Dottor Jekyll... e Mr. Hyde

"Lasciami stare!" Gridavo, mentre quell'enorme omone ubriaco mi batteva la testa contro al pavimento. Guardavo  il sangue uscirmi dal naso e dai denti rotti, sporcandomi una faccia già segnata da graffi, contusioni e lacrime. Lacrime di rabbia e frustrazione, perché io sono piccolo. Sono debole. Lo sarò sempre.

"Piccolo stronzo, sei inutile. Sei un drogato. Proprio come quella zoccola di tua madre!" Continuava a sbattermi contro il pavimento sporco, e ben presto fui in grado di vedere il mio riflesso contorto nella pozza rossa sotto di me. Il viso di un bambino traumatizzato. Il viso di un bambino di sei anni. Il viso di un ragazzo di quindici anni. E poi il mio viso. Tumefatto, spaventoso, ma mio. Avevo diciassette anni, ma ero ancora quel marmocchio. Quel lurido ammasso di carne in balia della corrente.

"Smettila." All'improvviso il peso sulla mia schena scomparve, lasciandomi respirare ancora. Sentii il sangue raggiungermi la bocca e sputai a terra, voltandomi per vedere cosa fosse successo. Sbarrai gli occhi quando vidi Anastasia davanti a me, con le braccia e le gambe divaricate come un'enorme stella marina. L'uomo era a pochi metri da me, rosso in viso dalla rabbia.

"Anastasia." dissi, guardandola con un solo occhio aperto.

"Non. Lo. Toccare."  Lui si rialzò. Si pulì la saliva dalla bocca. Era arrabbiato. Si avvicinò. Lei rimase stoica davanti a me,con quella stessa coda di cavallo di poche ore fa, a farmi da scudo con quel corpo troppo esile. Spostati, avrei voluto dirle, vattene, idiota! Ti ucciderà! Ti ridurrà così! Ma le parole non escono. Rimangono ancorate alle corde vocali come polpi fastidiosi, bruciandomi la gola. Sono un bambino di quattro anni intrappolato nel corpo di un diciassettenne. Lui caricò il pugno. Sputò in giro. Stava per colpirla in pieno volto, ma lei non si spostava. Spostati. Spostati!

 

"Ana!" Mi presi la testa tra le mani, sentendo alcuni capelli venire via. Sentii un rumore di battiti, e li scambiai per quelli del mio cuore prima di capire che qualcuno stesse bussando alla porta.

"Chistian! Stai bene? Rispondimi!" Avevo chiuso la porta a chiave, me ne ricordai solo in quel momento. Fui preso da un breve attacco di panico al pensiero che avesse potuto sentirmi.

"Sto bene." gridai, cercando di sembrare il più calmo possibile. "Ho..." Pensa, Christian, pensa! "Ho sbattuto al water!" Ma vaffanculo! Anni di canne ti hanno bruciato i neuroni. Strinsi i denti ripensando a quello che avevo appena detto.

"Mi prendi per scema? Apri la porta." Continuava a far rumore, e non volevo che le guardie arrivassero prima del previsto. Mi tenevano già abbastanza d'occhio a causa della rissa con Cross. Mi alzai, respirando di sollievo quando non avvertii la familiare fitta alle costole, e mi avvicinai alla porta. "Christian Grey, apri subito questa porta prima che la abbatta con un calcio!"

"Un momento." la calmai, giocherellando un attimo con la chiave per poi accontentarla. Anastasia mi guardò con rabbia repressa, che in un attimo si trasformò in uno sguardo quasi di compassione. "Che c'è?" dissi, più aggressivo del dovuto. Erano le due del mattino ed io non avevo voglia di parlare con nessuno della mia DPTS, quindi somigliare ad una donna mestruata era il minimo che potessi fare.

"Chris." Alzò una mano verso il mio viso, ma io mi ritrassi di scatto, afferrandole il polso.

