11 • Baby you let go and I pull you back
Se avesse avuto un solo dubbio sulla veridicità delle minacce di Smith, il mattino le cancellò completamente dalla sua mente.
Puntuale come il boia all’esecuzione, il manager bussò alla porta della sua stanza. Tre colpi decisi e veloci, che vibrarono sulla porta di legno e plastica decorata a regola d’arte, degna del lusso che ci si sarebbe aspettati da un hotel a 5 stelle.
Ma Eren era pronto.
Andò ad aprire immediatamente, già vestito, pettinato e con una tazza di caffè in mano, che si era fatto portare direttamente in camera.
A lui il caffè neanche piaceva, ma aveva pensato che sarebbe apparso più competente, con quell’aroma energico che si diffondeva per la stanza.
«Buongiorno Eren.»
Strinse i denti, sentendo pronunciare il proprio nome. La confidenza tra loro era passata da zero a cento decisamente in troppo poco tempo, e la crescita era stata unidirezionale.
«Buongiorno a lei, signor Smith.»
Eren si comportò nel modo più professionale possibile, per evitare che il biondo potesse fargli qualsiasi tipo di rimprovero. La sera precedente aveva ricontrollato ogni documento che avrebbe potuto voler esaminare. La sua era stata una rilettura meticolosa, in cui si era assicurato di non renderli solo corretti, ma anche piacevoli da guardare. Aveva imparato a giocare coi colori piuttosto bene, dovendo gestire la variopinta agenda degli impegni dell’alter-ego del suo ragazzo. Smith si dimostrò un avversario non da poco. Impiegarono quasi mezz’ora per completare la revisione. Eren era certo che si stesse accanendo in particolar modo su di lui. Non c’era altra spiegazione. Se avesse davvero impegnato mezz’ora della propria mattina per ciascun assistente, avrebbe causato ritardi alla sua stessa tabella di marcia. Quando alla fine lo vide alzarsi dal divano su cui si era accomodato durante il resoconto, tirò un silenzioso sospiro di sollievo.
«Bene, Eren. Le cose saranno diverse d'ora in avanti, come ben sai. E mi aspetto che restino sempre di questo livello.»
Poi se ne andò. Prima che il ragazzo potesse fare o dire qualsiasi cosa diversa da un cenno obbediente del capo.
Quando la porta si fu chiusa, Eren ricadde pesantemente sul divano. La tensione si sciolse, anche se solo in parte. La sua intera giornata ora sarebbe stata come un continuo test. E non era sicuro di voler scoprire quali sarebbero state le conseguenze, se non fosse riuscito a passarlo.
Una decina di minuti trascorsero, mentre concentrava le proprie energie all'unico scopo di rilassarsi. Un singolo messaggio di Levi fu capace di farlo sorridere di nuovo. Qualche parola, scritta nel suo formale stile completo di ogni segno di punteggiatura e maiuscole al proprio posto, con cui gli chiedeva dove fosse finito e quanto tempo ci avrebbe messo a raggiungerlo.
[08:32] : Il prima possibile sarò da te. Ti ho mandato il programma della giornata via e-mail!
Aveva aggiunto l’emoticon di un cuore, alla fine della frase, ma temendo che qualcuno potesse vederla, la cancellò prima dell’invio. Non aveva bisogno di simboli in un messaggino perché Levi si ricordasse che lo amava.
Soddisfatto, preparò la borsa per quella giornata. Ogni quaderno, foglio, fascicolo e penna per scrivere trovarono il loro posto all’interno di una delle tasche, insieme a tablet e cercapersone. E proprio quando pensava che finalmente la sua giornata potesse cominciare, qualcosa rovinò tutto.
Uno dei fascicoli che aveva preparato la sera prima, un programma specifico e dettagliato del giorno precedente al concerto, era scomparso. Lo cercò dappertutto.
Non poteva essere lontano, era sicurissimo di averlo appena mostrato a Smith. Aveva anche scarabocchiato su un post-it alcune modifiche che il manager gli aveva ordinato di apportare, così da poterci lavorare su più tardi, dopo aver accompagnato Levi al suo photoset.
