06 • One minute I hate you, then I love you

Sentiva freddo.

Non sentiva mai freddo, Levi.

Si costrinse ad aprire gli occhi, ancora assonnato, e si accorse dell'assenza di Eren. Il posto in cui era stato disteso, accanto a lui, era ancora tiepido, segno che si era alzato relativamente da poco.

Sentiva le membra indolenzite e doloranti per la troppa attività della notte appena trascorsa. Non aveva mai avuto di che lamentarsi, per quanto riguardava la propria vita sessuale. La sua sicurezza era da sempre la sua arma migliore. Uomini e donne cadevano ai suoi piedi al solo suono della sua voce, di un flirt deciso o di un semplice sguardo. Eppure quelle ultime settimane, tre da quando la tournée appena cominciata li aveva portati da Trost a Karanes, erano state senza ombra di dubbio il periodo più intenso e ricco che potesse portare alla mente. Niente era più travolgente ed insaziabile dell'appetito sessuale del suo giovane amante.
Sorrise, sdraiato nel letto.

Amante... Suonava bene.

Lo scrosciare della doccia gli fece capire che il ragazzo si stesse lavando; si alzò, diretto verso il bagno, nudo, scalzo e per nulla intenzionato a restare da solo un secondo di più.

Il vetro della cabina doccia era appannato, mostrando una sagoma scura. Ad Eren piaceva tenere gli occhi chiusi, quando faceva la doccia, ascoltare il rumore dell'acqua e dimenticarsi di essere circondato da fredde piastrelle e ceramica.

Con la testa sotto al getto pensava al corvino, mentre si accarezzava con dita gentili la ferita di un morso che bruciava un poco a contatto con il sapone.

E poi qualcosa gli colpì con forza una natica, soda e insaponata. Un grido ben poco virile gli sfuggì dalle labbra ed Eren si girò di scatto, alzando le braccia in segno di difesa, fissando il proprio aggressore come se fosse un mostro. Ci volle qualche secondo prima che riuscisse a registrare l'accaduto ed il suo sguardo cambiasse da spaventato a furioso.

«Sei impazzito!? Mi hai fatto venire un infarto!»

Levi non riuscì a trattenersi: rise, e di gusto anche. Gli si avvicinò quel che bastava per farlo spostare dal getto d'acqua, il quale gli bagnò i capelli scuri e scivolò sulla sua pelle.

«Muovi il culo, moccioso» sogghignò, divertito all'espressione oltremodo indignata dell'altro.

Eren si spostò indietro di un passo, lasciandogli spazio, ma i suoi occhi restarono puntati sul cantante.

«Fammi capire» replicó, mettendo le mani sui fianchi. «Prima mi terrorizzi e poi mi rubi la doccia?»

«Tecnicamente è la mia doccia, visto che sei nella mia stanza. Ma, se ti comporti bene, potrei anche soprassedere» commentò, un luccichio nelle iridi tempestose mentre portava le ciocche all'indietro con entrambe le mani.

Alzando gli occhi al cielo, Eren uscì dalla cabina e con gesti lenti ed eclatanti, così che Levi potesse notare e seguisse bene ogni movimento, gli rubó l'accappatoio e ci si avvolse.

«Comunque, l'intervista è tra più di due ore. Tu dovresti star dormendo, in questo momento.»

«Sentivo freddo. Qualcuno mi ha privato del suo calore, lasciandomi senza lenzuola per giunta.» Pulito e profumato, l'uomo chiuse il getto d'acqua e guardò storto il castano. «Gentilmente potresti passarmi un asciugamano visto che, oltre ad aver usato la mia doccia, stai usufruendo anche del mio accappatoio?» chiese, allungando una mano in attesa.

Eren ridacchió ed abbassó il cappuccio, mettendo in bella mostra una chioma più spettinata del solito. Bagnati, sembrava esser diventata nera.

Prese un grande telo ed appena Levi fu uscito dalla cabina, invece di lasciarglielo in mano, ce lo avvolse, approfittandone per abbracciarlo rapidamente.

«Ai suoi ordini... Buongiorno, Mr. L» disse solo.

Levi non riuscì a trattenere un sorriso, avvicinandosi pericolosamente alla bocca di Eren senza però sfiorarla. Lo guardò da sotto le lunghe ciglia che contornavano i suoi occhi di ghiaccio, poggiando le mani sui fianchi dell'altro, ancora fasciato dalla morbida spugna bianca.

«Buongiorno, Jaeger.»

