48. La fine è sempre più vicina
Era strano.
Le orecchie erano tappate, le gambe indolenzite e tutto sembrava così precario. Ogni tanto qualcosa, come una scossa di terremoto, faceva traballare tutto.
Sbadigliai per stappare le orecchie di sbuffai: ora fischiavano. E il piccolo umano a destra continuava a piangere.
Mi voltai a sinistra, ma era tutto scuro. Qualcuno russava e non comprendevo come potesse dormire: era tutto troppo scomodo.
Provai a muovere una gamba e feci una smorfia per la fitta di dolore. Ero rimasto immobile nella stessa posizione per troppo tempo. Anche la schiena e il sedere chiedevano pietà per quel sedile duro e le ferite riportate dal combattimento con i vampiri in nero non erano ancora guarite del tutto.
Eravamo sparpagliati fra tutti gli umani, in posti piccoli e scomodi perché non c'era stato tempo di trovare mezzi migliori. Alcuni senza-pelo dormivano, altri leggevano e altri ancora parlavano. Sentivo l'ansia di qualcuno di loro e li vedevo lì, tesi ed immobili, che sobbalzavano ad ogni tremore.
Anche i vampiri apparivano preoccupati, ma sapevo che non era colpa della scatola cilindrica volante e traballante.
La bambina era tornata a Forks insieme ai due licantropi, alla vampira bionda e alla moglie di Carlisle. Il vampiro che controllava le emozioni voleva che anche la sua compagna andasse, ma lei si era opposta: doveva aiutare noi con le sue premonizioni. E poteva essere anche un valido oggetto di scambio, avevo pensato. Sapevo che ai vampiri in nero interessavano alcuni membri della famigli Cullen, Chiara compresa.
Lasciai vagare lo sguardo per l'aereo e incrociai quello di Andrea. Se mi avesse potuto uccidere, lo avrebbe fatto volentieri. Mi attribuiva la colpa di ogni singola cosa, ma non era affare mio se Chiara aveva ricambiato il mio bacio e lui ci aveva visti.
Anzi, se lui non fosse venuto a cercarla, Chiara non sarebbe tornata da lui e i Volturi non l'avrebbero presa. Era solo colpa sua, decisamente.
Aveva provato ad aggredirmi altre tre volte prima che ci imbarcassimo, ma tutte le volte era stato fermato e la cosa mi dispiaceva. Finalmente, avrei potuto confrontarmi con lui ad armi pari; finché era umano non c'era gusto nel picchiarlo.
Continuai a fissarlo e lui fece lo stesso. Sorrisi divertito, facendogli un occhiolino, prima di tornare a guardare le tenebre fuori dal finestrino. Trattenni il respiro: in lontananza stava spuntando una luce rossa.
È il sole. Pensai stupito, sorridendo.
Non avevo mai visto una cosa del genere.
Abbastanza presto, la luce si fece più intensa e squarciò il nero della notte, andando a colpire il metallo grigio. Qualcuno sbuffò e chiuse la tenda, ma non capivo come potesse farlo, fuori c'era uno spettacolo troppo bello.
Poi una voce gracchiante all'altoparlante mi richiamò all'attenti: «Stiamo per atterrare. I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza».
Feci come avevano detto, anche se non capivo come un pezzo di corda dal tessuto strano potesse salvarmi dalla caduta dell'aereo. Osservai le hostess passare nel corridoio, per controllare che tutti avessero messo la cintura, poi chiusi gli occhi.
La fine era sempre più vicina.
Riaprii gli occhi e li richiusi, per poi riaprirli. Era buio esattamente come prima.
Chiusi nuovamente gli occhi e presi un bel respiro. Trattenni l'aria nei polmoni finché non iniziò a fare male e poi la rilasciai con un sospiro.
Puzzava. Puzzava di umido. E questo mi faceva capire che no, non era tutto buio per colpa della nebbia malefica di Alec.
Provai a guardarmi intorno, ma non riconoscevo assolutamente nulla. Forse, non c'era niente intorno a me.
