Strani soggetti

"Gideon!" Adam gridava il nome per tutto il corridoio, portandosi le mani davanti alla bocca sottoforma di megafono. "Gid! Dove sei, piccolo psicopatico capellone?"

"Adam." lo rimbrottai, fulminandolo con lo sguardo.

"Hai ragione. Quello è tutto tranne che piccolo." Mi battei una mano sulla fronte, scuotendo la testa mentre Adam continuava con il suo richiamo. "Cross! Se ci senti batti un colpo."

"Smettila. Mantieni la dignità." ringhiai, mettendogli una mano sulla spalla. Lui mi fulminò con lo sguardo, guardandomi dal basso verso l'alto.

"Oh, ma certo. Usiamo il metodo Grey: giriamo per il corridoio senza dire una parola. Sicuramente funzionerà."

"Touché." Lui rise, e in quel momento notai una guardia che veniva verso di noi. Mi bloccai, riconoscendo la stronza che avevo incontrato il primo giorno. Quella con il cane incredibilmente socievole.

"Cosa ci fate nei corridoi? Nell'auditorium. Adesso." abbaiò, fermandosi proprio davanti a noi. Era alta. Un colosso. Forse era tedesca, ma non ci avrei giurato.

"Mi scusi, donzella." iniziò Adam, superandomi e facendo un breve inchino. "Siamo alla ricerca di un nostro caro amico. Vero, messer Grey?" Ma che cazzo... Lui mi guardò, facendo un breve occhiolino. Assecondami. Colto alla sprovvista gonfiai il petto, diventando leggermente rosso. Perché dovevo umiliarmi in quel modo?

"Giusto. Il signor Gideon Cross." borbottai, inchinandomi a mia volta. Fa che non passi nessuno. La gigantessa in uniforme ci fissò per qualche istante, poi ci prese per i colletti delle T-shirt, alzandoci come se fossimo due sacchi di patate.

"Finitela, vi prego. Gideon Cross sarà in isolamento per tutto il giorno. Non vi serve sapere altro. Ora filate."

"Isolamento? Perché?" chiesi, facendo un passo avanti. Bastò uno sguardo per farmi tornare al mio posto.

"Non sono affari vostri. Ve lo dirà lui, se vorrà. Ora via, prima che vi ammonisca." Stavo per ribattere, ma Adam mi prese a braccetto, facendo dietro-front e trascinandomi con lui.

"Okay." Mi fermai non appena svoltammo l'angolo, guardandolo torvo. "Ora mi spieghi perché ti sei trasformato in Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio." Adam alzò gli occhi al cielo, tornando a camminare.

"Quella è Maya. E' amara come il cianuro, ma adora il vecchio stile. Con lei bastano solo un po' di buone maniere." Sorrise, imboccando la strada che scendeva nell'Auditorium. Dovevamo superare il giardino centrale per arrivarci, ed eravamo rimasti in pochi ancora in giro per l'istituto. Iniziai istintivamente a guardarmi intorno in cerca di Ana. Anche loro erano andata alla ricerca di Cross, e sarebbero rimaste sconvolte nel sapere la sua vera ubicazione.

"Forse ho capito il tuo problema, sai?" dissi, portandomi le mani in tasca.

"Sentiamo. E ricorda che la mia bellezza non conta." Scossi la testa, ricordandomi di infilare un egocentrico in mezzo alle mie teorie psicanalistiche.

"Hai un disturbo della personalità." Adam mi guardò torvo, per poi negare con un cenno del capo.

"Solo perché sono allegro in un posto che, obbiettivamente, metterebbe tristezza a chiunque? Sono solo del parere che bisogna essere fuori dagli schemi, se si vuole essere veramente notati." Rimasi di stucco davanti al suo ragionamento, chiedendomi da dove venisse quell'Adam così serio. Era come se si limitasse a sbucare fuori solo una volta ogni tanto, cacciando la testa dalla sabbia come uno struzzo. Com'era quando non voleva essere notato? "E poi..." continuò, entrando nell'altra ala dell'edificio e dirigendosi verso le scale che portavano all'Auditorium. "Per un disturbo simile dovrebbero somministrarmi dei farmaci, invece qui gli unici che li prendono da Hyde siete tu e Anastasia, e il risultato non è dei migliori."

