Piccole verità


Sbattei il flacone arancione sul comodino, facendo sobbalzare Anastasia che, lasciando il suo nuovo libro sulle lenzuola, mi guardò con le sopracciglia aggrottate. Ero arrabbiato. Furioso, a dire il vero. Non volevo che si impicciasse negli affari miei. Non volevo aiuto. Avevo apprezzato il gesto del materasso, ma era una cosa privata, chiusa in quattro mura. Adesso la faccenda si stava allargando troppo, ed io non volevo che ci fossero molti testimoni del mio disagio mentale, soprattutto in questo posto.

"Cosa cazzo significa questo?"

"Buonasera, Ana. Come è andata la giornata? Non ti vedo da questa mattina. Oh, grazie. Sono felice che ti interessi." Ascoltai quel ridicolo botta e risposta con poca pazienza, battendo una mano sul comodino e facendo tremare l'abajour.

"Smettila. Ti avevo chiesto di starne fuori." ringhiai, chinandomi verso di lei. I suoi occhi si allargarono leggermente. Aveva paura. Paura di me. Come avevo sempre voluto. Allora perché mi sentivo una merda? Non avevo mai notato quanto fossero grandi quegli occhi. Sembravano quelli di Bambi poco prima di sentire lo sparo.

"Sono solo sonniferi. Pensavo ti sarebbe piaciuto dormire nel tuo letto." disse, come se fosse una cosa scontata.

"Non ho bisogno d'aiuto. Non ho bisogno di te."

"Strano. Avrei detto il contrario, ma in fondo dormire nel bagno piace a molti." disse, senza nemmeno guardarmi. Era tornata con il naso infilato nel libro, a sfogliare le pagine come se non esistessi. Non ignorarmi. Non ignorarmi.

"Okay, ora basta." sbottai, prendendo il libro e buttandolo dall'altra parte della stanza.

"Ehi, ero arrivata alla scena madre." Cosa cazzo vuoi che me ne importi?

"Quanto ti ha dato mio padre per spiarmi?" ringhiai, sedendomi davanti a lei e guardandola minaccioso. Le sue iridi ebbero un guizzo, prima di tornare fredde e controllate.

"Non so di cosa tu stia parlando."

"Smettila di fare la santarellina! Ho capito che sei qui per una ragione. Cosa ti ha dato Carrick? Droga? Soldi? Cosa!?" gridai, e lei si fece leggermente indietro, ritirando le gambe ed abbassando la testa. Non aveva intenzione di rispondermi, quindi. Non ignorarmi! Il mio cervello reclamava attenzione, ma soprattutto voleva risposte, e le avrei avute. A costo di finire in galera. Ero stanco che le cose mi scivolassero addosso con passività. Essere uno spettatore della mia stessa vita non mi bastava più. Ripensai alla rabbia che provavo quando Elena mi teneva legato sotto di lui, con una di quelle palle per il sesso in bocca, incapace di parlare o di muovermi. Ero come nei miei incubi. Immobile e totalmente vulnerabile. Sentii quella rabbia scorrermi nelle vene e raggiungermi il cervello. La sentii formicolare come piccole formiche nel sistema nervoso. Sferrai un pugno alla testiera del letto, sfiorando la folta chioma della piccola Ana e inchiodandola, senza possibilità d'uscita. Le sfuggì un urletto di sorpresa e paura. "Sai, su una cosa Carrick aveva torto." sibilai, stringendo la mano sinistra. Anastasia sbarrò gli occhi, cerando una possibile via di fuga. "Non mi faccio problemi a picchiare una ragazza."sibilai tra i denti, ma lei non si mosse, continuando a guardarmi con aria serena. Osservava il mio pugno contratto, le nocche bianche, e forse era meglio che non avesse un contatto diretto con i miei occhi. Non sapevo se avrei retto il suo sguardo spaventato.