Sentivo però dell'arietta fresca. Da qualche parte, doveva esserci un buco che portava all'esterno.
Mi sedetti e mugolai. La schiena e la testa facevano malissimo.
Sentivo di essere seduta su di una superficie fredda. Tastai intorno a me, toccando le lisce deformità di quelle che sembravano essere pietre.
Un pavimento... pensai.
Poi, alla mia destra, sentii una superficie perpendicolare all'altra, con la stessa conformazione, ma con pietre più grandi e ruvide.
Una parete. Mi dissi e mi aggrappai ad una piccola sporgenza, tirandomi su a fatica.
Le gambe cedettero e caddi in ginocchio. Strinsi i denti, sentendo le ginocchia bruciare e i pantaloni strapparsi.
Cercai di alzarmi nuovamente, ma non trovavo le forze. Caddi su un fianco, stringendomi in posizione fetale, e mi addormentai nuovamente.
Voltai la testa, sbuffando irritato. Odiavo quel licantropo. Era colpa sua se adesso mi trovavo qui, su un aereo diretto in Italia e pieno di umani dall'odore assetante. Era colpa sua se ero nuovamente single e stavo andando a salvare la ragazza che amavo e che mi aveva tradito.
Come poteva Chiara preferire quel tizio a me? Quel tizio che, con fare da sbruffone mi aveva sorriso e fatto l'occhiolino, per poi voltarsi a guardare fuori dal finestrino.
Io lo stavo guardando male, volevo che si ricordasse che lo avrei ucciso appena ne avrei avuto la possibilità.
Avevo provato ad ammazzarlo più volte, ma mi avevano sempre fermato. Prima o poi, però, sarei riuscito a saltargli alla gola.
Lo avevo sempre odiato e non mi aveva mai fatto paura, anche se era un licantropo e io un semplice umano; ma adesso... adesso ero un vampiro e avevo ancora un briciolo di forza in più rispetto ai vampiri normali, anche se sentivo che stava svanendo.
Addirittura il mio autocontrollo era cambiato: ora riuscivo a stare vicino agli umani senza ucciderli, per quanto la mia gola bruciasse più di un vulcano e la mia mente pensasse a come nascondere le tracce di una strage.
«Tutto ok?» chiese Carlisle quando un'hostess ci passò davanti. Il fastidioso e pungente profumo alle rose non riusciva a coprire del tutto il sapore del suo sangue, così... dolce, caldo, dissetante... così invitante.
«Sì» dissi dopo un attimo, deglutendo a fatica. L'autocontrollo era migliorato, certo, ma avevo ancora molta strada da fare.
Qualcuno sbuffò e chiuse una tendina, per non essere disturbato dal sole nascente. Per fortuna, i punti dove eravamo noi vampiri non erano toccati dal sole.
Poi annunciarono l'atterraggio e l'aereo iniziò lentamente a scendere di quota. Sospirai e chiusi gli occhi, mentre sentivo l'ansia di alcuni umani. Non riuscivo a capirli, non avevo mai avuto paura dell'aereo. E non ero tranquillo perché ero un vampiro immortale, ma perché non mi aveva mai spaventato. Probabilmente il motivo erano i continui viaggi, fin da piccolo, per andare a trovare i parenti in Italia.
L'aereo toccò il suolo dolcemente, ma io sgranai gli occhi, spaventato. «Carlisle, come facciamo ad uscire da qui?» chiesi. Il sole stava sorgendo giusto adesso e noi vampiri avremmo brillato.
«Stai tranquillo» sorrise il vampiro «Ci copriamo bene, poi saliamo nella navetta che porta dentro all'aeroporto e subito fuori avremo un taxi dai vetri oscurati che ci porterà nell'hotel».
«Nell'hotel? Non dai Volturi?» chiesi parlando ad un tono così basso che, probabilmente, gli umani non riuscivano a sentire.