Eren gli sorrise, ma proprio in quel momento la suoneria proveniente dal suo tablet lo fece girare. Abbandonò lì Levi, correndo verso il dispositivo per fermare il suono e leggere la notifica.

Ed un gran sospiro lasciò le belle labbra che il cantante aveva sperato di poter avere tutte per sé ancora per un po'.

«Devo andare, ora. Ho alcune cose da sbrigare, prima dell'intervista di oggi...» disse, gettando l'accappatoio sul letto.

Iniziò velocemente a indossare i vestiti della sera prima, così da poter attraversare il corridoio e raggiungere la propria camera.

«Non dimenticare la colazione!» furono le ultime parole che Levi riuscì a dire un attimo prima di vederlo sparire oltre la soglia, lasciando dietro di sé un innaturale silenzio.

Era rimasto solo.

Eren aveva preso davvero molto sul serio il proprio lavoro, esattamente come Levi si era aspettato che facesse, e dopo i primi giorni di ambientamento niente era più stato in grado di fermarlo o prenderlo di sorpresa. Se qualcosa non era chiaro, trovava sempre un supporto negli altri due assistenti, con cui sembrava aver formato una vera piccola banda; altre volte era Levi stesso a stendersi sul letto assieme a lui, e ad aiutarlo a organizzare gli impegni, dandogli la propria opinione alternata a baci e carezze. Il loro gioco di squadra funzionava bene tanto fuori quanto sotto le coperte.

Il vocalist si asciugò con cura, lavò i denti e vestì in abiti casual. Poi l'occhio gli cadde sulla cravatta che Eren aveva dimenticato di indossare. La raccolse, osservandola con calma, per poi arrotolarla con cura ed infilarla nella tasca dei jeans. Decise che avrebbe fatto colazione, ma non da solo: il moccioso aveva bisogno di energie tanto quanto lui, dopo la scorsa notte, e voleva assicurarsi che si nutrisse a dovere. Così, con la scusa che un assistente affamato e non propriamente lucido non gli sarebbe servito a nulla, uscì dalla propria stanza, indossando gli occhiali da sole e bussando alla porta accanto.

Non ottenne risposta.

Aggrottò le sopracciglia, lievemente sorpreso: accidenti se il marmocchio era veloce! Pensò quindi di controllare nella hall, dove probabilmente aveva deciso di lavorare al tablet sfruttando la connessione dell'hotel. Anche lì, però, nessuna traccia del ragazzo. Iniziava a spazientirsi; trovarlo si stava rivelando più complicato del previsto.

Che fosse al bar...?

Stava camminando in quella direzione quando una risata, fin troppo familiare, gli fece voltare il capo verso il corridoio alla sua sinistra.

Un tipo dai capelli rossi e lo sguardo attento, volpino, vestito di scuro e con auricolare all'orecchio, blaterava qualche sciocchezza gesticolando animatamente. Il volto non gli era del tutto nuovo e, dall'abbigliamento, dedusse che doveva essere uno degli addetti alla security del suo entourage. Si passava nervosamente una mano tra le ciocche ramate, mettendole in costante disordine, col viso piuttosto colorito: sembrava teso, intento a far colpo sul suo interlocutore.

Eren.

Levi sentì una sensazione sgradevole risalire dal proprio stomaco, nauseandolo oltremodo. Strinse i pugni mentre il sangue affluiva in un unico punto, ovvero il suo cervello, in quantità tale da spegnere ogni pensiero vagamente razionale.

Il castano sorrideva sporadicamente, massaggiandosi la nuca in modo tanto casuale da irritarlo ancora di più. Lo vide rilassarsi contro la parete, prendendo il tablet dalla tracolla e picchiettando un paio di volte sullo schermo, facendo poi cenno al tipo di avvicinarsi per guardare meglio qualunque cosa ci fosse su quel fottuto aggeggio elettronico.

L'altro, esattamente come si aspettava, colse l'occasione al volo, allungando un braccio verso il muro sul quale il suo assistente aveva appoggiato le spalle.

Un eccesso di confidenza che giurò a sé stesso gli sarebbe costato caro.

Eren era off-limits. I segni sul suo collo erano visibili nonostante il colletto della camicia ne coprisse la maggior parte, ed erano la prova lampante ed evidente che fosse... Impegnato?

Forse non era il termine adatto... Tentò di trovare una parola che descrivesse la loro relazione senza però trovarla. Era suo, come altro poteva definirlo senza sembrare un folle?

A quanto pareva, comunque, morsi e succhiotti non fungevano da deterrente nel modo in cui sperava. E quando vide la guardia avvicinarsi di un altro mezzo passo al ragazzo, qualcosa scattò nella sua mente e la ragione si spense.

