Ritrovarsi


IMPORTANTE: Enorme e mastodontico ritardo, lo so, e me ne pento, però avete notato anche voi che questo Epilogo era immenso. Avrei voluto dividerlo in più parti, ma alla fine ho deciso di lasciarlo intero. Spero che non vi dispiaccia.
Siamo giunti alla fine, e vi dico che no, non farò un sequel. Ho adorato questa storia, ma sono del parere che già l'Epilogo l'abbia rovinata. Non voglio allungare ancora di più il brodo. Preferisco lasciarvi con questo bel ricordo.
Ma non ho intenzione di abbandonarvi. Ho già le idee per una nuova storia e, visto che molte di voi si sono affezionate a Gideon ed Adam, ci saranno anche loro. Questa volta, però, i protagonisti saranno i loro figli. Non saranno i tipici adolescenti ribelli. Ho intenzione di affrontare un tema abbastanza delicato nella mia prossima storia: l'omosessualità. Infatti, la trama verterà sull'amore di Theodore per Geoffrey, e della reazione dei loro padri alla notizia del loro imminente matrimonio. Come credete che reagiranno i due Scapoli d'oro d'America? Come avete capito, sarà una storia comica, ma avrà i suoi momenti toccanti, proprio come "It's only a bad dream, Christian." Se siete interessate, vi chiedo di non cancellare la storia, poiché pubblicherò qui il titolo della mia nuova storia, oppure aggiungetemi tra gli autori preferiti. Insomma, come volete.
Ma ora basta dilungarmi. Vi lascio al mio ultimo capitolo.
P.S. Si accettano suggerimenti per il titolo della nuova storia, visto che sono una frana in questo.




27 ANNI...


"Sì, Chris. Va tutto bene." Tenevo il telefono in una mano, concedendomi quel momento di totale tranquillità del mio ufficio per giocare con la sedia girevole. La adoravo, e adoravo guardare fuori dall'enorme parete-finestra alle mie spalle. Adoravo vedere Seattle ai miei piedi, come i gangster dei film che piacevano a Christopher. Stavo parlando con lui, quella mattina. Avevo un momento libero in quella giornata particolarmente affannosa. Dennis era appena uscito dal mio ufficio, dicendomi che avrebbe voluto giocare a golf. "Ed io odio il golf." conclusi, mentre sentivo Christopher mugolare qualcosa alla sua nuova compagna. Miriam era una persona fantastica. L'aveva conosciuta sei anni fa, ed io cinque, dopo che mio padre e Carrick avevano finalmente raggiunto un accordo che non prevedesse lo spionaggio della mia vita da parte di Grace.

"Sul campo si fanno i migliori affari, mr. Uomo dell'Anno del Times."

"Cosa posso dire?" mormorai, osservandomi le unghie con malcelato orgoglio. "Sono un mito in tutto ciò che faccio." Erano tutti orgogliosi di me per quella nomina, e soprattutto per la descrizione accanto ad una delle mie foto meglio riuscite. Bello, ricco, single e misterioso. Ero particolarmente fiero della mia vita.

"Sempre modesto. Cosa devi fare, ora?" Sbuffai, storcendo la bocca.

"Non ne ho idea. Forse c'è quella riunione con i newyorkesi." In quel momento l'interfono emise un rumore fastidioso, attirando la mia attenzione.

"Signor Grey." La voce della mia segretaria mi fece rabbrividire. Era il segnale che il mio tempo libero era finito. "La signorina Kavanagh è qui per l'intervista." Chiusi gli occhi, emettendo un lieve lamento che fece aizzare le orecchie di Christopher.

"Che ti prende?"

"C'è quella ragazzina che mi ha assillato per mesi. Te la ricordi?"

"La tizia che ha spinto Gruver al licenziamento? Quella del giornale dell'Università."

"Giusto."

"Sei fottuto."

"Grazie, Chris." Lo lasciai ridere, ringhiando in risposta come un cane annoiato.

"Ehi, tu, Elliot e Mia verrete a cena da me questo sabato, quindi?"

"Certamente." confermai l'invito, sorridendo. "Mia sta già comprando una decina di vestiti con questa scusa." Ormai io e i miei fratelli andavamo a pranzo dai Tyson ogni mese. Era un buon modo per integrare anche loro in quella nuova situazione. Erano dieci anni che continuava a vigere questa cerimonia, ed ormai quei due tizi con cui condividevo l'ossigeno e il conto in banca si erano perfettamente integrati anche nella media borghesia.

"Ottimo. Allora, a sabato."

"A sabato." Chiusi la chiamata, per poi premere il tasto dell'interfono. "Falla entrare." mormorai, scocciato. Il mio livello di pazienza scendeva drasticamente in quelle situazioni. Decisi che mi sarei divertito un po', e voltai la sedia, deciso a fare una di quelle entrare da cattivo dei film, anche senza il gatto sulle gambe. Sentii la porta aprirsi lentamente, e un improvviso tonfo seguito da un'imprecazione abbastanza colorita che mi fece voltare subito. Davanti a me c'era un corpo steso a terra, e dei fogli sparsi in giro.

"Dannazione." Mi trattenni dal battermi una mano sulla fronte, alzandomi e cercando di mantenere un aspetto da gentiluomo.

"Signorina Kavanagh, si sente bene?" Le andai incontro, allungando una mano e cindendole il fianco.

"Sì, ho perso l'equilibrio." La ragazza si sistemò i capelli scuri, voltandosi per porgermi le sue scuse. E rimasi di sasso, così come lei. Quella ragazza, quegli occhi azzurri, somigliava incredibilmente a qualcuno. Qualcuno che non vedevo né sentivo da anni.

"Anastasia Steele?" Ricordavo ancora perfettamente il suo nome, così come ricordavo la sua ossessione per i libri, il suo problema, l'odore dei suoi capelli.

"Allora sei proprio tu." disse lei, aprendosi in un sorriso. "Mr. Cinquanta." Sentirmi chiamare in quel modo riportò alla mente vecchi ricordi, e vecchie facce che erano finite nel dimenticatoio del mio subconscio.

"Non ci credo. Come stai?" chiesi, e lei si guardò il ginocchio.

"Leggermente ammaccata, ma in linea di massima me la cavo."

"Oh, giusto." dissi, ricordandomi solo in quel momento della caduta che aveva fatto. "V-vuoi sederti? Insomma..." Indicai le sedie, improvvisamente nel panico. Con Anastasia avevamo continuato a sentirci per almeno tre anni, poi io avevo avuto dei guai con l'università, e avevo abbandonato quasi tutto, compresi i miei amici. Me ne ero fatto di nuovi, e questo mi aveva impedito di pensare a loro, ma erano rimasti lì, rannicchiato nel mio cervello, in attesa di attaccare.

