Ritorno alla realtà
Baciare Ana era divertente e sempre nuovo. Le effusioni erano vietate alla NARCONON, quindi dovevamo nasconderci nei luoghi più impensabili. Eravamo dietro le quinte dell'Auditorium quel giovedì, a pomiciare come due normali adolescenti.
"Sei davvero eccitante."
"E tu un maestro con le parole." mi prese in giro lei, ma in quel momento sentivo solo la mia erezione che premeva spudoratamente contro i miei pantaloni, e alla sua gamba che non smetteva di stimolarla. Volevo farlo con lei. Davvero, ma avevo sempre il blocco di Elena, e di quello che sarebbe potuto succedere se avessi provato ad avere una relazione soft con una ragazza. E se mi fossi bloccato? E se non fossi stato bravo? Non ero fatto per comandare, a quel tempo.
"Oh. Mio. Dio." Mi fermai, togliendole le mani da sotto la maglietta quando sentii quella voce fastidiosamente familiare interromperci.
"Ciao, ragazzi." disse Ana, alzando una mano e sventolandola in aria. Mi voltai a mia volta, trovando Gideon che teneva una mano davanti agli occhi di Adam, ed Eva che la teneva davanti a quelli di Gideon. Sophie invece ci pensava da sola, dandoci le spalle.
"Mi si è bloccata la crescita." si lamentò Adam.
"Di nuovo?" chiese Gideon, ed Anastasia scoppiò a ridere, mentre io non sapevo se gridare o piangere per la frustrazione di essere stato fermato sul più bello.
"Wow, Christian." sussurrò Eva, leccandosi le labbra e guardando verso il basso. Ma cosa... Seguii il suo sguardo, ma Ana si piazzò davanti a me, con braccia spalancate.
"Giù le mani, Tramell." Adoravo la sua gelosia. Mi faceva sentire bene, non come quella di Elena. Ana non mi aveva mai fatto paura.
"Solo a me questa situazione sembra imbarazzante?" disse Sophie, cercando di nascondere l'ilarità.
"Oh, ma andiamo. Vedete di peggio nei porno che Sophie vi scarica ogni sera. Credevate che non lo sapessi?" sbottai, ma Adam scosse la testa, liberandola dalle mani di Gideon.
"Ovvio che lo sapessi. Te ne ho prestati due."
"Cosa?" gridò Ana, ed io fulminai Adam con lo sguardo.
"Ora me la paghi!" Mi lanciai in avanti, tentando di afferrarlo per ficcare la sua testa dentro al tronco dell'albero di cartapesta accanto a me, ma era veloce.
"Aiuto!" gridava, attraversando i corridoi e attirando l'attenzione di tutti quelli che incontrasse. "Un maniaco sessuale mi sta inseguendo. Guardie!"
"Scott!" All'improvviso qualcosa mi afferrò per i capelli, e anche Adam si bloccò, immobilizzato per un braccio.
"Dove state andando, voi due?"
"Signor Tyson." sorrise Adam, fingendosi felice di vederlo. "Christian ed io stavamo avendo un lieve diverbio. Nulla di che."
"Parla come mangi, Scott." lo redarguii, e Christofer mi guardò in malo modo, prima di lasciarci andare entrambi.
"Non dovreste rendervi presentabili per l'incontro con i vostri genitori?" chiese, ma io scossi la testa, passandomi una mano tra i capelli.
"Io sono sempre presentabile." protestai.
"Lo so. Hai preso dal migliore, e con questi vestiti eleganti sembri proprio un'altra persona." Hai preso dal migliore. In questo mese mi ero abituato a queste battute, e dovevo dire che mi piacevano. Ero davvero felice di aver preso dal migliore. "Mentre tu, Adam, dovresti darti una pettinata." Indicò la sua testa, completamente disfatta dalla corsa, e Adam prese la palla al balzo per dileguarsi e lasciarci soli. "Quel ragazzo mi preoccupa seriamente."
"Anche a me." mi trovai d'accordo, chinando un po' la testa.
"Dai, vai a prepararti." mi disse, dandomi una pacca sulla schiena. Sembrava più triste del solito, come se il solo vedermi gli causasse un dolore fisico. Non capivo. In Agosto avevamo passato il tempo a ridere e raccontarci le rispettive vite, con le dovute censure, ovviamente.
"Chris. Tutto bene?" chiesi, e lui annuì, tornando a sorridere.
"Certo. Ho solo un po' di mal di testa."