«Non possiamo andare da loro ad accusarli di aver rapito Chiara. E non possiamo attraversare Volterra a piedi, con il sole. C'è il rischio che loro ci accusino perché potremmo rivelare il nostro segreto iniziando a sberluccicare nella piazza. Aspetteremo il pomeriggio; Alice sostiene che pioverà».
«Ma è troppo tardi! Non possiamo aspettare così tanto!» esclamai guardandolo «Chiara potrebbe essere in pericolo!».
«Andrà tutto bene» promise prima di alzarsi, mentre le porte si aprivano e i passeggeri si accalcavano nel corridoio.
Un cigolio e poi un tonfo sordo e metallico mi svegliarono. Mentre il boato riecheggiava ancora nella cella, una serratura scattò. Poi ci fu silenzio. Sentii solo un debole fruscio che si allontanava.
I miei occhi rimasero chiusi. Sarà un sogno. Pensai con le mie ultime forze. Mi sveglierò e sarò accanto a Derek... Mi sveglierò... e sarò accanto ad Andrea. Mi sveglierò... e sarò a casa. Mi dissi prima di perdere nuovamente conoscenza.
~~~~~~~~~~
Mi svegliai per il rumore prodotto dal mio stesso stomaco. Avevo terribilmente fame e lui me lo stava urlando.
Da quant'era che non mangiavo? Probabilmente, dalla notte trascorsa con il branco di Derek; non avevo altri ricordi oltre a quello.
Aprii gli occhi e non vidi nulla, se non la forma indistinta di un piatto e un bicchiere. Annusai l'aria, sentendo odore di cibo. Sembrava pane... nulla di più.
Sempre meglio di niente. Mi disse il cervello, comandato dallo stomaco.
Senza pensarci, afferrai il cibo e lo portai alla bocca, strappandone un grosso pezzo. Ma masticarlo e mandarlo giù fu estremamente difficile.
A processo compiuto, tossii e sentii la gola bruciare. Le labbra erano secche. Afferrai il bicchiere e lo finii in un solo sorso.
Da quando l'acqua era così fresca e così buona? Terminai di divorare il pezzo di pane, rendendomi conto di una cosa: non ero assolutamente a casa, nemmeno da Derek e nemmeno da Andrea.
Sentii la gola bruciare nuovamente, ma questa volta non era la sete: erano le lacrime trattenute a stento.
Scossi la testa e mi alzai a fatica.
Quanto tempo era passato? Un'ora, un giorno, due?
C'era sempre la puzza di umido e anche l'arietta fresca che mi suggeriva la presenza di un buco.
Prima... era più buio, no? Mi dissi, provando a pensare al "prima", ma nei miei ricordi c'era solo un mare di oscurità.
Ero mai stata sveglia?
Toccai la parete e la sentii, fredda e ruvida. A tentoni, trovai una porta di ferro liscia, senza maglia, ma con una serratura.
Posai le mani sulla superficie fredda e spinsi più volte con tutta la mia forza, sperando di aprirlo. Ma era chiusa e troppo robusta.
Mi gettai contro di essa, colpendola con la spalla. Continuai così per un bel po', finché il corpo cedette e caddi a terra.
Niente. Tutto inutile.
Adesso, però, vedevo meglio. Forse i miei occhi si erano abituati all'oscurità.
Portai le ginocchia al petto, stringendo le gambe con le mani. Posai il viso contro le ginocchia e scoppiai a piangere sommessamente. Dove ero finita?
Mi tornò alla mente l'immagine di Derek, immobile ai piedi di quell'albero, il suono delle sue ossa che si spezzavano. Non sapevo dove fosse... se fosse ancora vivo. Poi sentii un lieve sentore di sangue e del bruciore sulla pelle. Le mie ginocchia... erano graffiate
Sono caduta, questa notte. Pensai. Forse non era un sogno... forse... Sta sorgendo il sole! Pensai e scattai in piedi, ma la mia vista si coprì di pallini neri, la testa sembrò fare una capriola e il terreno mi mancò da sotto i piedi.