"Già, a proposito: sai dirmi a cosa servono quelle pillole che Jack da ad Ana?" Lui alzò le spalle, ma nel farlo mi lanciò un'occhiata eloquente. Lui sapeva qualcosa, ma forse era indeciso se dirmelo o meno.

"Non lo hai veramente notato?" mi chiese, e per l'ennesima volta mi ritrovai a chiedermi cosa cavolo dovessi notare nella sorridente e irriverente Anastasia Steele. "Oh, Christian. Lei..."

"Scusate." La piega triste delle sue sopracciglia venne sostituita da una posa più tagliente, curiosa. Guardai la piccola figura in pinocchietti rosa che probabilmente mi aveva fatto perdere una delle mie più grandi opportunità, e lei mi restituì uno sguardo enorme e vacuo. Una bambina? Che ci faceva una bambina così piccola in giro per questi corridoi? "Avete visto la mia mamma. Mi sono persa." Ah. Ecco. Ora si spiegava tutto.

"Oh mio Dio, ma sei adorabile!" esclamò Adam, chinandosi verso di lei. Il piccolo esserino, magro come un giunco, sbarrò gli occhi blu, aggiustandosi il cerchietto glitterato che teneva indietro una frangetta nera. "Come ti chiami, piccola?"

"Adam, smettila. Sembri un pedofilo." sussurrai, ma lui non mi diede retta. La bambina mi fissò per un lungo istante, ed io cercai di sorriderle per rassicurarla, per farle capire che Adam non era matto, ma mi accorsi di non sapere se fosse la verità. E se fosse stato matto? Se fosse stato un pedofilo? No, mi dissi, non potevo più vivere nell'incertezza. Le cartelle cliniche...

"Ireland." pigolò la bambina, e il mio amico si rimise dritto, portandosi una mano sul cuore.

"Uh, come l'isola dei folletti. Bel nome." Finalmente la bambina sorrise, più rassicurata.

"Come sono fatti i tuoi genitori? Magari li abbiamo visti." dissi, riportando la conversazione sulla retta via. Ireland si concentrò su di me, osservandomi con attenzione.

"Mamma è alta, con i capelli neri, tanto lunghi. Papà è biondo."

"State lontani da lei." Eh? Io e Adam ci voltammo di scatto, giusto in tempo per vedere un ragazzo di qualche anno più piccolo di noi che avanzava deciso, spostandosi il ciuffo biondo con un gesto della mano. "Ireland. Eccoti, grazie a Dio." Ireland sorrise, sorpassandoci e afferrando una mano di quel tizio, che prese a squadrarci con fare disgustato. Trattieni la furia omicida.

"E tu chi saresti, fighetto?" ringhiò Adam, entrando in modalità predatore. Ero convinto che non avrebbe esitato a mangiarlo se solo avesse detto una parola di troppo.

"Non sono cazzi tuoi, disturbato." Il mio amico fece scattare in alto le sopracciglia, per poi rilassarle quasi subito in uno dei suoi sguardi divertiti.

"Come, scusa?"

"Mi hai sentito. Scommetto che siete amici di quello psicopatico di Gideon. D'altronde solo lui può essere tanto bisognoso di attenzioni da farsi rinchiudere in un posto come questo." Bisognoso di attenzioni?

"Cosa c'entri tu con Cross?" Questa volta fui io a parlare, e quello sembrò vedermi per la prima volta.

"Ehi ma... tu sei il figlio adottivo di Carrick e Grace Grey. Ehm... Christian, giusto?" Annuii con convinzione, segretamente stupito che mi conoscesse. "Eri su tutte le riviste e i blog il mese scorso, ma lì dicevano che eri andato a Ottawa dai tuoi nonni."