"Non chiamarmi Chris." sibilai, stringendoglielo. Lei ti stava difendendo. Si era messa davanti a te. Ana emise un flebile mugolio di dolore, il che mi fece mollare subito la presa. "Scusa." borbottai di poca voglia, con quella stupida immagine ancora stampata negli occhi. Anastasia fece un piccolo sospiro, abbassando le spalle e avvicinando di nuovo la mano. Con più lentezza, questa volta. Ripensai agli incontri con Elena. Lei mi toccava. Mi legava. Mi esplorava tutto il colpo, ma non aveva niente a che fare con il tocco leggero di Ana. Sentii il palmo freddo sulla mia guancia tumefatta, e quando lo guardai mi accorsi del perché del suo cambiamento improvviso di umore. Sui miei lividi c'erano delle lacrime incrostate. Piccoli cumuli di sale che mi raggiungevano il mento. Dio, che umiliazione. La vidi aprire le braccia facendomi un mezzo sorriso. "No." le dissi, allungando le mani.

"Non ti voglio abbracciare." sussurrò, avvicinandosi ancora.

"Dai, Anastasia."

"Shhh, non ti sto abbracciando." Unì le mani dietro la mia schiena, intrappolandomi in un cerchio di braccia senza però sfiorarmi di un millimetro. In effetti era vero: non mi stava abbracciando. "Sicuro di non volerne parlare?" chiese, guardandomi dal basso. Feci un sorrisetto tirato, passandomi velocemente il braccio sul viso e tirando su col naso.

"Sto bene, rilassati. Era solo un brutto sogno."

"E' per questo che dormi nel bagno?" Già, avrei dovuto ringraziarla per il materasso, ma non lo feci. Sarebbe stata l'ulteriore prova dei suoi sospetti, ed io la conoscevo soltanto da una settimana. Non potevo fidarmi di lei. Per quanto ne sapevo adesso avrebbe tirato fuori il telefono e avrebbe chiamato Carrick spifferandogli tutti i dettagli delle mie notti. Restammo in quella strana posizione per un pò, e mi ritrovai a poggiare il mento sulla sua testa. Fu l'unico contatto che le permisi. Una specie di muto ringraziamento. Era il massimo a cui poteva aspirare da me. "Sai, mr. Cinquanta sfumature, sei un tipo interessante. Credo che la psicologa domani troverà pane per i suoi denti." Ridacchiai, mettendole le mani sulle spalle e allontanandola.

"Almeno è figa?" Lei mi guardò con un sorrisetto complice.

"Da paura."

Mi dondolavo sulle punte, cercando di costruire un discorso sufficiente a farmi lasciare quella stanza illeso. Ero stato convocato da Andrea. Ero il prossimo nella lista d'attesa, ma non riuscivo a pensare ad altro che non fosse lo sguardo di Anastasia mentre mi vedeva uscire dalla camera.

"Andrà bene, tranquillo."

"Tranquillo un paio di coglioni."

"Al massimo sarai chiuso in un manicomio per i prossimi vent'anni. Cosa vuoi che sia?" Lei non lo sapeva, ma ero riuscito ad immaginarmi legato con un camice di forza, mentre sbattevo la testa sulle pareti ovattate della mia ipoteticamente prossima sistemazione. Iniziai a mordicchiare l'unghia del pollice sinistro, coprendo le cuffie con il cappuccio della tuta e osservando la vita che mi scorreva davanti al ritmo di Californication, dei Red Hot Chili Peppers. La porta nera si aprì lentamente, e la ragazza che doveva essere entrata prima di me uscì, con un fazzoletto in una mano e il passo svelto di una che non vuole essere vista piangere. Un comportamento in netto contrasto con i capelli scuri da dark professionale e il piercing che le avevo intravisto sul labbro. Doveva essere una facile. Ecco perché piangeva. Chissà quanti gliel'avevano infilato approfittando del suo "stato di debolezza". Usano tutte la stessa scusa.

"Grey, Christian?" Sentii a malapena la voce, soffocata dalle note aspre della chitarra. Misi le mani nelle tasche ed entrai, chiudendo la porta senza però togliermi le cuffie. Volevo che chiunque ci fosse lì capisse che non ero disposto ad avere una conversazione seria. Avremmo passato un ora a guardarci come due coglioni, o almeno lui avrebbe guardato me. Io avrei guardato fuori dall'enorme finestrone che fungeva da muro a quell'ufficio. "Prego, accomodati." L'uomo giovane seduto su una poltrona dal'aria comoda me ne indicò una uguale accanto a lui, che sostituiva il lettino che mi sarei aspettato di trovare. Aggrottai la fronte, senza muovermi. Anastasia mi aveva detto che era una donna. Quella stronza! Lui sorrise. "Sta tranquillo, non mordo." Perché tutti mi dicevano di stare tranquillo? Io ero tranquillissimo! L'emblema della stoicità. Ti trema la mano, emblema della stoicità. Guardai in basso, affrettandomi a rimettere l'arto incriminato in tasca. Cazzo! Feci un passo verso di lui, osservandolo mentre mi scrutava con gli occhi azzurri, apparentemente disinteressato. Si sistemò gli occhiali sul naso, battendo la Montblanc sul tacquino al ritmo della batteria nelle mie orecchie. "I RHCP, eh? Personalmente preferisco la musica classica. Allieta la mente." La mia mente non aveva bisogno di essere allietata. Doveva solo essere stordita a ritmo di musica pressante.

