Dubbi svelati

Lasciai andare il vecchio borsone che mi avevano affidato sul pavimento, mentre Andrea teneva aperta la porta della mia nuova camera.

"Ecco a te. Con gli ordini del signor Grey." disse, senza perdere quell'inquietante sorriso. Annuii in risposta, tenendo lo sguardo fisso su quell'unico letto, posto al centro della parete. Grigio, proprio come quello vecchio, ma con una piccola differenza: non c'era Ana. Quando la bionda capì che non avrebbe ricevuto altra risposta, si decise a chiudere la porta, lasciandomi definitivamente solo. Abbandonai tutta l'aria che avevo trattenuto fino a quel momento, dirigendomi verso il letto e liberando un urlo isterico quando mi stesi. Afferrai il cuscino, poggiandomelo sulla faccia e premendolo con tutta la forza che avevo.

"Che vita di merda!" gridai contro le piume, sentendo solo un suono attutito ed indistinto. Non la volevo più, quella camera. Volevo essere il coinquilino di Anastasia. Volevo sentire i suoi monologhi/dialoghi con i personaggi dei libri che leggeva, e volevo vederla mentre si voltava verso di me, sperando di non avermi svegliato. Senza sapere che io ero già sveglio, e la osservavo in quel piccolo momento di intimità come una specie di stalker. Quando il macigno che portavo nel basso ventre si fu allentato, misi il cuscino da un lato e sbuffai, rimettendomi seduto. Era tutto troppo vuoto. Troppo silenzioso. Non lo sopportavo, ma non potevo farne a meno. Avevo chiamato Carrick perché mi spostasse. Lo avevo supplicato senza vergogna, e alla fine aveva ceduto quando gli avevo raccontato che non dormivo da settimane. Iniziavo a dare segno di squilibrio mentale, e il lunedì non aiutava. Mi misi a gambe incrociate sul materasso, allungandomi verso il borsone e tirandone fuori le copie delle schede informative di quelli che una volta erano stati miei amici. Gideon, Ana, Eva, Adam o Sophie? Da chi inizio? Le misi davanti a me, ad eguale distanza l'una dall'altra.

Ci sono molte cose che non sai di me, Mr Cinquanta. Ma non fartene una colpa. Nessuno sa niente di me.

Allungai una mano verso quella di Anastasia, per poi metterla da parte. Quella sarebbe stata l'ultima. La ciliegina.

Per quanto ne sai potrei essere un assassino provetto.

Adam. Sì, avrei iniziato da lui.

Sono condannato a vivere da solo. E solo che... vorrei almeno aver fatto qualcosa per meritarmelo.

Oppure Gideon. Mi presi la testa tra le mani, cercando di concentrarmi. Dovevo solo leggere delle schede. Perché era così difficile? Chiusi gli occhi ed allungai una mano, afferrando il primo foglio che avevo trovato e osservandolo con attenzione. La foto di un'Eva mentre mostrava il suo profilo migliore mi fece spuntare un mezzo sorriso. "Vada per Eva." Il foglio era solo uno, e dovetti scorrere in fondo per trovare le indicazioni che cercavo.

Motivo di degenza: impossibilità di fidarsi di qualcuno. Problemi di alcolismo, droga e forte dipendenza da attività sessuale.

Causa: violenza sessuale domestica avvenuta tra gli otto e i quattordici anni, con conseguente aborto spontaneo.

Status: non pericoloso. Adatto alla vita condivisa.

Rimasi a bocca aperta, mentre i miei occhi spaziavano per il foglio fotocopiato. Era stata... violentata. Eva: la ragazza che girava in top e minigonna e aveva minacciato di strapparmi i genitali... era stata tenuta sotto contro la sua volontà. Avvertii un nodo in gola, capendo per un istante il perché dei loro silenzi: scoprire quei segreti mi avrebbe impedito di guardarli allo stesso modo, ma adesso non aveva più importanza, vero? Scossi la testa, prendendo un'altra scheda rovesciata. Era come giocare a carte. Sophie Lether.