Disperato, si mise a sfilare tutti i cuscini dal divano, alzare i tappeti. Svuotò perfino la borsa e la sistemò dall’inizio, per assicurarsi che non fosse scivolato per errore in mezzo ad altre carte. Infine, ormai in preda allo sconforto, guardò anche in camera da letto ed in bagno, luoghi in cui i fascicoli di lavoro non erano mai stati portati.
Tutto fu inutile.
Con la morte nel cuore, l’ansia a stringergli lo stomaco e tremare le mani, scrisse a Levi per avvisarlo che avrebbe fatto tardi per motivi di lavoro. Finì il caffè in un solo sorso, storcendo il naso per il gusto amaro ed orribile che gli invase la bocca, ma se lo meritava. Era la sua punizione per aver smarrito qualcosa di così importante.
Da solo, nella stanza d’albergo, passò le successive due ore a scrivere da capo il documento perduto, sforzandosi di ricordare a memoria ogni correzione che Smith avesse ordinato poco prima, temendo da un momento all’altro di sentire quei tre ritmici colpi alla porta annunciare l’arrivo della mannaia.
Molto male, Jaeger. Temo che dovrò prendere provvedimenti…
*****
Levi intanto si trovava allo Stohess Auditorium, dove si sarebbe tenuto l'ultimo concerto di quella tournée. Sei mesi in cui si era spostato ininterrottamente lungo il paese, visitando le città più importanti e appropriandosi di quelle strutture adatte a contenere l'elevato numero di spettatori che sarebbero sopraggiunti come in pellegrinaggio verso un luogo sacro.
Studiò la scaletta del repertorio della band, muovendosi, nel frattempo, sul palco come se volesse misurare le distanze: era un'abitudine che aveva preso quando si esibivano ancora nei piccoli e angusti locali, e non negli stadi in cui i loro fan si riversavano come un fiume in piena, pronti ad acclamare i loro beniamini.
Il tecnico del suono, dalla propria postazione, gli fece un cenno d'assenso. Le enormi casse emisero un fischio breve e acuto, segnalando l'accensione del microfono sull'asta, proprio di fronte a Levi. Il vocalist lo afferrò mentre la base del primo brano, registrata appositamente per il sound check, riverberava attraverso i grossi altoparlanti in una eco quasi innaturale, dato il precedente silenzio che regnava nell'auditorium semi deserto.
Le dita dell'uomo, lunghe e pallide, si strinsero intorno all'oggetto con naturalezza, i suoi palmi callosi nei punti in cui il contatto avveniva con maggior frequenza. Lo staccò dal morsetto, portandolo in prossimità delle labbra, le quali si schiusero per dar forma alle parole della canzone. Era una delle prime che Levi avesse mai scritto, all'inizio della loro carriera, nata da un giro di bassi improvvisato da Hanji.
Hi everybody this is NoName, you're listening to Chosen
Listen clear now, baby
Ya, ya 'cause it begins like
Attorcigliò il filo tra indice e pollice, camminando lentamente verso il bordo dellavribalta, immaginando che oltre le transenne non ci fosse il vuoto ma centinaia di mani protese, occhi adoranti e urla di eccitazione. Sogghignò, ascoltando nel frattempo il modo in cui la propria voce si espandeva nell'ambiente e facendo attenzione a eventuali distorsioni che avrebbero compromesso la qualità della performance.
Mmm I started when I was 17 and now I'm here brah ya, ah
You don't even know what it means, so let me explain ya, ah
I go far very far from my dreams and now I believe ya
But I but I don't need no money in my jeans to be an artist
One two three
Percorse il palcoscenico da un lato all'altro, osservando una platea inesistente ma altresì reale nella propria mente, regalando qui e lì sorrisi affettati e movenze flessuose. E, tra centinaia di occhi che non aveva mai visto, due iridi lucenti come smeraldi lo trafissero da parte a parte.