- - - - -

Eren era sceso nella hall a tempo di record, per incontrare gli assistenti di H ed M. Avevano fatto un piccolo patto la sera prima: si sarebbero divisi i compiti. Aiutandosi reciprocamente avrebbero finito molto più in fretta.

Nanaba avrebbe seguito l'arrivo e la preparazione degli abiti dei tre artisti, Moblit si sarebbe occupato di prenotare le auto. Ad Eren, invece, era stato assegnato il servizio di sicurezza. Il che gli andava molto a genio perché non doveva far altro che farsi spiegare dal capo della security i percorsi, controllarli e assegnare un paio di persone per ognuno dei membri della sua adorata band.

Quando aveva incontrato Floch, nel preciso momento in cui si erano stretti la mano, si era sentito scivolare in una specie di trance di concentrazione.

Ci aveva messo tutto sé stesso in quel compito, si stava impegnando. Voleva dimostrare ai suoi nuovi colleghi che avrebbero potuto contare su di lui anche se era appena arrivato e passava gran parte del suo tempo libero a rotolarsi tra le lenzuola col suo capo. Forse era arrivato lì in un modo un po' particolare, tipico da corsia preferenziale, ma ora voleva che tutti capissero che era bravo.

Davvero bravo.

Stavano ricontrollando le decisioni prese, quando Eren sentì un pizzicorino alla nuca. Una sensazione, un presentimento, che lo portò ad alzare lo sguardo verso l'ingresso del corridoio nel quale si erano rintanati per stare lontani dalla eco fastidiosa che la hall, enorme e spaziosa, produceva.

Levi era lì a pochi metri e, nonostante portasse gli occhiali da sole, Eren sentì il sangue gelarsi nelle vene all'idea che lo sguardo che gli stava rivolgendo fosse tutto meno che pacato. Sembrava furioso, in realtà.

Ho dimenticato qualcosa..?, si domandò, staccandosi dalla parete. Floch gli stava parlando, ma Eren gli sorrise appena, passando sotto al suo braccio poggiato al muro ed alzando la mano per dirgli di aspettare. Col tablet al petto, colmò la breve distanza con una piccola corsa.

«Ehi-... Ehm, mi cercava, Mr. L?» chiese, col tono più formale possibile.

«Stai cazzeggiando, Jaeger? Con me, ho del lavoro da assegnarti. Ora

Gli afferrò il polso, non senza scoccare uno sguardo assassino al povero addetto alla sicurezza che non aveva fatto nulla di male se non metter gli occhi sul giovane sbagliato, e trascinò Eren lontano da lì.

«Che cos- Ehi!»

Il ragazzo tentò di parlargli, ma Levi non lo ascoltava. Iniziava davvero a temere di aver fatto qualcosa di sbagliato.

L'uomo si muoveva a passo svelto, neanche avesse il diavolo alle calcagna, e sentiva il castano faticare nel tenere il suo ritmo ma non importava. Avevano cose di cui discutere, e non poteva farlo davanti a occhi indiscreti.

Si infilò in uno degli ascensori, premendo un bottone a caso solo per far sì che le porte si chiudessero. Eren si rifugiò istintivamente in un angolo, ma decise che non si sarebbe dato per vinto senza combattere.

«Non stavo cazzeggiando! Abbiamo sistemato il servizio di sicurezza per la vostra uscita del pomeriggio...! Se ci ho messo tanto è perché ho lavorato anche a quello per H ed M, sarei tranquillamente arrivato in orario per-»

Un pugno sbatté con forza contro la parete in metallo accanto a lui, la testa bassa e gli occhi coperti dai capelli, oltre che dalle lenti da sole. Aveva il respiro irregolare, Levi, e tentava di calmarlo con gli esercizi di respirazione a cui era abituato.

Tutto inutile.

Si sentiva letteralmente travolto da troppe emozioni contrastanti. Furia, gelosia, vergogna, imbarazzo e poi la peggiore di tutte, l'insicurezza: riguardo Eren, anche se non stava facendo altro che rassicurarlo; riguardo sé stesso, perché era la prima volta che provava qualcosa di così forte per qualcuno; riguardo "loro", perché non aveva idea di cosa fossero in realtà -di certo non capo e assistente, e non solo amici di letto, non più almeno- e questa cosa lo destabilizzava più di quanto credesse.