"Ah." mormorai, per niente convinto. Avrei avuto tempo per capirlo, ma tra qualche ora sarebbe arrivata la mia famiglia, quindi mi affrettai a tornare nella mia stanza, dando un'ultima passata di gel prima di andare nella Sala Grande.
"Eccolo qui, il David Beckham dei tossici."
"Ciao anche a te, Lelliot." Salutai mio fratello con un abbraccio, facendo la stessa cosa con Carrick e Grace e mettendomi Mia sulle gambe, quando mi sedetti al tavolo.
"Ehi, come sei cresciuta."
"Sono alta un metro e quarantadue centimetri." cantilenò, e chissà a quante persone lo aveva già detto. Le accarezzai la testa come avrei fatto con un bravo gattino, e lei si accoccolò contro il mio petto, sorridendomi ogni tanto.
"Allora? Che avete fatto questa settimana?" chiesi, come ormai mi era solito fare.
"Beh, tuo padre ha vinto una causa di frode su cui lavorava da un mese."
"Wow, grandioso." Ero sinceramente colpito. Una novità per loro. "E tu, mamma?" Ogni volta che la chiamavo così, Grace si illuminava. Anche se Mia non era sua figlia, entrambe avevano lo stesso sorriso caloroso.
"Niente di importante. Ho curato i soliti pazienti e nient'altro. Oh, Elliot ha rotto con Joseth." disse improvvisamente, ed io allungai una mano a Carrick, che ci lasciò sopra una banconota da venti dollari, come da accordo. Quando Elliot ci guardò, io alzai le spalle.
"Papà aveva detto un mese. Io due settimane. Ho vinto." Joseth era, a detta di mio fratello, una ragazza simpatica, gentile, anche carina, ma soprattutto cercava qualcosa di serio. Questo aveva indotto mio fratello, neo ventenne e del quale io avevo perso il compleanno, a mollarla quasi subito. Carrick era stato un po' ingenuo, ma io ci avevo guadagnato.
"E poi..." disse Grace, allungandosi verso di me. "Abbiamo preparato tutto per il tuo ritorno a casa, domani."
"Cosa?" la fermai, alzando una mano. Ritorno a casa? Domani?
"Certo. E' settembre, tesoro." mi ricordò, continuando a sorridere nonostante il mio repentino cambiamento di umore. "Il tuo soggiorno qui è finito, e ormai il dottor Flinn dice che sei completamente guarito. Sapevamo che questo soggiorno ti avrebbe giovato."
"Ma... io non voglio andarmene." sussurrai, e a quel punto Mia mi guardò con le lacrime agli occhi.
"Non vuoi tornare a casa con noi, Christian?" chiese, e detestavo vedere quel labbro tremare.
"Certo che voglio, è solo che..." Mi bloccai, pensando a quello che stavo per dire. In tutto questo tempo Carrick aveva pagato la retta ad Ana e, anche se credevo che lei non stesse facendo più la spia, non potevo saperlo, quindi sviai il discorso. "Qui ho degli amici. Li avete visti anche vo..."
"Sei insopportabile."
"E tu odioso."
"Idiota."
"Adottato."
"Ritardato!" Ci voltammo tutti verso il tavolo trentasei, dove Gideon e il ragazzo che una volta avevo visto per questi corridoi stavano bisticciando, l'uno accanto all'altro. Ireland, quella bambina mora che aveva sciolto il cuore di Adam, era noiosamente poggiata al tavolo, come se spettacoli così fossero all'ordine del giorno. Mi schiarii la gola, riportando l'attenzione su di me.
"Ci dispiace per i tuoi amici, Christian, ma non puoi rimanere qui per sempre. E' il momento di tornare alla realtà." Annuii, sapendo che aveva ragione, e cercai di mostrarmi il più entusiasta possibile. L'unica cosa che mi frullava per la testa era: "E ora che dico ad Ana?"
Mi stesi a terra, nel vuoto della mia stanza. Tornare a casa. Come una specie di comando vocale, quelle parole avevano innescato una serie di ricordi raggruppati in tre mesi, e questo mi fece capire che ormai era finita. I filmini di ricordi arrivano soltanto quando qualcosa a cui tieni muore.
"Christian?" La testa di Anastasia sbucò dal fascio di luce lasciato dalla porta semi-aperta. Mi sorrise, venendomi accanto e sedendosi accanto a me. "Te lo hanno detto, eh?"
