Puoi chiamarmi Ana
"State scherzando, vero?" Alzai il naso, guardando i muri grigi del bunker atomico che mi stava davanti. Il cielo nero di notte lo faceva sembrare ancora più sinistro. Elliot mi affiancò, portandosi le mani dietro la nuca.
"Toto, mi sa che non siamo più in Kansas." disse, poi scoppiò a ridere come un deficiente. In effetti non potevo dargli torto. Il Narconon era nelle periferie di Seattle, lontano dalla zona abitata e da quella industriale. Mi voltai verso i due schiavisti senza cuore che mi guardavano dal finestrino posteriore della limousine.
"Non potete fare sul serio." implorai, lasciando andare il trolley. Grace e Carrik rimasero impassibili nella loro decisione, e neanche Taylor sembrava disposto a darmi retta. Traditore infame. Sospirai, ormai in netta minoranza, guardando di sottecchi le due guardie all'ingresso. Credevo che per andare in carcere avrei almeno dovuto iniziare a spacciare qualcosa.
"Dai, fratellino. Ci rivediamo a settembre." Provò a tirarmi una pacca sulla spalla, ma d'istinto mi tirai indietro, maledicendomi mentalmente quando notai la sua espressione delusa. Fortunatamente non durò a lungo, e la pacca venne sostituita da una stretta di mano. "Giuro che un giorno ti colpirò. Mi sto allenando, sai?" Gli feci un mezzo sorriso, voltandomi per salutare Mia con la mano.
"Provaci e ti stendo con un calcio." Lei ricambiò sporgendosi troppo dal finestrino, come se volesse aggrapparsi a me. Elliot mi fece l'occhiolino, entrando e sedendosi sul sedile anteriore. Mi ero rifiutato di salutare i miei genitori, e anche quando Grace si era messa a piangere non avevo ceduto. Se fosse stata davvero dispiaciuta avrebbe fatto qualcosa per convincere Carrick a lasciarmi a casa. Scomparvero lasciandosi dietro la strada, ed io mi avviai con passo pesante verso le due guardie. Elena, la mia dominatrice, mi aveva detto di non preoccuparmi, che sarebbe andato tutto bene, ma non ne ero sicuro. Se mi avessero perquisito... Lei sapeva come toccarmi, ma anche se probabilmente uno di questi due aveva usato una frusta almeno una volta nella vita, di certo non l'avrebbe fatto come lei. Tre mesi senza sesso, senza erba e senza cellulare. Posso farcela. Feci un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora. No. Non ce la faccio. L'istinto di scappare era forte, ma quando la guardia di destra diede una scorsa alla lista che aveva in mano capii che per ora sarei dovuto rimanere calmo.
"Nome, ragazzino?" Ragazzino? Scopo meglio di te!
"Christian Trevelyan Grey." Lui fece schioccare la lingua, annuendo verso il compagno e sbarrando il mio nome. Mi lasciarono entrare nella struttura senza altri controlli, ma quando le porte automatiche mi si chiusero dietro sobbalzai. Quel posto era pieno di gente. Minorenni per lo più, ma qualcuno di loro doveva avere anche sui vent'anni. L'orribile consapevolezza di poter essere urtato da qualcuno tutti i giorni mi fece salire il vomito. E se avessi avuto un coinquilino? Mi avrebbe sentito urlare nel sonno. No. Carrick doveva aver pensato a tutto.
"Ciao." Una donna bionda coprii la visuale di quello che per me era l'Inferno, tenendo le mani intorno ad una cartella gialla. "Tu devi essere il signor Grey." Signor Grey. Wow, suona bene. Annuii senza sorridere, mentre lei sembrava non riuscire a fare altro. "Io sono Andrea. I tuoi genitori mi hanno dato indicazioni particolari per te. Prego, seguimi." La guardai titubante, ma alla fine feci come aveva detto. In un angolo vidi un'altra guardia che perquisiva velocemente un ragazzo appoggiato al muro, e mi affrettai a velocizzare il passo con la paura irrazzionale che potesse afferrarmi e fare la stessa cosa a me. Avevo un pacchetto di erba nascosto in uno scomparto della valigia per tutte le evenienze, quindi avrei sofferto per nulla. Andrea doveva aver intuito il mio malumore, perché mi guardò dall'alto dei tacchi. "Tranquillo. A te non faranno nulla, però dovrai sopportare i cani." Prima che potessi fare qualche domanda un pastore tedesco delle dimensioni di Mia si gettò sulla mia valigia, abbaiando come un matto. Ben presto fu seguito da una donna in uniforme.
"Svuotala." disse, indicando il mio bagaglio. Feci come mi era stato detto, facendole vedere anche la biancheria. Questo posto non mi piaceva per niente. La maggior parte di queste persone conosceva già cose che fino ad ora non aveva visto neanche Grace. Il cane annusò ancora, e continuò ad abbaiare.
"Forse è rotto." ridacchiai, mentre il mio sacchetto rimaneva cucito sotto la stoffa. La donna mi fulminò con lo sguardo, e il cane passò il naso sulla mia mano. Mi ritrassi di scatto, scatenandole una breve risatina.