"Sei cambiato tanto." mi disse, mentre si sedeva. Io presi posto sulla poltrona accanto a lei, cercando di osservarla meglio.

"Tu invece ti vesti sempre malissimo." commentai, guardando quell'orribile gonna a trapezio in velcro blu. O mio Dio, Mia l'avrebbe incenerita, ed anche Eva. Già, Eva. E Gideon. E Adam. E Sophie. L'uno portava alla mente l'altro, come un'assurda catena. Anastasia aggrottò le sopracciglia, scandalizzata.

"Allora è vero che sei gay."

"Perché tutti con questa storia?" sbottai, ripensando a mio fratello e Carrick, che di recente avevano iniziato a presentarmi dei loro amici, chiedendomi ogni volta cosa ne pensassi. Dovevo iniziare a mettere dei paletti, per evitare che qualcuno ne mettesse uno a me.

"Beh, il Times ti definisce lo Scapolo d'Oro da almeno quattro anni, ormai." Rimasi colpito dal fatto che sapesse queste cose, ma lei fece spallucce. "Ricerche di Kate, la mia coinquilina. Doveva essere lei qui, ma era malata e mi ha chiesto di sostituirla."

"La tua coinquilina è..."

"Asfissiante? Lo so, ma se non fosse per lei la mia vita sociale si ridurrebbe a quella che vive la gente nei libri che leggo."

"Non credevo avessi iniziato a sfruttare le persone, Steele."

"Ed io che ti piacesse l'asta, Grey."

"Non sono gay!" Anastasia scoppiò a ridere, trascinandomi con sé dopo un po' di tempo. Restammo a parlare per un po'. L'avevo lasciata all'ennesimo matrimonio di sua madre, e al trasferimento.

"Sono andata a vivere dal mio patrigno numero Uno, alla fine. Ho finito il liceo, preso dieci chili e iscritta alla facoltà di letteratura classica alla Vancouver University. Ho in programma di trasferirmi a Seattle, tra un paio di mesi. Subito dopo gli esami." Ascoltavo ed annuivo, ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era che il destino sapeva essere davvero sadico. Anastasia Steele era davanti a me, più bella di quanto la ricordassi, più imperfetta della mia idealizzazione adolescenziale di lei, ma comunque...

"Mi sei mancata." dissi improvvisamente, interrompendo il suo discorso. Lei rimase impietrita per un momento, per poi abbassare lo sguardo e mordersi leggermente il labbro inferiore. Anastasia...

"Hai detto tu di non volermi più parlare." Sapevo che lo avrebbe detto, e mi allentai la cravatta, senza sapere cosa altro fare. Non potevo dirle che in quel periodo avevo appena rotto con Elena. Dovevo "rivedere le mie priorità", le avevo detto, ma in realtà mi ero stancato di essere picchiato e sadomizzato. Avevo le scatole piene del dolore. Non avevo più bisogno di provarlo, così avevo iniziato ad infliggerlo, ma neanche quello mi aveva dato soddisfazione. Per un certo periodo ero rimasto in una situazione di stallo, completamente asessuato. Una macchina da lavoro che mi aveva portato al successo.

"Signor Grey." La testa della mia segretaria apparve da dietro le porte scure, interrompendo la nostra conversazione. "La riunione con i..."

"Rimandala." dissi, seccamente.

"Ma è già la seconda volta." Anastasia storse la bocca, a disagio.

"Christian, non c'è bisogno."

"Tu zitta. Non ti vedo da anni, e non ho intenzione di liquidarti per dei tizi in giacca e cravatta." Tornai con lo sguardo sulla ragazza della porta, che sobbalzò. "Rimanda la riunione a domani. Offri un aperitivo a mie spese all'Augustus Plaza Hotel e di' che sono molto spiacente ma ho avuto un'emergenza." Lei annuì, più spaventata che rispettosa, e chiuse la porta.

"Perché terrorizzi così il tuo staff?"

"Colpa del mio fascino." minimizzai, aggiustandomi la cravatta. Ana aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa.

"Quella riunione doveva essere importante." constatò, ma io mi limitai a fare spallucce.

"Dovevo vedermi con due tizi per un gemellaggio aziendale. Sono newyorkesi. Saranno abituati alla scortesia." Sfilai il foglio con le domande dalla cartella che aveva sottobraccio, dando una veloce scorsa. "Bene. Che ne dici di rispondere a queste domande davanti ad una tazza di caffé?" le chiesi, e lei annuì debolmente. Mi alzai e le porsi una mano, facendo un mezzo inchino per prenderla in giro. Mi era mancato questo rapporto con un individuo di sesso femminile che non mi avesse visto con il pannolino almeno una volta.

"Io però prendo un the." disse Ana, seguendomi verso l'ascensore.

"I romanzi inglesi ti hanno fritto il cervello." Lei mi fece la linguaccia, lasciando scandalizzata la ragazza di poco prima, che adesso stava armeggiando con il computer per la prenotazione all'Augustus.

"Sei sempre il solito guastafeste."

"E tu la solita bambina."

"Credevo che questo lato di me ti intrigasse." Ammiccò con la spalla, assumendo una breve posa seducente prima di scoppiare a ridere. Mentre le porte dell'ascensore si chiudevano, mi ritrovai a ridacchiare e pensare che sì, mi intrigava ancora.



36 ANNI...


"No. Theo. No!" Rimasi immobile quando vidi la faccia di mio figlio precipitare nel fango, sporcandosi il completo nuovo che Grace gli aveva comprato per Natale. Anastasia mi avrebbe ucciso. Avevo insistito io per andarlo a prenderlo a scuola, visto che Taylor mi aveva raccontato che una delle insegnanti aveva scambiato lui per il vero padre di mio figlio, ma Anastasia mi aveva detto di riportarlo subito in casa. Purtroppo aveva appena nevicato, e Theodore aveva insistito per andare al parco e giocare con la neve. Mi ero girato solo per un attimo, e lo avevo visto con la faccia immersa in una pozza di fango ghiacciato. Avrebbe dovuto essere un "parco per ricchi", come lo chiamava ironicamente Christopher, eppure non erano in grado di eliminare il fango. Corsi verso di lui, notando però che non stava piangendo. Aveva lo sguardo fisso su un bambino che, in piedi davanti a lui, lo osservava con curiosità, come se fosse una creatura sovrannaturale. "Theodore!" lo chiamai, e lui si voltò a fissarmi, allungando le braccia verso di me. "Guarda che hai combinato!" Mi sporcai i guanti con quella roba disgustosa, e mi tolsi la sciarpa per mettergliela intorno al collo.

