Sensibilità alle condizioni iniziali

Li sentivo mentre mi tamponavano il sangue con un'asciugamano bagnata. Guardavo il soffitto con aria assente. Le parole di Elena mi tartassavano il cervello. Ricordati chi comanda, Christian Grey.

"Ti fa ancora male qualcosa?" Mi voltai leggermente, guardando Gideon mentre copriva con una garza presa dall'infermeria quello che Elena aveva inciso con il coltello. MIO. Ero ufficialmente un oggetto. Fantastico.

"No." Invece sì. Il dolore tra le natiche era insopportabile, e quel marchio sui miei addominali bruciava più delle cicatrici.

"Christian, non puoi andare avanti così. Pensa se ti avesse visto Anastasia." Non volevo farlo. Il pensiero era troppo orribile anche solo per essere contemplato.

"Ne ho bisogno."

"Bisogno di cosa?" sbottò Adam, facendo cadere l'asciugamano a terra. "Di essere umiliato? Marchiato? Ridotto in questo stato? Cazzo, Christian. Questa cosa va avanti da due anni!"

"Adam." disse Gideon, guardandolo con freddezza. "Sta zitto."

"Voi non mi avete mai detto niente sulle vostre vite." dissi, continuando a guardare verso l'alto. "Mai. Quindi non potete pretendere che vi parli di me." Li scostai, mettendomi seduto e provando ad alzarmi. Strinsi i denti e mi diressi a passi pesanti verso l'armadio, vestendomi con lentezza. "Non parliamone più." ringhiai, finendo di infilare anche la maglietta ed uscendo dalla stanza. Non volevo perdere un altro incontro, e poi Anastasia mi aveva tenuto un posto in prima fila.

Non parlai con Christofer. In quelle condizioni evitai anche di guardarlo, cosa che fece incuriosire molto Ana, Eva e Sophie. Gli altri erano stati zitti. Sapevo che lo avrebbero fatto. Il pomeriggio andai all'incontro con il gruppo di supporto, insieme ad Anastasia ed Eva. Ci sedemmo sulle sedie, e come ogni giorno eravamo in silenzio, ascoltando quello che avevano da dire gli altri. Notai che molti ragazzi stavano meglio delle altre volte. Lividi guariti e occhiaie semi-scomparse. Solo un drogato su tre riesce a smettere. In quel gruppo c'erano quindici drogati e quindici problematici. Questo mi portava alla conclusione che solo cinque di loro avrebbero continuato a vivere. Gli altri sarebbero sopravvissuti. Per quanto riguardava quelli come me, beh, per noi non c'erano statistiche. Bisognava incrociare le dita e sperare in un futuro migliore.

"C'è qualcun altro che vuole condividere la sua esperienza con noi?" Capelli a Caschetto fece la domanda finale, ed io ero già in procinto di andarmene, quando la porta si aprì all'improvviso. Adam, Gideon e Sophie entrarono sorridenti, alzando una mano.

"Noi vorremo dire qualcosa!" Li guardai come si guarda uno strano incrocio animale, e così fecero anche Eva ed Anastasia. Capelli a Caschetto era sbalordita, e balbettò qualcosa con voce incerta.

"V-voi non siete di questo gruppo."

"Già, ma non possiamo aspettare." Adam saltò in mezzo al cerchio, rimanendo in piedi. "Signori, signore e drogati vari. Mi chiamo Adam Scott."

"Ciao, Adam." dissero gli altri, quasi in un gesto involontario.

"Da quando sono piccolo, sono sempre stato quello trascurato. Secondo il nostro amato dottor Flinn, questo mi ha portato ad un'aggressività latente e leggera bipolarità." Perse improvvisamente il sorriso, voltandosi verso un ragazzo alle sue spalle. "Cosa guardi tu, coglione?" ringhiò, facendolo sobbalzare. "Comunque..." riprese, tornando a sorridere. "Ho fatto uso di droghe. Coca, maria, una volta l'ecstasy, ma ora sono pulito, anche se dalla mia entrata non si direbbe. Sono un ragazzo problematico." Sophie apparve alle sue spalle, mettendogli un braccio intorno alle spalle.

"Ciao, gente. Io sono Sophie Lether. Sono stata picchiata e violentata dal mio ex ragazzo, e questo mi ha portato ad essere un'asociale con una gran paura del mondo esterno e delle relazioni interpersonali." Lasciò un bacio sulla guancia di Adam, sorridendo. "Ma ora sto bene. Ho amici, questo schianto di ragazzo e sono felice. Sono una ragazza problematica." Ma cosa stavano facendo? Anche Capelli a Caschetto era sbalordita, e continuava a scrivere sulla sua cartellina.

"Sono Gideon." borbottò il moro, entrando anche lui nel cerchio. "Gideon Cross. Credo che molti di voi conoscano mio padre, Geoffrey." Un coro di sì si espanse per la stanza, e lui prese un enorme sospiro, come se stesse cercando il coraggio per dire qualcosa. "Quando avevo cinque anni, mio padre mi portò sul tetto del nostro palazzo." disse, poi iniziò a ridacchiare. "Mi mise un biglietto in mano, ed io non sapevo leggere. Poi lo vidi che si dirigeva sul bordo della terrazza. Si è suicidato davanti a me. Sul biglietto c'era scritto "prendetevi cura di mio figlio"." Silenzio, e lui guardò verso l'alto, mentre i ragazzi intorno abbassavano lo sguardo e le ragazze lo osservavano con le lacrime agli occhi. "Questo mi ha portato ad essere aggressivo, e la notte ho dei forti incubi che mi impediscono di dormire con chiunque, perché potrei addirittura ammazzarlo." Disse queste ultime parole guardando Eva, ma lei continuava a fissarlo a bocca aperta. Le guance umide. "Quella..." la indicò con un dito, facendola sobbalzare "E' la mia ragazza. Ci tengo a lei, ed è per questo che posso considerarmi in via di guarigione. Lei mi ha dato un motivo per guarire. E sì, sono un ragazzo problematico." Eva strinse i pugni, alzandosi con talmente tanta violenza da far cadere la sedia.