Motivo di degenza: aggressività nei confronti del genere maschile. Forte difficoltà a relazionarsi. Tendenza all'asocialità.

Causa: violenza fisica (percosse, bruciature, violenze) provocate dall'ex fidanzato

Status: Non pericoloso. Eventuale adattamento alla vita condivisa.

"Oh mio Dio." Era come essere in un film horror. I miei problemi sembravano nulla a confronto di quelli delle ragazze. Non ero mai stato violentato, almeno. SI poteva violentare un ragazzo? Non mi ero mai fatto quella domanda. Forse mi avevano fatto qualcosa, ma non lo avevo mai visto nei miei incubi. Per un istante mi sentii quasi fortunato. "Okay, adesso Adam." Presi la sua cartella, notando che la foto era a malapena seria, con lui che cercava di non ridere di fronte alla telecamera. Il suo non può essere tanto grave.

Motivo di degenza: aggressività latente. Alta suscettibilità. Bipolarità latente. Tendenza a punire, anche brutalmente, chi lo contraddice.

Causa: crisi di abbandono da parte della sorella minore

Status: Mediamente pericoloso. Eventuale adattamento alla vita comune.

Rimasi per un attimo interdetto, ripensando ai momenti in cui la simpatia clownesca di Adam sembrava abbandonarlo per un suo lato più serio, come se fosse due entità indistinte. Ci avevo anche scherzato su. Cazzo, ero amico di un malato mentale! Volevo veramente andare avanti? Se ci stavo rimanendo così male per gli altri, come avrei reagito davanti al problema di Ana. Pensa al presente. Gideon. E' il turno di Gideon.

Motivo di degenza: disturbo post-traumatico da stress. Incubi notturni con veglia aggressiva. Tendenza a confondere fantasia con realtà. Tendenza ad attacchi di violenza.

Causa: probabile shock causato dalla vista del suicidio del padre all'età di cinque anni.

Status: Altamente pericoloso durante le ore notturne. Inadatto alla vita comune durante le ore di sonno. Preferibile una camera singola.

"Quelle fottutissime manette..." Allargai le braccia e mi lasciai ricadere all'indietro, strofinandomi la radice del naso. Sotto alla mia schiena sentivo lo scricchiolare del foglio di Ana. Volevo leggerlo? Volevo davvero? Adam... Gideon... Eva... persino Sophie! Non ero mai riuscito a vederli come il resto dei disturbati da cui ero circondato. Per me loro erano ragazzi normali finiti qui per caso, o almeno una parte di me li metabolizzava così. Invece erano esattamente come me. Soprattutto Gideon. Disturbo post-traumatico da stress. Incubi notturni. D'istinto presi il mio foglio e me lo misi davanti al naso. Quella affissa era una mia foto dell'annuario. Sguardo apatico, un breve sorrisetto per far contenta Grace che voleva "una tua foto sorridente. Hai un così bel sorriso, tesoro mio." e Carrick, che invece "non farci sprecare i soldi dell'apparecchio, testa di rapa!" Alzai gli occhi al cielo, anche se non c'era nessuno da biasimare. O forse qualcuno c'era, ma non avevo ancora intenzione di scoprirlo. Era quello che pensavo mentre prendevo il foglio di Ana e lo ficcavo nel cassetto del comodino, senza neanche guardarlo.

"Avviso a tutti i degenti: questa settimana le visite dei genitori saranno anticipate da giovedì a mercoledì. Giovedì ci sarà un incontro eccezionale nell'auditorium. Troverete i vostri nuovi orari nella bacheca all'ingresso. Chiunque non si presenterà avrà un ammonimento. Grazie per l'attenzione." Detestavo i cambi di programma. Ormai ero abituato alla mia piccola routine quotidiana, e chissà perché l'idea di rivedere i miei non mi intrigava. Sicuramente Ana aveva riferito il mio strano comportamento a Carrick. Quella subdola spia. Avevo bisogno di immaginarla così per resistere alla tentazione di correre da lei e scusarmi per il mio comportamento da coglione. Persino l'ora di pranzo era diventata una tortura. Quando uscii dalla fila con il mio vassoio mezzo vuoto, buttai un occhio verso la mia Tavola Rotonda, dove Adam si stava esibendo in un'impeccabile riproduzione di quella che doveva essere Maya. Gli altri scoppiarono a ridere non appena ebbe finito, e a quel punto vidi i suoi occhi incrociare i miei, e il suo sorriso farsi più grande. Mi fece segno con la mano di venire verso di loro, ma io non lo degnai neanche di una risposta, andandomi a sedere in uno dei banchi vuoti nell'angolo opposto della sala. Sbattei il cibo sul tavolo, prendendomi la testa tra le mani non appena gli altri smisero di fissarmi. Eccomi qui. Di nuovo al punto di partenza.