"Papà, così soffoco." si lamentò lui, ma aveva solo otto anni, non poteva avere voce in capitolo con me.

"Sei tutto bagnato. Potresti ammalarti, prenderti una broncopolmonite, e..."

"Venire rapito dagli alieni e finire su marte." finì lui, prendendomi in giro.

"Stavo per dire: essere sgridato da tua madre."

"Gli alieni sono meglio." concordammo, mentre lui accettava di essere ricoperto di lana.

"Come hai fatto a cadere?" chiesi, in un gesto quasi involontario. Lui puntò un dito verso il bambino di poco prima, che continuava a rimanere fermo. Gli occhi azzurri inespressivi. Mi faceva quasi paura.

"Mi ha spinto quel bambino strano."

"Non sono strano, poppante." ringhiò l'altro, con le mani in tasca. Aveva una sciarpa blu e un cappotto nero, abbastanza da adulto per lui, anche se non avrei saputo dire la sua età.

"Papà." si lamentò Theodore, stringendomi la gamba. Lo coprii con una mano, facendolo mettere dietro di me.

"Dai, andiamo via. Dobbiamo metterti degli abiti asciutt..."

"Geoffrey!" Il bambino inquietante si voltò quasi con noia, schioccando la lingua quando vide l'uomo che si stava avvicinando a lui. Erano vestiti quasi in maniera identica, ma il più grande non aveva la sciarpa o i capelli biondi del ragazzino. Appena lo vide gli mise una mano sulla spalla, e da lì capii che doveva essere il padre, probabilmente. "Perché stai dando fastidio a quel bambino?" Aveva una voce da baritono che, paragonata alla sua altezza, poteva far rabbrividire chiunque. Geoffrey guardò Theodore, che ricambiò con sfida, beccandosi una mia occhiataccia.

"Dice che sono strano."

"Lo sei. Sei strano!"

"Theo!" lo zittii, fulminandolo con lo sguardo. Lui si morse la lingua, allontanandosi anche da me. "Lo scusi." dissi, rivolgendomi all'uomo. "Non so cosa gli sia preso."

"Dovrebbe mettergli un bavero, se non é in grado di insegnargli l'educazione." Cosa? Non lo aveva detto veramente. Presi un profondo respiro, mentre quello strano mix di irriverenza e rispetto mi aveva lasciato leggermente stordito. Mi aveva dato del lei mentre mi prendeva per il culo. Fantastico.

"E lei dovrebbe legare suo figlio, visto il suo lato violento." ribattei quindi, facendo un passo avanti.

"Sta dando dell'animale a mio figlio?" chiese quello, infastidito. Era più alto di me, ma io ero più piazzato. E ce l'ho più grosso io. Quel pensiero mi colse quasi impreparato, e mi diede uno strano senso di déja-vù.

"E lei dello stupido al mio?" Iniziammo a guardarci in cagnesco, mentre i nostri rispettivi figli cercavano di tirarci via. Sentivo Theodore che mi diceva di andare, che aveva freddo, ma io non lo ascoltavo.

"Ma sai almeno chi sono, deficiente?" Bene. Eravamo passati al tu. Feci un sorrisetto furbo, avvicinandomi ancora.

"No, ed evidentemente tu non sai chi sono io." Allungai una mano verso di lui, soddisfatto. "Christian Grey, amministratore delegato della Grey Enterprising&Holding Incorporated. E tu saresti?" Lui scostò una ciocca di capelli dal viso. Erano arricciati e neri, tenuti corti.

"Gideon Cross, amministratore delegato delle Cross Industries e proprietario di mezza New York." replicò, ricambiando la stretta con altrettanta sicurezza. Continuammo a trapassarci con lo sguardo per qualche secondo, poi i suoi occhi si allargarono leggermente. "Aspetta un momento. Hai detto Grey?" chiese, e pensai che avesse finalmente capito chi fossi, nonostante anche lui avesse una posizione di notevole rilievo. Avevo sentito parlare delle Cross Industries. Erano le industrie numero uno di New York nel campo degli investimenti immobiliari. Il loro proprietario era sempre stato in gara con me per il titolo di Scapolo d'Oro d'America. Era anche riuscito a fregarmi il posto, qualche volta. Cross. Sapevo che doveva essere una persona odiosa. E non capivo perché mi stesse fissando in quel modo inquietante. Era peggio di quel marmocchio di suo figlio. "Christian Grey? Il figlio di Carrick e Grace?"

"Wow, allora sai leggere i giornali." infierii, ma lui scosse la testa.

"Brutto testone, non ti ricordi di me?" Eh? Guardai Theodore, ma lui fece spallucce, senza sapere cosa dirmi.

"Stai cercando di cambiare discorso?" Lui batté la fronte sul palmo della mano, scuotendo la testa.

"Non puoi essere così stupido. Credevo avessi smesso di farti le canne." Sbarrai gli occhi, avvampando fino alla punta delle orecchie. Come cazzo faceva a sapere quelle cose? Theodore mi tirò la manica del cappotto, guardandomi con i suoi occhi grigio-blu.

"Papà, cosa sono le canne? E perché le facevi?" Cross scoppiò a ridere, cosa che mi fece irritare ancora di più.

"Dai, mr. Divertimento. Non farla così tragica." Mi voltai verso di lui, pronto a dirgliene quattro, quando quel soprannome creò un collegamento istantaneo nel mio subconscio. Mr Divertimento. Non mi chiamavano così da quando avevo diciassette anni. Certo, detto da Adam e Gideon era più... Gideon. Gideon Cross.

"Gideon?" Lui battè le mani, prendendomi in giro.

"Date una medaglia a quest'uomo per il suo intuito."

"Non ci credo. Sei proprio tu." Indicai il piccolo Hitler biondo, che ora sembrava palesemente confuso. "E questo è tuo?"

"Eva dice di sì." rispose, accarezzandogli i capelli. Geoffrey si scansò, innervosito, ma poi si rimise al fianco del padre.

"Eva? Ti sei accasato con Tramell?"

"Vedo che tu invece non li leggi, i giornali." Chinai la testa, piccato. Probabilmente era il loro matrimonio quello di cui Anastasia continuava a parlare con Mia e con Katherine. Non ero mai stato attento a quei pettegolezzi, catalogandoli come un surrogato dei Brangelina. "E questo piccolo bambino bagnato deve essere Theodore." disse, avvicinandosi a mio figlio. "Vorrei dire che somiglia ad Anastasia, ma questo significherebbe che voi due avete finalmente fatto sesso."

