Cambiamenti

"Christian?" Non mi voltai, continuando a fissare il cuscino posto a pochi centimetri dai miei piedi. Non era la cosa più interessante del mondo, ma era l'unica in quella stanza abbastanza semplice da permettermi di pensare ad altro. La mia mente vagava come un uragano impazzito in mezzo ad una valanga di collegamenti e ricordi sfocati. No. La mia mente era vuota. Troppo traumatizzata per ricordare particolari di quell'appartamento che non fossero il tavolo, il tappeto verde, la mia stanza da letto. La mia stanza da letto. "Ehi..." Certo. Dovevo pur avere una foto in quella stanza. Ricordai qualcosa di vagamente simile ad un ritratto maschile da qualche parte. "Christian. Insomma!" Sulla testiera del mio letto. Era sulla testiera! "Christian!" Il ceffone alla testa mi arrivò senza preavviso, e mi mossi dalla mia verticale posizione fetale per girarmi verso Anastasia, seduta ancora sul suo letto. Non era un ceffone, quello che mi era arrivato.

"Mi hai tirato una spazzola?" chiesi incredulo, afferrando l'oggetto incriminato che ora giaceva accanto a me.

"Tu non mi prestavi attenzione." si spiegò, senza ombra di rimorso. Gliela lanciai di nuovo, senza degnarla di una risposta mentre tornavo ad infilare la testa tra le gambe. Lei sbuffò, battendo le mani sulle gambe ancora nude. Non si era messa il pigiama, ma i capelli erano raccolti in due codini laterali davvero infantili. "Si può sapere che ti prende? Sei strano. Cioè, più del solito." Si corresse, e non potei trattenermi dall'alzare gli occhi al cielo, pur sapendo che lei non mi avrebbe visto.

"Grazie, Ana." borbottai, guardando fuori dalla finestra. Mezzanotte era caratterizzata da due cose al NARCONON: la notte inquinata che potevi osservare dalle finestre asettiche e il rumore delle chiavi che venivano girate nelle serrature. La guardia non era ancora arrivata alla nostra, ma sospettavo che non avrebbe tardato a lungo. In quel mese di convivenza Ana aveva dato un tocco di colore nella sua parte: lenzuola fiorite, un poster con i Bestreet Boys e dei pupazzi buttati un pò alla rinfusa su scrivania e mensole. La mia invece era rimasta vuota, fatta eccezione per l'armadio e un piccolo trofeo per aver vinto la gara di kickboxing organizzata dall'istituto, qualche settimana fa. Le coperte erano quelle che mi forniva il NARCONON, grigie e senza stimoli. Quelle che davano ai drogati per evitare che nascondessero la roba tra le cuciture. A me non dispiacevano affatto.

"Dio, se sei noioso!" borbottò lei, gettandosi sul suo tripudio di colori e tacendo una volta per tutte. Non potevo biasimarla. Dalla mia chiaccherata con il signor Tyson non avevo aperto bocca per l'intera giornata. Gideon mi aveva mandato a fanculo velocemente, Eva ancora prima. Adam aveva provato a farmi ridere, senza successo. Sophie, credendo che fosse lei e la sua linguaccia la causa del mio malessere, si era tenuta a debita distanza, come se fossi Dracula in persona. MI aspettavo di vederla sollevare un crocefisso da un momento all'altro. Ana era l'unica che, nel bene o nel male, aveva tentato di rianimarmi. Quando avevo aperto la porta del bagno mi ero di nuovo messo in sesto. Guance asciutte, occhi sgonfi, sguardo atarassico. Non avevo un problema al mondo. "E va bene. Se non mi vuoi parlare allora non ti parlerò neanche io. Vediamo chi resiste di più." Mi fece la linguaccia, incrociando le braccia e prendendo un libro da leggere. Sospirai. Forse finalmente sarebbe stata zitta. Tornai con la mente alla mia vecchia cameretta. Cercai di ricordare qualcosa. Quasiasi cosa. Un odore, un colore, ma niente. Buio completo. Vedevo solo il letto su cui venivo sbattuto ogni volta, la parete dove mi aveva gettato quel pezzo di merda in un momento di particolare attenzione nei miei confronti, la testiera a cui mi aggrappavo quando cercava di afferrarmi. "Oh, ma che palle!"Signore, dammi la forza.

