13 • When i try I swear it's never enought, I messed up

[Una settimana prima, Stohess]

«Mi prendi per il culo?!»

«Sarò veloce.»

«Non dipende da te! Fingi di non aver visto quella fottuta mail e vieni con noi.»

«Non posso. Non sarebbe professionale, e poi comunque gli ho già risposto.»

Levi ringhiava sottovoce, le sopracciglia aggrottate in un'unica linea a V nel centro della fronte. Eren le spianò con la punta dell'indice, ridacchiando senza poterlo evitare.

«Arriverò prima che posso. Non mi terrebbe mai lontano dal vostro concerto, perfino Smith sa che lì sono utile a qualcosa.»

Salutandolo all'ingresso dell'albergo, agitò la mano con energia. Il sorriso che aveva dipinto sul volto scomparve non appena la portiera si fu chiusa. Per tante volte in cui il diabolico manager l'aveva convocato nella propria stanza-ufficio, c'era sempre stata una motivazione ben chiara. Eppure quella e-mail ricevuta la mattina era stata piuttosto criptica. Gli chiedeva –ordinava- di presentarsi nella sua camera prima di recarsi al concerto. Un orario, un luogo, nulla più.

E per qualche motivo Eren aveva davvero la sensazione di star infilandosi nella tana del serpente.

*****

Ogni goccia di sangue sembrava essere scomparsa dal suo corpo. Non aveva mai provato tanto freddo quanto in quel momento, quando infiniti e continui brividi gli percorrevano la schiena dalla base e risalivano, conficcandosi come schegge di vetro nel cuore. Il suo viso era pallido, gli occhi sgranati al punto da non battere nemmeno le palpebre, mentre fissavano senza mai distogliere lo sguardo lo schermo di un computer che gli era stato messo davanti tanto all'improvviso quanto a tradimento.

Avrebbe voluto parlare e dire qualcosa, ma la voce era un'altra delle cose che la paura e lo shock gli aveva strappato via.

Per favore... Per favore, no... Non può essere vero...

Erwin Smith lo guardava in silenzio, le braccia incrociate, in piedi dietro la scrivania.

Quando non poté più evitarlo, Eren deglutì.

«N-Non è come sem-...»

Il manager chiuse di scatto lo schermo del portatile e nella stanza calò nuovamente il silenzio.

«Non insultare la mia intelligenza, Jaeger. È buio, ma chiarissimo. Non c'è modo di sbagliarsi.»

«Do-dove...»

«Oh, tecnicamente l'ho trovato per errore tra i file della signorina H, ma ufficialmente... me lo hai mandato via mail.»

«Io cosa?! Ma non è v-»

«Mi hai mandato questo video, minacciandomi di renderlo pubblico e rovinare la carriera della band, se io non ti avessi pagato quanto volevi. Ed ora, per il loro bene, sono qui per proporti un accordo...»

Eren lo vide aprire un cassetto, afferrare qualcosa con una calma che decisamente lui stesso non sentiva, pervaso da mille brividi e altrettanti nefasti pensieri, mentre il proprio cervello tentava freneticamente di processare quanto stesse accadendo e accorrere in aiuto del cuore che, povera vittima, batteva a un tale ritmo da rischiare di esplodere.

La mano di Erwin estrasse una penna, elegante e costosa quanto il suo completo, dal taschino interno della giacca. Rimosse il tappo laccato con la stessa meticolosa precisione con cui ci si disfa di una briciola molesta, impugnandola con la medesima grazia con cui si maneggia una spada, ed era esattamente così: era armato e, con le prove in suo pugno, estremamente pericoloso. Non gli importava che il suo avversario fosse in condizione di netto svantaggio; era stato Jaeger a infilarsi in quella scomoda situazione, strisciando tacitamente nelle loro vite fino a intrecciare la propria con quella della sua maggior fonte di guadagno. Levi si era lasciato irretire dal suo bel faccino, così come il resto del gruppo, ma avrebbe finalmente posto rimedio al danno e reindirizzato il tutto sulla giusta via: quella lastricata di soldi, dagli scintillanti mattoni dorati, e non di favole dove i protagonisti avrebbero vissuto "felici e contenti". La vita vera non prevedeva un lieto fine.

