27. Un anno dopo...
Circa 10 mesi dopo il 31 dicembre
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OTTOBRE
Segnai una croce su un altro giorno del calendario e sospirai. Tra cinque giorni sarà un anno che siamo partiti da Forks. Pensai mentre mi allontanavo per andare alla finestra ad ammirare il solito bosco coperto dalla pioggia.
Lanciai un'occhiata alla cartolina attaccata sulla parete al mio fianco e sorrisi. L'avevo presa con Alexis quando, durante l'estate, eravamo andate per due settimane al mare, solo noi due... o quasi. Per fare dire di sì ai genitori della mia amica, Carlisle aveva detto che anche lui ed Esme sarebbero stati presenti. Alla fine, non potendo uscire alla luce del sole, si erano inventati mille scuse per non venire o per restare chiusi in casa tutto il giorno.
Mentre io ero via con Alexis, Jasper ed Alice erano andati a trovare Peter e Charlotte (i loro amici nomadi che secoli prima avevano vissuto per un po' con Jasper), Emmett e Rosalie erano andati in vacanza da un'altra parte e Bella ed Edward si erano concessi una gita in Nord-Europa.
In conclusione, per due settimane eravamo state io, Alexis, Jacob e Renesmee a divertirci. Inoltre, Nessie e la mia amica si erano subito affezionate tantissimo.
Durante il resto dell'anno ero andata altre volte a Forks, stando a casa di Jacob, e avevo passato il tempo con lui, Seth, Alexis e Brian. Avevo accuratamente evitato di incontrare Andrea, che stavo cercando di dimenticarmi. L'odio con il quale mi aveva guardato la notte di capodanno mi era rimasto ben impresso.
Sospirai e tornai a fissare il vuoto fuori dalla finestra. In teoria, tra tre giorni, sarebbe dovuto arrivare Jacob, accompagnato da Seth. Ultimamente veniva spesso anche lui, e la cosa non mi dispiaceva affatto, anzi, ero decisamente felice di poter passare un po' di tempo con il mio migliore amico. La sua presenza mi faceva sentire meno lontana da Forks, quella che consideravo a tutti gli effetti la mia casa.
Oltre a questo, durante quell'anno non avevo fatto quasi nulla di interessante, a parte scegliere di smettere di trasformarmi, decidere più volte di andare a cercare Derek e poi cambiare idea, andare a Denali e ricevere la visita di Benjamin e Tia.
Avevo smesso di trasformarmi per poter riprendere ad invecchiare. Come i licantropi Quileute, ero immortale, a meno che non smettessi di trasformarmi per molto tempo; in quel caso, avrei ripreso a crescere. Billy ci aveva raccontato che spesso i licantropi decidevano di non trasformarsi più, per poter invecchiare e morire insieme ai loro cari. Io volevo fare qualcosa di simile. Certo, nessuno dei Cullen, Renesmee compresa, sarebbe morto di vecchiaia, così come Jacob, ma io volevo crescere ancora un po'. Se non fossi invecchiata minimamente, prima o poi, Alexis se ne sarebbe accorta, e avrei dovuto smettere di frequentarla. Così, pur di conservare il più a lungo possibile la nostra amicizia, avevo deciso di tornare ad essere mortale, giusto per qualche anno.
I primi giorni era stato piuttosto difficile smettere di trasformarsi, soprattutto quando vedevo tutti gli altri che andavano a caccia ed io non potevo. O meglio, avrei potuto, ma evitavo di farlo. Avevo paura di trasformarmi e cadere nella tentazione di riprendere a farlo sempre, bloccando nuovamente la mia crescita.
A dir la verità, non ero ancora invecchiata in modo molto visibile, ma ci voleva del tempo prima che l'effetto delle trasformazioni, che ci rende immortali, passasse del tutto.
Riguardo a Derek, invece, ero stata più volte tentata di andarlo a cercare, ma avevo sempre cambiato idea all'ultimo. Lasciare la mia casa, un posto conosciuto e sicuro, per andare da lui, mi sembrava così pericoloso e non ero nemmeno sicura che la collana che mi aveva dato funzionasse davvero. Volevo vedere un'ultima volta quel lupo ma come potevo andarmene senza sapere dove sarei finita? Da quanto avevo capito, il suo branco ero piuttosto rigido, potevano benissimo non accettarmi e non avrei voluto scontrarmi con loro. Inoltre, avrebbero potuto avere cattive intenzioni e volere tentare di catturarmi per costringermi a stare lì. E i Cullen? Loro non mi avrebbero mai lasciata partire.