«Fa silenzio, maledizione! So benissimo che c'è ancora tempo, non fai che ripeterlo! Volevo trascorrerlo con te, accidenti, ma se ti do' cosi fastidio mi tolgo subito dai coglioni!» esplose infine, premendo energicamente il tasto di apertura porte e sperando che facesse quello per cui era stato progettato al primo piano disponibile.

Ad Eren, il cuore balzò in gola. Il suo corpo venne pervaso dai brividi e istintivamente il sangue scese alle gambe, rendendolo pronto a correre. Aveva avuto paura. Per un momento, quegli ansimi, il pugno chiuso, la postura, l'aria.

Le urla.

Tutto questo l'aveva spaventato, facendolo sentire in pericolo.

E poi Levi aveva cercato di scappare. Oh sì, letteralmente. Stava per rompere il fottuto ascensore solo per cercare di evitare di rimanerci insieme a lui. Insieme ad Eren che aveva capito le sue parole in ritardo.

Volevo trascorrerlo con te.

Ficcò il tablet nella borsa, spingendosela dietro le spalle per non essere intralciato da nulla.

«Levi. Dimmi cosa c'è che non va» disse, appoggiando la mano sulla tastiera, impedendogli di chiamare l'uscita su qualsiasi piano. «E non cercare di rifilarmi puttanate. Ti ho lasciato in camera meno di un'ora fa e ridevi, eri sereno. Cos'è successo nel frattempo?»

«Vuoi sapere qualcosa che non so spiegarmi neanche io...!» rispose l'altro, preda delle proprie emozioni, passandosi le mani tra i capelli. «Potremmo parlare di come non posso perderti di vista un secondo che ti trovo con qualcuno appiccicato al culo, nemmeno fossero api su del cazzo di miele! O del fatto che, quando ciò accade, vedo rosso come un fottuto toro e mi parte il sangue al cervello... O magari vuoi sentirti dire che ti voglio tutto per me al punto da sentirmi male se non ci sei?!»

Si lasciò scivolare lungo la parete, sfilandosi gli occhiali e massaggiandosi gli occhi.

«Ho un carattere di merda, Eren, ne sono consapevole... Non sono mai stato un tipo molto socievole, figurarsi gentile... Eppure tu riesci a mandare tutte le mie certezze a fanculo semplicemente sbattendo le tue maledette ciglia. La verità forse è che ho troppa paura di perderti...»

Aveva parlato senza pause, senza riflettere e tutto d'un fiato. Aveva prestato voce a quelli che non sapeva nemmeno fossero i suoi pensieri e, alle ultime parole che aveva pronunciato, sgranò gli occhi.

Quando aveva concesso ad Eren tutto quel potere su di lui...? Quando aveva perso il pieno controllo sulla sua vita, cedendone una parte a quel ragazzo dalle iridi meravigliose e quel sorriso sfacciato...?

Non lo sapeva, Levi, e a quel punto poco importava: nonostante la gloria, i soldi, la fama, non si era mai sentito così voluto, così accettato da nessuno.

Fino a quel momento, certo. Ed ora che l'aveva aggredito, sarebbe fuggito a gambe levate.

Eren rimase pietrificato sul posto per l'intera la durata di quel discorso.

Fu come se avesse appena aperto gli occhi e si fosse ritrovato completamente sommerso da un'ondata infinita di informazioni totalmente inaspettate, molte delle quali a malapena comprensibili.

Levi aveva sempre detto di essere possessivo, aveva fissato il suo punto di vista fin da subito e più volte l'aveva ripetuto.

Eren era suo.

Ed Eren l'aveva accettato senza pensarci due volte, perché in cuor proprio sapeva di non voler essere di nessun'altro.

Sicuramente non del ragazzo della security.

Levi aveva, involontariamente, messo a nudo un'insicurezza che l'aveva scioccato ma gli aveva, al contempo, fatto tenerezza: quell'uomo così rude e scostante era seduto sul pavimento di un ascensore, con la testa bassa ed il cuore in subbuglio, più di quanto non lo fosse il proprio.

Eren era l'unico in grado di calmarlo, ora. Voleva farlo.

Istintivamente, dentro di sé il giovane sapeva che carezze e parole gentili non sarebbero servite a niente. No, per Levi sarebbe stato necessario altro, qualcosa di più diretto. Chiaro.

D'impatto.

Gettò a terra la tracolla e spinse il pulsante di fermo d'emergenza dell'ascensore. Una luce rossa prese a lampeggiare sulla pulsantiera, quando la cabina si fermò a metà tra un piano e l'altro, facendoli sobbalzare.

Levi non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo per capire cosa stesse succedendo.