"Christian." Alzai gli occhi dal pollo al vapore, vedendo un altro vassoio rosso accanto al mio.

"Signor Tyson." mormorai di poca voglia, senza neanche guardarlo. Sperai non volesse ancora fare discussioni in stile padre-figlio con me, anche perché non ero dell'umore. "Non dovrebbe essere con gli altri insegnanti?" Lui ridacchiò leggermente, mettendosi di fronte a me.

"Dovrei, ma sono gente noiosa, e la gente noiosa è anche dannosa."

"Non so lei..." dissi, ancora più giù di morale "ma sentirmi dare del dannoso non mi aiuta per niente." mi lamentai, ficcando la testa nella piega del braccio che avevo messo sul tavolo. Ero talmente intristito da quella situazione che avrei anche potuto prendere in considerazione un suicidio, ma poi mi ricordavo che non ero tipo da andarsene in una nuvola di fumo. Avrei dovuto portare qualcuno con me, ma questo implicava un omicidio, e non era bene neanche quello. Ero in un vicolo cieco che mi avrebbe fatto vivere per più di cento anni, a quanto pare.

"Smettila di buttarti giù, ragazzo." mi esortò, lanciandomi quello che doveva essere un asparago. Lo guardai incredulo, per poi fissare il cibo nel mio piatto. Non avevo fame, ma il mangiare non si spreca. Per questo presi una carota lessa dal mio piatto e gliela lanciai contro di rimando. Lui aprì la bocca, riuscendo ad inghiottirla al volo. "Non si gioca col cibo." disse, ridendo. "E poi si fa così." Mi lanciò un altro asparago, ma io mi abbassai prontamente, e questo andò a finire tra i capelli fucsia di una ragazza al tavolo accanto, rimanendo appeso lì, incastrato tra i nodi. "Oh cazzo." Scoppiai a ridere, cercando di trattenermi abbassando la testa verso il petto. Anche Christofer fece lo stesso, coprendosi la bocca con la mano.

"Lei è pazzo." dissi, soffocato dalle risate.

"No. Tu sei qui tutto solo mentre di là hai il gruppo di amici più divertente che io abbia mai visto. Sei tu quello pazzo." Ecco dove voleva arrivare.

"Sono successe un po' di cose." borbottai, giocherellando con quello che avevo nel piatto.

"E Ana? Anche lei c'entra in queste cose?" Annuii, sospirando.

"Non mi va di parlarne. Scusi."Soprattutto non con te, chiunque tu sia. Christofer non sembrò deluso dalla mia risposta pragmatica, ma allo stesso tempo non aveva intenzione di mollare l'osso.

"Capisco. Beh, allora mangiamo. Non so tu, ma io amo il pollo."Anche io...

"A me non piace molto." mentii, ma non volevo illuderlo che avessimo delle cose in comune. Cercai di mangiare lentamente, nonostante il mio istinto mi intimasse di muovermi per poi sparire ed andare a ritirare i miei orari della settimana. Sincronizzai i miei morsi con i suoi, il mio modo di immergere la forchetta con il suo, così calmo e pacato, fino a quando non diventammo l'uno lo specchio dell'altro. Mi sentii quasi rassicurato da quel fatto. Dover controllare anche i movimenti più semplici mi impediva di pensare ad altro. Un assaggio di controllo, diverso da quello che mi dava Elena. Forse non avevo bisogno di perderlo per essere felice. Forse l'unica cosa che dovevo fare era dominare, sottomettere anche me stesso al mio volere. Ma per farlo avevo bisogno degli insegnamenti di Elena. Dovevo soffrire ancora un po', e dovevo lasciar perdere tutto il resto.