Mi ritrovai nuovamente seduta, con le mani poggiate sul pavimento, per attutire il colpo.
Ok... con calma. Mormorai dentro di me e mi misi in ginocchio. Poi, lentamente, alzai una gamba. Poi l'altra. E poi... su!
Mi alzai.
Mi guardai intorno, cercando il buco che sapevo esserci. Doveva esserci.
Era complicato guardare in alto, perché sentivo il sangue defluire dalla testa e il mondo girare.
Poi però lo vidi.
Un buco. Il buco.
O almeno sembrava un buco. Dava l'impressione che fra due pietre della parete ne mancasse una e che le tenebre fossero più chiare proprio in quel punto.
Forse posso arrampicarmi, vedere qualcuno e chiedere aiuto. Pensai. O capire dove sono. Alice magari mi vedrà e capirà.
Annuii e camminai lentamente verso la parete. Muoversi su quel pavimento formato da pietre attaccate tra loro, ma lisce, deformi e disconnesse era difficile.
Quando lo raggiunsi, poggiai sul muro entrambe le mani e constatai quello che avevo già notato: le pietre erano ruvide, disconnesse e ampie. Potevo trovare degli appigli per salire. Guardai su e chiusi gli occhi, a causa di un giramento di testa.
Sembra alto. Pensai. Ma devo farcela. Mi dissi prima di mettere un piede su di una pietra e tirarmi su.
Mi aggrappai alla parete, sofferente e ansimante solo per trenta centimetri di scalata.
Nella penombra, focalizzai lo sguardo sulla roccia davanti a me, per evitare di guardare il vuoto o di avere giramenti di testa, e ripresi a salire.
Ad ogni movimento, i muscoli si tendevano e si sforzavano, spingendo al massimo delle loro forze. Non ero mai stata così debole.
Trattenni il respiro e mi immobilizzai, afferrando con forza le pietre sotto alle mani. Un appiglio sotto al piede destro si era rotto ed ero scivolata. Aspettai un attimo, mentre sentivo il cuore battere veloce e le dita pulsare per le ferite, causate dallo sfregamento contro la roccia nella speranza di aggrapparmi e non cadere. Presi un bel respiro e rilasciai l'aria mentre mi tiravo su.
Continuai a salire e ci arrivai.
Il buco era a venti centimetri dal soffitto, non riuscivo a raggiungerlo bene. Ed era troppo piccolo per passarci dentro o infilarci la testa.
Però da lì arrivava dell'aria. Vedevo il cielo, era di un azzurro molto scuro, ma riuscivo ad intravedere le strisce rosee del sole. Non sapevo se era l'alba o il tramonto, ma confidavo nella prima ipotesi. Non volevo un altro periodo di buio. Sfortunatamente, non riuscivo a vedere altro. Con la mano sinistra mi aggrappai forte ad una pietra e provai a colpirne un'altra con la destra. Niente, non cadeva. Provai a tirarla via, ma non si staccava. Era impossibile aprire maggiormente il buco.
Poi sentii un fruscio, la chiave girare e il cancello aprirsi. Mi voltai, ma ciò che vidi fu indistinto. Riuscii a cogliere solo una figura in nero, prima che la testa facesse un'altra capriola.
Sentii la mano perdere la presa e il mio corpo staccarsi dalla parete. Provai ad afferrarla con l'altra, ma avvertii solo le pietre dure contro le unghie e il loro raschiare su di esse. Poi un tonfo a terra e del dolore.
Ero stata io a cadere?
«Felix! Aiutami!» urlò una voce in italiano, ma persi conoscenza prima di capire chi fosse e di veder arrivare il vampiro.
Sbuffai guardando fuori dalla finestra. Le macchine si fermavano spesso e suonavano il calcson, facendo rumore senza motivo.
«Quando potremo andarcene?» chiesi voltandomi verso l'interno della stanza. Eravamo appena arrivati e già non ne potevo più. I vampiri brillavano al sole, quindi dovevamo restarcene chiusi in un hotel.
