Christofer
Decidemmo di agire di domenica. Sarebbe stato più semplice senza tutti gli impegni settimanali, e passammo i giorni che ci separavano dall'azione a rifinire i dettagli. Passavamo talmente tante volte davanti alla sala archivi da consumare il pavimento. Ogni momento di pausa era dedicato a velocizzarci nello scassinamento, a fingere un knock-out o a trovare vestiti adatti per nascondere la droga. Adam aveva parlato con il suo amico, Lucas, che si era detto d'accordo solo se il suo nome non sarebbe mai stato fatto. Gli avevamo assicurato che non correva pericoli. Ci saremo presi noi la colpa di tutto, se fossimo stati scoperti. Sapevamo cosa sarebbe successo in quel caso: ci avrebbero cacciati, magari saremo finiti in riformatorio. In questa routine da regime assolutistico, arrivò venerdì. Ci misi anni per dimenticare quello che successe quel giorno, e anche i giorni successivi. Non fu terribile. Più che altro fu inaspettato. Soprendente. Uno schiaffo in pieno viso che iniziò con due. Semplici. Parole.
"Accomodati, Christian." Mi alzai dalla scomoda sedia nella sala d'attesa, entrando a passi lenti nello studio del dottor Jeckyll. Avevo la testa pesante. Continuavo a pensare al modo più veloce per prendere quelle cartelle sui pazienti senza danneggiare il nostro piano. Dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per intrattenere una conversazione decente con quell'uomo. "Allora, hai con te la tua lista?" La mia lista...
"Certo." Cercai nelle tasche, porgendogli il mio personale foglio stropicciato. Lui lo prese con soddisfazione, leggendolo ad alta voce.
"Punto primo: stendere Cross con due calci laterali. Già, questo è motivo di vanto." Ridacchiò, continuando. "Punto secondo: il rumore. Questo è interessante. Credevo fossi un amante del silenzio." Non dissi nulla, avvalorando la sua teoria. "Punto terzo: parlare con Anastasia." Si fermò, guardandomi di sottecchi. Non ricordavo di aver scritto una cosa del genere!
"Okay, può bastare." Mi sporsi dalla sedia per riprendere il foglio, ma lui lo tirò in fretta verso di sé, scoprendo punti che non ricordavo di aver scritto.
"Punto quarto: guardare Anastasia. Punto quinto: punzecchiare Eva. Punto sesto: dormire senza incubi. Punto settimo: abbracciare Anastasia. Punto ottavo..." Aggrottò le sopracciglia, fermando la mia spirale di vergogna. Ero diventato del colore della poltrona, e di certo non avevo intenzione di farmi umiliare ulteriormente. Alzò il viso verso di me, piegando il foglio e porgendomelo di nuovo. Era tornato serio. Più serio di quanto non fosse mai stato. "Christian, chi è l'Uomo Nero?" Girò il foglio verso di me, mostrandomi l'ultimo punto scarabocchiato a matita, nell'angolo in basso. Punto nono: uccidere l'Uomo Nero. Sbarrai gli occhi, e questa volta riuscii a riprendere la mia lista e infilarmela nella tasca dei pantaloni con un gesto fulmineo.
"Una metafora." mentii, ma in fondo era vero. Era una metafora per lo stronzo alcolizzato che aveva contribuito a crearmi problemi di insanità mentale in età avanzata. Una stupida metafora. Già, ormai non era altro.
"Rappresenta cosa?" Mi grattai il mento, sentendo un'accenno di barba sotto le unghie. Anastasia mi aveva detto che avrei dovuto rasarmi, ma andavo troppo di fretta per darle retta.
"Le mie paure." generalizzai, improvvisando sul momento. "Il mio disturbo, anche." aggiunsi, ma Jeckyll non sembrava troppo convinto. Sbirciai verso la scrivania alle sue spalle, cercando con lo sguardo la solita placchetta in oro per avere almeno un indizio sul suo nome, ma l'unica cosa che vidi fu la scritta "Dottor F."
"E questa Anastasia? E' la signorina Steele, vero?" Sentii il sangue confluirmi nelle orecchie, e abbassai velocemente lo sguardo sui miei pantaloni.
"Ma cosa sta dicendo? Certo che..."