«Voglio che tu sparisca, interrompa qualunque contatto con i NoName e chi li circonda. Ti pagherò quanto dovuto, più un assegno di "buona uscita" per il lavoro egregiamente svolto. Rassegnerai le dimissioni con effetto immediato e non voglio mai più vedere la tua faccia. Se solo ti azzardi a presentarti a qualche evento, io consegno il filmato della tua tresca ai media e brucio la carriera del tuo amante.»

Amante.

Pronunciata con tanto veleno quella parola sembrava addirittura un insulto.

Per Eren, invece, non rappresentava nemmeno la millesima parte del ruolo che Levi rivestiva nella sua esistenza: era il suo idolo, il suo amico, il suo più intimo confidente, la sua anima gemella. Era stato il primo, dopo i suoi genitori, a credere nelle sue potenzialità e nei suoi sogni, nascosti e dimenticati. L'unico ad avergli letteralmente strappato il cuore solo per donargli il proprio, senza filtri e maschere. Per nulla al mondo, quindi, avrebbe anche solo rischiato che ogni sforzo dell'uomo venisse gettato al vento, a causa sua.

I fremiti cessarono, i palmi tremanti si chiusero e lo sguardo di Eren divenne fermo. Vitreo.

«Mi da la sua parola che, se vado via, i NoName sono al sicuro? Che Levi continuerà a cantare...?»

Il sorriso malefico di Erwin distese il suo viso spigoloso. «Lo giuro sul mio onore.»

«Lei non ha onore, Signor Smith, ma solo avidità. Dovrò farmi bastare quella.»

*****

Con il biglietto aereo nascosto nella tasca dei jeans, corse a perdifiato lungo i corridoi del backstage mostrando il proprio tesserino alla security ancor prima che gli chiedessero chi fosse e cosa ci facesse lì. Tutti erano in fermento, il pubblico urlante mentre udiva le prime note del pezzo d'apertura fluire attraverso le enormi casse, ed Eren si costrinse ad aumentare l'andatura, le gambe che imploravano pietà per quell'improvviso sforzo.

I suoi occhi riconobbero immediatamente le sue spalle ferme e la postura sicura di chi sa perfettamente quale sia il proprio posto nel mondo, ed il ragazzo sospirò di sollievo prima che il respiro gli si spezzasse nuovamente nel vederlo incamminarsi verso il palco.

Non poteva lasciarlo andare, non ancora.

«L!»

L'uomo, nell'udire la sua voce, si girò immediatamente. Sul suo viso vi erano dipinti confusione, rabbia e... gratitudine.

Poteva leggere nello sguardo di Levi il sollievo di vederlo lì, nonostante fosse tutto sbagliato: il tempo, lo spazio e forse, persino loro.

«Ora devo andare, Eren. Parliamo do-»

Si mosse ancor prima di rendersene conto, afferrandogli il bavero della giacca scura.

«No! Ti prego. Ti prego, solo un minuto. Trenta secondi... Vo-voglio solo...»

Sperò che la sua voce non suonasse così disperata quanto era parsa a lui. Non aveva più tempo. Non finí la frase che spinse il cantante dietro una tenda accanto all'uscita del palco. Nascondersi, dovevano nascondersi un'ultima volta.

Catturò le sue labbra con le proprie.

Un bacio veloce, sussurrato, talmente breve che Levi ricambiò appena, troppo sorpreso da quel gesto repentino.

Eren gli accarezzò delicatamente il volto, attento a non scostare le bende dal punto in cui si trovavano. Desiderava poterlo guardare negli occhi, specchiarsi in quelle iridi meravigliose senza quello stupido impedimento, ma aveva già ottenuto più di quanto potesse sperare.

«Sono così felice di essere arrivato in tempo... Volevo solo dirti buona fortuna. Sarai eccezionale» balbettò.

«Come sempre.» Levi lo prese in giro, dedicandogli uno dei suoi sorrisi mozzafiato.

Fuori dal loro piccolo nascondiglio, gli assistenti di scena lo stavano chiamando, cercandolo disperati.

«Ci vediamo dopo, ragazzino. Ti amo.»

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Eren lo spinse con forza fuori dalla tenda, restandovi nascosto e il vocalist venne

immediatamente trascinato sul palco.