"Cos'è sesso?"

"Theo." dissi, frustrato. Di questo passo, mio figlio sarebbe tornato a casa con una sigaretta in bocca, e in questo caso io ne sarei stato buttato fuori con un testicolo in meno. "Gideon, ti dispiace cercare di avere un po' di tatto?"

"Sì." Diede una spintarella a Geoffrey, che lo guardò diffidente. "Jeff, accompagna Theodore al bar qui accanto e aiutalo ad asciugarsi."

"Ma papà!"

"Niente ma. Muoviti." Il bambino sbuffò, facendo un cenno a Theodore, che si mosse solo quando glielo dissi io. Li guardai finché non ebbero varcato la soglia del bar illesi, dopodiché tornai a concentrarmi sul mio vecchio amico.

"Sei diventato gigantesco." mormorai. Doveva essere uno e ottantotto come minimo, ed era ancora ben piazzato.

"Sono sempre un gran figo, Grey. Questo è l'importante." tagliò corto, dandomi le spalle e dirigendosi verso una delle panchine riparate dagli alberi. Notai un giornale accuratamente ripiegato, e capii che doveva essere lì da un po'. Mi accomodai accanto a lui, senza smettere di osservarlo. Se nove anni fa Ana mi era sembrata diversa, Gideon era irriconoscibile. Con i capelli corti, la barba fatta e quegli occhi così cordiali, era del tutto diverso dal ragazzino scontroso ed irascibile con cui avevo fatto a botte.

"Come va, allora?"

"Intendi da quando sei scomparso come un desaparecidos?" disse ironico, ed in feci spallucce, sapendo che la colpa del fatto di non averlo riconosciuto era solo mia. "Bene, direi. Christopher mi da ancora qualche noia, e mia madre è una stupida, ma con il resto della mia famiglia va molto meglio. Eva poi, è esattamente come la ricordi. A volte credo mi porterà al manicomio." Ridacchiai, ricordandomi quei due perennemente allupati avvinghiati in un abbraccio eterno, o mentre litigavano come ossessi per i motivi più stupidi.

"Ti capisco. Anastasia è incinta di nuovo, ed è costantemente eccitata." Gideon alzò un sopracciglio, forse chiedendosi dove fosse il problema. "Amico, io non dormo più." spiegai, tagliente. "E ho bisogno di impacchi freddi... sai..." Indicai l'inguine con un dito, remore di questa notte, quando quella specie di macchina assatanata che era mia moglie al terzo mese stava per superare il lieve confine tra "sesso" e "stupro".

"Fai ancora quel sesso strano?" chiese, senza mezzi termini, ed io nello stesso modo dissi di no.

"Ero anche aumentato di grado, pensa. Dominatore junior."

"Non ci credo. Riesci a dire queste cose senza scoppiare a ridere o a piangere." Mi diede una vigorosa pacca sulla spalla, sbalzandomi in avanti. "Sono fiero di te, Christian."

"Grazie." dissi, senza fiato per la botta. Non sapevo se chiedergli dei suoi problemi. Adesso sembrava così a suo agio con il mondo che lo circondava, ma non riuscivo a non guardarlo senza rivedere la sua faccia quel giorno, al Narconon, quando aveva raccontato a tutti di suo padre. No. Dovevo sapere.

"Quindi, con i tuoi incubi..." Non terminai la frase, notando che la sua espressione si era incupita. Dannazione. La mia curiosità non si sarebbe mai estinta.

"Mi hanno creato un po' di problemi. Parecchi, a dire il vero, ma non sono più in terapia da diversi anni. Più o meno da quando è nato Geoffrey." Si zittì, notando che i nostri figli stavano tornando.

"Papà. Papà." Theodore corse da me, accompagnato da uno Geoffrey leggermente più entusiasta di prima. "Jeff non crede che tu abbia un elicottero. Può venire da noi? Così lo vede."

"Ragazzino, ti assicuro che ho un elicottero." ringhiai, piccato, ma quello si limitò a sbuffare.

"Come no, nonnetto."

"Jeff!" Gideon gli tirò un colpo sulla nuca, facendolo urlare. "Quante volte ti ho detto di non essere strafottente?"

"Ma tu e la mamma lo siete!"

"Questo non è importante, marmocchio." Jeff gli fece una linguaccia, alla quale Gideon ricambiò con un dito medio che io osservai con stupore. Decisi di interrompere quella storia, voltandomi verso Gideon.

"Se vi va, potete venire a cena da noi, oggi." Cross mi osservò per un attimo, per poi aprirsi in un lieve sorriso.

"Certo. Resteremo a Seattle per qualche altro giorno. Tu che ne dici, Jeff?" Il ragazzino sbuffò, guardando Theodore.

"La mamma ci metterà ore per vestirsi. Meglio se la chiami ora."



40 ANNI...

"Mamma. Così mi metti in imbarazzo." Guardavo impotente Anastasia che puliva con un dito la guancia di mio figlio, mentre tenevo la mano di Phoebe e rimanevo in disparte, attendendo che Theodore iniziasse il suo primo giorno alle scuole medie. All'inizio Anastasia era stata restia ad iscriverlo ad una scuola privata, ma poi ero riuscita a convincerla che fosse la scelta migliore. Mi era bastato farle vedere una foto di Theo con la giacca blu blasonata della Young People Accademy di Seattle per farla desistere. Ormai conoscevo a sufficienza il mio pollo personale.

"Il mio bambino." Lei lo abbracciò, e Theodore arrossì fino alla punta dei capelli quando un gruppo di ragazzini lo sorpassò, ridacchiando. Alzai gli occhi al cielo, dicendo ad Anastasia di alzarsi e mettendole un braccio intorno alla vita.

"Vedi di non metterti nei guai, ragazzino." dissi, e lui annuì, strofinandosi ancora la guancia arrossata prima di scomparire nei corridoi della sua nuova scuola. Anastasia si portòla mano davanti al viso, abbassando lo sguardo.