"Se lo dice lei." borbottai, sedendomi e incassandomi il più possibile nella pelle sintetica. La stanza era abbastanza luminosa. La finestra dava ad Est, quindi a quell'ora del mattino era anche abbastanza caldo. Avrei voluto togliermi il cappuccio, ma non lo feci. Non mi andava neanche di guardarlo.

"Destruction leads to a very rough road, but also breeds creation, and earthquakes are to a girl's guitar. They're just another good vibrat..."

"Che sta facendo?" Sbarrai gli occhi, mentre le note iniziavano a scemare e la voce dello psicologo si sostituiva a loro. Stava... cantando? Dio, che schifo.

"Sono le parole della canzone, vero? Ascolti solo musica del genere?" Ripensai al mio I-Pod, a tutti i titoli e le band che conteneva. I Kiss, i Guns N'Roses, i Van Halen, Marylin Manson, i Black Sabbath, gli Scorpions.

"Sì." risposi, mentre passavo ad  un'altra canzone.

"Devi essere veramente arrabbiato." Strinsi gli occhi, abbassando completamente il volume e concentrandomi su di lui. "Non è una novità. Se non lo fossi, non saresti qui."

"Al Narconon?" chiesi, sprezzante, come se quel nome potesse attaccarmi la lebbra.

"No, al mondo." Inclinai leggermente la testa, senza capire, mentre lui si limitava a sistemarsi meglio gli occhiali. "Tutti quelli al mondo sono arrabbiati per qualcosa. E' una mia teoria personale: se non si è arrabbiati non ha senso vivere."

"Pessimo ragionamento per uno psicologo, non crede?" lo presi in giro, alzando di nuovo il volume. Con me il trucco dell'amico non aveva mai funzionato, e ormai lo trovavo abbastanza scontato da essere declassato in fretta con poche parole. Lui si strinse nelle spalle, scarabocchiando qualcosa sul tacquino.

"Io non cerco di guarire le persone arrabbiate, Christian. Posso chiamarti Christian, vero?" Sempre meglio di Mr. Cinquanta Sfumature o di Chris. Perché mi veniva in mente Anastasia in quel momento?

"Sì." dissi, telegrafico. Un altro sorriso.

"Dicevo: non ho intenzione di far sbollire la tua rabbia, solo di darle un nome e di trovare un modo alternativo con cui sfogarla."

"Un modo che non siano le canne?"

"Esattamente." Sarebbe stata una buona idea, se la mia rabbia non avesse già avuto un nome. Anzi, più di uno. Abbandono. Madre. Alcol. Dolore. Infanzia. Merda. Bruciore. Strinsi i pugni nelle tasche, spegnendo l'I-Pod, ma tenendo ancora le cuffie. Non volevo sembrargli interessato. Avevo già un modo tutto mio per sbollire la rabbia, ma in realtà legato e imbavagliato sotto ad un'Elena eccitata mi sentivo solamente più frustrato. Avrei voluto contribuire anch'io, invece che farmi usare come vibratore personale, ma tutto a suo tempo. Ormai era il mantra della mia vita.

"Cosa ha in mente?" chiesi quindi, sedendomi più comodamente e appoggiando un gomito alla poltrona. La sua bocca si incurvò in una smorfia soddisfatta. Stava osservando i miei lividi, ne ero sicuro. Strano che non mi avesse ancora domandato nulla, ma aveva altri quaranta minuti a disposizione.

"Mai provato il kickboxing?"

Uscii da quell'ufficio con un foglio tra le mani, guardandolo pensieroso. Sopra c'erano scritte poche parole: cosa mi rende felice. Il tizio mi aveva chiesto di tenerlo sempre in tasca e scrivere qualcosa non appena mi fosse venuto in mente. Mi aveva dato una penna. Una semplice Biro, ovviamente. Entro la prossima settimana avrebbe voluto la lista pronta. Non credevo che sarei riuscito a superare le prime tre righe.