Eren gli afferrò le gambe e, tirando con forza, lo fece scivolare sdraiato sul pavimento dell'ascensore prima si sovrastarlo. I piccoli polsi di Levi vennero stretti nella presa di una delle sue mani e bloccati sopra la testa.

«Oh, Levi Ackerman...» mormorò, sfoderando il suo sorriso più irriverente e divertito. «Sei tanto bello quanto stupido.»

Gli afferrò il viso con la mano libera e lo costrinse a guardarlo, premendogli il pollice sulla bocca per impedirgli di parlare. Ora avrebbe solo ascoltato.

«Io sono totalmente, completamente, perdutamente pazzo di te» disse semplicemente, lasciando che le parole galleggiassero nell'aria per qualche secondo, prima di proseguire. «E non di L. Lui era la fantasia che volevo portarmi a letto, è stato il mio pensiero quando mi feci la prima sega. Quel desiderio l'ho già esaudito ed è stato magico. Il miglior sesso di sempre... Se non fosse che poi ci sono state altre volte, altre scopate, altro sesso ed ogni volta è sempre meglio di quella precedente, perché arrivo sempre un po' più lontano da L e più vicino a te.»

Fece una pausa, respirando lentamente. Levi ancora non era riuscito a recuperare la parola, forse non voleva farlo.

«È vero, passerei la mia vita a letto con te perché sei a dir poco divino, ma... Bere al bar, cenare fuori, andare al cinema o passeggiare lungo una spiaggia. Queste sono le mie fantasie attuali, Levi... Non la prossima posizione da provare e sicuramente non altre persone. Ho fatto un salto nel vuoto per seguirti fino a qui. Non ne sono pentito e volevo prendere le cose con calma, perché credevo che tu lo volessi, ma... Io voglio stare con te. Di nascosto da tutti o alla luce del sole, per me non fa differenza. Mi piaci, Levi... Mi piaci in un modo che somiglia moltissimo alle canzoni d'amore, ma avevo una paura tremenda di dirtelo perchè... Perchè non voglio perderti per questo.»

Ora era lui quello affannato, rosso in viso, col cuore in gola e le mani che tremavano. Aveva appena bloccato sul pavimento di un ascensore Levi Ackerman, l'aveva insultato e poi si era confessato a lui.

Proprio un fantastico inizio di giornata.

Levi rimase in silenzio. Se qualcuno, appena un mese prima, gli avesse detto che avrebbe perso la testa come una ragazzina alla sua prima cotta non solo avrebbe riso, ma gli avrebbe alzato un bel dito medio e augurato uno scomodo viaggio fino all'inferno.

L non aveva bisogno di qualcuno nella sua vita per sentirsi perfetto, migliore.

Ma Levi Ackerman era l'uomo dietro la maschera, un essere umano come tanti altri che, come chiunque, voleva essere compreso, desiderato, voluto, amato. In ogni forma possibile e modo concepibile perché avrebbe potuto avere tutto, ma l'unica cosa che non poteva ottenere dalla sua carriera era una persona che lo accettasse per chi veramente era, che abbracciasse ogni lato di lui, persino il più oscuro.

Eppure lo aveva trovato.

Eren era lì, su di lui, in preda all'imbarazzo e al panico per avergli appena dichiarato i suoi sentimenti.

Il castano aveva ragione, quell'iniziativa idiota era stata la scopata più soddisfacente della sua vita. Almeno per L. Poi era entrato lui, Levi, in gioco, e da lì aveva perso completamente il controllo di sé stesso, mentre Eren conquistava lentamente il suo cuore cibandosene pezzetto dopo pezzetto, morso dopo morso, bacio dopo bacio.

E la cosa più sorprendente era che se ne era accorto, ma non lo aveva fermato, perché desiderava anche lui nutrirsi del cuore dell'altro. Era uno scambio equo, in fondo: il mio nel tuo, e il tuo nel mio.

Il respiro del ragazzo era irregolare, poteva leggere la preoccupazione nei suoi occhi per le conseguenze delle proprie parole ed azioni e, se il discorso non fosse stato così importante, lo avrebbe persino stuzzicato e preso in giro. Ma il calore nel proprio petto, a quella dichiarazione così sentita ed accorata, lo spinse ad agire diversamente.

Con un colpo di reni ribaltò le posizioni, intrappolando l'altro sotto di sé e guardandolo negli occhi per consentirgli di comprendere appieno la serietà di quanto stava per dirgli. Eren cadde riverso sul pavimento, il respiro mozzato in gola. Più per la sorpresa, che per un vero e proprio colpo.