La visione di Eren era identica in tutto e per tutto alla versione che, tempo addietro, aveva conosciuto: la fascia stretta sulla fronte, la giacchetta rosa sulle spalle e lo sguardo di chi avrebbe dato qualunque cosa per essere notato anche solo un misero secondo; sudato, estasiato, cantava il proprio entusiasmo seguendo le note della canzone. Il suo fan numero uno, pronto ad accoglierlo oltre una porta col suo scintillante biglietto dorato. Quante cose erano cambiate da allora.
Levi rise di sé stesso: il fatto che trascorresse sempre minor tempo in compagnia del ragazzo stava giocando brutti scherzi alla sua psiche.
This is not music, this is life, this is what i live for
So let me introduce myself 'cause I can't take no more
Here there's too many stupid people and they have control
I got a plan in my mind and I won't let go
I've got a pistol in my head, pam pam pam shoot
And I don't wanna hear you so please shut up and now
Con le dita alla tempia, premette un grilletto immaginario per poi incitare la folla a seguirlo, idolo delle masse e stella dello star system.
Hey, follow me, follow me now
So hey, follow me, follow me now
So hey, follow me, follow me now
Listen now now now now now now, ya
Follow me, follow me now
Per quando ebbe terminato, nonostante non fosse necessario infondere troppe energie e dedizione in quel lavoro, il corvino era sudato e col fiato corto. Bevve da una bottiglietta, dissetandosi, per poi tornare in albergo per una doccia veloce prima del successivo impegno della giornata.
Diretto verso lo studio fotografico, controllò il cellulare che aveva accantonato in favore del sound check.
Quel mattino Eren, alla fine, aveva inviato un messaggio dicendogli che aveva del lavoro da sbrigare, ma che si sarebbero rivisti all'ora di pranzo prima del photoshoot per il Titan Magazine. Controllando l'orologio al proprio polso, più per abitudine che per necessità, sperò che fosse vero. Gli mancava più di quanto il suo cuore potesse sopportare, ormai troppo abituato alla sua presenza e quasi dimentico degli anni in cui non aveva fatto affidamento su nessuno all' infuori di sé stesso. In caso non lo avesse raggiunto, avrebbe fatto irruzione nella sua camera d'albergo con un carro armato - premurandosi di calpestare Erwin sotto i cingoli, ovviamente.
Prima del servizio, agli artisti venne portato un pranzo leggero, ma energetico. Avevano provato tutta la mattina ed erano affamati, ma non potevano certo lasciare che il cibo gonfiasse loro lo stomaco prima di scattare foto importanti.
Nanaba e Mike erano lì insieme a loro, entrambi con il proprio panino in mano e le cartellette degli impegni dei propri artisti. Del più giovane del gruppo, però, nessuna traccia. Levi controllava sporadicamente il proprio cellulare o lanciava sguardi agli assistenti, ogni volta che li vedeva impugnare i cercapersone, come sperando che una qualsiasi notizia giungesse da loro.
Ormai rassegnato, finito di mangiare, si ritirò nel proprio camerino per lasciarsi torturare da parrucchieri e truccatori. Ed ecco che lì, finalmente, Eren si fece vivo. Era affannato, come se avesse corso per arrivare, ma era lì, ce l'aveva fatta e non gli importava di altro.
«L, scusa l'attesa» ansimò, mettendosi in un angolo per non stare tra i piedi della truccatrice, che aveva comunque quasi finito.
«Dove cazzo sei stato, tutta la mattina? Credevo morissi dalla voglia di vedere il sound check» sbottò l’uomo, incrociando le braccia.
La donna, che si affaccendava attorno a lui con ciprie e correttori, arricciò il naso infastidita: come poteva truccare un viso che continuava a muoversi?
«I-Io stavo lavorando!» si giustificò Eren in fretta. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ in colpa.
«Strano, perché nella tua ultima e-mail ti vantavi di aver completato tutti gli incarichi.»
A quelle parole, Eren assunse l'espressione di un cucciolo che è appena stato sgridato dal padrone.
«Sì, è vero, ma… Ecco, ho perso una cosa, una cosa importante, e così ho dovuto rifarla…» confessò, guardandosi le punte dei piedi.
«Perso?» Levi sollevò le sopracciglia, scatenando una nuova serie di sospiri frustrati da parte della truccatrice, che però ignorò prontamente.