"Mi chiamo Eva Tramell. Soffro di dipendenza da alcol, droga e sesso." Uno dei ragazzi seduti drizzò le orecchie, ma Gideon se ne accorse, rimettendolo al suo posto con uno sguardo. "Quando ero piccola venni violentata dal mio fratellastro. I miei se ne accorsero quando ebbi un aborto spontaneo. Ho passato gli ultimi quattro anni tra psicologi, comunità e centri di riabilitazione. Il NARCONON non è altro che l'ultimo di una lunga lista, ma qui ho conosciuto persone davvero fantastiche. Posso dire che sto guarendo. Non ho cercato né droga né alcol e, per quanto riguarda il resto..." fa un cenno con la testa verso Gideon, che arrossisce fino alla punta delle orecchie. "Sono una ragazza problematica." Ci fu un attimo di silenzio, poi ad uno ad uno tutti gli altri membri del gruppo di supporto si alzarono, forse spinti dalla foga che si respirava nell'aria.

"Sono un ragazzo problematico."

"Sono un drogato."

"Sono una problematica."

"Mi chiamo Anastasia Rose Steele." Mi voltai verso Ana, l'unica rimasta seduta insieme a me. Ora era in piedi, gracile ma con una determinazione che non le avevo mai visto addosso. "Mio padre è morto quando sono nata. Mia madre si è risposata parecchie volte, e nella maggior parte dei traslochi avevo l'impressione di essere solo uno dei pacchi da scaricare in una nuova casa, in una nuova scuola. Smettere di mangiare è stato semplice. Ho iniziato a ridurre le porzioni, per poi annullare del tutto alcuni alimenti." Mi guardò di sottecchi, forse aspettandosi un segno per continuare. Io scossi leggermente la testa, sorridendo. A quanto pare quello le bastava. "Sono stata una stupida. Non so perché lo facevo. Forse per attirare l'attenzione. Ora mi sto impegnando a fare regolarmente tre pasti al giorno." Guarda verso di me, questa volta in maniera palese. "E ho degli amici che mi aiutano. Sono una ragazza problematica." Quando disse quelle parole, tutti si girarono a guardarmi. Ero l'unico rimasto seduto, e forse si aspettavano che mi alzassi, che facessi anch'io quel bel teatrino.

"Bene, Christian." disse improvvisamente Ana, porgendomi una mano. "Ora sai qualcosa di tutti noi. Tocca a te." C'era parecchio silenzio intorno a me, altro punto a mio sfavore. Con gran lentezza mi alzai, facendo un gran respiro e provando a fare un discorso concreto nella mia testa.

"Ciao. Mi chiamo Christian Trevelyan-Grey."

"Ciao, Christian." La risposta del coro mi dava sempre sui nervi.

"Molti di voi probabilmente mi conoscono come il trovatello della 542." Sospiri sorpresi. Qualche mugolio. "Non so niente di vero su di me. Non so se Christian sia il mio vero nome. Non conosco mio padre e non ricordo quasi nulla di buono su mia madre. Sono stato adottato a quattro anni dalla mia attuale famiglia, e devo dire che non mi sarebbe potuto capitare di meglio. Purtroppo sono rimasto traumatizzato dai miei primi anni, il che mi ha portato a sviluppare la mia DPTS." Notai alcuni sguardi perplessi, quindi mi affrettai a spiegare. "Disturbo post-traumatico da stress. Tendo ad evitare contatto fisico di alcun genere, e la notte ho ancora degli incubi. Incubi brutti." Sento la pressione aumentare sulla mia mano destra, e quando abbasso lo sguardo noto che Ana mi sta stringendo la mano, e sorride. I suoi occhi mi dicono dai, continua. Stai andando bene. "Ho iniziato a fumare erba per rilassarmi, poi è diventato un vizio. Mi ubriacavo, partecipavo a risse di strada, fino a quindici anni non sapevo cosa fare della mia vita, ma ora sono qui." Ora ci voleva un bel finale. Se lo aspettavano tutti, in cerchio intorno a me ed Ana. "Sto guarendo. Non fumo da mesi e... non bevo. I miei incubi ci sono ancora, ma ci sto lavorando. Non credo che quando uscirò di qui farò ancora il cazzone, perché..." Muovo la mano dentro quella di Anastasia, intrecciando le mie dita alle sue. Era una sensazione fantastica. "ho trovato qualcosa migliore dell'erba." Lei sorride. Un sorriso che non le avevo mai visto prima. Capelli a Caschetto ha smesso di scrivere sulla sua cartellina, e capisco di aver fatto centro. Davvero un gran finale, Grey. Ora manca solo la frase di rito. "Sono un ragazzo problematico." Il suono di quella specie di campanella segnò la fine di quella seduta.

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