«Non mi hai perso. Sono qui e sono tuo,» disse il cantante, accarezzandogli il volto «così come voglio che tu sia mio. Fosse per me metterei i manifesti e urlerei la cosa ai quattro venti, giusto per essere sicuro che nessuno osi anche solo pensare di toccare qualcosa che mi appartiene. Ma se ciò non fosse possibile, restami accanto Eren.» Lo baciò piano, con tenerezza, quasi avesse paura di spezzare quel qualcosa di ancora così fragile che però li univa indissolubilmente. «Voglio costruire qualcosa con te. Ci vorrà del tempo perché il mio è un carattere difficile, ma voglio fidarmi di te, voglio fidarmi di noi. Resta. Nel momento in cui tu hai saltato nel vuoto, io ho fatto lo stesso per venirti incontro, e nemmeno lo sapevo...»

Come una boccata d'aria fresca dopo una lunga nuotata, le parole di Levi furono un sollievo, intenso al punto da avvolgergli il cuore in una nuova morsa.

Restarti accanto? Io non desidero altro!, avrebbe voluto urlare, ma invece si sollevò, andandogli incontro. Seduto, continuando a baciarlo, Eren ormai stringeva Levi a sé, tenendolo sulle proprie gambe.

«Resterò...» disse.

In quel momento, Levi sapeva che quella promessa era il massimo in cui potesse sperare. Era certo che le cose non sarebbero state facili per tanti motivi: erano una celebrità ed un ragazzo qualunque, avevano due personalità diametralmente opposte, senza contare che il destino avrebbe potuto far loro lo sgambetto e mandare tutto a rotoli. Ma valeva la pena tentare.

Voleva credere che ce l'avrebbero fatta, che sarebbero riusciti a coltivare quel sentimento travolgente che li univa.

Lo baciò ancora, stavolta con più passione, mentre faceva scorrere le proprie dita tra quei capelli in eterno disordine. Il fatto di trovarsi a cavalcioni su Eren gli rendeva difficile formulare un pensiero razionale. Prima che le cose sfuggissero di mano ad entrambi, quindi, interruppe il contatto tra le loro labbra, poggiando la fronte sulla sua.

«Bene, perché ho tutta l'intenzione di fare colazione con te. Resterei molto contrariato se tu mi svenissi tra le braccia per un calo di zuccheri. Alza le chiappe ed usciamo da qui» gli disse con una punta di divertimento nella voce, alzandosi per primo e porgendogli la mano, aiutandolo a fare altrettanto.

Mentre il castano recuperava la tracolla, Levi pigiò il tasto del piano terra giocando distrattamente con gli anelli che portava alle dita. Erano personalizzati, creati appositamente per i NoName da un orefice di fama mondiale per sponsorizzare una linea di gioielli a loro dedicata. I loro, comunque, erano pezzi unici: H indossava un elaborato orecchino, M una collana con un ciondolo molto particolare. Ad L invece era stata donata una coppia di anelli dorati da indossare al pollice ed indice, uniti tra loro da una piccola catena del medesimo colore.

Gli piacevano, li sentiva suoi come fosse stato lui a sceglierli, ed il fatto che non li avesse nessun altro gli fece balenare un'idea in testa. Li sfilò delicatamente, osservando Eren il quale, nel frattempo, controllava che il tablet fosse tutto intero.

«Eren...»

«Mh?»

Levi gli afferrò il polso sinistro, costringendolo a tenere l'apparecchio con una sola mano. Infilò i due anelli alle dita, lunghe ed abbronzate, del ragazzo; rilucevano, in piacevole contrasto con la sua pelle scura.

«Voglio che indossi qualcosa di mio. Per ricordarti a chi appartieni, e cosa ci unisce...» disse, accarezzando distrattamente la catena dorata del gioiello. «Portali sempre.»

Le porte dell'ascensore si aprirono con il classico tintinnio che le contraddistingueva. Il corvino infilò velocemente gli occhiali e, con le gote colorite di un tenue rossore, si incamminò velocemente verso la hall.

Eren rimase così incantato a fissare gli anelli, che quasi le porte scorrevoli gli si chiusero sul naso.

Corse fuori giusto in tempo, stringendo la borsa al petto e continuando a guardarli.

Levi era stato veloce ed era già entrato nella sala ristorante, dove i tavoli erano pieni di cibo prelibato preparato apposta per la colazione. Il profumo gli giunse alle narici, facendogli notare quanta fame effettivamente avesse.

