In qualsiasi altro momento, Eren sarebbe scoppiato a ridere, ma la tensione gli stringeva lo stomaco e si limitò ad un sorriso nervoso.

Carla andò un soccorso del marito, prendendo il suo posto davanti al fuoco e spense il fornello.

«Se una cosa brucia, smetti di cucinarla! Datti una sistemata, ora, Eren ed il suo amico devono dirci qualcosa.»

Grisha, schiarendosi la voce, rimosse la sottile patina dal vetro degli occhiali con la stoffa del grembiule.

«Non ho bruciato nulla, cara, semplicemente mi piace il cibo ben cotto.»

«Troppo cotto» lo rimbeccò la moglie, mettendo su il bollitore mentre rovistava nella credenza alla ricerca del famoso té.

Il capofamiglia si liberò del poco dignitoso - anche se estremamente utile - capo d'abbigliamento, avvicinandosi al tavolo. Levi, all'estremità opposta, si sporse per stringergli la mano e presentarsi.

«Buonasera, Signor Jaeger. Levi Ackerman.»

Dal suo sguardo era evidente cosa Grisha Jaeger stesse pensando. Principalmente nei suoi occhi si potevano scorgere tre domande: primo, perché non ricordo questo nome negli amici di Eren?; secondo, perché sembra molto più grande di loro?; e terzo, perché è qui?

L'idea che qualcuno dovesse parlargli non gli andava particolarmente a genio, dopo una giornata di lavoro e la cena lì ad attenderlo, ma suo figlio sembrava agitato e senza saperne il motivo qualsiasi pasto gli sarebbe rimasto sullo stomaco.

«È un piacere.»

«Levi è la persona per cui ho lavorato durante il tour» disse Eren velocemente, mettendo le mani dietro la schiena.

I tasselli, lentamente, iniziarono ad incastrarsi nella mente dei due genitori. Ciò spiegava, in parte, la sua presenza in casa loro.

«Perciò sei il cantante di quel famoso gruppo che Eren segue da anni, i Nenein, giusto?»

Il volto del giovane si fece paonazzo per la vergogna, mentre Levi tratteneva un sorriso. «NoName, papà, NoName! Dio, che figura...!»

«Beh, fa lo stesso» l'altro sminuí la faccenda con un gesto della mano. «Che io sappia, il suo contratto si è concluso con la fine della tournée. Sei qui per proporgli un altro impiego?»

«Caro, non infastidire con le tue domande! Non è un interrogatorio!» Carla appoggiò un vassoio di tazzine al centro del tavolo e mise le mani sui fianchi.

«Ho solo fatto una domanda!»

«Sei qui per ascoltare. Se continui a parlare tu, come possono farlo loro?»

Accanto a Levi, Eren portò le mano davanti al viso e sospirò profondamente. Erano sempre così, i suoi genitori e con un'occhiata mandò delle silenziose scuse al fidanzato.

«Infatti sto ascoltando... le risposte alle mie domande.» Grisha sollevò la tazzina, scrollando la spalle con fare ovvio.

A quel punto, Levi decise di prendere in mano le redini della situazione e fornire alcuni dettagli sulla faccenda.

«Come ha detto lei, Signor Jaeger, sono la voce dei NoName. Suo figlio Eren è stato un prezioso assistente, in questi lunghi mesi e, con mia profonda quanto gradita sorpresa, anche qualcos'altro.»

Non era pronto. Non era assolutamente pronto, ma non era nemmeno certo che sarebbe mai arrivato un momento in cui lo sarebbe stato. Il tormento per lui non veniva tanto da un coming out, per cui i suoi genitori non avrebbero sicuramente creato problemi, quanto per i tanti segreti che aveva tenuto, informazioni che aveva nascosto... Temeva di deluderli, temeva di farli arrabbiare.

«Levi ed io stiamo insieme» disse, così in fretta da rischiare quasi di mordersi la lingua.

«Insieme?»

«Insieme insieme?»

Eren annuì, sforzandosi di ignorare il cuore che batteva all'impazzata contro alle costole.

Ci fu silenzio, per qualche momento e poi, come si era aspettato, cominciarono a parlare. Curiosità e preoccupazioni di genitori che scoprono una così grande nuova parte del proprio figlio sfociarono in domande, alcune più delicate, altre meno, ma tutte trovarono la propria risposta dalle voci dei due giovani che si venivano in aiuto l'uno con l'altro, le rispettive mani strette, sotto al tavolo.

Quando la concitazione iniziale si fu placata, Levi decise che era il momento giusto per sganciare la vera e propria bomba.

«Mi rendo conto che per voi tutto questo sia una novità, qualcosa di inaspettato e certamente non semplice da assimilare. Voglio rassicurarvi sulle mie intenzioni: amo Eren, è la cosa più bella che la carriera mi abbia regalato e poco fa gli ho proposto una convivenza ufficiale.»

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