Visita fuori programma
Il nervosismo iniziava a salire in maniera esponenziale. Il pomeriggio seguente avremmo tentato il colpo grosso. Aspettai al buio fino a quando non sentii la porta chiudersi a chiave per l'ennesima volta, poi agii. Era la mia ultima occasione per esercitarmi con lo scassinamento di serrature. Ana dormiva beatamente da almeno mezz'ora, e sarebbe stata il mio rilevatore di rumore. Non dovevo svegliarla. Presi la forcina dalla tasca e mi avvicinai alla porta, maneggiando un po' con il marchingennio e sentendo con soddisfazione il rumore della serratura che cedeva sotto le mie mani. Aprii la porta, sbirciando il corridoio deserto. Forse una passeggiata mi avrebbe fatto bene. In fondo ora Gideon era rinchiuso dall'altra parte dell'edificio. Non avrebbe mica potuto picchiarmi. Già. Gideon... Mi richiusi la porta alle spalle, camminando in calzini per i corridoi perfettamente immacolati. Da alcune camere si sentivano ancora rumori di chiaccherate, e a volte vedevo anche della luce fuoriuscire dalle piccole fessure al di sotto. Fui felice di non essere l'unico degente sveglio, e questo mi rassicurò mentre scendevo le scale buie.
"Per favore, parlami." Mi bloccai, sentendo dei flebili singhiozzi provenire dal corridoio alla mia destra. Una voce familiare. Eva. Mi avvicinai piano a quel pianto, sbirciando la scena che mi si era professata davanti. La bionda era seduta per terra, con le gambe divaricate ed una coda di cavallo spettinata. Batteva la testa davanti ad una porta chiusa, guardando avanti a sé. "So che sei sveglio. Dimmi cosa ti ho fatto."
"Vattene." Aggrottai le sopracciglia, stupito nel sentire la voce di Gideon. Dovevano averlo riportato nella sua stanza prima di chiudere le porte.
"No. Non finché non mi dici perché non vuoi più parlarmi." Mi sentivo il terzo incomodo della situazione, ma non potevo fare a meno di guardare quella scena ai limiti di Via col vento. "Gideon, ti prego. Ti prego. Io non posso continuare così."
"E allora lasciami stare."
"Perchè non mi dici semplicemente la verità?"
"Non c'è nessuna verità, Eva. Io sono così. Non dormo con le ragazze che mi scopo, altrimenti non ci sarebbe posto in questa stanza." Mi cadde la mascella, mentre lo sguardo di Eva si annacquava di lacrime amare. Non di tristezza. No. Quelle le avrei riconosciute a vista d'occhio. Era arrabbiata. Furiosa come non mai.
Ana mi ha detto che a lei non piace essere usata.
"Bene. Vuoi continuare a rimanere solo? Fa pure!"
E tu la stai usando?
"Ma sappi che questa non te la perdonerò mai, Gideon Cross. Mai."
No, ma chi mi crederebbe?
"Gideon." sussurrai tra me e me, mentre guardavo Eva cercare di andarsene a testa alta, inciampando nei suoi stessi piedi. Non provavo pietà per lei. Stranamente tutto il mio sentimento era rivolto verso il suo carnefice. Presi coraggio, avvicinandomi alla porta quando lei se ne fu andata. Mi misi nella stessa posizione, battendo una volta con la testa contro lo stipite.
"Ti ho detto di andartene, Tramell."
"Sono Christian." dissi semplicemente, attendendo la sua reazione. Lui se ne uscì con una frase che non avrei mai pensato potesse dire in una situazione del genere.
"Non ti hanno mai detto che origliare è male?"
"Fai sul serio?" Lo sentii sospirare, facendo un attimo di pausa.
"No. Quanto hai sentito?" Avevo quasi l'impressione che fossimo schiena contro schiena, separati da una porta rinforzata.
"Abbastanza da capire che sei nei casini." Un'altra pausa, e me lo immaginai cercare le parole giuste, mentre il suo cervello si contorceva e arrovellava. "Io non sono vergine, sai?" dissi all'improvviso, smantellando tutti i suoi eventuali dubbi su una mia possibile castità.