«M-ma questi sono i tuoi anelli, quelli fatti per...» iniziò a balbettare non appena fu riuscito a raggiungerlo. «Sono mesi che li indossi ad ogni apparizione... Non puoi darli a me... »

Il vocalist si avvicinò al tavolo con le bevande, afferrando una tazza in cui versò del caffè bollente: preferiva l'espresso all'americano, ma meglio di niente.

«Proprio perché sono miei e sono unici, devi portarli. Chiunque con un briciolo di buon senso, nei paraggi, si accorgerà del dettaglio e ti starà alla larga.»

«Appunto» insistette. «E se credessero che te li ho rubati...?»

Levi si voltò verso di lui, abbassando il viso per guardarlo da sopra le lenti da sole, un sopracciglio inarcato e le labbra lievemente curvate all'insù.

«Mi credi uno sprovveduto? Ti ricordo che sono cresciuto alla periferia di Mitras... Sarebbe palese per chiunque che è un mio regalo» commentò, poggiando in un piattino un croissant con l'aiuto di una pinza.

Eren non poté far a meno di ridere, solo per lo sguardo ricevuto da sopra gli occhiali. Arrossendo e mormorando un «Okay, okay», si preparò una ciotola di cereali ed un bicchiere di succo d'arancia.

Sedersi a tavola con Levi era un momento intimo, in un modo completamente unico e diverso da quelli già vissuti dentro -e fuori- la camera da letto.

Mangiando, Eren girava e rigirava la mano, guardando come la luce colpiva gli anelli, le piccole pietre incastonate e la catena brillante.

Si domandò se avrebbe saputo prendersi cura di un oggetto così bello ed importante.

Si rispose di sì: aveva un significato, dopotutto. Levi gliel'avevo dato perché avesse con sé una parte di lui. Appena dopo avergli chiesto di restargli accanto...

Un gran calore gli pervase il viso ed il castano abbassó il cucchiaio, prima di schiarirsi la voce.

«Q-quindi...» disse a voce bassa, assicurandosi di avere la sua attenzione prima di continuare. «Sono il tuo... fidanzato, ora?»

A Levi andò il caffè di traverso. Strabuzzò gli occhi, tentando di non morire ed allo stesso tempo di non sporcare nulla: persino in punto di morte la sua fissa per il pulito ebbe la meglio.

Tamponò le labbra con un tovagliolo, pensando alla risposta da dare ad Eren. In effetti non aveva pensato a come definire il loro legame. Sentiva il ragazzo come suo, il che forse voleva dire che era un po' più che il suo fidanzato, ma in fondo non ne sapeva poi molto sull'argomento. Optò per la sincerità.

«Non ho mai avuto una relazione di questo tipo...»

«Non è quello che ti ho chiesto» rispose, girando uno degli anelli senza toglierlo dal dito.

«Non so come funzionano queste cose, Eren... Accade in modo naturale? Si decide insieme? Se per "fidanzato" mi chiedi se ti sento mio ed allo stesso tempo mi sento tuo... Allora sì, lo sei. È solo una parola, non cambia quello che provo per te.»

«Ora capisco perché non avete neanche una canzone d'amore, nella vostra discografia» rispose il giovane, sollevando gli occhi al cielo, mentre appoggiava il viso alla mano. Poi alzò le spalle. «Però sì, suppongo tu abbia ragione... È solo una parola...»

Levi fissò il castano, le sopracciglia aggrottate in un'espressione tra il confuso ed il pensieroso.

«È difficile parlare d'amore quando non se ne comprende appieno il significato. È come voler correre senza saper prima camminare» commentò, forse più a sé stesso che all'altro. «Magari, questa è l'occasione giusta per ampliare il repertorio della band...» azzardò infine, trovando stranamente interessante il tavolo dei dolci all'altro capo della sala.

Eren non rispose, sentendo improvvisamente il viso scaldarsi più di quanto fosse successo fino a quel momento. Aveva sentito bene? Levi gli aveva appena detto che avrebbe potuto essere una specie di "musa ispiratrice di canzoni d'amore" per la band?

«F-forse» rispose fingendosi altrettanto rapito da qualunque cosa si trovasse nella direzione opposta.

Calò un silenzio imbarazzante, intervallato solo dai rumori prodotti dagli altri commensali che, ignari di quel momento così importante, continuavano a consumare il proprio pasto.

L'uomo si schiarì la voce, sbocconcellando il croissant nel suo piatto.

«Allora, di cosa devi occuparti stamattina..?»