"Non avere paura. Non ti farà niente."
"Non ho paura." ringhiai, guardandola male. Mi chinai per riempire di nuovo la valigia, ma la donna mi diede un sacchetto nero, sbattendomelo davanti al naso.
"No, principessa. La valigia rimane nel magazzino." Cosa? No!
"Ma è Calvin Klein." dissi, cercando di far leva sullo stupore. Era una valigia firmata, e anche abbastanza costosa. Forse avrebbe preso quella scusa come un motivo per non dargliela. Lei invece non fece altro che alzare gli occhi al cielo, tirando ancora più dietro il cane e prendendo la valigia vuota in mano.
"E adesso è mia. La riavrai a fine trattamento." Non mi diede neanche il tempo di ribattere. Se ne andò portandosi dietro quello schifo di animale e la mia erba.
"Mi dispiace. Maya è sempre un po'..." Stronza? Stupida? Terribilmente sovrappeso? "... rude." Ah. Non ci sarei mai arrivato. Mi portai il sacco pieno sulle spalle, superando la calca generale ed entrando in un corridoio deserto. Quel silenzio fu un sollievo. Guardavo il sedere di Andrea muoversi davanti a me, ma il fatto che fosse bionda mi destabilizzava. Preferivo le brune. Era più divertente punirle, ma Elena diceva che non ero ancora pronto per essere un dominatore. Con il tempo, tesoro. Ci vuole solo pratica. "Questa è la tua stanza." Mi porse un foglio pieno di numeri, continuando a sorridere in modo inquietante. "E questi sono gli orari. Ci sarà un appello ad ogni corso, quindi sarà meglio presentarti. Dopo tre assenze ci sarà un ammonimento e i tuoi genitori verranno avvisati. Tutto chiaro?"
"Ammonimento?" Ti picchieranno, Christian. Andrea sorrise rassicurante, aprendo la porta della mia nuova camera e consegnandomi la chiave.
"Ti spiegheranno tutto domani mattina. Ma sta tranquillo. Non ti frusteranno." Dio, magari! Abbassai le spalle, entrando e chiudendo la porta, per poi poggiarmici e scivolare a terra. Dove cazzo ero finito?
"No! Brutto stronzo! Non doveva finire così!" Sobbalzai sentendo quelle urla, e quando mi decisi ad alzare la testa vidi per la prima volta la mia stanza. Era abbastanza atona, con pareti bianche e due letti. Il mio doveva essere quello accanto alla finestra, ma l'altro era terribilmente occupato. Andrea aveva detto che i miei genitori avevano esposto le mie richeste. Perché avevo un coinquilino? Aveva un libro in mano, e i lunghi capelli bruni ricadevano da un lato, nascondendo il viso. Un momento. Lunghi capelli bruni? Come se avesse sentito i miei pensieri, l'incriminata abbassò Romeo e Giulietta, rivelando un viso femminile. Non era possibile. L'ultima volta che avevo controllato ero ancora maschio! Lei però non sembrò turbata quanto me dal fraintendimento, e la vidi scendere con un balzo dal letto, fermandosi davanti a me e chinandosi quel tanto che bastava per osservarmi bene. "Ehi, tu sei il tizio che mi ha colpito con un sasso." Cosa? Sbarrai gli occhi, riconoscendo le iridi enormi ed azzurre che adesso mi fissavano invasive.
"Cosa ci fai in camera mia?" chiesi, cambiando discorso. Per tutta risposta lei si rialzò, ridandomi l'aria che mi serviva.
"Mi hanno detto che uno dei pazienti aveva problemi di controllo della rabbia quando si trovava davanti un ragazzo. Quindi non ti limiti a lapidare gli sconosciuti." Spalancai la bocca, capendo che in effetti Carrik aveva informato il direttore delle mie richeste, ma era stato bravo ad eluderle. Sapeva che non avrei mai picchiato una ragazza, a meno che non avessi avuto una frusta in mano. A diciassette anni ormai sapevo maneggiarla bene. "Comunque io sono Anastasia Rose Steele, ma puoi chiamarmi Ana." Ana? Era delicato, del tutto inadatto a quella ragazzina che non aveva esitato un minuto a dividere la camera con un sociopatico. Come avevano potuto farmi questo? "Wow, sei davvero un chiacchierone." Mi schiarii la gola, rialzandomi velocemente e spolverandomi i pantaloni.
"Christian Grey." mormorai, iniziando a mettere a posto i miei vestiti. Quando aprii l'armadio notai che era già mezzo pieno, e la cosa mi fece imbestialire. Non volevo dividere le mie cose con nessuno.
"Grey? Buffo per uno con gli occhi grigi." Mi bloccai, guardando la felpa che avevo tra le mani. Aveva notato i miei occhi. Mi era stata troppo vicina, e non la conoscevo neanche. E se avesse provato a toccarmi? E se mi avesse sentito urlare?