"Tu lo sapevi?" chiesi, guardandola di sottecchi. Lui annuì, accarezzandomi i capelli con una mano. Sembrava accettare tutto quello. La separazione di chilometri o il fatto di non poterla più toccare.
"Volevo che questi ultimi giorni fossero sereni." si scusò, senza guardarmi. La guardai mentre si torturava le mani, e misi la mia in mezzo alle sue, lasciando che la stringesse, che facesse un po' di quel male anche a me. "Mi mancherai, Christian." mormorò, guardando a terra, e la mia mano passò sul suo viso. Le accarezzai la mascella nascosta dai capelli, cercando come fa un cieco di imprimere ogni curva del suo viso nella mente. La consistenza della sua pelle. La temperatura delle sue lacrime.
"Anastasia Steele sta piangendo. Questo è davvero una novità." la presi in giro, e lei mi diede uno spintone, per poi accucciarsi accanto a me. "Di solito sei tu quella positiva." le ricordai, stringendola a me e lasciandole un bacio sulla tempia.
"Lo so." singhiozzò lei, cercando di non farsi vedere. "Dammi un minuto. Troverò qualcosa di intelligente da dire." Risi, girandomi a pancia in su e portandola sul mio stomaco.
"Ehi, dai. Cosa sono queste lacrime? Siamo nell'era della tecnologia. Ci sono i telefoni." cercai di rassicurarla, ed ero sicuro che saremo riusciti a tenerci in contatto anche così. Sarebbe stato perfetto. Avrei avuto Elena nella realtà e avrei mantenuto con Ana una relazione virtuale. Sembrava qualcosa di ipocrita, ma non volevo lasciarla andare.
"Seattle e la Georgia sono lontane chilometri."
"Stai parlando con il figlio di Carrick Grey. Posso permettermi un biglietto aereo."
"E con Christofer?" Mi zittii, continuando ad accarezzarle i capelli scuri.
"Dirò ai miei che ho scoperto tutto. Ho diciassette anni. Non possono continuare a nascondere una cosa così grossa."
"Ma lui ha detto che..."
"Non importa. Per una volta voglio essere io a decidere della mia vita." La sentii ridacchiare, e finalmente mi guardò negli occhi.
"Sei davvero cresciuto, Mr. Cinquanta." sussurrò, per poi lasciarmi un morbido bacio sulle labbra.
"Adesso puoi dirmi perché mi chiami così?" chiesi, alzando un sopracciglio. Lei fece spallucce, per poi portarmi un dito sul petto.
"Non puoi starmi vicina, perché dentro ho cinquanta sfumature di tenebra." Quando vide che la fissavo confuso, scoppiò a ridere. "E' una citazione che ho letto una volta. Non appena ti ho visto, mi è subito tornata alla mente. Non so perché." Rimasi per un attimo spiazzato, buttandola da un lato e mettendomi seduto.
"Lo hai detto veramente?"
"Cosa?" borbottò lei, massaggiandosi il sedere dolorante.
"Mi hai detto perché mi chiami in quel modo."
"Non era da tre mesi che volevi saperlo?" mi chiese, leggermente confusa.
"Sì ma... non mi aspettavo che me lo dicessi."
"Adesso o mai più, giusto?" disse, e nelle sue parole sentii la tristezza che aveva mostrato fino a poco fa. Qualcuno bussò alla porta, distraendoci. I ragazzi stavano ad osservarci con dei sorrisi mesti, che ricambiammo con egual tono.
"Sapevamo che sareste stati qui."
"Accomodatevi." dissi, gesticolando per chiarire il concetto. Adam si sedette a terra, portandosi Sophie tra le gambe, mentre Gideon ed Eva preferirono il letto. Per la prima volta, restammo tutti in silenzio. Era una specie di veglia. La nostra ultima giornata insieme.
"Questa storia fa schifo." sbottò Gideon all'improvviso, facendoci sobbalzare. "Non può finire così."
"Infatti non finirà così." disse Adam, alzandosi e guardandoci tutti, dal primo all'ultimo. "Domani dovremo separarci. E' inevitabile, ma a parte scambiarci i numeri di telefono, lasceremo il nostro marchio in questo lager."
"Il nostro marchio?" chiesi, scettico. "Non finirò in galera per le tue manie di protagonismo."
"Non sono manie di protagonismo." replicò, offeso. "Mi piace solo stare al centro dell'attenzione. Ora..." Battè le mani, attirando ancora di più la nostra attenzione. "A chi va di fare un'altra incursione?"
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