"In realtà la teoria di Adam è che tu sia un eunuco."
"Un eu... che?"
"Un eunuco. Sai, quelli che venivano evirati per fare la guardia agli harem dei faraoni." Mi portai istintivamente una mano al cavallo, giusto per controllare che ci fosse ancora.
"Ma è una barbarie!" sbottai, segretamente felice di essere riuscito ad adescare Gideon nel mio amo. Ora era più rilassato. L'avrei fatto svagare ancora un po' prima di dargli il colpo di grazia.
"Scommetto che ti stai stringendo il pacco." Osservai la mia mano, capendo che aveva stranamente ragione. "Sei prevedibile, Grey." ridacchiò, battendo una volta contro la porta. "Ma non riesco a capirti, a volte." concluse, e pensai che fosse un bene non essere proprio un libro aperto.
"Non c'è niente da capire, amico. Sono quello che vedi. Un diciassettenne bellissimo con un gusto appassionato per il cibo, le brune e i suoi meravigliosi capelli ramati."
"Oh no, ora mi sembra di parlare con Adam!" Risi sommessamente, guardandomi intorno per vedere se qualche guardia stava passando. Per il momento ancora nulla, ma era meglio essere cauti.
"Mi fai entrare?" chiesi, estraendo già la forcina dalla tasca.
"Vuoi stuprarmi, per caso?"
"Cazzo, mi hai scoperto. Ed io che volevo farti provare le sensazioni più intense della tua vita." dissi in tono fintamente seducente, facendo uno sguardo che lui non avrebbe potuto vedere.
"Oh beh, in questo caso entra pure." Scassinai velocemente la serratura, entrando silenzioso come un gatto e richiudendomi la porta alle spalle. Gideon era seduto sul letto: la testa china verso il basso, i capelli che ciondolavano un po' intorno al viso, i gomiti poggiati sulle ginocchia divaricate. L'immagine della depressione. Cercai con lo sguardo il suo coinquilino, sperando che stesse ancora dormendo, ma con mio grande stupore l'unica cosa che vidi fu un letto singolo ed una stanza perfettamente ordinata, quasi asettica.
"Sei solo." dissi, ma non era una domanda. Allora se non era un problema di coinquilino, perché Eva non poteva dormire con lui?
"Non posso avere un coinquilino." borbottò, alzando il viso per guardarmi. Sbarrai gli occhi quando vidi quella faccia nelle stesse condizioni in cui versava la mia, qualche ora fa. Gli occhi arrossati e le guance strofinate con violenza. In circostanze normali gli avrei chiesto il perché del suo esilio forzato, ma poi ricordai che era quello che volevo io all'inizio. Perché ora mi sembrava così triste?
"Gideon..." Lui alzò una mano, mentre con l'altra si portava i capelli all'indietro.
"Come vedi..." sorrise, indicando il suo viso "non sono nelle condizioni migliori per uno stupro." Mi fissò per un lungo istante, forse tentando di leggermi nel pensiero per captare la mia prossima mossa. "Non provare ad abbracciarmi." disse infine. Wow. E' davvero negato.
"Non ne avevo intenzione." Mi sedetti accanto a lui, buttando la schiena all'indietro e stendendomi quasi completamente sul letto ancora fatto. "Ma tu non dormi mai?" chiesi, notando che le lenzuola erano ancora perfettamente stirate, e il cambio era passato già tre giorni fa.
"Non se posso evitarlo." Nella penombra della stanza notai qualcosa attaccato ad uno dei pomelli della testiera. Allungai una mano e toccai il metallo freddo di quello che capii essere un paio di manette. Mi si formò un nodo in gola, mentre l'immagine di me legato e imbavagliato mi faceva salire il sangue al cervello, per poi defluirlo in tutto il corpo.
"E queste? Fai giochini BDSM con Eva?" chiesi, in tono complice. Forse avevo trovato un mio simile, ma ne dubitavo.
