31. Un lungo viaggio
Staccai la penna dal foglio, annuendo. Sì, ero convinto. Era un'idea stupida, ma ne ero convinto.
Sarei scappato di casa. Sarei andato da Chiara e sarei stato con lei.
Non sapevo assolutamente perché volessi farlo, ma, dopo quel bacio, quella notte di circa un mese fa, avevo capito che... no, non mi piaceva. La amavo.
Volevo stare con lei, sempre.
Ero stato un cretino ad averla trattata in quel modo, sapevo benissimo che il responsabile della morte di mia nonna era quel bastardo di Derek.
Stavamo insieme? Non lo sapevo.
Lei mi aveva baciato, ubriaca, poi io l'avevo baciata il giorno dopo e lei aveva ricambiato, poi eravamo stati tutto il pomeriggio a casa mia, visto che i miei genitori non c'erano, e la sera l'avevo riportata in aeroporto e lei era partita. Ci scrivevamo circa un giorno sì e un no, ma non ci eravamo mai detti se eravamo tornati insieme o meno.
Avevo scritto cinque lettere: una per mia madre, una per mio padre, una per Brian, una per Alexis e una per Kanai'i.
Quella per il mio fratellino era stata la più difficile. Sapevo bene quanto era legato a me, quanto era sensibile e quanto la mia partenza lo avrebbe distrutto. Gli avevo scritto di essere forte, un guerriero, così come il suo nome preannunciava che fosse; Kanai'i, in hawaiano, significa "forte guerriero", e speravo che lo fosse. I miei genitori avrebbero passato il tempo a cercarmi, e io speravo tantissimo che lui fosse forte, che gli restasse accanto.
Speravo anche che tutti e tre non rimanessero troppo addolorati.
Mi alzai, chiudendo l'ultima lettera "A Kanai'i" c'era scritto in corsivo, con la mia grafia tondeggiante che lui mi invidiava. Sorrisi malinconicamente, quel piccolo guastafeste mi sarebbe mancato.
«Andreaaaaaaaaaaa!» urlò proprio la sua vocetta acuta, ancora quella dei bambini. Quando avrebbe iniziato a cambiare tono io non ci sarei stato e non avrei potuto prenderlo in giro per i suoi cambi involontari di tonalità: acuta, grave, acuta. Lanciai il libro di storia, il primo che avevo vicino a me, sulle lettere, per coprirle e sorrisi.
«Ciao» dissi al ragazzino, che mi abbracciò felice.
«Ho preso dieci in matematica! Dieci! Di-e-ci!» saltellò per la camera.
«Bravo» ridacchiai scuotendo leggermente la testa.
«Quindi ci guardiamo un film?» chiese fermandosi.
«Non hai da studiare?».
«No! Assolutamente no! E domani è sabato! Voglio fare una maratona di... non lo so... Pirati dei Caraibi?» propose sorridendo.
Annuii e sorrisi. «Va bene, andiamo». Dopotutto, gli avevo promesso che avremmo fatto una maratona proprio di quei film se fosse andato bene in matematica (ed ero sicuro che sarebbe andato bene).
«Se ci sbrighiamo riusciamo a vedere i primi due film prima di cenare!» esclamò lui uscendo dalla camera e correndo giù per le scale.
Un po' malinconico lo seguii. Non ero più sicuro di fare quello che avevo deciso.
Scappare di casa... Forse era una pessima idea.
Kanai'i si sarebbe sentito in colpa per motivi ignoti e mamma e papà sarebbero stati distrutti dalla perdita di un figlio. Speravo solo che non si arrabbiassero e non si iniziassero a dare la colpa l'un l'altro; al massimo, volevo che odiassero me per averli lasciati. Dovevano starsi accanto ed essere forti. Se io ero felice con Chiara, volevo che anche loro lo fossero.
Scesi le scale e poi mi sedetti vicino a Kanai'i, mentre le parole che gli avevo scritto continuavano a girarmi nella testa. Vedevo proprio la lettera lì, davanti a me.
Caro Kanai'i,
Non so quando leggerai questa lettera ma, quando lo farai, presumo che sarò già andato via.
Non essere triste, ti prego. Io ho deciso di andare via e sto bene.
Non è colpa tua né di nessun altro. Quindi non sentirti in colpa, ti prego.
Mi dispiace di aver fatto quello che ho fatto, ma c'è un motivo sotto, davvero.
Adesso so che sei triste, forse stai anche piangendo. So che non mi odi, ma preferirei decisamente che mi odiassi invece che saperti triste a piangere per colpa mia. Cerca di stare vicino a mamma e papà, anche loro saranno tristi.
Tu devi essere forte, ok?
Io ho dovuto farlo, ho dovuto andare via.
Magari poi tornerò, non lo so.
Non cercatemi, però, ok? Non mi serve. Sto bene e so come tornare a casa.
Tu sii forte, va bene? "Kanai'i" significa "forte guerriero", ricordi? Me lo avevi detto un giorno, circa una settimana dopo il tuo arrivo.