"Non avevi detto che non avresti più parlato?" chiesi, prendendo una posizione più comoda e stendendomi interamente sul letto.

"Non parlavo con te. Era un'esclamazione, e quindi ho vinto io." Aprii la bocca per ribattere, ma la richiusi subito dopo. A che serviva? Mi voltai dall'altra parte, incapace di starla a sentire senza provare un profondo fastidio. Anche se non volevo ammetterlo, la vista di quella foto mi aveva turbato. Era così simile ed Ana. Così simile a... lei... Cosa c'entrava Christofer Tyson con Ella? Perché aveva una sua foto? Era una prostituta. Non rilasciava molto spesso generalità. Sentii il letto infossarsi nel lato libero, e poi la mano di Ana mi abbracciò il fianco. Avvertii il suo seno aderire alla mia schiena, nel punto preciso in cui c'era una delle cicatrici. Mi ritrassi leggermente, allontanandomi quel tanto che bastava per interrompere il contatto. "Mi dici cos'hai?" sussurrò al mio orecchio. Profumava di dentifricio alla fragola.

"Niente. Sono stanco." Lei non disse nulla. Non tentò neanche di stringermi più forte.

"Vuoi parlarne? Non lo dirò a tuo padre." Già. Come dimenticare che lei teneva costantemente aggiornato Carrick? Anche se adesso ero io a dirle cosa riferire e cosa no, c'era sempre quel subdolo particolare che mi impediva di aprirmi totalmente. Sapevo che non avrebbe mai detto nulla che io non avessi voluto, ma ero bloccato da qualcosa. Cosa era un mistero anche per me. Mi girai sull'altro lato, deciso a dirle che andava tutto bene. Giuro che le mie intenzioni erano quelle, ma mi ero dimenticato di quanto fossero grandi e azzurri quegli occhi. Di quando mi piacesse quando di nascosto si mordeva il labbro inferiore per il nervosismo. Di quanto fosse perfettamente simmetrico quel piccolo viso adorabile. Di quanto fossero morbidi i suoi capelli. "Beh, che hai da fissare?" mi chiese, sorridendomi. Così simile a lei. Così diversa da me. Che stavo facendo?

"Ella era mia madre." dissi, prima di riuscire a fermarmi. Lei sbarrò leggermente gli occhi, senza muoversi. "Quella nella foto era lei. Tu sei... uguale. Non so come spiegarmelo. Sembra fantascienza."

"Perchè il signor Tyson avrebbe dovuto avere una foto di tua..." si bloccò a metà domanda, realizzando piano quello su cui io stavo rimuginando da un pò. Allungò una mano tra i miei capelli, come se li vedesse per la prima volta. "Lo stesso colore." disse, iniziando capire. Le dita scesero più in basso, andando ad accarezzarmi le ciglia. "Avete gli stessi occhi." Ancora più in basso, sfiorandomi le labbra. Trattenni il respiro. "La stessa bocca." Si bloccò, interrompendo il contatto e facendo tornare l'aria. Mi guardava terrorizzata. "Christian, è impossibile."

"Lo so." risposi semplicemente. Sapevo che la possibilità che Christofer fosse quello che pensavo, e che si trovasse per puro caso al NARCONON nel mio stesso periodo fossero una su settemiliardi, ma io ero così sfortunato da poter essere quell'uno.

"A meno che..." iniziò lei, per poi bloccarsi, scuotendo la testa.

"Cosa?" domandai, mettendomi a sedere anch'io. Potevo sentire il suo cervello macchinare. Si sciolse i codini, ravvivandosi i capelli con una mano.

"A meno che non ti stesse cercando." I suoi occhi si illuminarono, ed io riuscii a vedere una fiammella di speranza. Dovevo affrettarmi a spegnerla. "Oh mio Dio. Christian, ti sta cercando!"