"Qualcosa del genere." ricambiò, fissandomi con un sorrisetto. Notai che la mano sinistra correva ad afferrarsi il polso destro, dove c'era un bracciale di cuoio spesso che non avevo mai notato. Mi si accese una lampadina improvvisa, e mi rimisi seduto, afferrandogli il braccio con velocità. "Ma che stai facend..." Gli tolsi il braccialetto, rivelando il segno di abrasione che nascondeva. Sbarrai gli occhi mentre lo lasciavo andare, come se scottasse.
"Sei il sottomesso di Eva?" sussurrai incredulo. Uno così grosso... sotto una ragazza così minuta? Le guance di Gideon diventarono rosso acceso, mentre distoglieva lo sguardo.
"No, pezzo d'asino. Io sto sempre sopra, ricordatelo per esperienze future." Si strofinò il viso, scuotendo la testa come per scacciare un brutto pensiero.
"E allora a cosa ti servono? Autoerotismo?"
"Possiamo parlare d'altro!?" sbottò lui, fulminandomi con lo sguardo.
"Va bene." acconsentii, con la stessa veemenza. "Allora dimmi perché cazzo ti hanno messo in isolamento." Lo sapevo già, ma volevo che me lo confessasse lui. A quanto pare però neanche quel discorso sembrava piacergli.
"Non è importante." minimizzò, e la cosa mi fece infuriare.
"Senti, tra poche ore faremo il colpo al magazzino. Immagina cosa fosse successo se ti avessero tenuto qui anche domani! Avremo dovuto rimandare, ed Anastasia sarebbe dovuta andare con quel porco di Hyde!"
"Anastasia si è indebitata. Non sarebbe stato sbagliato." Strinsi i denti, cercando di mantenere la calma. Non lo aveva detto davvero, e se lo aveva fatto non era in sé. Solo questo, e la consapevolezza che se lo avessi picchiato di nuovo sarei stato sicuramente cacciato da questo posto, mi costrinsero a rimanere seduto composto.
"Gideon... voglio aiutarti. Dimmi solo come." ammisi, e sapevo di sembrare il più grande degli ipocriti in quel momento. Lo sguardo del mio amico si addolcì, ma non quanto avevo sperato.
"Non c'è rimedio, Christian. Sono condannato a vivere da solo." Portò in dentro le labbra, leccandosele per inumidirle. "E solo che... vorrei almeno aver fatto qualcosa per meritarmelo."
Domenica mattina arrivò. Erano stati tre giorni intensi, e quella mattina l'aria non era delle migliori. La colazione non mi attirava per la prima volta in vita mia, e Anastasia tentò invano di farmi mandare giù almeno un bicchiere di latte e cioccolato. Eravamo seduti alla nostra Tavola Rotonda, e Sophie era una buona new entry. Superato l'imbarazzo iniziale, parlava tranquillamente del più e del meno con Gideon, beccandosi ogni tanto qualche fulminea occhiataccia di Eva, che però si ostinava nel suo silenzio.
"Spero siate pronti per questo pomeriggio." disse Adam, chinandosi verso il centro del tavolo. Annuimmo in contemporanea, e non so da dove cacciò quella stessa cartina che ci aveva mostrato la prima volta. "Allora, interroghiamo." esclamò, puntandomi il dito contro.
"Christian. Ripeti la tua parte." Congiunsi le mani in avanti come un bravo studente, alzando lievemente un sopracciglio.
"Mentre le guardie saranno impegnate a separare te e Gideon, io, Ana ed Eva entreremo nel magazzino. Mentre io faccio da palo alla porta, Eva ed Ana troveranno e prenderanno la mia valigia e la apriranno, per poi ricucirla velocemente." Ripetei per l'ennesima volta dove applicare il taglio, e loro mi ascoltarono attentamente.
"Finalmente le lezioni di taglio e cucito di mia madre serviranno a qualcosa." scherzò Ana.
"Sophie." continuò Adam, sorridendole. "A che ora devi disattivare l'allarme?"
"Domanda a trabocchetto. Devo aspettare il tuo segnale." rispose lei.