"Anche lei parla molto di te." Mi bloccai, guardandolo come guarderei Cerbero se solo ce l'avessi avuto davanti.
"Davvero?" mi lasciai sfuggire, in tono stranamente compiaciuto. Jeckyll se ne accorse, perché mi sorrise con complicità, accomodandosi meglio sulla poltrona.
"Non posso rivelare ciò che mi viene detto nelle altre sedute, ma se vuoi possiamo fare uno scambio." mormorò, piegandosi verso di me. Feci lo stesso, assumendo quasi un'aria complice.
"La ascolto." Ricordai cosa avevo fatto con Hyde, e cercai di imitare il mio comportamento di giorni fa. Calai leggermente le palpebre, risultando ai limiti dell'apatia; raddrizzai la postura, modulai il tono di voce, raffreddai le guance. L'uomo sbarrò leggermente gli occhi, forse stupito da qualcosa che io ancora non capivo.
"Beh, io ti dico cosa mi ha detto Anastasia se tu mi dici veramente chi è l'Uomo Nero, e soprattutto perché vuoi ucciderlo." Mi trattenni dal prendere un profondo sospiro, intrecciando le mani sulle ginocchia.
"Non sono un aspirante assassino, dottore. Si rilassi. Se avessi voluto ucciderla, lo avrei fatto al nostro primo incontro."
"Già, noto che sei abituato ad ottenere sempre quello che vuoi." Mi stava dando del viziato? Forse un po' lo ero, pensandoci. Figlio di una disagiata che era quasi morto di stenti, i miei genitori avevano sempre cercato di darmi qualsiasi cosa chiedessi, le poche volte che trovavo la voce per chiedere. Non mi era mai mancato nulla, e da un po' di tempo facevo anche del buon sesso con una donna. Una donna che non vedevo da un mese e mezzo, e l'astinenza iniziava a farsi sentire. Fortunatamente c'era la palestra... e la doccia. Non aveva più chiesto di me. Me lo aveva assicurato Elliot il giorno precedente, quando era venuto insieme a Mia e ai miei. "Beh, rispondi. Chi è il tuo personale Uomo Nero?" Strinsi bene le palpebre, attento a non mostrare alcun tipo di emozione.
"Ho avuto un inizio difficile nella vita, doc. Non le serve sapere altro."
"I tuoi genitori lo hanno accennato nella tua scheda. Sei stato adottato da loro a quattro anni." Annuii, stringendomi nelle spalle. "E questo in che modo ha influito su di te?"
"Ho passato i miei primi anni vittima di abusi e violenze. Di solito i bambini tendono a non ricordare neanche quello che hanno mangiato, ma io ricordo perfettamente ogni singolo attimo di quei tempi. Devo essere il genio più sfortunato della Terra." Non avevo intenzione di dire altro. Non c'era altro da dire, anzi. Conoscere ogni singolo dettaglio della mia triste storia dickensiana non gli sarebbe servito a fare qualsiasi cosa stesse cercando di fare.
"Ho notato che tu sei uno dei pochi drogati che entrano qui a non lamentare i sintomi dell'astinenza. E' un grande passo." Questa volta sorrisi, pensando alla mia erba chiusa nello sgabuzzino.
"Già. Non credo che fumerò più, una volta uscito." Era vero. L'erba mi aiutava a rilassarmi ed evadere da una realtà troppo caotica, ma adesso il rumore mi piaceva, ed io stavo imparando a zittirlo quando smetteva di andarmi a genio. Era diventata superflua. Uno spreco di tempo e denaro.
"Beh, allora in teoria il mio lavoro è finito, ma mi dispiacerebbe perdere un compagno di conversazioni come te."
"Oh, così mi fa arrossire." Ridacchiò, ma prima che potesse dire qualcosa la porta si aprì velocemente, e qualcuno fece il suo ingresso nello studio. Mi voltai per vedere chi fosse, e fui alquanto seccato di vedere un altro uomo lì, per quanto imbarazzato potesse essere.
"Scusate." borbottò, con la mano ancora sulla maniglia. "Credevo fosse lo studio di Regan."
"Il direttore è in fondo al corridoio." spiegò lo psicologo, e l'uomo gli rivolse un sorriso cordiale, prima di puntare lo sguardo accidentalmente verso di me. Forse fu questo a darmi fastidio. Il fatto che la sua prima occhiata su di me fosse stata solo accidentale. "Lei deve essere il nuovo insegnante per i recuperi estivi. Il signor Tyson, vero?" Quello si aggiustò al meglio i capelli biondi, tenuti in alto dal gel, per poi annuire.