"Ana. Non iniziare."

"Non iniziare cosa? E' tuo padre. Il tuo vero padre è qui. Devi andare a dirglielo." Saltellava allegramente per la stanza. Forse non ricordava che eravamo chiusi dentro. Quelle parole furono una pugnalata in pieno petto. Sentirle da qualcun altro rendeva tutto più reale, ma invece di avvertire una modesta gioia come Ana, al suo posto divenni furioso.

"Lui non è mio padre." sibilai, alzandomi di scatto e stringendo confulsamente la mano in un pugno. "Carrick è mio padre. Quel tizio..." mi bloccai, rilassando i muscoli e facendo un profondo respiro. "Lascia stare, va bene? Ora dobbiamo concentrarci sul piano. Ricordi?" Feci un mezzo sorriso, dispiaciuto di dover smorzare il suo entusiasmo. Le sue spalle si abbassarono al ritmo delle sue labbra, spegnendosi come una macchina rotta.

"Ma... non vuoi neanche parlarci? Giusto per toglierti il dubbio."

"E a cosa servirebbe? Credi che, se Tyson fosse veramente l'uomo che ha inseminato mia madre, ci abbracceremmo e andrei a vivere con lui in una grande famiglia felice? No. Probabilmente non riusciremo nemmeno a parlarci, e in più dovremo vivere sotto lo stesso tetto per due altri mesi. Non sarebbe l'ideale."

"L'uomo che ha... Ma come parli?"

"Anastasia. Ora smettila." sbottai, tornando a letto e tirandomi le coperte fin sulla fronte, nonostante il caldo bestiale.

"Se io avessi l'oppurtunità di rivedere per un secondo mio padre..." la sentii dire in tono atono, mentre tornava al suo posto. "... non mi farei certo pregare." Ringhiai per quell'ingiusto paragone. Cosa ne sapeva lei? Niente. Probabilmente suo padre c'era alla sua nascita. L'aveva presa in braccio. Le aveva baciato la fronte. Era stato fiero di lei! "Sai, avevo tre mesi quando è morto. Tutto quello che so di lui me lo ha raccontato mia madre." Mi tappai le orecchie con le mani. Non volevo sentire più una parola. Non mi importava di nulla. Chiusi gli occhi per eliminare ogni collegamento con il mondo esterno, ma il sonno era sempre dietro l'angolo, e in pochi secondi mi addormentai.

"Cosa vuoi ancora, Chris?" La mia mamma usava quella voce profonda solo quando c'erano gli uomini con cui andava a giocare nella sua stanza. Quelle volte mi diceva di giocare a nascondino nella mia stanza finché non fosse venuta lei a trovarmi. Poi mi metteva la musica nelle orecchie e diceva che dovevo sapere la canzone a memoria per quando mi avrebbe trovato, perché poi l'avremmo cantata insieme. Però ora non mi aveva detto di fare niente di tutto quello.

"Voglio vederlo." Chi voleva vedere quel signore? Era molto alto, ma non era l'Uomo Nero. Lui era più bello. Sembrava uno dei signori sulle riviste che leggeva mamma, di tanto in tanto.

"Chi?"

"Lo sai chi." Oh-oh. Si stava arrabbiando. Le persone sono cattive quando si arrabbiano. Anche la mia mamma. Dice tante brutte parole, e poi quando le ripeto io mi lava la bocca con il sapone.

"Ti ho già detto di andartene."

"Ho il diritto di salutarlo. Almeno di sapere il suo nome."

"Non è il tuo, se proprio vuoi saperlo. E in più non hai nessun diritto su di lui."

"Sono suo padre, Ella!" Stava gridando. No. No. No. Non doveva sgridare la mamma! La mamma era buona. Lui era cattivo.

"Me lo porterai via!" Adesso anche lei gridava. Chi dovevano portare via?

"Mi sembra logico! Vuoi continuare a farlo vivere in questo posto? Con il lavoro che fai? Come puoi essere così egoista?"