Avevano affittato tre stanze, per non dare nell'occhio, ma ci eravamo riuniti in una sola.
«Nel pomeriggio» disse la vampira che prevedeva il futuro.
Sbuffai e scossi la testa. «Ci vado. Non possiamo aspettare» dissi andando verso la porta. Andrea mi afferrò il braccio, per fermarmi.
«Stai qui. Vuoi farci scoprire?» ringhiò.
«Voglio andare a salvare Chiara. Magari le stanno facendo del male».
«E credi che io non ci voglia andare?» chiese dandomi una spinta, che mi fece sbattere contro il muro vicino a me.
Fulminai il vampiro con lo sguardo, mentre sentivo gli occhi diventare gialli.
«Sono preoccupato tanto quanto te» aggiunse.
Scoprii i denti e ringhiai.
«Sì. Ringhia» disse con un tono acido e sarcastico «Fai l'animale» aggiunse prima di voltarsi. «Non so ancora come un tipo come te possa piacere a lei» commentò schifato, scuotendo la testa.
Quelle parole mi fecero sobbalzare. Ringhiai e gli saltai addosso, aggrappandomi alla sua schiena.
Andrea si voltò per colpirmi, ma non ci riuscì.
Rotolai a terra e mi trasformai, per poi saltargli di nuovo addosso.
Questa volta mi colpii con un braccio e volai addosso ad un tavolo messo contro al muro. L'urto fece cadere un vaso di vetro, che si infranse in mille pezzi.
Li osservai brillare leggermente sul tappeto nero, come tante lacrime nella notte. Poi fissai lo sguardo in quello del vampiro e ringhiai nuovamente, pronto ad attaccare.
Ma a quel punto, intervennero i suoi compagni, che ci fermarono mettendosi in mezzo a noi.
«Ti ucciderò» sibilò Andrea, ricevendo le occhiate di rimprovero di alcuni del suo clan.
Tornai umano e mi aggiustai la felpa con un colpo secco. «Se non lo farò prima io» risposi fulminandolo con lo sguardo, prima di uscire da quella stanza per lasciare l'hotel.
Sapevo bene di non poter andare da solo da quei vampiri, ma potevo provare a fare un giro per la città, cercando eventuali informazioni.
La vampira con le visioni aveva visto qualcosa poco prima. Qualcosa relativo al futuro di Chiara: una prigione buia, con un lieve cerchio di luce proveniente da una piccola apertura, che si affacciava chissà dove... Si vedeva solo il cielo, aveva detto.
Mi risvegliai di nuovo.
Ero nella cella che puzzava di umido.
Mi guardai intorno. No, era un'altra cella. Non c'era l'arietta fresca, era più fredda e, se possibile, la puzza era ancora più opprimente. Mi tirai su, sedendomi e appoggiando la schiena contro la parete.
Portai una mano sul viso e premetti due dita contro gli occhi. La testa pulsava e tutto il corpo doleva.
Da quanto tempo ero qui? Dove erano gli altri? Perché non mi avevano ancora salvata?
Sentii un chiavistello girare e il cigolio di una porta metallica che si apriva.
Alzai lo sguardo verso quella direzione e vidi Alec e Felix entrare nella cella, illuminati dalla luce di una fiaccola che avevano con loro -il manico e la base sembravano in ferro e le decorazioni erano fatte risaltare dal fuoco-.
Paradossalmente, non ero spaventata dai due vampiri. Sapevo che non mi avrebbero fatto nulla: ero troppo importante per Aro.
«Aro ti vuole» annunciò Alec, che reggeva la fiaccola.
Felix si avvicinò a me, mi afferrò per le braccia e mi tirò su. «Andiamo» sbuffò trascinandomi verso la porta.
Non opposi resistenza. Volevo andare da Aro per capire cosa stava succedendo. «So camminare» dissi cercando di liberarmi.