"Allora? Com'è andata con il dottor Jeckill?" Alzai la testa, accartocciando il foglio e mettendolo in tasca. Gideon era steso nella sala d'aspetto, incurante dello sguardo lascivo che gli stava lanciando il ragazzo seduto a due sedie di distanza dalla sua testa. Ben presto anche lui scomparve nello studio.   

"Chi?" Lui alzò gli occhi al cielo, alzandosi e stiracchiandosi.

"Cazzo, quanto sono scomode queste sedie." mormorò, massaggiandosi la schiena. "Il dottor Jeckill. L'uomo con  cui hai parlato per un'ora. Beh, in realtà non credo si chiami così, ma non mi ha detto il suo nome, quindi è sempre meglio di niente." disse, con aria di sufficienza. Solo allora mi accorsi di non avergli chiesto il nome. Strano. Di solito la DPTS mi portava ad essere informato su chi veniva a contatto con me. Sapevo anche il nome della donna che mi aveva servito il cibo al Roy's Garden, quattro settimane fa.

"Ah." mi limitai a dire, passandomi la lingua sui denti. "Non male. Mi aspettavo una donna." dissi, ricordandomi che avrei dovuto prendere a calci Steele. A proposito, dov'era?

"Già, Eva ha rifilato la stessa stronzata anche a me." Si passò una mano tra i capelli, facendo alzare leggermente la T-shirt bianca. Quella che avevo scambiato per magrezza in realtà era una muscolatura definita, quasi più della mia. Ce l'ho più grosso io. Il mio orgoglio maschile corse ai ripari. "Vieni. Abbiamo un'ora buca prima della seduta di gruppo."

"Dove vuoi andare?" Non che mi importasse, ma avevo bisogno di fare domande. Dovevo distrarmi dal foglio che avevo in tasca. Cosa mi rende felice? Gideon si voltò verso di me, facendo un sorrisetto complice.

"Devo farmi perdonare per quel cazzotto. A quanto pare sei più fragile di quel che pensavo."

"Ho solo una pelle delicata!" mi difesi, facendolo scoppiare a ridere. I capelli lunghi che gli coprivano il collo si mossero, rivelando una macchia rossa poco vicino alla clavicola. Non ci credo. Quello è un succhiotto! Mi misi al suo fianco, osservandolo bene. Era leggermente più alto di me, i tratti erano più rudi, cattivi. Arrivammo davanti ad una stanza al terzo piano, e lo vidi guardarsi intorno prima di bussare due volte. "Che cazzo stai..."

"Aspetta."

"Che volete?" Una voce maschile ruppe il silenzio, facendomi sobbalzare.

"Mi manda Anastasia." Anastasia. Cosa è questa? Una specie di trappola? No, grazie. Mi girai per andarmene, ma Gideon mi afferrò per il cappuccio. Sentii la gola chiudersi quando tirai troppo, e l'istinto di voltarmi e assestargli un pugno prese il sopravvento. Per fortuna Gideon fu veloce ad evitarlo. Si scostò di lato, afferrandomi il polso e schiacciandomi contro il muro con violenza. Il dolore che seguì mi fece sfuggire un gemito di piacere che stentai a controllare. "Rilassati, Grey." disse, ma il suo tono era calmo.

"Non. Toccarmi." annaspai, ringhiando come un animale. Lui mi lasciò di colpo, alzando le mani in aria.

"Scusa." 

"Wow. Un tipo turbolento, a quanto vedo." Ci voltammo entrambi verso la porta, ora completamente aperta. Un ragazzo era appoggiato allo stipite in acciaio, godendosi la scena. Aveva occhi verdi, capelli rossi, quasi sul castano. Un castano simile a quelli di Anastasia. Forse di una tonalità più chiara. Scossi la testa, mordendomi la lingua. Smetti di pensare a quella! "Ti manda Steele?" chiese poi, rivolto a Cross. Dividevo la stanza con una celebrità. Gideon annuì, e la bocca del tizio si aprì in un'enorme sorriso.