"E' il mio bambino." No. La mamma piangeva. Ma sono io il suo bambino. Allora quel signore voleva me. Io però non volevo lasciare da sola la mamma. "E tu non me lo toglierai. E' l'unica cosa che mi rimane!"

"E allora vieni via anche tu. Troverò un modo. Lo denuncerò e..."

"No. Non farlo." Lo aveva afferrato per un braccio, e l'uomo la guardò attentamente, prima di spintonarla via.

"E' per la droga, vero? E' lui che te la da." La mamma non rispondeva. Si grattava il braccio con una mano, guardando il pavimento. "Non ci posso credere. Fai torturare nostro figlio per una dose di quella merda!"

"VATTENE VIA!"

"NON SENZA DI LUI!" Quelle urla mi spaventavano. Scoppiai a piangere, sedendomi sul pavimento. Non volevo più sentirli litigare. Se la mamma era triste allora ero triste anch'io. Sentii dei passi lungo il corridoio, poi la porta si spalancò, rivelando la figura altissima del signore di prima. Non riuscivo a vedergli la faccia. C'era troppa luce. Cercò di prendermi, ma io corsi via. Volevo la mamma. Lui non lo conoscevo!

"Christian!" Mamma. Gli corsi fra le braccia, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Profumava di bagnoschiuma. Si era appena lavata.

"Lo hai chiamato..." Ancora lui? Perché non se ne andava? Io stavo bene con la mia mamma. Non avevamo bisogno di nessuno.

"Sì." disse lei, stringendomi più forte. "L'ho chiamato come tuo nonno."

Un rumore di passi lungo il corridoio mi fece svegliare di scatto. Avevo il respiro accelerato, la fronte madida, ma stranamente non ricordavo nulla di quello che avevo sognato. Forse per una volta la tortura del risveglio mi era stata risparmiata. Anastasia dormiva ancora. Dovevano essere le due del mattino, ma lo scalpiccio continuava. Mi alzai, leggermente intontito, avvicinandomi alla porta e poggiandoci un orecchio sopra.

"Codice 20. Secondo piano." Agrottai la fronte. Quelle lì fuori erano le guardie notturne. Qualche drogato doveva aver perso la testa, alla fine. Chissà per cosa stava quel "codice 20".

"Ciao Adam. Sophie. Eva." Anastasia li pronunciò uno ad uno come in un appello, beccandosi velocemente una delle frecciatine di Adam. Erano tutti seduti intorno al tavolo rotondo con quei pacchiani fiori fucsia, intenti a consumare la colazione. Addentai uno dei miei pancakes e mi accomodai a mia volta, guardandomi bene intorno.

"E Gideon?" chiesi, stupendomi nel non vederlo. Eva fece spallucce, segno che probabilmente avevano litigato di nuovo. Era come essere su delle costanti montagne russe emotive.

"Ieri aveva detto che si sarebbe svegliato presto per fare palestra. Inizia a diventare un po' fissato." lo apostrofò la bionda, bevendo il suo caffè. Scossi la testa, facendo un profondo sbadiglio.

"Che programmi avete per oggi?" domandò Sophie, anche se qualcosa mi diceva che lo sapesse già. Mi divertii a fissarla intensamente per qualche secondo, facendola spaventare un pò. Lei distolse lo sguardo in fretta, stringendosi leggermente al braccio di Adam, che invece mi fulminò con lo sguardo.

"Vediamo un po'." iniziò Eva, prendendo il suo foglio. "Oh, adesso c'è la riunione settimanale nell'Auditorium. Poi ho tre ore di aerobica, una di recupero di matematica, una di..."

"Recupero? Quella con il signor Tyson?" chiese Ana, senza guardarmi. Strinsi la forchetta tra le dita, sentendola piegarsi sotto la pressione. Ora stava esagerando.

"Già. Che figo. Dovrebbero essere tutti così, al mondo. Sarebbe un posto migliore. Almeno per me, ovviamente." Si abbandonò in una risatina liberatoria, facendomi sospirare. Eva non cambierà mai. "Eccolo. Mio Dio, cosa gli farei!" Mi irrigidii di scatto, continuando a fingere di mangiare come se nulla fosse. Sentivo gli occhi di Ana addosso, ma mi decisi a rimanere immobile ed aspettare che lasciasse la stanza. Purtroppo Dio sembrava essere annoiato, quel giorno.