Il vampiro sbuffò nuovamente e mi lasciò libera. Capivo che non aveva nessuna voglia di fare questa cosa.
Adesso avevo Alec davanti a me e Felix dietro, in un corridoio stretto. Mi misero una fascia sugli occhi, per non farmi vedere dove andavamo, e poi iniziammo a camminare.
Cercai di capire comunque la strada: era tutta lunga, poi svoltava a sinistra, poi scendeva, poi si saliva, si andava tutto dritto, c'erano degli scalini stretti e ampi, poi dritto, poi a sinistra, poi una curva stretta e dritti di nuovo. Ci fermammo e mi tolsero la benda. Eravamo davanti al grosso portone che ci avrebbe condotto nella sala dove stavano Caisu, Marcus e Aro.
Alec, che non aveva più la torcia, lo aprii ed entrammo.
I tre vampiri erano seduti sui troni, mentre altri parlottavano in gruppetti confusi ai lati della sala. Quando ci videro, si zittirono. Aro sorrise e si alzò, per poi scendere elegantemente gli scalini che separavano i tre troni dal pavimento.
«Chiara!» esordì con le braccia aperte, e fu strano sentirlo parlare in italiano. «Mi dispiace molto per la poca ospitalità che ti abbiamo riservato, ma dovevamo essere sicuri che non ci avresti attaccato e... Eravamo molto impegnati» concluse con una smorfia di disappunto. Odiavo quel suo tono mellifluo.
«Perché sono qui?» chiesi scontrosa, usando l'inglese.
«Oh, ma perché no?» ridacchiò cambiando anche lui lingua. Poi si strinse nelle spalle «Abbiamo fatto delle ricerche, sai? E forse abbiamo scoperto una cosa che sospettavamo da tempo... Ma serviva il momento giusto. Forse la sai anche tu, a questo punto».
Restai confusa a guardarlo. Non riuscivo a leggere i suoi pensieri.
Aspetta... Perché non riuscivo a leggere i suoi pensieri?
Provai a trasformarmi, ma non trovavo il lupo dentro di me. Quella forza che mi permetteva di cambiare era sparita. «Cosa mi avete fatto?» ansimai preoccupata.
«Intendi la trasformazione e il potere?» si strinse nelle spalle «Solo qualche erbetta narcotica».
Restai confusa.
Erbetta narcotica? Dove?
Poi realizzai: «Il pane...» mormorai a bassa voce, guardando il pavimento a piastrelle color terra di siena.
«E l'acqua» aggiunse lui, con un risolino irritante.
Mi sentivo così stupida...
«Cosa avete scoperto?» chiesi poi, guardando Aro dritto negli occhi.
«Tu cosa hai scoperto su di noi?» chiese il vampiro.
«Voi?».
«Sì, noi. Il tuo amico che loro hanno visto quando ti sono venuti a prendere, non ti ha raccontato nulla?».
«Derek?» mormorai seguendo il dito di Aro, che indicava Felix, Demetri, Alec e Jane, tutti vicini e non troppo lontani da me.
«Sì... Hai urlato quel nome...» borbottò Aro, muovendo la mano con un gesto annoiato.
«Mi ha detto che...» mi interruppi. No, non potevo dirglielo. Forse loro non sapevano nulla, ma sospettavano solo.
Aro ridacchiò «Cosa c'è? Hai paura di dire qualcosa?».
«Cosa sapete?» chiesi fulminandolo con lo sguardo.
«Presumo che il tuo amico ti abbia raccontato di come abbiamo decimato il suo branco, anni fa. Caius odia i licantropi e forse ha esagerato un po'» disse divertito voltandosi per un attimo verso il collega. «Sai chi cercavamo in quel branco?».
Rimasi in silenzio, per evitare di rispondere e dargli più informazioni, anche se era ovvio che sapevano tutto.