"E qual'è il segnale?" Sophie si schiarì la gola, trattenendo un po' di aria nella pancia.
"Ti faccio a pezzi, brutto cazzone!" disse, cercando di imitare la voce di Adam. Gideon scoppiò a ridere, ed io non potei fare a meno di fissare quel bracciale di cuoio. Come avevo fatto a non notarlo prima?
"Ehi, siete uguali."
"Ha-ha. Davvero divertent..."
"Christian T. Grey?" Sobbalzai sentendo una voce più dura chiamarmi, mentre Adam faceva scomparire velocemente la mappa, poco prima che una delle guardie arrivasse al nostro tavolo. Lo sguardo rivolto verso di me. Appena in tempo.
"Sono io." dissi, alzandomi per poter coprire la visuale dei miei amici e permetterli di nascondere meglio il misfatto.
"Hai una visita fuori programma." Una... cosa? Credevo fossero vietate. Perché proprio oggi, e chi poteva essere? Con stupore seguì la guardia fuori dalla mensa, lanciando uno sguardo rassicurante ai miei amici, che invece mi osservavano preoccupati.
"Chi è?" domandai, quando ci fummo allontanati abbastanza. L'uomo mi dava le spalle, e non si degnò di girarsi quando rispose: "Una donna bionda. Ha detto di chiamarsi Elena Linton." Il mio cuore mancò un battito, costringendomi a fermarmi per un breve attimo prima di proseguire. Elena. Che cazzo ci faceva qui Elena? Trattenni il fiato fino a quando non giungemmo nella Sala Visite. Mi faceva uno strano effetto vederla deserta, fatta eccezione per l'unico tavolo occupato, proprio al centro, da una donna di trentadue anni. I capelli biondi, tagliati in un elegante caschetto, si mossero impercettibilmente quando mi videro, mentre la sua bocca si apriva in un dolce sorriso.
"Grazie, signore. Può andare." La guardia annuì, per poi voltarsi.
"Ha mezz'ora, signora. Non posso concederle di più." Rimanemmo soli, mentre io contavo ogni passo della guardia. Mano a mano che quel toc si allontanava, l'espressione di Elena mutava. Il sorriso cordiale di prima divenne un ghigno affilato. Abbassai d'istinto lo sguardo, stringendo i pugni.
"Avvicinati, Christian." Obbedii. Non sapevo fare altro con lei. Mi affiancai al suo tavolo, ma rimasi in piedi fino a quando non mi ordinò di sedermi. "Sei stato cattivo." esordì, mentre io tenevo lo sguardo fisso sul tavolo.
"Perch..."
"Ho detto che puoi parlare?" Mi morsi la lingua, muovendo le dita sotto al tavolo.
"No, signora." La sua postura si rilassò, ma potevo sentire quegli occhi perforarmi il collo, in cerca di un qualsiasi nervo scoperto che mi provocasse dolore.
"Dicevo: sei stato cattivo. Perché non mi hai detto che saresti andato via per tutta l'estate?"
"Non lo sapevo. Carrick e Grace mi hanno mandato qui con un giorno di preavviso." mi scusai, e sembrò per un attimo che l'avessi stupita, ma il suo tono non cambiò.
"Ti avevo detto di smettere di fumare."
"Sì, signora." Sapevo cosa stava per dire, e una parte di me desiderò che lo facesse in fretta. Non mi sarebbe dispiaciuta una punizione. Qualcosa di veloce.
"E sai cosa succede quando non fai quello che ti dico?" Una sua unghia smaltata percorse il filo della mia mascella, come un artiglio d'aquila. "Guardami, Christian." Alzai lo sguardo verso di lei, ed Elena continuò a percorrere il profilo del mento, poi del collo, poi della clavicola, per poi bloccarsi prima di arrivare al petto. Oh, sì...
"Sì, signora." Il suo sorriso si ampliò a dismisura, mentre passava ad accarezzarmi i capelli.