"Sta diventando troppo grande." mormorò, ed io le lasciai un bacio sulla tempia. Sapevo per esperienza che in questi momenti era meglio stare in silenzio. Ci avrebbe pensato Phoebe a tirarla su di morale. Bastava una sua risata per farle tornare il sorriso, ma d'altronde Ana era sempre stata più sensibile di me, in certe cose. Con gli anni era rimasta bella. Non era cambiata di una virgola, ai miei occhi. Gideon invece continuava a dirmi che stavo invecchiando giorno dopo giorno, e alla fine avevo anche smesso di usare Skype con lui ed Eva per un po', nonostante le proteste di Ana. "Non stai invecchiando. Sei sempre il mio Mr Cinquanta preferito." mi ripeteva, ed io mi sentivo un idiota insicuro, ma cazzo! non stavo invecchiando! I nostri telefoni squillarono all'unisono. Guardai il mio, notando lo schermo illuminarsi a causa del promemoria che avevo impostato.

"Dannazione." Mi ero dimenticato dell'appuntamento con Christofer. Gli avevo promesso che sarei andato da lui con Phoebe per il compleanno di Miriam. Anastasia mi guardò, con le labbra piegate in un'espressione imbronciata."C'è stata un'emergenza a lavoro." mi spiegò, facendomi innervosire. Non ero contrario al fatto che avesse un lavoro, ma avrei preferito che riprendesse a lavorare quando Phoebe avesse iniziato le medie. Eravamo entrambi lanciati nelle nostre carriere, e mi dispiaceva non poter passare troppo tempo con lei. "Uno dei nostri clienti sta facendo capricci sulla sua percentuale di editoria."

"Sai che sentirti parlare di affari mi eccita?" scherzai, dandole un altro bacio. Phoebe inziò a saltellare sul posto, cercando di attirare di nuovo l'attenzione su di sé. Anastasia la prese in braccio, accarezzandole i lunghi capelli scuri.

"Credi che Christopher se la prenderà, se faccio un po' tardi?" Scossi la testa, salendo in macchina e mettendo in moto non appena Ana ebbe assicurato nostra figlia al seggiolino sui sedili posteriori. Avevo dato a Taylor e Gail un giorno libero per il loro anniversario, e poi stare al volante mi piaceva. Era una piccola presa di potere. Una sensazione di controllo assoluto.

"Basta che tu ci sia per la torta." minimizzai, accompagnandola davanti alla SIP. e lasciandola davanti alla porta. Lei scese e mi salutò con un cenno della mano, facendomi l'occhiolino prima di sculettare di proposito all'interno dell'edificio. Notai l'occhiata che il membro della sicurezza all'ingresso le lanciò prima che lei gli sorridesse cordiale, e mi voltai verso Phoebe. "Tesoro, ricorda a papà di licenziare quel tizio." Lei fece una risatina acuta, indicando la SIP.

"Mamma è andata via."

"Wow, sei perspicace proprio come Ana." la presi in giro, ma non mi aspettavo che lei mi capisse. Phoebe continuò a ridacchiare, battendo mani e braccia in una sorta di entusiasmo che io non avrei mai capito. Mia figlia parlava tanto, forse troppo, ma non potevo dire che mi dispiacesse. Ero felice che avesse sempre qualcosa da dirmi, e non potevo far altro che paragonarla a me alla sua età. Molte volte i genitori desideravano che i figli somigliassero a loro. Io non potevo essere più felice del contrario.

"Papà? Sai che a scuola Melany ha detto che le piaceva il mio maglione? E Zaira sta andando in vacanza con i suoi. E René ha comprato un cagnolino. Possiamo avere anche noi un cagnolino? E' così carino. Theo vuole un cagnolino, e anche io. Allora, papà? Eh?"

"Niente cagnolino, Phoebe. Theodore è allergico al pelo animale."

"Uffa, ma io voglio un cagnolino!" Le sorrisi dallo specchietto retrovisore, vedendo la sua fronte aggrottata.

"Tra poco vedrai gli zii e i nonni. Non sei contenta?" Lei annuì, con poca voglia. Mi dispiaceva vederla in quel modo, ma volevo evitare che diventasse viziata con il tempo. Non lo avrei sopportato, e dovevo far capire questo anche ad Ana, visto che lei non riusciva a resistere cinque minuti al broncio tattico di quella piccola peste.

"Zio Lelliot e zia Kate sono tornati da Las Vegas?" chiese, forse sperando di poter vedere sua cugina.

"Giusto ieri per il compleanno di nonno Christopher." Phoebe batté le mani, tornando definitivamente di buon umore. Mi girai per guardarla meglio. Così piccola, così innocente, e sarebbe rimasta così fino ai trent'anni. Non avrei accettato compromessi. Ero talmente impegnato a guardare mia figlia mettere in bocca il braccio del suo orsetto di peluche, che non notai la macchina che stava sbucando dall'uscita più vicina, o almeno fino a quando non sentii il colpo sulla fiancata destra della macchina. Phoebe emise un urletto di sorpresa, mentre io venni sbalzato contro il mio sportello, facendomi male ad una spalla. "Cristo!" esclamai, scuotendo la testa e voltandomi verso Phoebe. "Stai bene, scricciolo?" Lei annuì, alzando le braccia.

"Ancora!" Alzai gli occhi al cielo, prima di sentire qualcuno battere contro il finestrino. Mi voltai, scontrandomi contro due occhi grigi e arrabbiati di un uomo di almeno trentacinque anni. Mi fece cenno di scendere, ed io non me lo feci ripetere due volte.

"Si può sapere dove stavi guardando?" Era vestito in maniera casual, proprio come me in quel momento, anche se io avevo preferito una T-shirt bianca ed un maglione alla felpa dei Bears che aveva addosso quel tizio.

"Io? Lo stop era tuo, idiota." Di solito non ero così poco diplomatico, ma in macchina c'era anche mia figlia. Stava per ucciderla. Probabilmente le aveva fatto male. Dovevo farlo fuori.

"La brillantina ti è penetrata nel cervello?" Quello assottigliò lo sguardo identico al mio, cercando forse di farmi esplodere il cervello. "Senti, sono in ritardo." disse improvvisamente, lasciandomi di stucco. "Ti lascio i dati dell'assicurazione." Presi il telefono e segnai tutto quello che mi diceva, compreso il nome.

"Adam Scott?" chiesi, tornando a guardarlo. Quello sbuffò, tornando con lo sguardo verso la portiera accartocciata della mia macchina e il cofano rovinato della sua.

"Sì, con due t." mormorò, senza guardarmi. Io invece non riuscivo a smettere di fissarlo. Possibile che lui fosse... quell'Adam? Quello di cui ogni tanto parlavamo io, Ana, Gideon ed Eva quando ci riunivamo? Avevamo provato a ricontattarlo, ma dopo aver sentito lo scandalo che lo aveva colpito, quello riguardante la morte di sua moglie, non eravamo più riusciti a trovare nulla su di lui.