«Tua madre» continuò Aro «Ma, in particolar modo, tuo padre. Sai perché?». Nuovamente, restai zitta e il vampiro rise. «E va bene, va bene, racconto tutto io!» disse divertito. «Aaran era un vampiro talentuoso che stava con noi -tralascerò tutta la parte di come si è unito a bla, bla, bla. Quella puoi chiederla a qualcun altro-. Ben presto però si lasciò influenzare da Carlisle -oh, sembri sorpresa! Sì, il tuo Carlisle-. Erano molto amici. Aaran smise di uccidere gli umani e iniziò ad essere infastidito dal nostro modo di dettare legge. Carlisle andò via e, un annetto dopo, anche lui ci lasciò.
Scoprimmo poi che aveva avuto una relazione con un licantropo. Perché sai, non lasciamo mai andare del tutto i nostri membri, soprattutto quelli più strani: li controlliamo, ogni tanto
Questa relazione poteva portare alla nascita di un piccolo abominio e una potenziale distruzione di tutto. Cercammo tuo padre, per capire che cosa fosse successo. Venne qui e non trovammo nulla di sospetto. Ma invece tu e tua madre c'eravate e tu avevi circa un anno.
Sfortunatamente, all'epoca non lo capimmo.
Anni dopo ci giunsero altre informazioni. Cercammo Aaran e tua madre e ci imbattemmo nell'ammasso di lupi. Chiedemmo gentilmente informazioni, ma non ce le diedero...». Aro sospirò, fingendosi addolorato «Siamo stati costretti ad attaccarli.
Poi li trovammo e li portammo qui. Ancora una volta, non c'era nulla. Questa volta, però, vennero uccisi. Non c'erano bambini, certo, ma la relazione sì».
Restai in silenzio, anche se volevo saltargli addosso e ucciderlo. Aveva appena ammesso l'omicidio dei miei genitori con tranquillità, come se stesse parlando della cena del giorno prima.
«Poi tu sei venuta qui a Volterra, con Alice e Bella, quando il giovane Edward voleva porre fine alla sua vita» disse pronunciando quei nomi con aria sognante. «E abbiamo notato che avevi qualcosa in comune -più di qualcosa, oserei dire- con la donna-lupo uccisa molti anni prima».
Ci fu un attimo di pausa e poi continuò: «E quando siamo venuti a trovare Renesmee, nel vostro piccolo esercito c'erano dei lupi giganti. Sai cosa ci ha ricordato?».
Restai in silenzio, capendo cosa stava per citare.
«Quando abbiamo distrutto il branco del tuo amico, c'era un lupo gigante. È stato difficile ucciderlo, ma è avvenuto». Un'altra pausa. «Ci abbiamo riflettuto e abbiamo capito. Però abbiamo aspettato, perché non era ancora il momento adatto».
«E adesso?» chiesi guardandolo, fingendomi calma.
«Adesso dobbiamo scegliere se farti stare qui o ucciderti. Abbiamo visto che, come Renesmee, non sarai un pericolo, è vero... Ma non si sa mai... Meglio se stai qui, no?».
«Non mi unirò mai a voi» risposi immediatamente, disgustata.
Aro si strinse nelle spalle. «Portatela giù. E tu... Riflettici, ne va della tua vita» sorrise prima di guardare fuori da una finestra. Il cielo era scuro, coperto da dei grossi nuvoloni grigi.
Il portone si aprì ed entrò un'alta vampira bionda, bella quanto Rosalie. Me la ricordavo, l'avevo vista quando eravamo venuti a salvare Edward. Noi stavamo andando via e lei stava portando dei turisti umani dentro, come pasto per i Volturi.
«Heidi?» chiese Aro, sorridendo quasi divertito.
«Stanno arrivando, mio Signore» rispose lei, entrando nella sala. Accennò un breve inchino.
«Oh, finalmente» sorrise lui, tornando verso il trono. «Portatela giù» ripetè a guardando Felix.
Mi bendarono di nuovo, anche se questa volta provai a ribellarmi. Poi mi trascinarono giù.
«Chi sta arrivando?» chiesi, ma non mi risposero, mentre mi buttavano nuovamente nella cella buia.