Ti voglio bene, piccola peste. E ricordati che non è colpa tua.
Nel posto dove sono andato adesso sono felice. (No! Non sono morto!)
Ti voglio bene. E spero che anche tu riesca ad essere felice.
Ti prego, non piangere più per causa mia.
Voglio pensare che tu sia felice. Ieri ci siamo visti i "Pirati dei Caraibi", i tuoi film preferiti. È stato bello, no? Ti avevo promesso che li avremmo visti per la milionesima volta se fossi andato bene in matematica e... visto che sei andato bene... beh, li abbiamo guardati. Era da tanto che non facevamo qualcosa del genere ed è stato fantastico.
Scusa se ti ho ferito, deluso, o qualsiasi altra cosa... Ti voglio bene :)
Andrea
Abbracciai un po' più forte il corpicino del bambino, che ormai da mesi non voleva più essere chiamato "bambino", e cercai di godermi i film, per poter rendere sincere le parole che avevo già scritto riguardo alla serata che stavamo passando proprio in questo momento.
I nostri genitori si unirono a noi e mangiammo la pizza seduti sul divano a guardare i film.
Mi ero divertito davvero, adesso la lettera era sincera.
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[Giorno 1]
Mi svegliai il mattino poco dopo l'alba, alle 5.30 a.m., a detta dell'ora scritta sul display del telefono.
Mi girai verso Kanai'i, con il quale avevo dormito nel suo letto, e sorrisi sentendo gli occhi lucidi.
Gli diedi un bacio tra i capelli e poi mi alzai, attento a non fare rumore.
Mi diressi in camera mia e mi cambiai velocemente. Presi uno zaino grande, nel quale avevo infilato qualche oggetto importante e dei vestiti, e uno zainetto contenente le cose di prima necessità.
Mi diressi alla scrivania e spostai il libro di storia, prendendo le lettere che erano ancora lì sotto. Le controllai velocemente: mamma, papà, Kanai'i, Brian e Alexis.
Presi le chiavi della moto ed uscii fuori da camera mia. Le feci una foto con il cellulare, prima di chiudere la porta e poi andai in quella dei miei genitori.
Dormivano sereni ed ignari di tutto. Posai le lettere sul comò vicino all'ingresso e poi andai da Kanai'i. Misi la lettera sul suo comodino e lo osservai per un attimo dormire, poi mi voltai.
Scesi le scale e andai nel garage. Aprii il portone di ferro e accesi la moto. Uscii fuori immediatamente e poi corsi a richiudere tutto. Speravo solo di non aver svegliato nessuno.
Feci una foto alla facciata della casa, salii in sella alla moto e mi diressi prima a casa di Alexis, poi a quella di Brian.
Lasciai le lettere nelle loro cassette della posta e andai via da Forks.
Sapevo all'incirca dove andare, mi fidavo del navigatore del telefono.
Sicuramente non avrei fatto tutto quel viaggio in un giorno, anche se avrei tanto voluto. Diceva che ci avrei messo un giorno e ventidue ore.
Avevo deciso che avrei viaggiato per tredici ore e nove minuti, a detta del navigatore. Da Forks, nello Stato di Washington, fino a Prince George, nella Columbia Britannica. Avrei anche dovuto prendere un traghetto, e speravo solo che non mi facessero troppe domande.
Viaggiai davvero fino a lì.
Mi fermai solo per fare colazione, andare in bagno, fare pranzo, andare in bagno, fare benzina, fare cena e andare in bagno.
Arrivai verso le 10.30 p.m. e trovai un motel sulla strada. Distrutto, mi buttai sul letto e, dopo aver messo la sveglia alle sette di mattina, mi addormentai.
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[Giorno 2]
La sveglia mi sveglio il mattino dopo. Ero un po' confuso e avevo male a tutti i muscoli.
Tra l'altro, mi resi conto di non aver nemmeno letto i messaggi che mi erano arrivati il giorno precedente.
Li guardai e sospirai. I miei genitori, Brian, Alexis, Kanai'i, dei compagni di scuola, tutti mi avevano cercato. Risposi a tutti che stavo bene, poi mi vestii e feci velocemente colazione.
Alle otto partii. Questo secondo giorno sarebbe stato quello con il viaggio più lungo, quasi sedici ore.
Sarei andato da Prince George fino al Watson Lake, nel territorio dello Yukon.
Anche questa volta mi fermai solo per mangiare, fare benzina e andare in bagno e arrivai a destinazione verso l'una di notte. Di nuovo, mi buttai sul letto e sprofondai in un lungo sonno senza sogni.
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[Giorno 3]
Alla sette del giorno dopo la sveglia suonò di nuovo. Rimasi a letto per una mezz'ora in più, non avevo la forza per alzarmi, non sapevo nemmeno dove mi trovassi.
Risposi di nuovo ai messaggi preoccupati dicendo che stavo bene, quasi senza leggere quello che c'era scritto, poi mi alzai, mi vestii, feci colazione e partii.