"Entrate." Ci fece cenno di entrare, chiudendoci la porta alle spalle. La stanza era un insieme aggrovigliato di vestiti, mutande, patatine, oggetti elettronici di vario tipo e... una ragazza nuda che dormiva sul letto. Bionda. Vidi Gideon stringere la mascella, e mi chiesi il perché, mentre il mio cervello avanzava un'ipotesi. E se fosse Eva? Questo voleva dire che Cross era geloso. Mi trattenni dal ridacchiare, portandomi una mano davanti alla bocca. Quello si mise a cavalcioni sul letto, tirando una sculacciata abbastanza forte da far svegliare la ragazza. "Su dolcezza, è ora di andartene." sussurrò con gentilezza, accarezzandole il punto in cui l'aveva colpita. La ragazza si alzò in piedi, strofinandosi l'occhio destro. Non era Eva. Non l'avevo mai vista, e neanche lei sembrava notarci in quel momento. Scese tranquillamente dal letto, indossando jeans e maglietta e passandoci in mezzo come se nulla fosse. Come se non ci avesse appena mostrato il suo corpo nudo e depilato. "Scusate il disordine. Il mio compagno di stanza è un porco." Ah, lui...

"Tu sei Jack Hyde, vero?" Lui si voltò, facendo una riverenza esagerata.

"In persona. E voi siete?"

"Gideon Cross, e lui è Christian Grey. Ci manda Anastasia Steele." Troppi nomi tutti in una volta. Continuavo a osservare il mondo come uno spettatore confuso da una trama troppo complicata. Cosa ci facevo in quella stanza? Avevano intenzione di organizzare un'orgia?

"Anastasia. Una ragazza davvero interessante." Cosa voleva dire? Se l'era scopata?  "Sì, mi aveva avvertito che avrei avuto visite, ma non vi aspettavo così presto." Drogato o problematico? Il gioco di Eva iniziò a risuonarmi in testa. "Cosa posso fare per voi?" chiese, raccogliendo una maglietta da terra e infilandosela.

"Il mio amico ha problemi a dormire." disse, indicandomi. Cosa? Jack mi diede un'occhiata veloce, soppesandomi con lo sguardo. Feci lo stesso con lui, accorgendomi solo in quel momento che fosse in boxer. La cosa non mi preoccupò minimamente.

"Vedo. Ho quello che ci vuole." Corse verso la porta annessa, andando in bagno e tornando con due flaconcini arancioni chiusi ermeticamente. "Tenete." Ne lanciò uno ciascuno, e lo afferrai al volo, osservando le pillole bianche che si muovevano al suo interno.

"Cos'è questa roba?" chiesi, fulminandolo con lo sguardo. Non mi facevo con le pasticche, anche se queste non avevano l'aspetto dell'exstasi. Gideon non disse una parola, stringendole in un pugno e abbassando lo sguardo.

"Ti aiuterà a rilassare la mente. Prendine una a notte. Non di più."

"I sonniferi non funzionano." Ci avevo già provato, ma il mio organismo li assimilava come fossero acqua, dandoli lo stesso effetto.

"Questi funzioneranno. Ricetta della nonna, Grey." Mi fece l'occhiolino, poi passò a Gideon. "Sono quelle che hai chiesto, vero? Me le ha date Welch. Ha detto che puoi passare dopo a pagarlo." Pagarlo? Sbarrai gli occhi, voltandomi verso Cross. Cosa cazzo aveva in quel flacone?

"Cosa gli hai dato?" sibilai, ma Hyde scose la testa.

"Segreto professionale. Io sono solo il distributore." Quel tizio non mi piaceva. Aveva un'atteggiamento da coglione, in sintonia con la sua faccia. Strinsi i pugni, voltandomi verso Gideon.

"Ti fai di LSD, adesso?"

 

E tu Gideon, cosa sei? Lui aveva guardato Eva, poi aveva fatto un mezzo sorriso, smettendo di strappare i petali a quel fiore pacchiano.

Problematico, angelo. Solo problematico. Non sono così interessante come il nostro Grey.

 

Perché avrebbe dovuto dire la verità? In fondo era solo uno stupido gioco.

"Sta zitto." ringhiò, guardando Jack di sottecchi, che gli restituì uno sguardo inespressivo.

"Se dovete picchiarvi ancora, fatelo fuori di qui. Se il mio compagno di stanza vede macchie di sangue mi farà la pelle." Alzò gli occhi al cielo, agitando la mano per scacciare un pensiero che gli si era formato in mente. Ancora. Allora la notizia della nostra rissa si era sparsa in giro. Cross si mise il flacone in tasca, e lo stesso feci io. Hyde si buttò sul letto come se noi fossimo già scomparsi, alzando il busto per guardarci ancora.

