Voglia di morire

C'è stato un errore. In realtà questo capitolo sarebbe dovuto venire prima di Drogato o problematico? Scusate il disagio, e buona lettura!

Sbarrai gli occhi, sentendo una forte fitta alla schiena. Avevo dormito sul pavimento del bagno, coprendo la fessura sotto la porta per attuttire i rumori. Non volevo che nessuno mi sentisse, soprattutto Anastasia, ma le piastrelle in marmo lucido non erano l'ideale per dormire. Mi massaggiai la spina dorsale, alzandomi e aggrappandomi al lavandino per non scivolare. Avevo bisogno di respirare un po' di aria pulita. L'odore di muschio e malva del deodorante per ambienti mi dava alla testa. Volevo allontanarmi dal cadavere scomposto che il mio incubo aveva lasciato su quel bel pavimento. Questa volta era stato diverso. Ci pensavo mentre attraversavo in punta di piedi il letto di Anastasia. Vederla dormire così tranquilla mi provocò un moto di rabbia involontaria. Sarei voluto andare lì, prenderla per le spalle e scuoterla finché non si fosse svegliata. Era la prima volta che volevo compagnia nella mia isteria post-incubo. Mi ero ritrovato di nuovo piccolo, inginocchiato su una lastra di ferro, con la testa tra le mani e il cuore che mi batteva talmente forte da farmi male, ma non abbastanza da coprire le risate. Il figlio della puttana drogata! Sei una delusione, fratellino. Avevo visto Elliot che mi derideva, Mia con la testa spaccata a metà che rideva e piangeva allo stesso tempo. Sei strano. Grace che mi guardava con disgusto, il camice da dottoressa che illuminava il buio intorno a lei. Perché ti ho preso? Sembri un cane. Uno stupido cane malato. Mi portai una mano davanti alla bocca, trattenendo un singhiozzo involontario. Iniziai a premerla sempre più forte. Volevo spaccarmi il naso. Annegare nel sangue.

Sei soltanto un peso sul budjet familiare.

Bastardo.

Piccolo mostro.

Drogato. Sei un drogato come tua madre.

Battei gli occhi, girandomi e tirando un pugno alla colonna accanto a me. Credevo che gli incubi peggiori fossero quelli che mi ricordavano i miei primi quattro anni di vita, invece adesso quasi li rimpiangevo. Non ero mai stato più sconvolto di così in vita mia. Non lo sentii neanche. Fu un attimo, come quando si viene investiti. Il pugno fu talmente forte che temetti per un minuto che mi avesse spaccato un dente. Caddi a terra, sputando un grumo di sangue e rotolando un paio di volte.

"Così impari a stare zitto, stronzo bastardo." Di bene in meglio. Mi massaggiai la mascella con una mano, voltandomi e avvertendo una fitta al collo. Lo avevo voltato troppo in fretta. Non mi sorpresi quando vidi Cross in piedi davanti a me, che mi sovrastava con il pigiama grigio, simile ad una tuta. Io invece ero in boxer. Avrebbe potuto umiliarmi facilmente. Togliermeli e lasciarmi nudo come un verme prima di far scattare l'allarme anti-incendio. In un nanosecondo ero preparato a tutto, ma lui non si muoveva. Continuava ad annaspare come un toro infuriato, ma i suoi piedi erano saldati al pavimento.

"Non voglio problemi." dissi, rialzandomi lievemente intontito.

"Avresti dovuto pensarci prima di smerdarmi davanti a tutti quei drogati." sibilò, passandosi una mano tra i capelli. Li portava più lunghi dei miei. Gli sfioravano il collo e la nuca, e adesso li aveva sparati in aria con quel gesto brusco.

"Vuoi fare a botte?" chiesi, guardandolo con sfida. Avevo comunicato in quel modo per anni. Picchiavo, graffiavo, mordevo chiunque mi provocasse. Questa non sarebbe stata né la prima né l'ultima rissa che avrei fatto. La mascella iniziava a gonfiarsi, provocandomi una sensazione simile all'anestesia.

"Non tocco la merda. Potrei sporcarmi." Okay, io ci ho provato. Portai un piede indietro, dandomi lo slancio e avventandomi su Cross. Le mie nocche cozzarono sul suo mento. Il suo ginocchio mi finì sullo stomaco. Ringhiavamo come due animali, rotolandoci sul pavimento senza fare molto rumore. Mi prese i capelli in una mano, sollevandomi la testa e sbattendola contro al pavimento. Una volta. Due. Tre. Vidi i fuochi d'artificio esplodermi davanti agli occhi, e ricordo che pensai che finalmente sarei morto. Avrei potuto ribaltarlo con un colpo di reni, ma non lo feci. Lasciai che continuasse a sbattermi la testa contro il pavimento. Quattro. Cinque. Sei volte. Il naso gocciolava di sangue, e lo vedevo sporcare la superficie immacolata.

"GIDEON!" La presa sui miei capelli si arrestò, e la sentii pesante come un macigno. La vista era sfocata, mi sentivo gonfio come un pallone da calcio, ma riuscii comunque a vedere una figura snella sbucare dal buio e venire verso di me. "SEI IMPAZZITO?!" Stava gridando. Avrebbe attirato le guardie. Mi avrebbero rimandato a casa, oppure sarei morto prima. Morto soffocato, proprio come quella puttana di mia madre. Soffocato dalla mia lingua. "Alzati. SUBITO!" Non so se Gideon si accorse solo in quel momento cosa stava facendo, ma sembrava alquanto confuso.