«Sì! Io giuro, giuro che non me lo spiego! Davvero! Stamattina c'era, l'ho visto, l'ho letto, quel fascicolo! Eppure dopo che Smith se n'è andato, quando ho cominciato a raccogliere-»
«Smith? Era in camera tua?»
«Sì, per la revisione di controllo. Te l'avevo detto, ieri, ricordi?»
L'aveva fatto, sì. L'aveva avvisato che quel dittatore bastardo aveva intenzione di incontrare ogni assistente, il mattino seguente, ma il pensiero che potesse bussare direttamente alla camera di Eren, entrarvi, sedersi sul suo divano, passare del tempo con lui in un ambiente dove sarebbero stati solo loro due… Il suo istinto di protezione verso il ragazzo, che doveva essere stato sicuramente spaventato a morte, non gli dava pace. Eren era stato messo così profondamente a disagio e lui non ne aveva avuta la minima idea.
La voce della truccatrice spezzò il filo dei suoi pensieri.
«La aspettano sul set tra 5 minuti, Mr. L» disse la donna, uscendo dalla stanza.
L’uomo attese che il suono dei suoi passi si allontanasse, poi chiamò Eren a sé con un dito.
«Vieni qui, aiutami ad aggiustare le bende. Le ha messe così strette che non vedo un cazzo!»
Eren si avvicinò, dopo aver posato a terra la borsa e, con gesti esperti e figli dell'esperienza, sciolse le bende e le legò di nuovo, meno strette. In fondo, era solo un photoset, non avrebbero dovuto fare i movimenti esagerati dei concerti.
«Meglio così?»
«Posso vederti, quindi sì...» rispose il cantante, afferrandolo per il colletto della maglia e tirandolo a sé, facendo combaciare le loro labbra. Movimenti lenti, sapienti, con i quali le modellava affinché divenissero un tutt'uno per un istante troppo breve affinché soddisfacesse la sete che sentivano l'uno dell'altro.
«Mh, romantico» sussurrò Eren, quasi senza interrompere il bacio.
Gli prese il viso tra le mani, facendo toccare le loro fronti e chiuse gli occhi, respirando a fondo il profumo che anche sotto quello dei cosmetici, restava suo. Levi. Il suo idolo. Il suo tutto.
«Ho così tanta voglia di fare l'amore con te...» disse a bassa voce, sospirando.
«Non dire così, altrimenti mando tutto a puttane e ti scopo in questo camerino, e non mi importa chi ci sente!» biascicò intensificando il bacio, come a rimarcare quanto appena detto. Era una vera e propria sofferenza fisica avere Eren tra le proprie braccia e sapere di non poterlo toccare come voleva.
Il ragazzo scosse la testa: «No, Lee... Io voglio fare l'amore» rispose, mordicchiandogli il labbro inferiore, prima di costringersi a separarsi da lui. Raccolse la borsa da terra e si avvicinò all’uscita, mettendo la mano sulla maniglia. «Ed ora dovremmo andare prima c-»
La porta si aprì di colpo, finendogli contro la fronte. Eren gemette di dolore, facendo un passo indietro e strofinandosi il punto leso con la mano libera. Un paio di occhi azzurri lo guardarono sorpresi, prima che le labbra sottostanti si piegassero in un sorriso falsamente cordiale.
«Oh! Scusa Eren, non sapevo che fossi qui.»
«Non fa niente, Signor Smith… Non è colpa sua…»
Ed era vero. Era stato un incidente, ma per Erwin era come se l'universo lo avesse aiutato.
«Stavi uscendo» disse l'uomo. Non sembrava una domanda, ma Eren annuì comunque. «Molto bene.»
L'uomo si fece da parte, per lasciar libero il passaggio della porta ed osservò il giovane assistente passargli accanto a testa bassa, stringendo le mani su una borsa tracolla che non aveva finito di indossare. Un attimo prima di chiudere la porta, però sollevò le sopracciglia e portandosi una mano davanti alla bocca come per mascherare un'espressione sorpresa, la riaprì di colpo.