"Essere o non essere, questo è il problema..."Qualcuno mi uccida. Questa Elliot me l'avrebbe pagata. Avevo scoperto che qualcuno aveva inserito nel foglio delle attività accettate di questo posto anche delle ripetizioni di letteratura inglese, ed ero sicuro che fosse stato quel decelebrato di mio fratello, quando era sparito per una buona mezz'ora alla ricerca del bagno. "Se sia più nobile soffrire sotto i colpi, i sassi e i dardi di una fortuna avversa..." Odiavo letteratura, ed odiavo l'Amleto. Duecento pagine di delirio emozionale, nelle ultime due delle quali muoiono tutti in maniera disastrosa. "Oppure imbracciar l'arme contro al mare di problem... signor Grey?" Poi non capivo il perché dei monologhi. Insomma, a chi andava di vedere per dieci minuti un tizio fermo sul palco che parlava di se stesso? Forse Adam, in uno show su di lui. "Signor Grey!" Il rumore di un libro sbattuto sopra al tavolo mi fece sobbalzare, ed alzai la testa dal tavolo, tornando a guardare l'insegnante paffutella che aveva lasciato andare il suo libro. Il resto dei partecipanti si sollevò in una risatina di scherno, ed io cercai di fulminarne il più possibile. "Potrebbe continuare a leggere lei?"

"Ma certo." Guardai la pagina, scoprendo che non avevo seguito una sola parola di tutta la lezione. "Ehm... essere o non..."

"Abbiamo già superato quel punto." Altre risate, ed io volevo sprofondare. Elliot, so che puoi sentirmi. Sappi che ti odio. Il mio pensiero aveva talmente tanta forza che pensai che avesse serie possibilità di giungere veramente a mio fratello. "Verso cinque, per favore." Sospirai per la noia ed io fastidio, mentre trovavo un punto fisso in quel mare di parole scritte male.

"Se sia più nobile imbracciar l'arme contro un mare di problemi, e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie della carne, è soluzione da cogliere a mani giunte. Morire, dormire, forse sognare: ma qui è l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: è la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti. Chi vorreb..."

"Può bastare, signor Grey." Feci un mezzo sorriso di circostanza, infossandomi di più nel sedile. "Bene, ora ce lo spieghi." Mi guardai intorno, prima di puntare un dito contro di me.

"Io?" chiesi, facendo alzare un nugolio di risate. L'insegnante scosse la testa, battendo le dita sulla cattedra.

"Sì, lei. Coraggio." Gonfiai le guance, tornando a guardare quel cazzo di libro azzurro con i pezzi migliori della letteratura classica.

"Qui Amleto parla di una via di fuga semplice ai problemi. Un suicidio, forse." mormorai, alzando gli occhi verso di lei. La donna annuì, invitandomi a continuare. E cosa c'è da dire? "Poi però dice che il motivo per cui le persone non si suicidano è perché hanno paura di quello che potrebbe esserci dopo. Hanno paura... dei sogni."

"Ottimo, signor Grey. Ma le persone non hanno paura dei sogni in sé, ma del fatto che questi possano tramutarsi in incubi in un'altra vita."

"Ah." dissi semplicemente, tornando ai miei pensieri suicidi. Quel posto voleva impedirmi anche di pensare a ciò che volevo. Assurdo. Mi guardai intorno, notando che alcuni degli altri ragazzi erano veramente interessati alla lezione. Tutti i miei incubi che si tramutano in realtà in una vita parallela. Mi venivano i brividi solo a pensarci. Affrontare i miei demoni, se così potevano essere definiti, era qualcosa di troppo grande per me. Mi accontentavo di scansarli per il maggior tempo possibile, tenendoli testa nel sonno e sperando di non essere mangiato. La campanella suonò mezz'ora dopo, e mi portai il libro sotto al braccio, imboccando l'uscita a testa bassa. Dovevo prepararmi per educazione fisica, e lo avrei fato volentieri se solo non mi fossi trovato davanti la faccia di Adam.