Sentí il boato, migliaia di voci in coro che lo acclamavano come una divinità scesa tra i comuni mortali, benedicendoli con la sua sola presenza, e le ginocchia cedettero.

«Ti amo...»

Solo a quel punto, e solo allora, Eren si concesse di piangere. Ce l'aveva fatta, era riuscito a baciarlo e vederlo un'ultima, straziante volta.

Silenziosamente, si intrufolò nel camerino di L. Nonostante lo spropositato numero di fiori che già lo occupavano, il ragazzo riusciva a percepire il suo profumo.

Doveva essere forte. Doveva esserlo per lui.

Tirò fuori il biglietto che aveva preparato di fretta e furia nell'auto prestatagli da Smith per giungere in aeroporto. Aveva supplicato l'autista di ritardare la partenza solo per qualche minuto, allungando il percorso e passando prima all'auditorium. Ripose la busta sulla superficie liscia del piccolo mobiletto, la specchiera che lo scherniva mostrandogli la propria immagine in tutta la sua crudele decadenza: spento, distrutto, letteralmente sconfitto; la persona che Levi aveva imparato ad amare sparita tra i cocci di un futuro che Smith aveva diabolicamente calpestato.

Le sue dita trovarono gli anelli e, nello sfilarli, per Eren fu come sentire un dolore fisicamente inesistente, ma reale e concreto quanto le fitte che da ore gli squarciavano il petto. La busta di carta emise un fruscio che gli ferì le orecchie, mentre li riponeva lì, al sicuro.

Quando però i polpastrelli toccarono la pelle morbida del collare, Eren si spezzò definitivamente.

Non poteva. Sapeva di doverlo fare, ne era pienamente consapevole.

Qualche istante dopo uscì dalla stanza stracolma di bouquet e composizioni floreali, le mani che tenevano ben sollevato il colletto della camicia, celando l'unica cosa che non era riuscita a lasciarsi alle spalle.

*****

La macchina lo attendeva nell'esatto punto in cui lo aveva lasciato.

Era riuscito a calmarsi il tempo necessario per comunicare all'autista di riprendere il viaggio. Quando vide l'aeroporto, attraverso il filtro sfocato delle lacrime, il cuore in petto gli si fece piccolo piccolo.

Era arrivato in quello stesso posto solo pochi giorni prima e la sua vita era completamente diversa. Aveva avuto tutto ciò che potesse desiderare, ma stava ripartendo senza nient'altro che ricordi.

Non poteva evitare di controllare in continuazione l'orologio ed immaginare ciò che stava accadendo nell'enorme auditorium, in quello stesso momento, seguendo una scaletta ben organizzata che lui conosceva a memoria. Le pause per i cambi d'abito, le canzoni che si susseguivano incessanti, un paio di occhi azzurri, celati da bende bianche, che osservavano il pubblico cercando un singolo volto tra le migliaia.

Non l'avrebbe trovato, ma avrebbe dato la colpa al caos, agli impegni, al lavoro. A tutto, meno che alla reale ragione di quell'assenza, che mai avrebbe sospettato.

L'aereo decollò ed Eren osservò dal finestrino la città che diventava minuscola, come il suo cuore che nel petto sembrava essersi perso ed aver dimenticato come battere normalmente. Sollevò una mano e si toccò il collo. Lì portava ancora qualcosa a cui non aveva saputo rinunciare e si sentiva un ladro per questo. Il collare era un simbolo che lui aveva tradito, era un oggetto di valore sentimentale ed economico e portarlo via per conservare un ricordo tangibile di quei mesi gli provocava una punta di dolore nello stomaco. Eppure era stato troppo debole per fare la cosa giusta.

Gli occhi bruciavano, arrossati dal sale delle lacrime che aveva versato. Per il momento le aveva finite. Osservò le luci scomparire quando l'aeroplano bucò le nuvole. Durante il volo, durato una notte intera, alla fine la stanchezza ebbe la meglio.

*****

Non si era mai sentito così sopraffatto da emozioni contrastanti - delusione, insofferenza, dolore - che facevano a pugni nel suo animo provato, eppure al tempo stesso estremamente vuoto. Era esausto, letteralmente. La sua mente non riusciva più a sopportare l'esser circondato da persone, oggetti, eventi che in qualche modo gli ricordassero lui. Gli sembrava di rivivere ogni singolo ricordo in slow motion in attesa della pugnalata che, inesorabile, sarebbe giunta alle sue spalle sotto forma di arido biglietto.