«Oh, Eren! Dimenticavo…» e quando il ragazzo si fu riavvicinato, con un gesto disinvolto estrasse da sotto la giacca del raffinato completo, un fascicolo di plastica morbida, pieno di post-it. «Questo è tuo, non è così?»
Levi, ancora immobile accanto alla specchiera, vide i suoi occhi verdi sgranarsi, il viso sbiancare ed i pugni chiudersi per un istante, prima che le dita andassero a stringersi attorno a ciò che il manager continuava ad offrirgli, con un gentile sorriso sulle labbra.
«Oh, sì. È mio, grazie…» disse, aprendolo brevemente, per sfogliarne il contenuto. Levi lo vide chiaramente contare i fogli, uno per uno, in fretta.
«Era finito tra le mie carte» lo rimproverò il manager, mentre si sistemava il colletto della camicia. «Devi stare più attento alle tue cose, sono importanti. Non stai giocando con la carta per origami, si tratta di documenti importanti.»
Eren chinò il capo, chiudendo la borsa con uno scatto secco della clip.
«Chiedo scusa, non accadrà più…» disse, prima di girarsi ed uscire a passo spedito dal camerino.
Erwin Smith, a quel punto, chiuse la porta.
Levi strinse i denti, voltandosi verso lo specchio, attraverso il quale riusciva a scorgere il riflesso del manager che, col suo più smagliante sorriso, lo osservava soddisfatto.
«Sei perfetto, come sempre del resto. Sarai il sogno di milioni di fan, ancora una volta.»
«Tch, non me ne fotte un cazzo di chi mi sogna!» sbottò, chiudendo malamente un cassetto lì vicino. «Smettila di tormentare gli assistenti, facevano egregiamente il loro mestiere ancor prima che intervenissi tu.»
«Sono ancora più efficienti con le mie nuove disposizioni, non trovi?»
«Sono stressati, e impauriti. In queste condizioni non servono a niente.»
«Devono organizzare i vostri impegni, Levi, e lo stanno facendo. A cos'altro dovrebbero servire...?» replicò sornione, e il vocalist desiderò potergli sferrare un pugno dritto su quei denti perfetti e fargli passare la voglia di prenderlo per il culo.
Ma non era possibile.
Ricordò lo sguardo di Eren quando, il giorno precedente, aveva aggredito Smith e la litigata che ne era seguita. Non voleva deluderlo di nuovo, non voleva peggiorare la situazione in cui già si trovavano, lui e loro.
Con uno sforzo titanico evitò di rispondergli, sorpassandolo e, non fosse stato per la differenza d'altezza, gli avrebbe dato una spallata forte abbastanza da farlo cadere. Raggiunse il resto del gruppo dove, sotto lo sguardo di Eren, seduto in un angolo della sala, seguì le indicazioni del fotografo per quello che sembrò il più lungo photoset della sua vita. L'unica cosa che avrebbe voluto fare, era andare dal suo ragazzo, abbracciarlo e rassicurarlo che ciò che era accaduto non era colpa sua e che Smith l'avrebbe pagata cara, per tutto quel che gli stava facendo passare.
Avrebbe fatto in modo, lui personalmente, di assicurarsene.
*****
Era stata una giornata lunga, estenuante.
Levi desiderava soltanto un po' di pace mentale e quiete, ma soprattutto provava un magone allo stomaco sapendo che Eren non sarebbe rimasto da lui neanche quella sera.
In tenuta da notte, seduto sul bordo del letto, si passò stancamente una mano sugli occhi, gettando di tanto in tanto uno sguardo al cellulare sul comodino poco distante. Temeva che si illuminasse, mostrandogli un messaggio che non aveva intenzione di leggere. Invece, la porta della camera si aprí silenziosamente, ed Eren sgattaiolò dentro in punta di piedi neanche fosse un ladro. Si appiattí contro la parete, sospirando, finalmente al sicuro.
«Oi, credevo non ce l'avresti fatta…» l'uomo gli andò incontro, carezzandogli il viso per distendere la sua espressione tirata.
«Scusami, ero pieno di lavoro fino al collo» sospirò il ragazzo, piegandosi sotto il suo tocco.