"Cosa?" Il biondo assunse l'espressione di chi era riuscito a scoprire un segreto militare, ammiccando verso di me, ma prima che potesse dire qualcosa Ireland lo strattonò per un braccio.

"Christofer, voglio andare da Gideon." piagnucolò, facendolo distrarre. Quella mocciosa iniziava a starmi sui nervi. Fantastico. Un altro Christofer. Ci sto facendo la collezione.

"Siete suoi parenti?" chiese Adam, incrociando le braccia al petto con fare minaccioso. Non ricordavo di averli mai visti durante gli incontri settimanali del giovedì. Christofer fece una smorfia nervosa, come se la sola idea gli puzzasse.

"Il nostro cognome è Vidal, non Cross." spiegò, come se questo dovesse risolvere tutto. Per fortuna la bambina aggrottò le sopracciglia, palesemente confusa.

"Ma Gideon è il mio fratellone."Beccati. "Dai, voglio andare da Gideon. Voglio andare da Gideon!" Adesso si era messa a saltare, e per un attimo ebbi paura che potessero esploderle le orecchie. Li osservai andarsene, senza degnarci di un saluto. Solo la piccola agitò la mano in aria, ed ebbi un colpo al cuore quando rividi Mia affacciarsi dal finestrino della limousine di Carrick, mentre cercava di salutarmi. Non la vedevo da troppo. Grace si ostinava a dire che questo non era un posto adatto per i bambini. Mi ritrovai a pensare che forse aveva ragione. In fondo Ireland era stata fortunata a trovare me ed Adam. Chissà cosa sarebbe successo se avesse incrociato uno degli eroinomani in crisi di astinenza.

"Che famiglia. Ci credo che il ragazzo abbia dei problemi." commentò Adam, mettendosi le mani in tasca mentre li osservava andare via. Ci guardammo per un istante, scambiandoci un'occhiata complice. "Pensi anche tu quello che penso io?" Non ci volle molto per capire che l'Auditorium avrebbe potuto aspettare.

"Ti rendi conto che se ci beccano saremo lo zimbello dell'istituto, vero?"

"Per cosa?" chiesi, sporgendomi un po' di più dal muro dietro al quale ci stavamo nascondendo. "Per aver spiato una conversazione privata? Lo fanno sempre al cinema." Adam non obbiettò alla mia logica, limitandosi ad osservare l'intera famiglia di Gideon entrare dentro alla stanza numero 987, scortati da due guardie. "Via libera." sussurrai, non appena la porta fu chiusa.

"Io faccio da palo." Corsi solo verso la porta, appoggiandoci l'orecchio e stando in ascolto. Le voci erano un po' ovattate, ma niente di irrimediabile.

"... non vi voglio qui!"

"Gideon, figliolo, puoi spiegarci almeno perché lo hai fatto?" Fatto cosa? Gideon sembrava intenzionato a non rispondere a quello che, pensai, doveva essere il suo patrigno. "L'altra volta ci avevi detto che avevi fatto progressi, e invece adesso ci vengono a dire che hai aggredito una guardia." Pausa, ed io trattenni il fiato come se potessero sentirmi respirare. "Ascolta, ti abbiamo concesso una camera singola per renderti le cose più piacevoli, veniamo a trovarti ogni settimana, abbiamo scelto il meglio per te."

"Come sempre, del resto." Un altra voce. Christofer Vidal. Quel ragazzo ha seri problemi di calo di attenzione.

"Vuoi almeno parlare? Dicci qualcosa. Qualunque cosa." Adesso l'uomo sembrava disperato, ma Gideon ostentava il suo silenzio. Dai. Parla, caprone!