Non ne poteva più. Voleva andare via. Allontanarsi, estraniarsi, rinchiudersi da qualche parte oppure circondarsi di gente nuova, nemmeno Levi lo sapeva.

Non era mai stato lasciato, perché non si era mai impegnato nei confronti di qualcuno. Non aveva mai concesso a nessuno tanta fiducia. Non aveva mai regalato a nessuno tanto amore, perché non se ne credeva capace. Era triste scoprire non solo che fosse in grado di provare un simile sentimento, ma che fosse talmente vasto da privarlo di ogni energia che non fosse dedicata in favore dell'amato.

Avrebbe potuto tentare il famoso "chiodo scaccia chiodo": in fondo era sempre passato da un partner all'altro come si cambiano i calzini; quanto avrebbe potuto essere difficile tornare al suo vecchio stile di vita, dove ogni notte nel suo letto trovava un nuovo corpo da...

Il solo pensiero di guardare, accarezzare, baciare un corpo che non fosse il suo gli diede la nausea.

Doveva partire, adesso, prima che ogni briciolo di sanità mentale lo abbandonasse del tutto.

Con quel pensiero nella testa, uscì dalla propria camera d'albergo dirigendosi verso quella del suo assistente temporaneo, ovvero Erwin, alla fine del corridoio. Era lui infatti ad aver preso le redini della situazione, organizzando tutti i suoi impegni e gestendo gli orari. La sua scheda era stata particolarmente fitta, rispetto a quando era qualcun altro ad occuparsene, e non ne era affatto entusiasta. Probabilmente il manager aveva pensato che un'agenda fitta lo avrebbe distratto; invece, gli aveva dato troppe occasioni di paragone.

Tutti glielo ricordavano, ma nessuno era lui.

La porta della stanza si aprí un istante prima che le sue nocche si scontrassero col legno duro, accompagnata dal cigolio del carrello che l'addetto al servizio in camera spinse fuori. Questo gli sorrise, riconoscendolo per via delle lenti da sole in quel luogo chiuso, con l'emozione per aver incrociato il famoso cantante sul proprio cammino dipinta in viso per poi allontanarsi velocemente a sguardo basso. Levi non lo degnò di un'occhiata, tenendo l'uscio aperto e scivolando all'interno.

Aprí la bocca, pronto a sbottare all'indirizzo del superiore e chiedergli quanto ancora sarebbe durata quella pagliacciata prima che potesse godersi il meritato riposo, ma ciò che giunse alle sue orecchie lo paralizzò in un istante. Le sue membra si irrigidirono, non rispondendo più ai comandi, le pupille si restrinsero preda dello sgomento più assoluto e il suo cuore, che credeva oramai avvizzito come una prugna secca, prese a battere così veloce da bloccargli l'aria nei polmoni e le parole nella gola.

Una risata.

Cristallina, pura come il canto di un angelo e tentatrice come quella del diavolo, talmente familiare da essere incisa a fuoco nel corpo e nell'anima del corvino. Così soave da rendere ogni luogo un paradiso e seducente al punto da desiderare di trovarsi all'inferno, pur di ascoltarla ancora una volta.

«Lee...»

«Eren.»

Il tonfo dell'uscio che, complice, si richiuse alle proprie spalle fece voltare Erwin, il quale era seduto al tavolo da pranzo con dinanzi il suo portatile. La sorpresa attraversò i suoi occhi cerulei per una frazione di secondo, prima che la sua voce esprimesse rammarico e costernazione.

«Non avresti dovuto vederlo. Volevo evitarti un ulteriore dispiacere.»

Levi aveva il palato arido come il deserto.

Sul monitor, il viso di Eren era sorridente e leggermente arrossato mentre, ancora sporco di panna, lo baciava con tenera passione.

«Come fai ad avere quel filmato?» riuscì a dire.

Era il compleanno del ragazzo, all'Aqua, lo stesso giorno in cui si erano confessati apertamente il loro amore e gli aveva donato-

Il collare.