"Non mi colpirai." disse, facendo un mezzo sorriso che mi fece andare in bestia. "E sai perché lo so?" insistette, ma non volevo ascoltarla. Quella voce era troppo vellutata. Troppo infantile. Troppo innocente. In fondo cosa mi aveva fatto? Cercava solo di rendere le mie notti meno brusche. Cosa importava se per farlo avrei dovuto assumere droghe? Perché era quello che erano. Dubitavo fossero semplici sonniferi. Lei sorrise, allungando una mano verso di me e sfiorandomi una guancia come aveva fatto la notte prima. "Perché sei buono, Christian. A dispetto di quello che dicono di te. Sei il ragazzo più buono che abbia mai conosciuto." La mano passò ad accarezzarmi i capelli, ed io indurii la mascella, abbassando delicatamente il pugno. "Sei solo stanco, e spaventato." Stanco? Spaventato? Sbattei le palpebre, aggrottando le sopracciglia. Sapevo di esserlo, anche se rifiutavo il problema, e non mi serviva che qualcun'altro me lo dicesse. La cosa che mi stupii fu che qualcun altro se ne era accorto. E quel qualcun altro era lei. Ed io stavo per colpirla! Cosa cazzo mi stava succedendo? Misi la mano dietro la schiena, iniziando a respirare più velocemente. Sudavo. Tremavo. Lo riconobbi come se fosse un vecchio amico. Il mio personale attacco di panico. I contorni di Anastasia iniziarono ad essere più radi, e al suo posto vidi un'altra donna dai capelli bruni, che mi accarezzava, mi diceva che ero bravo. E finalmente capii. Capii cosa fosse quella cosa nel suo viso che mi aveva spinto a credere che in lei ci fosse qualcosa di diverso.

"Tu... tu sei... identica a lei." sputai, allontanandomi con disgusto e cadendo giù dal letto. La botta alla schiena non servii a distogliermi da quell'orribile visione.

"Christian? Tutto bene?" Alzai lo sguardo verso Anastasia, che sbirciava incuriosita dal suo letto. Il suo viso si alternava a quello di mia madre. Della mia vera madre. La puttana drogata.

"E-Ella." balbettai, in preda al panico più totale. Non riuscivo più a distinguere la realtà dall'immaginazione. Alla fine mi convinsi che quella sul letto fosse mamma, e non riuscivo... non potevo liberarmi della sua immagine. Lei mi raggiunse a terra, afferrandomi i polsi con delicatezza e continuando ad osservarmi con gli occhi ambrati. No, azzurri. No, ambrati. Non ci capivo più niente, e sentivo solo il mio cuore che batteva come impazzito nelle orecchie, il sudore che mi scendeva lungo la schiena."Christian, guardami." Quella voce. Mamma! "Mi riconosci, sono Anastasia." No. Lei non era Anastasia. Lei era la mamma. Allora non era morta. Scossi la testa, continuando a fissarla terrorizzato. "Capito? Anastasia." disse, scandendo le parole come se fossi ancora piccolo.

"Anastasia." ripetei, e i bordi della figura iniziarono a muoversi di nuovo.

"Bravo. Anastasia. Mi vedi?" Sbattei le palpebre un paio di volte, e quando le riaprii il bel viso di Ana era proprio davanti al mio. I lineamenti travolti dalla preoccupazione erano ancora più belli di quanto avessi immaginato. Lei non era Ella. Era Ana. La mia Ana. Annuii, leggermente titubante, rendendomi conto di quello che avevo appena pensato. Dannazione, Cross!Le guance di Anastasia si rilassarono, per poi distendersi in un sorriso di sollievo. Mi lasciò andare i polsi, continuando a fissarmi. "Scusami per i sedativi, e anche per averti toccato." Sospirò, abbassando le spalle. Quel gesto aveva un retrogusto di sconfitta. "Hai ragione. Non devo introdurmi nella tua vita. Non ti conosco e non è mio diritto. Volevo solo essere gentile. Essere tua amica." Mi aveva appena... chiesto scusa? Cosa? Ero in un altro sogno? Un sogno molto strano."Vuoi davvero sapere cosa mi ha dato tuo padre?"chiese, mettendo una mano sulle mie. Iniziavano a farmi male le ginocchia, e in quel momento mi sentivo talmente in colpa da avvertire ancora quella sgradevole sensazione di vomito. Era più forte dell'altra volta.

"Sì." decisi, preparandomi a qualsiasi cosa avesse da dire. Lei fece un mezzo sorriso, sedendosi a gambe incrociate.