"Mi chiami Christofer." disse, per poi scusarsi ancora ed uscire, lasciandoci nuovamente soli.
"Scusa l'interruzione, ragazzo." disse Jeckyll, tornando a fissarmi. Non risposi. Continuai a fissare la porta da cui quel tizio se ne era appena andato.
"Chi era quello?" chiesi, senza guardarlo. Pensai che non mi avrebbe risposto, invece il dottore non si fece pregare.
"E' stato assunto al posto della signora Lorren. Fa recupero di matematica per alcuni dei degenti. Christofer Tyson." Christofer... perché mi ricordava qualcosa? Avevo un compagno di classe che si chiamava Christofer. Il mio spacciatore si chiamava Christofer. Ma non era nessuno di loro. Il cervello inizia a giocarti brutti scherzi, amico mio. Scossi la testa, tornando con lo sguardo sull'uomo davanti a me.
"Allora. Dove eravamo rimasti?"
Anastasia era appena uscita dal laboratorio di ceramica quando mi incrociò. Saltellò al mio fianco come un uccellino eccitato e mi afferrò il braccio, poggiandomi la testa sulla spalla.
"Odori di svitati." scherzò, annusandomi la maglietta dei Nirvana.
"Sono appena uscito dallo psicologo." spiegai, liberandomi il braccio e mettendoglielo sulla spalla. Eva e Gideon definivano il nostro rapporto "strano". Adam invece si limitava a credere che fossimo scopamici in incognito. Quel ragazzo doveva essere un po' spostato. Seriamente, questa volta.
"La coinquilina di Eva ha accettato di aiutarci. A quanto pare ha una cotta per Adam da un po' di tempo." ridacchiò Ana, mentre io dovetti fermarmi per un minuto in mezzo al corridoio. Ogni volta che parlavamo del nostro piano mi stupivo di quanta naturalezza potesse usare quella ragazza. Era come se parlasse di caramelle.
"Com'è che si chiamava?" Lei alzò gli occhi al cielo, dandomi un colpetto sulla testa.
"Sophie. Sophie Lether." disse, e non potetti trattenermi dal darle un piccolo spintone.
"Sì, ed io sono Bond. James Bond." la presi in giro, meritandomi un altro colpo.
"Sei pessimo!" borbottò, offesa, mentre io continuavo a ridacchiare senza controllo. Ormai mi toccava tuti i giorni. Notavo che si prendeva sempre più libertà. Aveva conquistato le mie braccia, le gambe e le spalle, ma il petto e la schiena erano ancora off-limits. Non sapevo quanto sarei riuscito a resistere alla linea d'attacco di Ana, ma per il momento stavo bene come stavo. Con mio grande stupore sentii la sua mano che si posava sul mio sedere, facendomi sobbalzare come se fossi stato una ragazzina qualsiasi.
"Ana, contieniti. Siamo in pubblico." dissi, in tono rammaricato. Per tutta risposta lei mi strinse la natica sinistra, e avvertii qualcosa muoversi nel mio stomaco. Forse avevo fame, o i nervi del mio corpo avevano qualche difetto.
"E' colpa tua. Hai il culo di un angelo. Sul serio. E' irresistibile."
"Non sei la prima che me lo dice. Una ragazza una volta mi ha chiesto una foto ricordo."
"Non ci credo." Svoltammo l'angolo, ritrovandoci davanti alle scale che portavano al piano inferiore.
"Credici. Ne ho qualche copia, se ne vuoi." Non le stavo mentendo. Una volta una tizia ubriaca aveva veramente scattato una foto al mio ammirevole fondoschiena. Ero l'unica persona alla quale l'insulto "faccia di culo" faceva solamente piacere.
"E questo cos'è?" Sentii la sua mano che si infilava nella mia tasca posteriore, estraendone qualcosa e sventolandomela davanti al naso. Riconobbi subito il mio foglio stropicciato. la lista! I punti su di lei! Cazzo.
"No. Ridammelo." Mi sporsi per prenderla, e fu la cosa più sbagliata che potessi fare. Ana la portò dietro la schiena, facendomi la linguaccia e iniziando a correre giù per le scale.