Sospirai ed aprii il primo cassetto di un comodino vicino alla scrivania, per tirare fuori la collana di Derek. Andai a sdraiarmi nel letto e, mentre fissavo il soffitto, la strinsi nel pugno, pensando intensamente a quel licantropo.
Sorrisi quando, come se fosse un sesto senso, percepii dove si trovava Derek. Non sapevo il luogo preciso, ma sapevo, più o meno, dove andare. Osservai la pietra di un azzurro intenso, incastonata nel cerchio di legno intagliato ed accarezzai dolcemente le due piume, una bianca e l'altra nera. Prima o poi ci andrò. Mi dissi prima di alzarmi per andare a mettere la collana al suo posto. Appena ebbi chiuso il cassetto, qualcuno bussò alla porta. «Avanti» dissi anche se, dal tocco leggero e dai pensieri, avevo già riconosciuto Carlisle.
Il vampiro biondo entrò sorridendo dolcemente, come suo solito. «Come stai?» domandò mentre chiudeva la porta alle sue spalle.
«Bene» risposi guardandolo. «Com'è andato il turno in ospedale?».
«Non male» sorrise appoggiandosi al mio tavolo, un gesto così inutile per un vampiro, ma talmente umano da non farlo sembrare tale. «Anche se qui ci sono meno abitanti che a Forks e non c'è granché da fare in ospedale» ammise.
«Allora anche a te manca Forks» commentai ridacchiando.
«Decisamente» rispose guardandomi con i suoi occhi dorati tendenti al nero, segno che non cacciava da qualche giorno. «Ma sai che, prima o poi, saremmo dovuti partire. Volenti o nolenti, questo momento sarebbe arrivato».
«Lo so...» sospirai abbassando lo sguardo.
Carlisle si sporse leggermente verso di me, per potermi cingere delicatamente le spalle con un braccio. «Torneremo, lo facciamo sempre» mormorò.
«So anche questo...» borbottai.
Come se avesse letto i miei pensieri, disse: «So che tu sei dispiaciuta perché non puoi stare con i tuoi amici, e, quando torneremo, sarà passato troppo tempo perché siano ancora in vita, ma abbiamo trovato un buon compromesso, no?» chiese lanciando un'occhiata alla cartolina che avevo preso con Alexis.
«Sì...» risposi poco convinta, alzando lo sguardo e sorridendo debolmente. «Carlisle...» dissi dopo un attimo di silenzio «Sei qui per qualche motivo?».
«Sì» confermò guardandomi «Ma non leggermi i pensieri, deve essere una sorpresa».
Mi strinsi nelle spalle, leggermente stupita. «Ehm... ok... cosa c'è?».
«Partiamo» disse e io lo fissai stupita «Solo per una settimana, niente di che, andiamo a trovare Tanya e gli altri a Denali».
«Ah, ok» risposi «E... perché?».
«Nessun motivo» disse Carlisle sorridendo gentilmente «Ci hanno chiesto se volevamo andare e noi abbiamo accettato. Volevo solo essere sicuro che anche tu avessi voglia di venire».
Annuii. «Sì, va bene» dissi. Magari avrei passato altri momenti divertenti con Garrett. Lui era un vampiro nomade che avevamo "reclutato" come testimone, quando la minaccia dei Volturi incombeva su di noi. Io stessa ero andata a cercarlo con Rosalie ed Emmett, in Inghilterra. Lo avevamo trovato mentre stava cacciando e vedergli uccidere un umano indifeso non mi era piaciuto molto. Alla fine, però, si era dimostrato simpatico e leale, e aveva deciso di cambiare vita quando, casa nostra, aveva incontrato Kate, una dei membri del clan di Denali, e si era perdutamente innamorato di lei. Dopo la quasi-guerra con i Volturi aveva deciso di dire per sempre addio alla sua vita di vampiro nomade ed era entrato in quel clan, decidendo anche di nutrirsi di soli animali.
Carlisle sorrise e si allontanò, aprendo nuovamente la porta. «Bene» disse «Penso che partiremo domani mattina».
Restai stupita «Ma... Jake e Seth...» iniziai a dire, senza concludere la frase. Loro sarebbero venuti qui tra tre giorni!
«Ci raggiungeranno lì» rispose Carlisle dolcemente. «Ero anche venuto per dirti che, tra poco, è pronta la cena» aggiunse.
Anuii «Ok, due minuti ed arrivo».