"Chiudete la porta quando uscite. E dite ad Anastasia che aspetto ancora il mio favore. Lei capirà." Ci lasciò con queste parole. Gideon chiuse la porta prima che potessi dire altro. Ero circondato da sconosciuti e dai loro segreti, e questo al mio piccolo mondo non andava a genio. Sentii una rabbia crescente montarmi dentro, e pensai al kickboxing e tutte quelle stronzate. Forse non erano una cattiva idea.

"Sei un drogato." dissi a Gideon, senza una particolare emozione nella voce. Cosa mi importava? Lui non rispose, tenendo la mano in tasca e giocherellando con il flacone. "Non giudico. Credevo solo fossi più assennato." continuai, visto che lui non mi dava retta. Ecco come si sentiva Anastasia quando parlava con me. Anastasia. La piccola e problematico Ana. Che mi stava succedendo? Picchiai una mano sulla fronte, incurante di quello che potesse pensare chiunque mi vedesse.

"Non dirlo ad Eva." Non avevo mai notato che avesse una voce da uomo delle caverne, ma quando pronunciò il nome di Eva lo disse con pesantezza.

"Te lo ha fatto lei, il succhiotto?" Lui sbarrò gli occhi, coprendosi la gola con la mano.

"Cazzo. Non me ne sono accorto." Mi trattenni dal ridere, ma lui no. Voltò la testa verso di me e si dipinse di nuovo quel sorrisetto sarcastico. "E dove sono i tuoi? Anastasia te li fa in luoghi più nascosti?" Mi fermai sul posto, inciampando nei miei piedi e rimanendo dritto per miracolo. Lui se ne accorse, e si girò per continuare a guardarmi.

"Che stai dicendo?" Lui si portò una mano tra i capelli, osservandomi come se fossi un alieno.

"Vuoi dire che ancora non lo avete fatto?" Scossi la testa, facendo un passo indietro. "Cristo santo, Christian. Capisco la tua fobia del contatto, ma credevo che il tuo amichetto lo potesse sopportare."

"Hai preso una di quelle pillole mentre non guardavo?" Era l'unica soluzione. Doveva essere completamente fatto. Lui però non mi ascoltava. Era completamente sotto shock.

"Tu dividi la camera con una ragazza, e non te la sei ancora portata a letto? Ma allora perché la guardi in quel modo? Credevo fosse una specie di giochetto erotico tra voi due." Giochetto erotico?

"Gideon, mi stai spaventando." Arretrai ancora, alzando le mani in aria per incitarlo a stare calmo. Ovviamente lo stavo prendendo in giro, ma lui sembrava davvero preoccupato.

"Te lo dico da amico. Vai in camera tua e scopatela! Ne hai un bisogno disperato."

"Come siamo arrivati a parlare di questo?"

"Non importa. Muoviti."

"Ma..."

"Vai!" Scoparmi Anastasia Steele. Ammetto che la prima volta che l'avevo vista non le ero stato indifferente, ma non sentivo nulla per lei. Era solo la mia coinquilina. La mia coinquilina stronza e petulante. Quella che mi aveva fatto fare una figuraccia nel gruppo di supporto. Quella che mi costringeva a chiudermi in un bagno ogni notte. Quella con troppi segreti. Il burattino di mio padre. Quella che mi aveva portato un cappuccino alle tre del mattino. Quella che mi aveva aiutato con mio fratello. Quella che mi aveva preparato un materasso su un pavimento. Quella che non faceva mai domande. Che non pretendeva mai nulla. Anastasia. Anastasia. Mi presi la testa tra le mani, pressato da tutte quelle informazioni, mentre il suo nome veniva marchiato a fuoco nel mio cervello. Lettera dopo lettera. Guardai Gideon, che mi fissava con le mani sui fianchi. "Sei ancora qui?" Sbuffai, ricacciando indietro i miei pensieri.

"Sei davvero un coglione." dissi, tornando in me. Relegai quel nome in un angolo nascosto nella mia testa, autoconvincendomi che, se lo avessi mescolato insieme al puzzo di sigarette e alcol che mi appestava le notti forse lo avrei dimenticato. Ma non c'era nulla da dimenticare. Nulla da ricordare.

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