«Oh, devo concludere il lavoro con la security...» mormoró, stringendo il bicchiere tra le mani. «E Nanaba deve spiegarmi un paio di cose che devo revisionare prima del concerto della prossima settimana.» Il piatto di fronte a lui fu vuotato con un altro paio di rapide cucchiaiate. «Farò in fretta, promesso.»

«Fai con calma. Ho delle commissioni da fare» rispose, terminando il proprio caffè e lasciando mezza brioche nel piatto. «Vieni, ti mostro una cosa prima che tu vada via.»

Si alzò dal proprio posto, sfiorando la mano di Eren poggiata sul tavolo, attendendo che il ragazzo facesse altrettanto. Uscirono dalla grande sala, percorrendo un lungo corridoio silenzioso e deserto.

Delle commissioni? In realtà, avrebbe dovuto essere compito di Eren occuparsi di tutto ciò che Levi aveva bisogno di fare o possedere. Oppure no? Incerto, riflettendo se esporgli o meno quei pensieri, Eren lo seguì, giungendo all'ala dove si trovavano le enormi sale per le conferenze che l'hotel ospitava. Alte colonne decorate si stagliavano ad ogni fianco, una in fila all'altra, e fu dietro ad una di queste che il vocalist lo trascinò, nascosti alla vista, per baciarlo.

Ed Eren si sciolse contro quelle labbra, schiudendo le proprie mentre la mano che portava gli anelli saliva ad intrecciarsi tra i capelli neri.

«Bacio d'addio?» sussurró in una delle brevi pause di respiro che si concedevano.

«Ma quale addio, se non ti vedo seduto sul taxi per andare all'intervista, ti faccio il culo...!» fu l'immediata risposta dell'altro, che non perse un secondo di più in chiacchiere tornando a dedicarsi a quella bocca rossa e carnosa.

Il modo in cui il ragazzo faceva scorrere le dita tra i suoi capelli lo eccitava ed allo stesso tempo gli infondeva fiducia.

Eccomi, sono qui, non vado da nessuna parte.

Levi gli prese il volto tra le mani tentando di trasmettere con i gesti, piuttosto che le parole, cosa provava dentro di sé.

Si sentiva sopraffatto da quelle emozioni così forti ed assolute, intangibili ma concrete, e un misero bacio non sarebbe bastato ad esprimere come si sentisse realmente. Forse era davvero tempo di scrivere qualcosa di nuovo, diverso.

Il piccolo cercapersone di Eren suonò nella tasca ed entrambi fecero di tutto per evitare di notarlo, insistendo con quei baci lenti e languidi.

La lingua di Eren aveva appena compiuto un giro completo nella bocca di Levi e stava battendo in ritirata, di fronte al suo contrattacco quando il trillo si ripeté.

Eren sospirò, allontanandosi di poco e strofinando la fronte sulla sua.

«Prima vado e prima ritorno... Non c'è niente di cui posso occuparmi, tra le tue commissioni?»

«Nulla che non possa fare io.» Levi sospirò, frustrato da quell'interruzione, ma Eren aveva ragione: prima iniziava, prima finiva. «E non dare troppa confidenza a quell'idiota, potrebbe iniziare a nutrire false speranze. Anche se...» giocò distrattamente con la catenina che univa la coppia di anelli alle dita del castano «questi dovrebbero essere un buon deterrente.»

Scese con la bocca lungo il suo collo, mordendone un piccolo lembo e succhiando con solerzia la pelle morbida ora intrappolata tra i denti. Sentì Eren sospirare, mentre tornava ad accarezzargli i capelli.

Gli diede un ultimo bacio a stampo, il cui schiocco risuonò tra le pareti della sala, indietreggiando il tanto che bastava per non saltargli nuovamente addosso.

«Giusto per essere sicuri che recepisca il messaggio...» sfiorò con l'indice la propria firma sul corpo abbronzato del suo fidanzato.

«Credevo che non dovessimo dare troppo nell'occhio» rispose il ragazzo, passandosi una mano sul marchio fresco che il corvino gli aveva appena lasciato.

In realtà non gli importava granché di quel che diceva la gente. L'unico suo pensiero era che non causasse problemi a Levi.

«Ci vediamo dopo...» sussurró infine, prima di allontanarsi e telefonare a chi aveva fatto squillare il cercapersone, ovvero Nanaba.

Levi sorrise, guardandolo allontanarsi. Prese il cellulare dalla tasca, cercando in rubrica un contatto che prima di allora non gli era mai servito, ma che probabilmente adesso gli sarebbe tornato decisamente utile.

«Pronto? Sono L. Ho una richiesta per voi.»

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