"Povero, il mio Christian. Tutti questi mesi senza la sua padroncina a guidarlo. Devi sentirti molto solo." Sospirai, sapendo che non avrei dovuto dirle la verità, e cioè che io lì dentro ci stavo benissimo. Voleva sentirsi dire che mi sentivo solo, ed io le avrei detto che mi sentivo solo. Anzi, non avrei detto niente, perché non mi aveva domandato niente. "Che ne dici se quando tornerai riprendessimo il tuo addestramento da dominatore? Voglio vedere cosa hai imparato." Allargai le gambe sulla panca imbottita, iniziando a sudare freddo.
"Sì, signora."
"Christian..." Vidi Elena alzare lo sguardo verso la porta, ritraendosi subito e mettendosi al suo posto. Riconobbi la voce acuta di Ana, e mi chiesi cosa ci facesse qui e soprattutto quando avesse sentito. Non mi voltai neanche per guardarla. Elena non me ne aveva dato il permesso.
"E tu chi sei, ragazzina?"
"Anastasia Rose Steele. Sono un'amica di Christian." Elena mi fulminò con lo sguardo, alzandosi con delicatezza dal suo posto. Non appena mi diede le spalle mi voltai, senza però muovermi di un passo.
"Il mio Christian non ha amici." disse con dolcezza, ma Anastasia la guardò con sufficienza, incrociando le braccia al petto.
"Il suo Christian? E lei chi è? Sua nonna?" Oh. Mio. Dio. E' morta. Gli occhi di Elena ebbero un guizzo, ma Anastasia non indietreggiò. Sembrava aver trovato una faccia tosta che non ricordavo avesse.
"Nessuno ti ha mai insegnato l'educazione?" Poi sorrise. Un sorriso che sapeva di presa in giro. "Certo che no. Altrimenti non saresti qui."
"Lei non è la madre di Christian, e neanche la sorella. Non l'ho mai vista a nessuno degli incontri settimanali, e di sicuro lui non sembra essere molto felice della sua visita. Quindi ora la domanda è: chi è lei, signora?"
"Anastasia." sbottai, alzandomi e andandole incontro. Se Elena le avesse rivelato la verità, anche solo per atteggiamento di superiorità, lei lo avrebbe detto a Carrick, e allora sarebbe stata la fine di tutto: la mia vita privata, i miei incontri con Elena, i miei progressi per sembrare più normale. "Smettila, ora. Vai via."
"Esatto. Ascolta il tuo amico." Anastasia mi osservò per un lungo attimo. Un attimo pieno di tensione, poi rivolse ad Elena uno dei suoi più caldi sorrisi.
"Scusate il disturbo. Christian. Nonna di Christian." Fece un mezzo inchino, prima di darmi le spalle e tornare da qualsiasi Inferno fosse sbucata fuori.
"Questo ti costerà quattro frustate, tesoro." sentii dire Elena, con voce fredda. "E quando torno qui voglio che tu non parli più con quella ragazzina, nè con nessun altro in questa topaia. Non va bene per te." Cosa? No.
"Ma lei..."
"Niente ma. Non voglio che ti rovini con gente del genere." Mi prese il viso con una mano, strizzandomi le guance con forza e costringendomi a guardarla. "Mi raccomando, piccolo mio. Sai cosa succede se non fai quello che ti dico." Mi avvicinò a lei, schioccandomi un bacio a fior di labbra. Oddio. Devo fare una doccia. "Lo farai per me?" Elena o Anastasia? Chi scegliere? Anastasia è la mia migliore amica. Elena è la donna che mi scopo, e che continuerò a scoparmi per gli anni a venire. Anastasia era solo di passaggio. Elena era il mio futuro. Mi dispiace, Ana.
"Sì, mia signora."
Tornai al mio tavolo con la rabbia in corpo. Cercavo di concentrarmi su quell'unico sentimento, anche perché mi aiutava ad affrontare quello che avrei dovuto fare tra poco. Non lasciarla andare. Il primo consiglio paterno della mia vita ed io stavo per dissacrarlo per qualche notte di sesso violento. Mi sentivo uno schifo, ma ne avevo bisogno. Ne avevo un disperato bisogno.
"Oh, e' tornato il dolce nipotino." mi prese in giro lei, seguita a ruota dagli altri.