Forse la fine era vicina.
Camminavo dietro agli altri, in silenzio. Ero preoccupato e agitato, ma cercavo di non darlo a vedere. Il cielo era nuvoloso e un lieve venticello mi scompigliava i capelli, mentre tenevo le mani tra le tasche del giubbotto.
Non avevo freddo, ma era un'abitudine che mi ricordava la mia umanità perduta, così come il vizio del fumo.
Guardavo Derek davanti a me e provavo invidia. Lui, in parte, era ancora umano: poteva invecchiare e morire. Persino adesso, mentre saliva sul bordo dell'ampia fontana davanti a noi, ero invidioso. Il ragazzo si sporse e posò una mano sul pilastro al centro della fontana, da dove uscivano degli zampilli d'acqua. Avvicinò la bocca ad uno di essi e bevve.
Lui poteva bere... io no.
Allungai comunque una mano verso l'acqua, lasciai che si riempisse, e poi me la portai alla bocca. Il liquido era caldo, ma presumevo che, in realtà, fosse freddo. Tutto era più caldo di me, anche il ghiaccio.
Derek percorse a piedi un tratto del bordo della fontana e poi saltò giù.
Continuai ad osservarlo.
Ancora non riuscivo a capire come Chiara potesse preferirlo a me. Forse era perché era più umano di me, ed era più soprannaturale del me umano.
Ma era egocentrico. E selvatico.
Continuava a starmi decisamente antipatico, anche se... forse, un giorno, avremmo potuto fare amicizia.
Guardai Carlisle ed Edward, in testa al gruppo, e mi passai una mano tra i capelli. Avevamo deciso che ci saremmo divisi, per provare a distrarre i Volturi e a trovare Chiara. Sarebbero tutti entrati dal retro, per andare nel vero covo dei Voluri, mentre io, Derek ed Emmett saremmo passati dall'ingresso aperto ai normali visitatori umani. Avremmo finto di visitare il Palazzo dei Priori e magari la torre campanaria, per poi inoltrarci in un passaggio che Carlisle mi aveva mostrato tramite il suo passato -stavo diventando abbastanza bravo con il mio potere-.
Aveva visto delle celle, quando era stato ospite dai Volturi, ma non sapeva se fossero le stesse dove adesso poteva trovarsi Chiara.
«Noi andiamo. Voi provate a trovare Chiara. In qualche modo... Ci rivedremo» disse Carlisle, con una strana oscurità negli occhi. Aveva paura, lo sapevo, e la cosa era così strana. Carlisle era la colonna portante di quel clan; lo avevo davvero capito nel poco tempo vissuto con loro come un vampiro, un membro a tutti gli effetti. Sapere che aveva paura mi gettava in un mare di confusione, non sapevo cosa fare.
Stavamo davvero per fare una cosa così pericolosa?
Ci salutammo e poi il mio gruppo andò verso il Palazzo dei Priori. Era una costruzione immensa, costruita con delle pietre di uno strano grigio-marroncino. Sulla sommità, si ergeva l'imponente campanile.
Entrammo e mi guardai intorno. La sala era immensa e molti turisti stavano leggendo le informazioni segnate sui pannelli appese alle pareti. Andai verso una scala, sapendo che ci avrebbe portato alla torre, anch'essa visitabile.
Però mi fermai ad una porta, dove c'era scritto "vietato l'ingresso ai non addetti" in italiano e inglese, con il simbolo di un omino e la mano nera sbarrata dal cerchio rosso con la diagonale del medesimo colore.
La maniglia era molto dura, ma non per un vampiro. Superammo la porta senza farci vedere e ce la chiudemmo alle spalle.
Davanti a noi si trovavano degli scalini stretti e ripidi, che scendevano in giù.
Guardai i miei compagni, che annuirono.
Presi un bel respiro, avvertendo l'umidità salire dalla profondità del corridoio, e iniziammo a scendere.
La fine era sempre più vicina, ne ero certo.
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