"Adam, non mi riconosci?"

"Dovrei?" Il suo sguardo serio mi fece rabbrividire. Non sapevo cosa avesse passato in quegli anni. Non sapevo più nulla di lui, e questo mi sconfortava.

"Mr. Divertimento." dissi solamente, e lo vidi voltarsi verso di me, mentre il suo sguardo si allargava, conscio di qualcosa di nuovo.

"C-Christian?" chiese, perdendo tutta la sicurezza con la quale mi aveva affrontato fino a quel momento. Io accennai un sorriso, e lui tornò a guardare la sua macchina. "Mi hai sfasciato l'auto!" Cosa?

"Avevo la precedenza!" ripetei, ma poi presi un profondo respiro, cercando di calmarmi. "Okay." Misi le mani in avanti, scuotendo la testa. "Ricominciamo."

"Col cazzo. Era nuova."

"Adam!" lo richiamai, e lui si lasciò andare ad un sorriso rilassato, prima di buttarsi verso di me ed abbracciarmi.

"Mi sei mancato, mr Divertimento." Gli diedi due pacche sulle spalle, cercando di sciogliermi dalla sua stretta.

"Anche tu, amico." mormorai, in cerca di ossigeno. Notai che la sua altezza era aumentata. Ora eravamo quasi alti uguali, ma tra i suoi capelli c'era già qualche accenno di bianco, al contrario dei miei. Lui sorrise, senza credere ai suoi occhi. "Cosa ci fai qui?" chiesi, per poi aggiungere "A parte guidare come una vecchietta." Lui mi fulminò con lo sguardo, creando delle sottili rughe agli angoli dell'occhio.

"Mi sono trasferito a Seattle qualche tempo fa, con la mia società." disse, ma la mia risposta venne bloccata da un gridolino. Mi ricordai immediatamente di mia figlia, e anche Adam guardò verso la mia auto, sbalordito. Corsi a prenderla dal seggiolino in cui l'avevo lasciata, tenendola in braccio mentre tornavo da lui. Non sapevo se fosse il caso di presentargliela. In fondo, sapevo che quando sua moglie era morta portava era in stato interessante, ma non potevo lasciarla sola in un'auto ammaccata. Perciò indossai il mio miglior sorriso, mostrandole la bambina di tre anni e mezzo.

"Adam, questa è Phoebe Grey. Phoebe, questo è un idiota."

"Idiota!" ripetè lei, alzando le braccia come se fosse un complimento.

"E' la copia sputata di Anastasia. Suppongo che voi due abbiate finalmente consumato."

"Sai che Gideon mi ha detto la stessa cosa, quando l'ho incontrato per la prima volta?" Il suo sguardo assunse un che di nostalgico a quel nome, e poi fece un mezzo sorriso.

"Gideon. Non lo sento da un bel po', anche se il suo matrimonio con Eva ha fatto il giro del mondo, anni fa."

"Eva è stata sempre una tipa modesta." Ridacchiò, per poi prendere il cellulare.

"Anche io ho una figlia. Leila." Mi mostrò la foto di una ragazzina di dodici anni, circa. Aveva i capelli corti e marroncini di Adam, mentre gli occhi erano verdi e grandi.

"Davvero bella." mi complimentai "Anche se il nome che le hai dato la tormenterà per il resto della sua vita."

"Leila è un bellissimo nome. Piace anche a Sophie."

"Sophie?" lo bloccai, mettendo una mano avanti. "Sophie Lether? L'hacker?"

"Ottima memoria, Grey. Ti meriti una medaglia." Per un attimo credetti che lui e Gideon si fossero messi di comune accordo, visto le loro battute simili, ma poi mi tornò alla mente la loro immagine al NARCONON, sempre a punzecchiarsi come Stanlio ed Olio, quindi lasciai correre. "L'ho incontrata tredici anni fa. Sai, qualche anno dopo la storia di Elizabeth." Non sapendo cosa dire, rimasi in silenzio, stringendo di più Phoebe a me per proteggerla da un'improvvisa folata di vento. "Tranquillo. So che lo sai. Lo sanno tutti, ma non ha importanza. E' successo parecchio tempo fa."

"So che hai dovuto cedere la società ai suoi genitori come risarcimento danni."

"Già, ma sono cose che capitano. Con la nuova Scott&Franklin sono sulla cresta dell'onda, e poi Seattle è meglio di New York. Più tranquilla." Scese di nuovo il silenzio, mentre una domanda mi arrovellava il cervello. Sapevo che quello non era il vecchio Adam. Ne aveva passate talmente tante in quegli anni, che probabilmente l'Adam Scott del NARCONON era morto, o per lo meno sepolto sotto quel finto sorrisetto strafottente che stava esibendo. Forse non potevo neanche immaginare quanto si fosse sentito triste e solo dopo quello scandalo, perché era una sensazione che non volevo riprovare, neanche indirettamente. Ci scambiammo i numeri, e gli diedi anche quello di Gideon. "Non vedo l'ora di iniziare a fargli scherzi telefonici."

"Adam, hai quarant'anni." gli ricordai, ma lui fece spallucce.

"E il cielo è blu. Hai qualche altra considerazione ovvia da fare?" Feci un respiro profondo, decidendo di non replicare. In quell'istante, il suo telefono squillò. Lui aggrottò le sopracciglia, per poi mostrarmi il nome sul display. Sorrisi quando vidi scritto Sophie. "Dimmi, moglie." rispose, in un tono altisonante che fece ridacchiare Phoebe.

"Idiota buffo!" strillò, battendo le mani. Mi ritrovai a fissare Adam che raccontava dell'incidente e del nostro incontro a Sophie, dando tutta la colpa a me ed assicurandole che avrei sborsato i soldi dell'assicurazione.

"Tanto lo sanno tutti che è più ricco di Satana." Mi fece l'occhiolino, ed io gli alzai il dito medio, cercando di non farlo vedere a Phoebe. "Sophie ti saluta, e sta continuando a fare domande a raffica sulla tua... Sophie, non ricorderò mai tutto. Sì, ho capito che ti sono mancat... Senti, te lo passo." Mossi la mano libera, cercando di dirgli di non farlo, ma lui mi mise il telefono davanti, ridendo.

"Ehi, Sophi..."

"Brutto stronzo bastardo. Neanche una telefonata. Niente, per anni. Sparito all'improvviso, così come gli altri. Se ti prendo ti strappo le palle e te le faccio ingoiare."

"Mi sei mancata anche tu." dissi, rispondendo alla frase nascosta in mezzo a quelle minacce di morte. La sentì bloccarsi all'improvviso, e per un momento pensai che stesse sorridendo.