"Già." dissi, ricacciando indietro le preoccupazioni. Domani avrei chiamato Carrick e gli avrei fatto risolvere la faccenda.
"Non ti piace parlare, vero?" chiese lei, tornando a sedersi sul letto e riprendendo a sfogliare il suo libro. Era lo stesso che le era caduto il giorno prima. Scossi la testa, passando alla biancheria e poi sistemando lo spazzolino e il resto nel bagno annesso, anche questo occupato per metà. Donne invadenti. "Perché sei qui? Non mi dirai che è per una vacanza di piacere." Non demordeva. Cosa le interessava del motivo della mia reclusione? Ma d'altronde perché mentirle. Magari così mi avrebbe lasciato in pace.
"Fumo erba e non sopporto essere toccato, quindi ti pregherei di evitare qualsiasi tipo di contatto da ora in poi." Lei alzò le mani in segno di resa, osservandomi visibilmente incuriosita. Forse si aspettava che le facessi anche io qualche domanda, ma quando rimasi zitto tornò a leggere come se nulla fosse. Di solito mi piaceva il silenzio che si creava in una stanza. Non lo vedevo impegnativo come una conversazione, ma quella volta qualcosa dentro di me iniziò ad urlare reclamando un po' di rumore.
"Ti piace leggere?" Sospirai, aprendo la finestra per far entrare un po' d'aria e ignorandola elegantemente. Non volevo avere a che fare con la gente di quell'istituto. Erano tutti dei drogati, e anche se lei sembrava una delle tipiche santarelline con il naso tra le pagine, qualcosa in lei mi spingeva a chiedermi cosa nascondesse. Forse era come me. Nessuno è come te. Rassegnati. Sarai sempre solo. "Romeo, non bere!" la sentii urlare, e quando mi voltai era in piedi sul suo letto, con gli occhi che scorrevano veloci sulle parole. "No! Perché fai sempre lo stesso errore?" Questa è più pazza di te. Per una volta fui d'accordo con quella voce fastidiosa. "Sei senza speranze." borbottò alla fine, chiudendo il libro e gettandolo sul materasso, per poi sedersi con un tonfo. Era abbastanza magra, e aveva un bel seno, o almeno era bello quello che riuscivo a vedere sotto la felpa semi-aperta. In quel momento lei sembrò ricordarsi che nella stanza c'ero anch'io, e arrossì visibilmente, mordicchiandosi il labbro inferiore. "Scusa. A volte mi lascio prendere dalla storia." La guardai con gli occhi spalancati, mentre sentivo una familiare sensazione tra le gambe. Mi affrettai a stendermi sul letto a pancia in giù, poggiando la testa in direzione della finestra. Forse avrei potuto dormire un po' prima della giornata di domani, ma dovevo aspettare che anche Anastasia si addormentasse. Non potevo rischiare di farmi sentire, però avevo sonno. Sbadigliai rumorosamente, mentre lei controllava l'ora sulla sveglia. "Wow, già le undici. Beh Chris, io vado a letto. Mi raccomando, non parlare così tanto o mi sveglierai." mi prese in giro, mettendosi il pigiama sottobraccio e sparendo nel bagno. Guardai il rigonfiamento nei miei jeans e approfittai di quel momento per indossare un paio di pantaloni della tuta. Almeno erano più larghi, e cambiai la felpa con una T-shirt grigia. Quando lei uscii dal bagno io ero già sotto le coperte, pensando ai primi dieci minuti di Salvate il soldato Ryan per calmarmi. Sangue. Budella. Spari. Ancora sangue. Tanto sangue. "Ehi. Sei ancora sveglio?" sussurrò lei, sbirciando dal suo letto. La luce sul comodino a sinistra era ancora accesa e mi aiutava a rimanere vigile.
"Mi hai chiamato Chris, prima." borbottai, con la bocca contro il cuscino.
"Beh, sì."
"Non farlo più. Non mi piace." Immaginai il suo viso distorto in una smorfia di delusione, magari mentre si mordeva il labbro. Avrei potuto morderglielo io.
"In effetti Christian è un nome troppo bello per essere abbreviato." disse lei, lasciandomi di stucco. Mi voltai, sollevando un po' le coperte, ma lei aveva appena spento la luce ed ora mi guardava nel buio. "Non ci sto provando con te, ma è la verità. E' un nome da protagonista di romanzi." Alzai un sopracciglio, misurando con lo sguardo lo spazio che ci separava. Qualche metro, circa.
"Ana non mi dispiace." ammisi alla fine, girandomi di nuovo e chiudendo gli occhi. Era vero, in fondo, e poi probabilmente non avrei mai più rivisto Anastasia Steele. Domani avrei avuto un coinquilino maschio, meno chiacchierone e che probabilmente avrei preso a pugni. Mi avrebbero cacciato da quello schifo di posto e avrei passato l'estate e fumare erba e a farmi scopare da Elena. Quando fui sicuro che Anastasia si fosse addormentata, finalmente rilassai lo sguardo e mi lasciai andare ad uno sbadiglio.
Poi buio.
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