Eren gli aveva restituito gli anelli, ma non quello. Aveva portato con sé il simbolo della loro unione, della sua innegabile appartenenza all'uomo dalle iridi di ghiaccio, il marchio che mai nessuno avrebbe potuto cancellare. Perché...?

«Levi...»

«Dimmelo, cazzo! Come diamin-»

«Lo ha usato per ricattarmi.»

Quelle sillabe faticarono a trovare posto nella mente del corvino. Cosa stava dicendo...?

Erwin si mise in piedi, espressione affranta e cipiglio aggrottato, facendo scivolare le dita sulla superficie liscia del mobile pregiato.

«È venuto da me con questo video. Ha minacciato di venderlo ai tabloid, se non lo avessi pagato. Teneva in pugno la tua intera carriera in una misera chiavetta usb, Levi. Non potevo permettere che la clausola del contratto venisse violata. Il successo della band dipende dalla segretezza delle vostre identità, dall'immagine che il pubblico ha di voi, dalle congetture che i fan creano nelle loro menti.»

Levi era pericolosamente vicino al crollo emotivo. Rischiava letteralmente di ridursi in briciole lì su quel fottuto tappeto, e non gli sarebbe importato granché. Tutto, pur di non provare. Non capire. Non soffrire.

La mano di Erwin si posò sulla sua spalla, ma nulla esisteva più se non il vuoto più assoluto.

«Credevo fossi tu il mio regalo...!»

I fotogrammi continuavano a susseguirsi, ignari del tumulto interiore del vocalist che, assente, osservava il preludio della propria disfatta.

«Voglio fare l'amore con te...»

Lo sguardo di Eren incontrò per un momento l'obiettivo e Levi si lanciò in avanti per fermare il video. La qualità della ripresa era scarsa, scura, eppure le iridi di Eren brillavano come il Sole stesso all'apice del suo arco, esplodendo in un tripudio di emozioni che ebbero il potere di farlo riemergere dal baratro in cui era precipitato.

Quegli occhi gli avevano parlato dal primo istante, gridando una passione senza eguali e soprattutto un sentimento senza confini.

Eren lo amava, lo aveva sempre fatto.

Aveva dubitato della persona sbagliata, l'unica che non meritava un simile tormento.

Non lo aveva lasciato, lo avevano allontanato.

Quando si voltò, vi erano fiamme nel suo sguardo.

«Sei stato tu...»

Erwin parve trasalire ma la sua incertezza fu di breve durata.

«Non capisco, Levi.»

«Tu hai ricattato lui, brutto figlio di puttana!»

«Ti ho appena detto che-»

«STRONZATE!»

Un calice colmo di vino si rovesciò, il liquido scarlatto che scivolava sul tavolo liscio e andava ad impregnare le fibre del tessuto sotto i loro piedi, macchiandolo irrimediabilmente. La chiazza si estese rapidamente come un morbo letale, alla stessa velocità con cui l'animo di Levi prendeva coscienza che il nemico era sempre stato accanto a lui. Non erano mai stati la notorietà, il mondo dello spettacolo, e certamente non Eren.

Erwin Smith era la minaccia alla sua felicità, concreta e reale come il pavimento che li sosteneva.

La facciata cadde e il manager rivelò finalmente la propria natura avida e arrogante.

«Quel ragazzino sarebbe stato la nostra rovina. Ti sei lasciato abbindolare da due frasi smielate e quello sguardo da cucciolo adorante che aveva nello starti accanto. Ma non vedi come ti ha trasformato? Sei solo l'ombra di L, ormai, e non è quello che la gente vuole: desiderano qualcuno di inavvicinabile da venerare, un sogno proibito, qualcosa di irraggiungibile!»

«La verità è che ti rodeva che non fossi più il tuo fantoccio, che non assecondassi la tua fame di soldi! Il nostro successo è dovuto al nostro talento, non ai castelli in aria che gli altri costruiscono nel loro cervello di merda! Facciamo il 'tutto esaurito' perché siamo bravi, regaliamo un'esperienza unica e trasmettiamo emozioni come nessun altro!»

«Ti senti quando parli?! Credi davvero che sia tutto merito vostro? Io vi ho lanciati, è a me che dovete riconoscenza!»

«Io non ti devo un cazzo!»