"Cristo. M-mi dispiace." Si tolse dalla mia schiena. Divenni più leggero. La figura rimandò in stanza una coppia di ragazze che si era affacciata, lanciandoli quello che sembrava un sacchetto di pasticche.

"Aiutami a portarlo in stanza." No. Non mi toccate. Non vi avvicinate. "Aspetta." Gideon si fermò davanti a me, con le mani tremanti a pochi centimetri dalla mia spalla. "Non lo toccare. Non vuole." Questa voce... Era come una specie di luce dolorosa. Uno stiletto infuocato nel cervello freddo. Piacevole e poi lancinante.

"Anastasia." mormorai, cercando di muovermi da solo.

"Christian." La vidi chinarsi davanti a me, senza provare a toccarmi. "Gideon, entra in una stanza e chiedi delle coperte. Tante coperte." Il moro eseguì senza fiatare. Era terrorizzato. Potevo sentirlo, e un pò mi dispiaceva. Se fossi morto lui sarebbe finito in galera, e poi i miei avrebbero avuto il fastidio di un funerale. Le chiamate delle zie, dei nonni, il catering, i fiori... troppo stress. Forse morire in quel momento non era una buona idea. "Riesci a muoverti?"

"No."

"Ti fa male la testa?"

"No."

"Sei un coglione."

"Lo so." Gideon tornò con le coperte. Venni avvolto come un salame e caricato su un lenzuolo bianco. Non dissi nulla. Neanche mugolai. Intorno a me era tutto un paradiso di suoni ovattati. Sentivo solo il profumo di bucato.

"Tira." Mi trascinarono per tutto il corridoio su quella coperta, finché non mi ritrovai davanti alla mia stanza. Mi caricarono sul letto, e Anastasia diede qualche ordine sporadico a Gideon. "Torna lì... pulisci tutto... vai in camera...niente rumore." Cross si eclissò in fretta, mentre Anastasia si chinava e prendeva da sotto al suo letto un kit del pronto soccorso. Accese la luce della lampada da comodino, e scoprii con gioia che non mi infastidiva. Niente commozione cerebrale. Ne avevo avuta una, una volta. Non era stato piacevole. "Si può sapere cosa ti è venuto in mente?" sbottò lei, imbevendo dell'ovatta di acqua ossigenata e premendomela sul labbro spaccato.

"Perché non lo hai lasciato finire?" chiesi, ma non riconoscevo la mia voce. Era roca, da moribondo ubriaco.

"Ti avrebbe ammazzato. Non so cosa gli sia preso." disse, passandomi un asciugamano bagnata sulla faccia per pulire il sangue. "Senti male da qualche parte?"

"Dovevi lasciarlo fare." mormorai, senza badare alla sua domanda.

"Non sembri avere emorragie. Sono arrivata in tempo."

"Volevo morire. C'ero quasi." All'improvviso avevo sonno, ma non dovevo dormire. Avrei avuto un altro di quegli orribili incubi.

"Non morirai. Non te lo permetterò, mr. Cinquanta." Era riuscita a curarmi senza toccarmi direttamente, e adesso mi stava mettendo un cerotto sulla fronte. Sentivo gli occhi pesti e la mascella ormai era andata. Dovevo sembrare un mostro. "Cosa sono queste?" la sentii chiedere, mentre indicava qualcosa sul mio petto. Oddio. Non avevo la maglietta. Sentii qualcosa risalirmi in gola, ed ebbi un riflesso faringeo che mi fece piegare in avanti. Per fortuna questo bastò a distrarla. Corse a prendermi un secchio per vomitare ed io approfittai della situazione per infilarmi la maglietta del pigiama e provocarmi un fiotto di dolore alle costole.

"Non ho chiesto il tuo aiuto." dissi, allontanandola con una mano quando si avvicinò di nuovo. Non doveva vedere le cicatrici. Per un attimo mi ero dimenticato il motivo per cui la tenevo a distanza. Lei però sorrise, alzando le spalle e lasciando andare il secchio che aveva preso.

"E' questo che fanno gli amici, e non venirmi a dire che non ne vuoi. Tutti hanno bisogno di amici."

"Non io." Lei rise mentre toglieva la coperta sporca di sangue da sotto il mio corpo e mi copriva con un lenzuolo pulito. Avevo male dappertutto, ma in quel momento mi sentii in pace.

"Infatti si vede: sei il ritratto della salute."

"Spiritosa." mi mise un altro cerotto sulla mascella, stendendolo bene e poi chinandosi per darmi un bacio sul primo, quello della fronte. I nodi dei muscoli si sciolsero all'improvviso, e sentii un'ondata di calore pizzicarmi le dita delle mani e dei piedi. Non avevo potuto evitare quel contatto, ma non era stato così male. Forse era il dolore acuto, o l'anti-dolorifico che mi aveva dato prima e che stava iniziando a fare effetto, ma provavo quasi benessere.

"Domani sembrerai una palla da basket."

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