"Bene, bene, bene. Christian Grey."

"Spostati, Scott." mormorai, tirandogli una spallata, ma l'unica cosa che ottenni fu sbattere il naso contro la spalla di Gideon.

"Dove credi di andare?" Sospirai, senza guardarli in faccia.

"In palestra, se non vi dispiace." risposi, aggirando Cross e andando avanti.

"Tu non vai da nessuna parte!" Sentii una mano stringermi la bocca, mentre altre mi afferravano per le braccia. Venni scaraventato in uno sgabuzzino, e Adam bloccò la porta con uno scopettone. Sbattei contro uno degli scaffali in legno, facendomi cadere addosso dei secchi e degli stracci puliti.

"Ma che cazzo vi prende?" gridai, in preda all'isteria. Non potevo mancare ad una lezione. Loro lo sapevano meglio di me.

"A noi?" sbraitò Gideon, puntandomi un dito contro. "Lo ammazzo." disse, per poi rivolgersi ad Adam. "Posso ammazzarlo, vero?"

"No, scimmione." Scott gli mise una mano sul petto, bloccandolo all'istante. "Tieni a freno i tuoi bicipiti. Grey ci serve intero." Mi guardò attentamente, socchiudendo gli occhi quando incontrò i miei. "Adesso che siamo tranquilli, gradiremo delle spiegazioni." Non potevo far altro che ripetermi mentalmente i loro disturbi, purché cercassi in tutti i modi possibili di non farlo.

"Lasciatemi stare." mugugnai, guardando la porta con invidia.

"Oh, povero illuso." Fulminai Gideon con lo sguardo, ma non dissi più nulla. Volevo vedere dove sarebbero andati a parare con il mio silenzio.

"Senti, amico. Ti abbiamo fatto qualcosa di male?" iniziò, e mi limitai a distogliere lo sguardo. "C'entra qualcosa quella strana donna bionda di cui ci ha parlato Anastasia?" Continuai a guardare alla mia destra, ma non potei fare a meno che stringere i pugni. "Oh oh oh. Interessante."Cazzo! "Perchè ti ha detto di non frequentarci?"

"E soprattutto perché le dai retta?" Li guardai entrambi, sentendomi improvvisamente spossato.

"Lasciatemi passare."

"Gideon, non vuole parlare." Scott scoppiò in una risata, guardando Cross.

"Lo vedo, Adam. Lo vedo." rispose lui, e mi sembrò di essere stato catapultato in uno di quei film noir che Carrick guardava di solito a tarda notte, sdraiato sul divano.

"Cosa avresti intenzione di fare al riguardo?"

"Smettetela con questa pagliacciata. Ho lezione." dissi, sull'orlo di una crisi di nervi. Loro però non si spostarono, continuando ad osservarmi con quell'aria che assume la gente che, di solito, sa qualcosa che l'altro non sa.

"Io credo..." disse Adam, tirandomi uno spintone in pieno petto per spingermi lontano. "Che dovremo tenerlo qui ancora per un po'. Giusto il tempo che ci vuole a parlare." Mi portai una mano nel punto in cui mi aveva toccato, sentendo la familiare sensazione di vomito che mi assaliva la gola. Era tornata da quando Elena mi era venuta a trovare. Il mio cervello funzionava veramente in modo strano.

"Volete davvero sapere tutto? Va bene, vi accontento." Tanto non mi avrebbero mai creduto. Mai. "Quella è la mia vicina di casa. Ha trent'anni e un marito che la trascura. Io sono il suo dildo personale, anzi, più che altro il suo sottomesso. Stava andando tutto bene, sapete? Poi è arrivata Ana. Si è messa a fare battute e chiamarla nonna ed io, sinceramente, stavo per staccarle la testa dal collo. Non può mai stare zitta, vero? Oh, ma tanto cosa importa? Comunque, alla fine della storia Elena mi ha detto che se vi avessi frequentato ancora non me l'avrebbe più data, ma io ho bisogno di lei. Ho bisogno di quello che mi fa perché è l'unica cosa al di fuori di questo posto di merda che mi impedisce di diventare un asociale con problemi seri!" gridai esasperato, portandomi le mani tra i capelli. I ragazzi mi guardarono con gli occhi sbarrati e le bocche aperte. "Sapevo che non mi avreste creduto. Ma tanto chi cazzo lo farebbe?" Ci fu un attimo di silenzio, poi fu Gideon a parlare.