"Il signor Grey è un amico del college del Marito Numero Due di mia madre. Stanno ancora insieme, se te lo stai chiedendo." Ridacchiò della sua stessa battuta, facendomi fare la stessa cosa. Chi poteva essere? Matt Gordon? Jimmy Simmons? Ian Bowell? Tutti i nomi degli uomini che avevo sbirciato dalla rampa di scale nella rimpatriata dell'anno scorso mi ritornarono alla mente come una valanga, ma mi ostinai a mantenerli a distanza. Non era importante il nome."Un giorno, mentre parlava con tuo padre, è venuto a sapere di te e del tuo... beh... modo di essere. Non che i dettagli fossero molto chiari, ma poi Carri... cioè... Mr. Grey ha nominato la Narconon e il fatto che stava pensando di mandartici. Purtroppo non sapeva come fare per la tua sociopatia, ma fortunatamente per lui il suo amico aveva me." Rise ancora, ma questa volta con amarezza. Mi sembrò tanto me stesso in quel momento. "La piccola, dolce, problematica Anastasia Steele. Non potevano permettersi di mandarmi in un centro come il Narconon. Non con i loro stipendi, così tuo padre ha proposto di pagarmi la retta. Avrei solo dovuto condividere la stanza con suo figlio... e aggiornarlo ogni tanto." Lo sapevo. Era una spia di mio padre.

"E' l'unico motivo per cui hai voluto avermi come amico?" chiedo, senza emozioni. Non che mi interessasse un granché, ma volevo sapere la verità a quel punto. Avevo vissuto quindici anni senza amici. Potevo continuare a farlo senza grandi problemi, ma lei scosse la testa, quasi come se l'avessi offesa.

"No! Tu sei davvero mio amico, Mr. Cinquanta."

"Perché mi chiami così?" chiesi, sbuffando sonoramente. Adesso sapevo la verità, e questo in parte mi faceva sentire più leggero, ma non potevo abbassare la guardia.

"Questo non te lo dico, altrimenti nel nostro rapporto non ci sarebbe più divertimento." Continuava a mantenere inalterato il suo bel sorriso, ed io allungai una mano e le diedi un pizzicotto sul braccio. "Ahia!"strillò lei, prima di scoppiare in una sonora risata. La vidi mentre stava per ricambiare, ma si fermò in tempo, riordandosi della mia assurda fobia.

"Sei insopportabile, mss. Steele."

"E tu incredibilmente irriverente, mr. Grey." Si alzò in piedi, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi. "Ma mi piaci così." Stupidamente, mi venne da ridere. Il bisogno era talmente impellente che faticai a trattenermi. Mi limitai ad accettare il suo aiuto, continuando a sorriderle come se non riuscissi a fare altro. Mi ricordai di Andrea. Di come mi era sembrato strano che ridesse così tanto anche se non ce ne era motivo. Invece adesso quasi la capivo.

"Anche tu mi piaci." dissi, e la vidi arrossire sotto al mio sguardo attento. Wow. Allora le faccio effetto. La cosa mi fece piacere. "Anastasia." la chiamai, quando lei si voltò per andare in bagno. Si girò verso di me, facendo muovere quei bei capelli color mogano.

"Sì?" chiese, osservandomi attentamente. Rimasi muto, dimenticandomi perché l'avevo chiamata. Sentendomi ridicolo, mi limitai a scuotere la testa, abbassando la mano che avevo usato per chiamarla.

"Credo che proverò i sedativi." le concessi, rimediando alla gaffe.

"Davvero? Non sei costretto se..."

"Ehi." la bloccai, dirigendomi verso il letto e spogliandomi velocemente. Volevo farla arrossire di nuovo. Mi piaceva la sfumatura di rosso che assumeva la sua pelle quando mi avvicinavo a lei. "Peggio di così non può andare, giusto?" E lo pensavo davvero. Ero sicuro di aver finalmente raggiunto il mio nirvana. La Narconon iniziava a sembrarmi il posto più luminoso del mondo.Sfortunatamente non ero mai stato bravo nelle predizioni.

Buona Pasqua! Ho deciso di farvi un regalo. Ecco un piccolo capitolo in anticipo. Spero vi piaccia :)

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