"Christian." Trasalii sentendo pronunciare il mio nome, e l'espressione inebetita di Eva spiegò tutto. Era dietro di me. Perché era dietro di me? Mi costrinsi a voltarmi, abbozzando un sorriso di circostanza.

"Buongiorno, signor Tyson. Cosa posso fare per lei?" Forse mostrarmi accondiscendente avrebbe aiutato a dimenticare il mio comportamento del giorno precedente. Non volevo che mi considerasse strano, o debole. Fortunatamente lui sorrise, mostrandomi dei denti ingialliti dal fumo. L'unica sua pecca in quel viso apparentemente perfetto. Tu sei come me. No. Io non fumavo.

"Niente. Volevo solo ringraziarti per avermi riportato la foto, ieri. Non vorrei averti offeso e..."

"Offeso? E perché?" Ridacchiai, decidendo di spostare l'attenzione da me. "Comunque è stata Anastasia a trovarla. Dovrebbe ringraziare lei." La indicai con una mano, tornando a mordicchiare la mia colazione. Christofer le fece l'occhiolino, portandosi una mano sul cuore.

"Allora ti ringrazio, signorina Steele."

"Si figuri. Era davvero una bella donna, comunque. Sua moglie?" sputò, e la fulminai segretamente con lo sguardo, mentre nella mia mente iniziarono a manifestarsi le immagini di lei legata da qualche parte, mentre io la colpivo selvaggiamente con la cinghia. Legare. Punire. Scopare. Godere. Scossi la testa, cercando di dimenticare il motto di Elena. Lo diceva sempre nelle mie lezioni da dominatore, e a volte mentre mi scopava mi costringeva a ripeterlo una decina di volte. Non mi faceva venire finché non avevo assolto il mio compito. Oddio. Strinsi le gambe, mordendomi la guancia a sangue.

"No. Solo una vecchia fiamma. Niente di importante."

"Ne è sicuro?"Legare. Punire. Scopare. Godere.

"Non credevo che la vita degli insegnanti vi interessasse." disse lui, incrociando le braccia e osservando Ana con uno sguardo furbetto. Bella mossa. Dovevo ammetterlo. Tyson era bravo a portare la discussione a suo vantaggio. "Ora devo andare. Signorina Tramell, la aspetto a lezione." Eva assunse il suo aspetto più seducente, socchiudendo leggermente gli occhi e mostrando il suo lato migliore. "Arrivederci, ragazzi." Prima che potessi accorgermene mi posò una mano sulla testa, scompigliandomi velocemente i capelli prima di dirigersi fuori dalla mensa. Mi rilassai sulla sedia, riuscendo finalmente a godermi il resto della mia colazione. Mi ficcai una forchettata in bocca, quasi strozzandomi.

"Christian?"

"Che c'è?" sussurrai, cercando di ingoiare tutto. Ma come faceva Elena, ogni volta? Mi accorsi solo in quel momento che tutti mi stavano fissando. "Ho del cibo sulla faccia?" chiesi, passandomi un tovagliolo sulla bocca. Adam si portò una mano sulla testa, guardandomi stupito.

"Non hai visto cosa è successo?" Mi guardai intorno, ma sembrava tutto normale. Gli altri degenti mangiavano come se nulla fosse, e l'istituto andava avanti come sempre, nella più assoluta tranquillità. Notai alcuni miglioramenti in chi mi circondava. Il tavolo dei metanfitomani era più roseo. C'era anche del cibo. Questo era un bene. "Amico, ti sei fatto toccare." Cosa? Sbarrai gli occhi, rimanendo per un attimo in silenzio. Mi ero fatto toccare? Davvero?

"Ah. Non me ne sono accorto." minimizzai, tornando a mangiare. Chissà se sarei riuscito a terminare la mia colazione entro la giornata.

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