Il vampiro sorrise leggermente e chiuse la porta. Sentii i suoi passi leggeri allontanarsi e scendere le scale, mentre tornavo a sdraiarmi a pancia in su sul letto. Eravamo già andati a Denali durante quell'anno trascorso lontano da Forks e, grazie soprattutto a Garrett e alle visite di Seth, non era stato così male.
Sorrisi leggermente ricordandomi, per nessun motivo in particolare, i momenti vissuti con i testimoni a casa nostra. Tutto sommato, mi ero divertita. Vedere così tanti vampiri diversi, molti dei quali avevano un loro talento particolare, mi aveva affascinato un sacco.
In particolare, ero stata colpita dal talento di Zafrina, da quello di Bella che si era sviluppato nel corso del tempo e, soprattutto, da quello di Benjamin.
La prima era una vampira che veniva dalla foresta Amazzonica ed era in grado di far vedere alle persone quello che voleva lei; un po' come Alice, ma le sue non erano visioni e non doveva per forza toccare qualcuno come Renesmee.
Bella, invece, poteva creare uno scudo. Ovvero, poteva proteggere chiunque da degli attacchi mentali, come quelli di Jane e suo fratello Alec, o, più semplicemente, dalla capacità mia, di Edward e di Aro di leggere la mente. Mentre aspettavamo con ansia l'arrivo dei Volturi si era esercitata davvero tanto e, alla fine, era riuscita ad estendere questo scudo su tutti noi: circa ventisette vampiri e diciassette licantropi.
Benjamin aveva la capacità di controllare gli elementi. Se ci fosse stata una battaglia, il suo talento sarebbe stato veramente molto utile. Inoltre, era uno dei vampiri, insieme a Garrett ed Alistair, al quale mi ero maggiormente affezionata. Ero andata io stessa, in Egitto, a prenderlo con Carlisle ed Esme. Anche se i miei genitori adottivi volevano solo contattare il capoclan Amun e la sua compagna Kebi, senza conoscere l'esistenza del giovane vampiro talentuoso e di Tia, la sua compagna.
Inizialmente, Amun si era rifiutato di aiutarci, ma poi era intervenuto Benjamin che, bloccando la porta con un muro d'acqua, aveva impedito ad Amun di buttarci fuori, ed aveva accettato di unirsi a noi.
Proprio lui e Tia, circa tre mesi prima, erano venuti a trovarci. Non c'era nessun motivo in particolare, solo, avevano voglia di rivederci. Ci avevano raccontato di essere stati a Forks e, non trovando nessuno a casa nostra, avevano tentato l'azzardo di entrare nella riserva dei Quileute per chiedere spiegazioni. Per loro fortuna, Sam li aveva riconosciuti immediatamente e li aveva portati da Jacob, il quale li aveva personalmente accompagnati da noi.
Avevo gradito moltissimo quella visita, soprattutto perché Benjamin mi era molto simpatico e, sia io che Renesmee, eravamo innamorate del suo talento.
Il mio telefono che squillava per una telefonata mi distolse dai pensieri. Sorrisi immediatamente leggendo il nome di Alexis sul display.
«Ciao» risposi.
«Chiara! Come stai?» esclamò lei.
«Tutto bene, grazie. Tu come stai?» chiesi ricordandomi solo in quel momento che sarei dovuta andare a cenare.
Mi strinsi nelle spalle, ci sarei andata dopo.
«Bene, bene, grazie. Come va in Inghilterra, hai fatto qualcosa di interessante?».
«Negli ultimi due giorni che ci non siamo sentite? Mh... no, direi di no» risposi ridacchiando.
«Sì, in effetti, nemmeno io ho fatto qualcosa, ma, sai com'è: Forks è Forks».
Risi divertita per quell'affermazione. «Guarda che questo posto è più piccolo di Forks».
«Mh... hai ragione... ma magari è più interessante! Hai un sacco di cose nuove da scoprire!».
«Ehm... no. Direi di no» risposi. Mi ero rifiutata di andare a scuola ed evitavo anche di andare nel paesino vicino a casa nostra -che, come a Forks, era dispersa nei boschi-. Sapevo anche perché mi ostinavo a restare isolata: non volevo incontrare altri umani e fare la stessa fine che avevo fatto con Andrea. Era decisamente una cosa stupida, ma era più forte di me.
«Daiii, nessun ragazzo carino a scuola? Nulla di cui parlare?» chiese lei.
«No» ridacchiai «Piuttosto, come sta Brian?» domandai per cambiare argomento.
«Mah, bene. Cioè, più o meno».
«In che senso?» chiesi preoccupata. Gli era forse successo qualcosa?