"Ah, è inutile. Non posso essere arrabbiata con te."



41 ANNI...

Mi fermai davanti a quella porta nera, chinando leggermente la testa. La struttura non era cambiata affatto da venti anni fa. Rigida e fredda, senza il minimo calore umano. Il NARCONON continuava ad ospitare al suo interno i drogati e i problematici più ricchi di tutta America, e mi salii un brivido lungo la schiena al pensiero che ci sarei dovuto rientrare. Con il tempo ero diventato uno dei maggiorni donatori di fondi. In fondo, quelle quattro pareti grigie avevano fatto tanto per me. Il minimo che potessi fare era intonacarle.

"Questo posto mi mette i brividi." disse Theodore, rimanendo al mio fianco. Gli lanciai un'occhiata, posandogli una mano sulla testa.

"Dai, entriamo." Qualche fotografo mi scattò una delle foto di rito insieme alla mia famiglia, mentre entravo per la festa che il proprietario della struttura aveva allestito per annunciare i cento anni di vita del NARCONON, e alla quale erano stati invitati ex alunni di particolare successo, tutti gli azionisti e persino il sindaco. In fondo quel centro era un vanto per la città di Seattle, nonostante contenesse tutte persone che la gente avrebbe preferito eliminare in massa. Io ero lì in qualità di azionista, e così lo erano anche Adam, Gideon e le ragazze. Nessuno aveva mai saputo che eravamo stati lì. Sarebbe scoppiato lo scandalo, ma quando varcai le porte, trovando l'entrata perfettamente illuminata e ben allestita, non potei far altro che storcere la bocca. Era inverno. La struttura era aperta solo d'estate, quindi vidi solo camerieri con vassoi e vari membri dello staff che correvano a destra e a manca tra i vari invitati, perfettamente ben vestiti. Anastasia si mise al mio fianco, elegantissima nel suo abito blu acquamarina. Non chiedetemi come facessi a conoscere il nome di quella particolare tonalità. Non volli saperlo neanche io.

"Beh, è molto diverso da quando ci siamo entrati noi, vero?"

"Io li avrei voluti, i camerieri." Ricordai quel cane enorme, Max, che mi aveva assalito il mio primo giorno, e mi venne da pensare che fosse morto. Che la gente che avevo conosciuto fosse cresciuta, diventata adulta o invecchiata. All'improvviso Theodore alzò un braccio, sventolandolo in aria per salutare un ragazzino biondo che conoscevo bene.

"Papà, ci sono Geoffrey e Leila. Io vado."

"Cerca di comportarti bene." disse Ana, e lui annuì, trascinando anche Phoebe con sé, per portarla da Sarah, la secondogenita dei Cross. Anastasia andò subito incontro a Sophie ed Eva, cercando di frenare l'entusiasmo davanti ai paparazzi. Si scambiarono due baci sulla guancia, ed io mi presi tempo per ammirarle tutte e tre. Eva era sempre la più bassa, ma quel vestito rosso le stava a pennello, e poi la spaccatura vertiginosa sulla schiena avrebbe fatto girare la testa a chiunque. Sophie era più sobria. Il suo vestito verde le fasciava benissimo il fisico snello, e notai che aveva le stesse scarpe di Ana. I gossip avrebbero avuto di che parlare.

"Ehi." salutai, avvicinandomi a Gideon ed Adam che, rimasti in disparte, stavano sorseggiando dello champagne. Ne presi un calice anche io, brindando insieme a loro. Adam lo tracannò in un sorso, beccandosi un mio colpetto discreto. "Vacci piano. Che ti prende?"

"Scusate." disse, poggiando il bicchiere vuoto sul tavolo degli antipasti. "E' che stare qui mi rende nervoso."

"Cerca di non arrivare ubriaco alla fine della festa." lo rimbrottò Gideon, guardandosi intorno. Improvvisamente lo vidi sbarrare gli occhi, attirando la nostra attenzione. "Ragazzi, quel tipo con i capelli rossi non vi sembra familiare?" Seguimmo entrambi la sua direzione, e mi sentii gelare il sangue nelle vene. Seguii l'esempio di Adam e bevvi tutto d'un fiato il mio drink, vedendo il viso invecchiato di Jack Hyde sorriderci e venire verso di noi. Era elegante quasi quanto noi, e mi chiesi immediatamente in che vesti fosse venuto lì.

"Ma guarda. Il mio compagno di stanza, lo scimmione manesco e il ragazzino eroe." Alzò il bicchiere di vino nella nostra direzione, quasi per prenderci in giro.

"La puttana spacciatrice." ricambiò Adam, e da lì capimmo tutti che, nonostante l'età, i rapporti tra di noi non erano cambiati. Lui era sempre il nemico, il bersaglio comune che, in qualche modo, ci univa.Per quanto fossero odiosi, certe persone erano necessarie. "Sei qui come ex alunno o stai cercando di rifilare pasticche agli invitati?"

"Sempre spiritoso, Scott. Ho provato un piacere sottile ad occuparmi dell'articolo che ti dipingeva come l'assassino della tua prima moglie. Peccato che poi sia venuto fuori tutta quella storia del tradimento etc... Mi piaceva pensarti solo in un angolo buio, con la gente ad indicarti come un mostro."

"Da questo tuo toccante discorso, presumo che tu sia un giornalista." Jack annuì alla mia affermazione, continuando a sorridere.

"Sempre sveglio, Grey." Si voltò ad osservare le nostre mogli, intente a parlare del più e del meno vicino al bancone di un bar allestito per l'occasione. "Anastasia Steele è con te, giusto? Sapevo che alla fine sareste finiti insieme. Ha reso il tentativo fallito di farmela, quasi più dolce, direi." Strinsi i pugni, ricordandomi di quell'episodio, del viso spaventato e sottomesso di Anastasia. Dovevo mantenere la calma. Ero sicuro che la stesse facendo a posta. "Invece Eva me la sono portata a letto, eccome. Sai Gid, posso chiamarti Gid, giusto? Beh, con i problemi di ninfomania della tua donna, io farei l'esame del DNA a quei due marmocchi con cui ti ho visto arrivare. Lo dico per te. Non vorrei mai che tu lasciassi il tuo patrimonio a dei bastardelli." Gideon serrò la mascella, e notai che stava caricando il pugno per colpirlo. Gli fermai il polso, nascondendoglielo dietro la schiena.