"Mi dispiace. Non succederà più." disse infine, in tono atono. Questa risposta non avrebbe soddisfatto neanche il più ingenuo dei genitori, ma con mia grande fortuna quelli sembrarono accontentarsi. "Ma non portatemi via da qui." Sbarrai gli occhi, mentre le mie labbra si curvarono velocemente all'insù. Eccola. L'emozione, anche se celata bene. "Sto davvero facendo progressi. Ieri notte avevo fatto un incubo, e quando la guardia è entrata per vedere che stesse succedendo mi sono spaventato e l'ho aggredita."

"Christian." Non ora. Non ora.

"Me ne vergogno davvero. Giuro che starò più attento, ma non ho più aggredito intenzionalmente nessuno da un mese."

"Christian, dannazione."

"Gideon..." Questa volta la voce era più dolce. Più apprensiva. La voce di sua madre.

"Lasciami stare."

"Ma..."

"Cristo, amico!" Mi sentii afferrare per la maglietta e trascinare via giusto in tempo, prima che un'altra coppia di sorveglianti passasse proprio di fronte a me. Ci appiattimmo contro il muro opposto, per poi sgusciare velocemente lontano da quel posto.

"Allora, cosa hai sentito?" Corremmo per arrivare all'Auditorium, cercando di non farci vedere, ma era difficile visto che i nostri erano gli unici passi in una struttura semi-deserta.

"Ha aggredito una guardia, la scorsa notte." Codice 20. Codice 20. Ma certo. Era lui il mio codice 20. Il mio mistero notturno. "Dice di aver fatto un incubo. Almeno lo lasceranno uscire per domani. Dovremmo dirlo alle ragazze." Scosse la testa, fermandomi per un braccio. Lo guardai come se fossi pazzo, aspettandomi che da un momento all'altro apparissero delle guardie che ci avrebbero scoperto e punito.

"Non diremo niente." sibilò, stringendo la presa. "Mai." Mi scrutò con gli occhi grigi, e capii che era serio come non lo era mai stato. "Mi hai capito? Ripetilo."

"Ripetilo, Christian." Un'altra frustata, questa volta sul fianco sinistro. Avrei voluto gridare per il dolore, ma la palla rossa che avevo in bocca mi impediva di esprimere qualsiasi suono concreto. "Ripeti." Mi aveva stuzzicato per due ore. Si fermava sempre sul più bello. Credevo sarei impazzito mentre lei mi passava un'unghia smaltata sulla parte arrossata. Aveva ancora quella tutina in pelle nera. Non mi aveva permesso di togliergliela. Si mise a carponi sopra di me. Ogni parte di lei premeva contro di me, ed io non potevo ribellarmi a quel contatto diretto in alcun modo. Provai a gridare di togliersi, ma c'era quel maledetto bavaglio. Lei continuò a guardarmi negli occhi e a strisciare la pelle sintetica contro di me, fino a quando il mio cervello iniziò a fare strani giochi tra dolore e piacere. Poi i brividi di piacere presero il sopravvento sui ricordi e sulla paura. Ogni cosa era sfocata, tranne i suoi occhi. Quando chiusi gli occhi per una sensazione più forte delle alte, lei mi tolse il bavaglio dalla bocca, poggiandomelo sullo sterno. "Ripeti. Chi sono io?"

"T-tu sei la mia padrona."

"Bravo. E tu chi sei?" Anche le gambe erano legate in modo da rimanere divaricate. Sentii le caviglie scorticarsi per l'attrito con la corda.

"Il tuo sottomesso."

"Ripeti." Tornai alla realtà, muovendo la caviglia in un gesto involontario, giusto per capire se fosse libera o meno.

"Non lo diremo a nessuno. E' un segreto." mormorai, abbassando la testa. Avevo bisogno di una doccia fredda, o della palestra, o di Elena. Chissà come stava. Forse aveva trovato un altro sottomesso, oppure si divertiva con Linton.

"Ti senti bene?" Mi portai una mano sul cuore, annuendo con convinzione prima di sgattaiolare nella porta sul retro dell'Auditorium, giusto prima che il sipario si chiudesse.

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