Eren era stanco, provato: si vedeva dal colorito insolitamente pallido, la ormai perenne ruga tra le sopracciglia e il tono di voce esausto.
Il cuore di Levi si strinse, mentre portava i palmi a circondargli il volto per meglio cercare le sue labbra. Erano più secche del solito, probabilmente si era dimenticato anche di bere pur di terminare i propri compiti in tempo e presentarsi al loro appuntamento.
Il giovane assistente, nel sentire quel calore umido sulla sua bocca, emise un breve verso appagato. Ricevere quella piccola attenzione era la giusta ricompensa per il suo duro lavoro. Quando si separarono, occhi negli occhi, si sorrisero teneramente.
«Mi manchi, Lee… Sembra sciocco da dire, dato che ci vediamo tutti i giorni, ma è tutto… diverso» mormorò, nascondendosi nell'incavo del suo collo.
Levi lo strinse, baciandogli dapprima la guancia, poi l'orecchio ed Eren mugolò quando intrappolò il lobo tra i denti.
«Non è sciocco… Mi manchi anche tu…» esalò, prima di scendere lungo la gola e mordicchiarla piano.
Il castano sussultò, ritraendosi e massaggiando la parte lesa.
«S-scusa, è solo che non me lo aspettavo.»
Il vocalist gli accarezzò la schiena, sentendo i muscoli rigidi. Era così teso… Ma Levi conosceva un ottimo modo per distendere i suoi nervi.
Lo guidò verso il letto, facendolo sedere per poi accomodarsi a cavalcioni su di lui. Le mani di Eren trovarono subito i suoi fianchi, mentre quelle di Levi andarono a sbottonare lentamente il colletto della camicia, rivelando il simbolo della loro unione. Coi palmi gli accarezzò il torace, indugiando sui capezzoli per massaggiarli con le dita.
«Hai bisogno di rilassarti…» sussurrò, roco e tentatore, ed Eren sentí la gola farsi improvvisamente secca.
Deglutí a vuoto, sistemandosi meglio sotto il peso del compagno.
«Non posso restare… Domattina devo svegliarmi presto per ritirare i vostri costumi di scena.»
Baciò il viso di Levi con affetto, cercando in qualche modo di sottrarsi con gentilezza a quelle attenzioni: desiderava esser toccato in quel modo e soprattutto poter ricambiare, quasi non ricordava più l'ultima volta in cui si erano scambiati simili effusioni; tuttavia sentiva che, se avesse ceduto, Smith in qualche modo se ne sarebbe accorto e avrebbe utilizzato la sua debolezza contro di loro.
Il vocalist, ad ogni modo, non pareva intenzionato a trascorrere la serata in solitudine. Fece scivolare le mani pallide sulle sue braccia scure, ancora fasciate dalla camicia, per poi intrappolargli delicatamente i polsi e costringerlo a distendersi tra le lenzuola, bloccandolo in una morsa decisa, ma affatto dolorosa. Aveva bisogno di percepire Eren, regalandogli il lato più dolce della sua personalità, che prima non sapeva di avere. Il ragazzo gli aveva fatto una richiesta specifica, quel pomeriggio: voleva "fare l'amore", e chi era Levi per negargli una cosa simile? Per il sesso selvaggio, in fondo, avevano tempo.
«Se è così, devo sicuramente aiutarti a rilassarti, affinché il tuo riposo sia tranquillo…»
«T-tu devi presentarti sul s-set per il nuovo spot, a-anche tu devi dormire… Ah~»
Eren sapeva che quel gemito, nonostante le sue parole comunicassero diversamente, per l'uomo era un vero e proprio invito a vezzeggiarlo, spogliarlo, fare di lui ciò che voleva. Quando sentí i suoi denti lambirgli la gola, però, e la sua bocca in procinto di marchiarne la pelle, si drizzò immediatamente a sedere, spingendolo via come se si fosse ustionato. Levi lo fissò, interdetto, per nulla preparato a un gesto simile. Il castano non si era mai lamentato di lividi e succhiotti, anzi, per lui erano vere e proprie medaglie da ostentare con orgoglio. Perché tanta reticenza…?