"Vienila a prendere, se ti va." gridò, quando era ormai in fondo alla rampa. Sbuffai, frustrato, ma alla fine mi lanciai all'inseguimento, evitando una serie di ragazzi e guardie che mi intimavano di fermarmi. Ana era a pochi metri da me. Il suo vantaggio era diminuito di molto, e mi sarebbe bastato allungare un braccio per afferrarla. Lei però si voltò. Sorrideva. Le piaceva giocare ad acchiapparello, o forse le piaceva che fossi io ad inseguirla. Ed anche io lo adoravo. Adoravo l'adrenalina che mi scorreva nelle gambe pensando a chi stavo rincorrendo. Il mio piccolo Bambi personale. Mentre ci snodavamo nei corridoi tutti uguali, ignorando le urla che ci intimavano di fermarci, mi resi conto che nella mia vita ero sempre stato al posto di Anastasia. Ero quello braccato: braccato dai miei genitori, che volevano che parlassi, che andassi bene a scuola, che mi facessi toccare: braccato da Elena, che voleva rendermi un bravo sottomesso. Un animale legato. Braccato dalla mia vecchia madre, che mi aveva condannato ad una vita indegna di essere chiamata tale. Braccato dai miei sogni, dalle aspettative, dala DPTS. E mi resi conto anche di una cosa importante. Che essere il cacciatore era fantastico. I miei pensieri furono interrotti da uno schianto ed un urletto di sorpresa. Mi fermai in mezzo a quello che doveva essere il corridoio del piano terra, con il fiatone e la fronte sudata. Anastasia era per terra, e si stava scusando con l'uomo a cui era andata addosso. Riconobbi in fretta i capelli biondi e gli occhi azzurrini del tizio che aveva fatto irruzione nello studio di Jeckyll. "Mi dispiace. Non l'avevo vista."
"Tranquilla. Stai bene?" chiese Christofer, prendendola per le spalle ed aiutando a rialzarla. "Wow, come sei leggera." mormorò tra sè, sorpreso. Leggera? Già. Lo avevo notato anche io, quando l'avevo presa in braccio. Continuavo a guardarlo, sentendo il mio petto che si alzava ed abbassava frenetico, ancora eccitato per la corsa. Anche lui mi riconobbe, perché divenne subito imbarazzato. "Ancora tu. Sei il ragazzo che ho visto di più da quando sono qui." Rimasi in silenzio, aggrottando le sopracciglia. Chi gli aveva dato tutta quella confidenza? Anastasia guardò prima lui, poi me, poi di nuovo Tyson.
"Vi conoscete?"
"No." dissi io, e l'uomo in camicia blu di affrettò a darmi ragione. Si vedeva da lontano un miglio che era dispiaciuto o imbarazzato, ma c'era qualcosa che mi impediva di avercelo in simpatia: quel senso di nauseante familiarità che mi prendeva la bocca dello stomaco ogni volta che incrociavo il suo sguardo.
"Il tuo amico è un tipino aggressivo." Anastasia si voltò verso di me, mentre io trattenevo un ringhio animale per quel "tipino".
"Christian? E' solo molto protettivo." L'uomo sbarrò gli occhi sentendo il mio nome, mentre la luce del sole veniva oscurata da una nuvola di passaggio, facendo cambiare l'ombra nel corridoio. Davanti a me l'azzurro dei suoi occhi divenne dello stesso grigio del cielo. Occhi cangianti.
"Ti chiami Christian?" mi chiese, ed io annuii, deciso a non parlare più del necessario. Cosa aveva? Gli piaceva il mio nome? A me no. Non ero credente, e chiamarmi "Cristiano" mi faceva abbastanza schifo, ma non potevo farci nulla. Era l'ultimo regalo di quella puttana.
"C'è qualche problema?" chiesi, notando che continuava a fissarmi in quel modo inquietante. Lui sembrò riscuotersi, scuotendo la testa e tornando a sorridere tranquillamente.
"No. Nessuno. E' solo che... ti chiami come mio nonno."
Allooora? Che ne pensate di Christofer Tyson? (In foto) È o no un gran figo? Mi serve sapere le vostre opinioni e, soprattutto, chi è questo tizio?
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