"State zitti." dissi atono, facendoli sobbalzare. Mi guardarono tutti, con le sopracciglia aggrottate.
"Ehi, che ti prende?" Mi voltai verso Adam, sapendo che se avessi tagliato i ponti con Ana avrei dovuto farlo anche con loro. Perché Anastasia aveva dovuto rovinare tutto? Perché aveva insultato Elena? Perché doveva essere sempre così... Anastasia? "La nonna ti ha sgridato perché hai fatto il cattivo?" Okay, ora basta. Mi lanciai sul tavolo, buttando a terra un vassoio e prendendo Adam per il colletto.
"Ti ho detto di stare zitto." sibilai, a un centimetro dal suo naso. Lui mi guardò con spavento, ingoiando a vuoto.
"Mr Cinquanta, calmati. Stava solo scherzando." La voce di Anastasia mi riportò alla realtà, così come una guardia che mi mise una mano sulla spalla, intimandomi si lasciarlo andare. Mi scostai malamente, e quando mi voltai vidi che non era chi pensavo fosse. Christofer.
"Cosa sta succedendo, qui?" Lo ignorai, voltandomi verso Anastasia e serrando la mascella talmente tanto che i denti sfrigolarono gli uni contro gli altri.
"Ti ho detto di non chiamarmi in quel modo. Io mi chiamo Christian." Lei si morse il labbro inferiore, guardandomi con delusione malcelata mentre uscivo dalla mensa con passo pesante. Lei era delusa? Mi aveva appena fatto fare una figuraccia, ed aveva rovinato la nostra amicizia. Se si fosse presa i fatti suoi non sarebbe successo nulla. Non avrei dovuto scegliere. Invece no. Doveva sempre parlare a vanvera. Sempre in mezzo. Sempre ad intrufolarsi nella mia vita. Perché è questo che fanno gli amici.
"Hai scelto il momento peggiore per dare di matto." Mi sentii afferrare per un braccio, il che mi causò una reazione istintiva: girai su me stesso e spintonai il corpo davanti a me, vedendolo cadere a terra e cacciare un urletto di sorpresa.
"Lasciami in pace." No. Un momento. Non era Gideon, o Adam. Anastasia mi guardò con le lacrime agli occhi, massaggiandosi il sedere con una mano. La guardai con il fiato sospeso, aspettando una sua reazione.
"Cosa ti ho fatto?" mugolò, quasi incredula. "Perché ti comporti così?" Iniziai a respirare in maniera più affannosa, mentre lei si rialzava e si puliva i pantaloni con una mano.
"Dovevi per forza parlare, eh? Dovevi metterti in mezzo a me ed Elena." sbraitai, incurante che qualcuno potesse sentirmi.
"In mezzo? Che cazzo stai dicendo? Chi era quella lì?"
"Oh certo. Così, se te lo dirò, correrai da Carrick. No, grazie." sputai con disprezzo, e mi sembrò quasi di sentire il mio ipotetico coltello piantarsi dritto nel suo cuore. Fu come se avessi spento un interruttore: le sue spalle, il suo respiro, il suo sguardo. Tutto di rilassò in un attimo, afflosciandosi.
"E' così che la pensi? Davvero?" domandò, con un'assenza totale di sentimenti. Sembrava... me.
"Come dovrei pensarla? Sei la spia di mio padre."
"No." Abbassò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. Quando lo rialzò verso di me, invece, fremeva di rabbia. "Io sono tua amica." Non dire così, ti prego. Sta zitta.
"Ora non più." sussurrai, senza neanche guardarla. Il suo cuore era esploso, e il sangue mi era finito addosso. Potevo sentirlo, caldo e viscoso, toccarmi l'anima. "E non provare mai più a toccarmi." Le diedi le spalle, senza il coraggio di vedere la sua reazione. Di osservarla un'ultima volta. Avevo strappato un cerotto, e adesso il dolore si sarebbe protratto a lungo, sostituito poi dalla sensazione che qualcosa, bene o male che fosse, mi era stata strappata senza rimedio.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top