La porta della stanza venne aperta da una cameriera la quale venne malamente spostata da Hanji, spettinata e preoccupata per l'amico. Mike era immediatamente alle sue spalle.

«Si può sapere che succede? Si sentono le vostre grida per tutto il piano!» fece la bruna, alternando lo sguardo tra i due contendenti.

«Lei vada via!» urlò Erwin alla povera inserviente che, incassata la testa tra le spalle, fuggì a gambe levate. «Non voglio che restiate coinvolti in alcuno scandalo.»

«È solo quello che ti interessa: spremerci come limoni e guadagnare il più possibile, fino a quando non resterà altro che le nostre ossa.»

«Levi, cosa stai-»

«Hanji, posa quel maledetto aggeggio! Solo tu potevi pagare una spogliarellista del cazzo...»

L'attenzione della bassista e del batterista venne catturata dalla voce dell'amico, proveniente dalle casse del portatile. Il video aveva ripreso a scorrere trasmettendo immagini che nessuno, ad eccezione dei protagonisti, avrebbe mai dovuto vedere. La donna era sconvolta.

«Io non-» balbettò. «Non l'ho mostrato ad anima viva, come... Lo hai rubato!»

L'accusa era stata lanciata, ma Erwin non si sforzò di negare l'evidenza. Non aveva senso farlo.

«Quello stupido idiota ci avrebbe condannati alla rovina.»

«Tu non fai parte dei NoName.» Quella di Mike fu la sentenza finale.

«È colpa sua se...?» sussurrò Hanji, timorosa nel pronunciare quel nome.

«Sí. Ha fatto in modo che Eren si separasse da me» pronunciò a denti stretti quelle parole, incapace di trattenere la furia che gli dilaniava le viscere ancora per molto.

«Oh, Levi, io... Mi dispiace.»

«Vi rendete conto che quel moccios-»

Il pugno lo colpí talmente inaspettato da far perdere ad Erwin l'equilibrio. Urtò contro una sedia, evitando di cadere, ma sentiva il volto dolere per il colpo ricevuto.

«Hai perso il senno?!»

«Mai stato più lucido...!»

La voce di Levi era un ringhio ferale, che convinse Erwin a battere per il momento in ritirata. Aveva abbastanza esperienza da sapere che niente poteva essere risolto quando gli spiriti ribollivano. Avrebbe lasciato calmare le acque, poi trovato un compromesso, chiedendo aiuto a ciò che di più affidabile conosceva: la squadra di avvocati che da sempre lo seguivano fedelmente.

Nonostante quella fosse la sua stanza, né uscì spedito, non mancando l'occasione di avere però l'ultima parola.

«Ne riparleremo!»

«Mi stai per caso minacciando?!»

A Levi bastò fare un passo avanti, gli occhi rossi per la rabbia, perché il manager decidesse di non aver più nient'altro da aggiungere e sparisse oltre la porta.

Nella stanza cadde il silenzio, interrotto dal respiro affannoso del vocalist, che usò quei pochi momenti per calmarsi.

«Scusate se vi sembro insensibile, ma ora devo trovare Eren...» disse poi, rivolgendosi ai due assistenti sopraggiunti nel frattempo e rimasti attoniti in disparte, fino a quel momento. «Voi due sapete qualcosa?»

«Non ci ha detto niente...» disse Moblit, scuotendo la testa, ma Nanaba lo zittí con un cenno della mano.

«Ricordo una cosa. Sono assolutamente sicura che quella sera il Signor Smith mi abbia chiesto di prenotare un volo per Shiganshina, appena prima del concerto... L'ho fatto senza pensarci, ma col senno di poi credo che fosse per Eren...»

Il corvino sospirò, sfregandosi gli occhi con le dita.

«Molto bene. D'accordo. Vado in aeroporto, per favore trovami un posto sul primo volo disponibile» disse, voltandosi un'ultima volta prima di sparire oltre l'uscio. «Grazie...»

Corse verso le uscite di sicurezza, dando indicazioni all'autista e tamburellando con insistenza le dita sul ginocchio. Il display del cellulare si illuminò, rivelando l'orario di partenza e il posto a sedere prenotato.

Si maledí per non aver provveduto a sistemare Erwin quando tutto era perfetto.

«Aspettami Eren...» 

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