"Nessuno. Nessuno lo farebbe." Chinai le spalle, aspettandomi questa risposta. Almeno mi ero tolto un peso dalle spalle, anche se adesso erano più curve del solito.

"Ma per tua fortuna io e Mr Tenebroso e Fatale qui accanto siamo ancora nessuno." Adam puntò Gideon con il pollice, che lo prese minacciandolo di spezzarglielo con semplicità.

"Ora capite perché non posso parlarvi? Perché non posso parlare con Ana? Non voglio che sappia quello che faccio fuori di qui." mormorai, e per la prima volta mi vergognai da morire di cosa facevo con Elena. Di quello che ero quando stavo con lei.

"Oh cazzo. Te lo immagini? Christian Grey con una palla in bocca che si fa cavalcare da un pezzo di donna come quella. Amico, sei il mio idolo!" disse Adam, con finte lacrime di orgoglio.

"Ergeremo statue in tuo onore. Faremo cortei e tutti sapranno che ti scopi una donna più grande!" Gideon alzò una mano in aria, in segno di scherzosa epicità. Entrambi, così ridicoli e così stranamente inclini allo scherzo, mi fecero scoppiare a ridere. "Aspetta un minuto. E' per questo che mi hai fatto quella battutina sul bondage, in camera mia?" Adam ci guardò storto, alzando un sopracciglio scuro.

"Eravate in camera insieme e parlavate di sadomaso? E non mi avete invitato? Siete degli stronzi."

"Silenzio, nanetto." Gideon gli portò una mano sui capelli, schiacciandolo verso il basso.

"Giù le mani dalla piega, Sansone. Non sono basso. Siete voi due ad essere spropositati."

"Possiamo uscire da qui? Comincia a fare caldo." constatai, dirigendomi verso la porta.

"Vuoi dire che non ti va di vederci senza maglietta? Le mie idee su un'orgia a sei con le ragazze diventano sempre più vane." borbottò Adam.

"Giù le mani dalla mia donna." ringhiò Gideon, mentre uscivamo dallo sgabuzzino. Il rumore di due colpi di tosse studiati attirò la nostra attenzione, e vedemmo Eva con le braccia incrociate sul petto, accanto ad una Sophie contrariata.

"La tua donna, Cross, ti sta aspettando da mezz'ora per l'allenamento di krav-maga." Adam scoppiò a ridere come un pazzo, mormorando un "beccato", che però venne intercettato da Sophie.

"Non provare a farla franca, tu. Con chi è che vorresti andare a letto?" Mi nascosi dietro di loro, tenendo la testa bassa per non far vedere il mio ritrovato buon umore. Chissà dov'era Ana. Forse aveva qualche lezione in quel momento. La palestra!

"Devo andare." sbottai, iniziando a correre verso il corridoio a destra. Sentivo gli sguardi degli altri addosso, ma non potevo prendere un altro ammonimento. In segreto, però, ero felice di avere ancora degli amici.