"Ho capito cosa vuoi fare, Jack. Ma non riuscirai a farci incazzare per poi scrivere un'articolo da prima pagina." Gli posai una mano sulla spalla, sorridendogli cordiale. "Adesso puoi andare, Pel di Carota. E' stato un piacere conoscerti."

"Il NARCONON ti ha fatto bene." mi disse, togliendo la mia mano dalla sua camicia. "Sei molto più lucido e diplomatico, cosa che non si può dire di Cross. Adam, invece, è sempre il solito." Non lo correggemmo. Lo lasciammo andare via con le sue convinzioni, sperando che non ci infastidisse più per il resto della serata. Ascoltammo il breve discorso del proprietario della struttura, un uomo abbastanza avanti con l'età, facemmo qualche foto e la festa passò come qualsiasi altra festa burocratica a cui avessi partecipato. Ad un certo punto vidi anche sbucare Christopher e Miriam, invitati a causa del servizio che mio padre aveva dato come insegnante di matematica in quel posto.

"Ogni volta che ti vedo mi sorprendo di quanto tu ti sia invecchiato." gli aveva detto Adam, e lui aveva risposto come sempre, tentando di colpirlo in testa. Stavo ridendo con loro, quando sentii la mano di Anastasia toccarmi la spalla.

"Vieni. Ti mostro una cosa." Aggrottai le sopracciglia, congedandomi con una scusa e ricevendo occhiae esplicative da quei tre idioti quando Anastasia mi portò lontano dalle luci della festa. Non riconoscevo il corridoio in cui eravamo. In fondo erano tutti uguali, in quel posto, ma lei sembrava orientarcisi bene.

"Ana, che ti prende?"

"Shh. Non rovinarti sempre tutte le sorprese." mi zittì, e la vidi immergersi nella totale oscurita di una stanza, che poco dopo venne illuminata da delle sfrigolati luci al neon. Vidi i tavoli tondi disposti un po' alla rinfusa, completamente vuoti, e il bancone dove avevo preso da mangiare per tre mesi, anche quello tristemente privo di vita. La mensa. Ridacchiai, mentre Anastasia mi aspettava seduta ad un tavolo, giocherellando con i petali fucsia di un pacchiano mucchio di fiori finti. "Ma quello è il nostro tavolo."

"Indovinato." disse lei, stranamente felice. Si mise seduta in una parte della panchina, indicanola. "Tu eri qui, perennemente con il broncio."

"Quello era Gideon!" contrattaccai, ma lei non mi ascoltò, spostandosi nel posto perfettamente parallelo a quello di prima.

"E qui ci stavo io." Si fermò, perdendo subito il sorriso. "Sembra passato così tanto..." Mi avvicinai a lei, dandole un bacio sulla fronte e sedendomi nel posto che mi aveva indicato prima. Allungai le mani, avvolgendo le sue. Erano sempre troppo fredde.

"La piccola ed irriverente Mss Steele presa da attacchi di nostalgia. Che cosa carina."

"Smettila, stupido." rise lei, facendo fare anche a me la stessa cosa dopo poco tempo.

"Ascolta, Ana. E' vero, è passato del tempo, ma è stato un bene." Lei mi osservò, allargando gli occhi azzurri. Dio, quanto amavo quegli occhi, quei capelli, quel viso. Amavo quella donna. Tutto in lei mi attirava, e l'unica cosa che potevo fare era dimostrarglielo e sperare che anche per lei fosse lo stesso.

"Il ragazzino impacciato che era seduto qui anni fa non avrebbe mai avuto il coraggio di dire alla bellissima ragazza davanti a lui quanto la amava." Lei arrossì, abbassando lo sguardo. "Ma il padre e il marito che hai davanti può, e lo fa ogni giorno."

"Christian..." Si allungò verso di me, baciandomi castamente e poi facendomi l'occhiolino. "Che ne dici? Ti va di tornare ragazzini e divertirci un po'?" Ecco un'altra cosa che amavo di lei.

"Signorina Steele, che cosa riprovevole." Mi raggelai sentendo la voce di Eva riempire l'aria intorno a me. No. Non poteva essere vero. Anastasia sbuffò, scendendo dal tavolo e facendo la linguaccia alle sue amiche e ai rispettivi mariti.

"Io vi odio." ringhiai, e Sophie fece spallucce.

"Mettiti in fila."

"Ehi, avete trovato il nostro tavolo." Adam si sedette al suo vecchio posto, e così fecero gli altri. Rimanemmo lì per il resto della serata, e poco dopo arrivarono anche i nostri figli, capitati lì durante il gioco dell'acchiapparello. E così ero lì, in una mensa deserta, a ripensare quante discussioni avesse visto quel tavolo. I nostri piani per recuperare l'erba dalla mia valigia, le sfuriate di Gideon ed Adam, i miei incontri con Christopher. La Tavola Rotonda dei disturbati. E guardavo mio figlio mentre lanciava i fiori colorati a Jeff e Leila, che ricambiavano a loro volta mentre gli altri tentavano di fermarli. Vidi Anastasia ridere e per un attimo il mondo tornò indietro, e noi eravamo di nuovo adolescenti. Ognuno con i suoi problemi, con il suo passato e il suo futuro. Ma eravamo intorno a quel tavolo e ridevamo e scherzavamo. Poi tutto tornò come prima, e mi sorpresi a pensare che forse non era passato così poi tanto tempo. Quel tavolo, così come quel posto e quelle persone, avevano fatto di me ciò che ero in quel momento. Non ero più un figlio di nessuno. Non ero più un ragazzino problematico. Ero un marito, un amico, un figlio, un papà. Ero tutto ciò, e lo sono ancora. Quella bizzarra famiglia che mi si era creata intorno come un bozzolo, era ciò che mi rendeva l'unico Christian Grey, e non avevo paura di svegliarmi scoprendo che era stato tutto un brutto sogno. I brutti sogni non sarebbero più stati un ostacolo alla mia vita, e lo ricordava la scritta che era ancora lì fuori. Che non era mai stata ridipinta e alla quale si erano unite tanti pensieri di chi, come noi, era riuscito ad uscire dal suo incubo, e vedere la luce.



E' finita. Posso solo dirvi grazie, e sperare che il finale non vi abbia annoiato

Grazie per tutte le recensioni, per chi si è preoccupato quando non pubblicavo, e per avermi sopportato quando ho mostrato il mio lato più ritardatario. Non sono brava nei saluti, quindi concluderò qui. Spero di ritrovarvi nella mia nuova storia e, se non sarà così, colgo l'occasione per salutarvi.
E' stato un piacere raccontarvi la mia versione di Anastasia e Christian.
Con affetto
Elisa.


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