«Nel senso che si è fatto male durante educazione fisica, si è rotto tipo la mano, e sembra che sia venuto giù un meteorite» ridacchiò «Hai presente che quando sta male, per lui, è sempre una tragedia? Ecco, immagina ora».
Ridacchiai immaginandomi la scena. Brian odiava stare male. Se aveva la febbre e doveva stare a casa, lo odiava perché non voleva perdere giorni di scuola e restare indietro con il programma; se stava male in modo più grave lo odiava perché non voleva essere un peso per nessuno. Quando, in prima media, si era slogato la caviglia e per tre giorni aveva avuto difficoltà a camminare, noi ci eravamo gentilmente offerti di portargli lo zaino, per aiutarlo. Brian, per ben due settimane si era sentito in colpa e continuava a scusarsi, senza alcun motivo! «Come ha fatto a rompersi la mano?» chiesi.
«Sai che non lo so precisamente?» rispose lei «In teoria, gli hanno lanciato la palla da basket con troppa forza, lui l'ha presa male e... crack».
Trasalii «Ah... poverino...» mormorai.
«Già, e... è stato Jeremy a lanciargli la palla. Il professore si è arrabbiato un casino con lui, ma ben gli sta! Oltretutto, mentre Brian si lamentava per il dolore, lui rideva dicendo di non averla tirata troppo forte. Poi... sai chi è intervenuto?» Alexis non aspettò la mia risposta e continuò: «Andrea. Sì, come sai, passa poco tempo con noi, spesso sta con Jeremy. Ma quando, ieri, Brian è stato colpito e Jeremy rideva, Andrea è andato da Jeremy e, visto che non la smetteva di ridere, lo ha picchiato! Sì, gli ha tirato un pugno solo per difendere Brian! Certo, poi il prof. si è arrabbiato anche con lui e sono finiti entrambi dalla preside, ma... cioè, hai visto? È intervenuto proprio lui che, ultimamente, se ne sta zitto e depresso in un angolo».
Scossi leggermente la testa, apprendendo la notizia di Jeremy che rideva, era una sua caratteristica che odiavo, e poi trattenni il respiro appena Alexis iniziò a raccontare di Andrea. «Ah...» mormorai alla fine. Solitamente, non parlavamo mai di lui. Io non volevo parlarne.
«Sì, so che non ti piace parlarne, ma... hai sentito? Wow».
«Mhmh... wow... sì...» commentai guardando il soffitto bianco. «Come... come sta?» chiesi alla fine. Avevo capito che, se la mia amica stava insistendo su questo argomento, forse c'era un motivo. E poi, era una domanda lecita, no? Prima di essere fidanzati eravamo amici, quindi... potevo chiedere come stava, giusto?
«Beh... diciamo...» rispose lei.
«Cioè?» chiesi confusa.
«Ecco... ultimamente, come ti ho detto, se ne sta zitto e depresso in un angolo. Non sta nemmeno più con Jeremy. Cioè, immagina che sta per un 70% del tempo da solo, un 20% con Jeremy e un 10% con me e Brian» disse prima di ridacchiare «Sì, ho una verifica di matematica domani».
Ridacchiai anch'io, scuotendo leggermente la testa, divertita dal suo modo di fare. «E... sapete perché?».
«Forse. Quando io e Brian glielo abbiamo chiesto, non ci ha risposto, ma poi abbiamo realizzato che, domani, sarà un anno dalla morte di sua nonna...».
Impallidii. «Ah...» mormorai ricordandomi perfettamente la scena. La litigata tra me e Andrea, la mia trasformazione, la donna con il fucile, l'arrivo di Derek e la sua fuga, la donna morta e la disperazione di Andrea.
«Già... sai, forse dovresti parlargli...».
«Cosa?!» chiesi immediatamente «No, no, assolutamente no. Non andrò a parlare con lui, non vuole vedermi».
«Ma potresti anche solo inviargli un messaggino...».
«No, meglio di no» risposi sospirando. Lo avrei fatto, ma non potevo.
«Chiara, io ho paura che faccia qualche cosa di molto stupido e pericoloso... secondo me, solo tu puoi fermarlo...».
«No, non posso farci nulla» dissi alzandomi. «Senti, adesso devo andare a mangiare, ci sentiamo poi».
«Mh... ok... ciao».
«Ciao» la salutai prima di chiudere la chiamata e lasciare cadere il telefono sul letto.
No che non sarei andata a trovare Andrea.
Voleva fare qualcosa di stupido e pericoloso? Affari suoi.
Non era colpa mia se sua nonna era morta, e non toccava a me andare a fermarlo.
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