C'era una cosa che non avevo calcolato nell'avere una camera singola: gli incubi. Il silenzio, il buio, la scheda intatta di Ana nel comodino. Ogni cosa aiutava la mia immaginazione a proiettare ombre del mio passato su pareti e mobili. Questa volta mi svegliai nel corridoio. Non quello nuovo. Quello vecchio, che dava sulla mia vecchia stanza. Era buio, completamente vuoto, con la luce della luna che filtrava dalle finestre aperte. A farmi alzare fu lo squillo insistente del telefono a muro. Mi alzai per andare a rispondere, ma quando lo feci non ci fu nessuna voce di rimando. "Pronto? Carrick?" Niente. Riattaccai, sentendo qualcosa di liquido colarmi sui piedi nudi. Abbassai lo sguardo e vidi una striscia rosso vivo partire dal telefono a muro e colare a terra, per poi continuare per tutto il pavimento immacolato del corridoio, come se qualcuno avesse trascinato qualcosa di sporco. La seguii. Sembrava non finire mai. Svoltava e tornava indietro, poi andava avanti, a destra, a sinistra. Fu quando svoltai l'ultima curva che la vidi: stesa a terra, con gli occhi sbarrati verso il soffitto e il sangue che usciva da un punto imprecisato del suo corpo. "ANA!" Era lei che avevano trascinato. Chi era stato? Chi le aveva fatto quello? Corsi verso di lei, inginocchiandomi nel suo sangue, ma senza toccarla. Non poteva essere. Non era morta!

"Sei stato tu." All'improvviso la vidi mettersi seduta, guardandomi come si guarda il vuoto. "Io volevo solo essere tua amica, ma tu mi hai strappato il cuore." Si spostò la felpa, facendomi vedere un foro enorme all'altezza del petto, che la trapassava da parte a parte. "Sei stato tu. Mi hai ucciso tu."

"No!" ricadde a terra come un qualsiasi cadavere, ed io mi allontanai di scatto, scivolando nel sangue e cadendo di schiena. Ne ero totalmente ricoperto, come in una scena da film splatter, mentre qualcuno rideva di me, nascosto da qualche parte.

"Come potrebbe essere diverso, Christian? Lei è uguale ad Ella, e tu odi Ella. Vuoi farle del male. Vuoi ferirla, perché così ferirai anche lei. Puniscila, Christian, puniscila per quello che ti ha fatto!"

Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, premendo la testa contro al cuscino e gridando ancora, fino a farmi esplodere i polmoni. "No. Non voglio farle male." mormorai, quando non ebbi più la forza per fare altro. "Non voglio farle male. Non voglio farle male." Mi rilassai un po' di più, mettendomi a pancia in giù e portando una mano sul petto. Il rumore di qualcuno che muoveva la chiave nella serratura mi fece riprendere, e mi affrettai ad aggiustarmi, per poi andare a ricevere la guardia davanti all'uscio. "Va tutto ben..." iniziai, quando la porta si aprii, ma davanti a me non c'era una guardia. Mi sentii afferrare per le spalle e abbassare con violenza, prima che un paio di labbra urtassero contro le mie. Sbarrai gli occhi, ritrovandomi davanti quelli chiusi di Anastasia. Mi teneva un braccio dietro al collo per non farmi muovere, e con l'altro mi toccava il braccio. Una stranissima sensazione di elettricità mi partì dalla punta dei piedi, percorrendomi il sistema nervoso fino a lavarmi il cervello. In quel momento non c'era più niente intorno a me. Era come l'erba. No. Era meglio dell'erba. Era droga pura, di quella buona, di quella che paghi con i biglietti da cento. Lei si staccò così come si era attaccata a me, in maniera improvvisa e violenta, per poi guardarmi con quegli occhi così azzurri, così lucidi.

"Volevo solo esserne sicura." sussurrò, per poi correre via nel corridoio. Avrei dovuto chiamarla. Dirle che non avevo ricambiato semplicemente perché non riuscivo a capire più nulla. Perché le sue labbra mi avevano stordito. Ma forse era meglio che non lo avesse capito. L'immagine del suo corpo morto si fece spazio nella mia mente, sovrapponendosi a quello di qualche secondo fa. Lei era più viva che mai, ed io non avrei mai voluto spegnere quella luce che avevo visto nei suoi occhi, ma non ero quello giusto. Nessuno lo è a diciassette anni. Forse era meglio che continuasse a credere che per me lei era importante nella stessa misura degli altri. Preferivo strapparmi il cuore da solo piuttosto che asportarlo a lei. Fu con questa assurda convinzione che le diedi le spalle ancora una volta, chiudendo la porta a quel corridoio vuoto.

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