«Si può sapere cos'hai?»
«Niente, è solo che non mi va…» distolse lo sguardo l'altro.
«Che cosa, esattamente? Farti toccare o-»
«Preferisco che non mi lasci dei segni addosso… Sarei costretto a nasconderli.»
Quasi si vergognò di averlo detto, sentendosi colpevole di una simile infamia. Evitò gli occhi di Levi, per paura di leggervi delusione.
«Ah, è così.»
Silenzio.
Pesante, ingombrante.
Le dita fresche dell'uomo sollevarono il volto di Eren, cercandone le iridi smeraldine leggermente lucide. Per quanto la cosa lo ferisse, sapeva anche che quella presa di posizione era dovuta alle angherie a cui era puntualmente sottoposto dal manager. Non riusciva ad essere arrabbiato, semplicemente non vedeva l'ora di esibirsi nell'ultimo concerto della tournée e porre così fine a quelle inutili sofferenze. Voleva vivere Eren e la loro storia lontano da occhi indiscreti, e quale luogo migliore se non la riservatezza della propria dimora? A quel pensiero accennò un sorriso, baciandolo teneramente un istante dopo e sentendo il respiro del ragazzo bloccarglisi nei polmoni.
«Sei arrabbiato…?»
Fosse stato un cucciolo, Levi era certo che Eren avrebbe avuto la coda tra le gambe.
«No. Un po' contrariato magari, ma non sono in collera.»
Le braccia del giovane gli cinsero i fianchi, stringendolo a sé, e l'uomo depositò un bacio tra le sue ciocche castane. Il sospiro tremante e sconfitto che sfuggì al ragazzo, schiacciò il petto del vocalist. Ci doveva pur essere un modo per alleggerire il fardello che Smith, puntualmente, scaricava sulle sue spalle…
«Dividiamoci i compiti.»
La testa di Eren scattò come una molla, lo sguardo perso.
«Eh?»
«Sei il mio assistente, non lo schiavo di Erwin. Voglio aiutarti, perciò non appena ti consegnerà qualche altra rogna di cui occuparti, dai qualcosa anche a me. Non mi piace vederti così stressato, e soprattutto così impaurito.»
Fece scorrere le dita tra i suoi capelli, e il compagno inseguí il suo tocco. Sembrava davvero un cucciolo, in quel momento.
«Davvero lo faresti…?»
«Tch, certo che sì. Dobbiamo resistere solo un altro po'... Non appena il tour sarà ufficialmente concluso, ho tutta l'intenzione di sequestrarti e portarti via da qui.»
Finalmente, per la prima volta da quando era entrato dalla porta, Eren sorrise.
«Oh, sembra pericoloso… Dovrei avere paura?»
La bocca di Levi, leggera come una piuma, sfiorò la sua pelle mentre con le mani lo accompagnava nuovamente in una lenta discesa tra le lenzuola profumate dell'hotel. Il ragazzo, distratto da quella prospettiva, si era lievemente rilassato e sembrava incline a lasciarsi coccolare in maniera più approfondita, anche se meno vorace rispetto al solito. Il vocalist sogghignò, leccando languidamente il suo addome tonico. Il fremito che ebbe in risposta lo esaltò.
«Tanta, moccioso: non attendo altro che mostrarti la camera da letto della mia villa, a Mitras, chiuderci dentro e non uscirne per una settimana.»
Eren ridacchiò, facendolo sussultare sul suo grembo mentre iniziava a liberarsi di cintura e pantaloni.
«Una settimana? Avrò bisogno di una sedia a rotelle!»
Ormai inginocchiato sul pavimento, tra le gambe del ragazzo, Levi gli calò gli indumenti con un unico movimento, liberandosi al tempo stesso dei propri. Fece risalire i palmi lungo le cosce per fargliele meglio divaricare. Le sue labbra ne seguirono il percorso, umide, morbide, fino a raggiungere la porzione di pelle più sensibile.