Avrei dovuto viaggiare per dieci ore e venti minuti, fino a Beaver Creek.
Arrivai lì alle dieci di sera, avevo fatto più fermate e decisamente più lunghe, la fatica si stava facendo sentire e avevo paura di addormentarmi da un momento all'altro, per questo mi ero fermato spesso e mi ero riempito di caffè, sperando che potessero aiutarmi.
Mi ero reso conto che, durante il viaggio, non mi guardavo quasi mai intorno e ricordavo poco nulla dei territori attraversati.
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[Giorno 4]
Il giorno dopo mi svegliai alle nove e mezza. Non avevo sentito la sveglia.
Mi preparai il più in fretta possibile e poi partii.
Avrei dovuto viaggiare per circa sette ore e trenta minuti, poi sarei arrivato a destinazione.
Mi fermai solo per fare pranzo e per andare in bagno. Non volevo fare più fermate, perché volevo arrivare in fretta da Chiara, a Denali.
Sperando che fosse ancora lì. In questi giorni non ci eravamo sentiti e, forse, era andata via con la famiglia.
Sorrisi, nel pomeriggio, quando raggiunsi le montagne innevate. Sapevo di essere quasi arrivato.
Alla sera, finalmente, arrivai. Non sapevo precisamente che ora fosse e per quanto avessi cercato quella casetta dispersa, che non era segnata nel navigatore, ma arrivai.
Ero sicuro che fosse il posto giusto, Chiara mi aveva inviato una foto.
Sentendo il rombo della mia moto, delle figure, ancora troppo lontane per poterle riconoscere, uscirono dalla casa. Vidi poi una ragazza che sembrava Chiara, ma ero così confuso che non ne ero certo.
Alzai una mano per salutare, sperando che non fossero tutti degli sconosciuti a caso e potenzialmente pericolosi.
Poi, però, successe
Senza che me ne rendessi conto, persi il controllo sulla moto. La vista mi si oscurò e mi sentii cadere. Avvertii il tonfo contro il terreno innevato, o forse me lo ero solo immaginato?
Poi, comunque, tutto restò nero e senza suoni.
Scesi le scale con la collana di Derek al collo. Avevo deciso, sarei andata a cercarlo.
Carlisle e gli altri sarebbero tornati il giorno seguente nella casa in Inghilterra. Mi avevano proposto di restare qui a Denali ancora per qualche giorno e inizialmente avevo accetto, però, durante la notte e per tutto il giorno, ci avevo pensato meglio e non era proprio quello che volevo. Preferivo tornare con loro e andare poi a cercare Derek, anche se non avessero voluto.
Dovevo scoprire qualcosa. C'erano troppi misteri intorno a quel ragazzo.
Mi fermai sul pianerottolo, vicino ad una grossa finestra. «Carlisle, posso parlarti?» chiesi vedendolo alla base delle scale a parlare con Garrett.
«Un attimo» mormorò al vampiro e poi si voltò verso di me, sorridendo «Certo».
Accennai un sorriso. Carlisle era sempre disponibile per noi.
Scesi qualche scalino, anche sepo mi fermai non appena un rumore turbò la quiete che aleggiava sempre intorno alla casa del clan di Denali. Un rumore a me familiare.
«Una moto?» sentii mormorare da Garrett, stupito quanto noialtri.
Tornai indietro e mi affacciai alla vetrata, sobbalzando quando riconobbi la moto rossa di Andrea. Ultimamente non ci eravamo sentiti, ma... non poteva davvero essere venuto fino a qui in moto.
«Un umano?» esclamò Tanya, confusa. Tutti uscirono fuori e li seguì anch'io.
«Ma non è l'odore di Andrea? Non è la moto di Andrea? Non è Andrea?» chiese Emmett, voltandosi verso di me.
Uscii dalla porta e restai confusa.
«Sì... sono i suoi pensieri... confusi...» mormorai. Cosa ci faceva qui?
«Cosa ci fa qui?» domandò Rosalie, con tono acido.
«Non... non lo so...» ammisi.
La moto si avvicinava sempre di più e sì, era per forza Andrea.
Senza sapere perché, avvertii i battiti del mio cuore in aumento e un sorriso mi si dipinse sul viso.
Il ragazzo alzò una mano per salutarci e poi vidi la moto sbandare.
«Andrea!» esclamai correndo immediatamente verso di lui, mentre la moto si piegava su di un fianco e lui veniva trascinato a terra.
Carlisle mi raggiunse e, anzi, mi superò, inginocchiandosi di fianco al ragazzo privo di sensi.
Sentii la bocca dello stomaco chiudersi per l'ansia, mentre un forte odore di sangue si spandeva nell'aria. Mi fermai e osservai, impietrita.
§§§§§§Nota dell'autrice§§§§§§
Salve a tutti! Come state?
Per curiosità, vi aggiungo lo screenshot del viaggio che ha fatto Andrea con tutte le sue tappe (e che ho cercato con Google Maps 😂):
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