«Ah, L-Lee…»
I denti del cantante lo morsero, per poi succhiare, vorace e impietoso, ed Eren si irrigidí al pensiero di un qualunque segno sul proprio corpo il quale confermasse che sí, aveva una relazione con L dei NoName. Gli afferrò le ciocche corvine, senza tirare, pregandolo di fermarsi.
«Levi! Ti ho detto-»
«-che avresti dovuto coprire i segni. Questa zona è nascosta alla vista di chiunque, a meno che non apri le gambe anche per Smith.»
L'uomo inarcò un sopracciglio sottile, sfidandolo con lo sguardo a contraddirlo e ottenendone uno piuttosto risentito in cambio.
«Rilassati, Eren. Sei al sicuro con me, lo sarai sempre.»
Il ragazzo si lasciò cadere all'indietro, il materasso che lo accoglieva con una lieve spinta prima che il suo peso si assestasse, coprendosi gli occhi con l'avambraccio. Lottare con Levi era inutile, lo sapeva bene, e per tanti motivi: il primo era la sua cocciutaggine nell'esigere sempre l'ultima parola, rare erano state le occasioni in cui si era piegato alle richieste altrui; il secondo era l'effettiva consapevolezza del fatto che lo avrebbe protetto e custodito in qualunque occasione, soprattutto contro la minaccia di Smith.
Perciò Eren, tentando di scacciare via la tensione che si era riappropriata delle sue membra, decise di concedersi all'uomo che amava. Lo sentí graffiargli i polpacci, mordicchiare la pelle dell'inguine.
«Lasciati andare, Eren. Voglio prendermi cura di te…» e con quelle parole la sua bocca lo accolse completamente, facendo ansimare sonoramente il giovane che, istintivamente, cercò di spingersi più a fondo in quell'antro caldo che tanto gli era mancato.
Il ritmo di Levi fu languido, pacato, oltremodo dolce. Desiderava che quei minuti, per Eren, fossero un angolo di paradiso in cui rifugiarsi e dove poter dimenticare le preoccupazioni che lo affliggevano. La sua lingua ne accarezzava l'asta bollente, gustandone il sapore e saggiandone la consistenza dura, le vene pulsanti, la cappella che secerneva i primi umori. E mentre il ragazzo godeva, con le dita umide della saliva che era colata dal proprio mento, andò a massaggiare l'anello rosato che si contraeva ad ogni nuova lappata. Indice e medio trovarono posto tra le sue carni strette, curvandosi e aprendosi per guadagnare maggior spazio, ed Eren quasi urlò tentando di ingabbiare quel verso tra le mani che gli coprivano il viso, per paura di essere sentito.
«C-cazzo…!»
«Ho toccato il tasto giusto» Levi sorrise sornione, e il ragazzo annuì, abbandonandosi di nuovo sul letto.
«Dio, sì. Decisamente sí!»
Eppure, non gli bastava: Eren voleva sentirlo vicino, su di sé; essere intrappolato sotto il peso del suo corpo, e annegare sulle sue labbra morbide e vellutate. Allungò le braccia, cercando di chiamarlo a sé, e quando il vocalist lo assecondò cercò immediatamente la sua bocca con la propria, mentre una mano scendeva tra le sue gambe alla ricerca del suo membro dimenticato troppo a lungo.
«Sei stupendo, Eren…»
Se ne erano dette di cose, tra le lenzuola e non, alcune delle quali decisamente oscene. Tuttavia, il candido rossore che imporporò le guance di Eren fu impossibile da controllare.
Levi, accaldato e con un leggero strato di sudore a imperlargli la fronte, scrutò le sue iridi smeraldine con rinnovato sentimento. Così lussurioso eppure candido nelle emozioni, il giovane era a dir poco sublime.
«Ah, Lee, ti prego… Fai l'amore con me…»
E mentre si appropriavano l'uno dell'altro, anima e corpo, nella mente di Eren risuonò di nuovo l’eco delle sue parole, pronunciate poco prima.
Sei al sicuro con me.
Ti proteggerò anch’io, Levi Ackerman. Non permetterò a nessuno di farti del male.
Giurò a sé stesso che avrebbe fatto in modo che fosse così.
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