2^ Prova- Mea Culpa

Titolo: Mea Culpa
OTP: Hansy (?)

Hogwarts, 2 Giugno 1996, 14.50

Pansy vide Harry alzarsi dal tavolo dei Grifondoro con un profondo sbadiglio.

Era sazio, lo si vedeva dallo sguardo spento con cui osservava i piatti degli altri ragazzi.

Ronald Weasley, quel rossiccio da quattro soldi, si tirò sù in modo talmente rozzo da farle storcere il naso.

Ma d'altronde, da un ragazzo che è stato cresciuto dai traditori del loro stesso sangue, cosa ci si poteva aspettare?

Harry le lanciò un'occhiata veloce, e poi si voltò ad aspettare Hermione Granger, quella sporca babbana.

Pansy represse un moto improvviso di rabbia.

Era talmente odiosa quella ragazzina, che le veniva voglia di aizzarle contro un'Anteoculatia* lì, in Sala Grande, di fronte a tutti, al solo vederla passare.

Chissà, delle corna probabilmente si sarebbero abbinate perfettamente a quel paio di dentoni che si ritrovava.

Sorrise fra sé, mentre tornava con lo sguardo al suo tavolo.

Ancora più disgustoso.

Crabbe e Goyle, le due spalle di Draco, s'ingozzavano come maiali.

Sembrava che non mangiassero da giorni.

«Ragazzi, fate schifo!» commentò acido Draco, dando voce ai suoi pensieri.

Ah Draco, lui sì che era un mago vero.

Sangue nobile, raffinato, sapeva tenere testa anche al più sfrontato dei mezzosangue.

O a persone come Harry Potter.

Represse un brivido.

Quello che aveva cominciato a provare per Harry Potter, non era niente di rassicurante.

Ogni Serpeverde, quando vedeva Pansy, sapeva che presto sarebbe diventata la compagna di Draco.

Si aspettavano questo da lei, tutti.

Lo stesso Draco ne parlava in Sala Comune, come se stesse commentando una partita di Quidditch, o una collezione di Cioccorane.

Era il suo destino.

E lei lo odiava profondamente.

Odiava il fatto che la gente sapesse già quello che avrebbe dovuto fare del suo futuro.

Odiava che la gente parlasse di cose così private qual' era quell'argomento.

Odiava il fatto che fosse stato Draco, a lanciare la moda.

Ricordava perfettamente quella sera, durante le vacanze di Natale, a casa Malfoy.

Narcissa era stata gentile con lei tutta la durata della cena, e si era prodigata in complimenti sui capelli, sul vestito e sulla famiglia così tante volte, che li aveva imparati tutti a memoria.

Suo marito, Lucius, si era mostrato così seducentemente adorabile, come padre, che sembrava che il loro matrimonio fosse già stato deciso, e che mancasse solo l'abito.

E il "sì" della sposa.

Davano tutti per scontato il loro futuro.

Ma Draco, non aveva voce in capitolo?

Per lui qualunque cosa andava bene, ripeteva sempre.

Ma chi chiedeva il suo parere?

Nessuno.

Pansy si alzò da tavola, ignorando i suoi compagni, e camminò velocemente fino a quando non raggiunse la Sala Comune dei Serpeverde.

Si fiondò con ferocia nella sua camera, cacciò fuori le sue compagne di stanza, e chiuse a chiave la porta.

Dopodiché si sedette sul letto, presa da un'improvvisa ondata di vertigini.

Posò la bacchetta con delicatezza sul comodino, osservandosi poi le mani.

Non aveva scelta.

Le salirono le lacrime agli occhi.

Lei non piangeva. Mai.

Non aveva mai pianto in vita sua. Nemmeno alla morte di sua madre.

In quel momento sì, invece.

Perché la gente non chiedeva la sua opinione. La trattava come si trattano le stupide, le schiave, o le babbane.

Cos'era successo l'anno prima?

Al Ballo del Ceppo, non le aveva nemmeno chiesto di andare insieme.

Draco si era presentato in Sala Comune, vestito di tutto punto, e l'aveva guardata con il solito sguardo ammaliatore, poi aveva acidamente detto "Vestiti per il ballo", e si era seduto sul divanetto, facendo levitare una ciocca di capelli di Longbottom con la bacchetta.

Tanto se l'aspettavano tutti.

Una lacrima cadde sopra la spilletta da Prefetto, sfocando alla vista la "P" verde e argento.

Nessuno le aveva mai chiesto se per lei andava bene qualcosa, o se le piaceva qualcuno, o se era d'accordo su qualcos'altro.

Nemmeno il Cappello Parlante, cinque anni prima, l'aveva ascoltata.

Lei, stretta nel suo mantello di una taglia più grande, si era arrampicata sullo sgabello, e quando il Cappello le era stato poggiato sulla testa, coprendole fino alla punta del naso, lei aveva cominciato a sussurrare sottovoce "Serpeverde è meglio di no...", ma il Cappello le aveva prontamente risposto "Fidati, questo è il mio lavoro. Hai ottimo ingegno, e astuzia." E poi aveva dichiarato ad alta voce "Serpeverde!" e lei si era alzata dalla sedia trattenendo lo sgomento, e andando a sedersi dove lo schiamazzo era arrivato a limiti inimmaginabili.

Nessuno le aveva mai chiesto niente.

Nessuno, tranne Harry Potter.

Era stato gentile, e premuroso.

Per una volta, qualcuno aveva ascoltato ciò che lei aveva da dire.

E questo era il vero guaio.

Perché da quando lui si era comportato in quel modo, in lei era scattato qualcosa di strano, di fastidioso, qualcosa che le faceva alzare gli occhi ogni volta che Harry Potter entrava nella sua stessa stanza, o che le faceva cedere le ginocchia quando, nei corridoi, si incontravano, o che le faceva venire una strana nausea e al contempo uno sfarfallìo al petto, ogni qualvolta lo vedeva scuotersi i capelli.

E, ne era sicura, non c'entrava nulla il fatto che avesse quella maledetta cicatrice.

La sua popolarità non aveva sicuramente sfiorato il suo giudizio su di lui.

Si asciugò le guance bagnate, e si accostò alla finestrella della sua camera.

Il sole illuminò il suo viso arrossato, donando sfumature rossicce ai suoi capelli neri.

Pansy chiuse gli occhi, osservando attraverso le palpebre il sole e assaporando quel momento. Il calore della luce la rinvigorì notevolmente, donandole lucidità.

Quando aprì gli occhi, una chiazza bianca e rotonda le oscurò la vista, così il suo sguardo vagò a vuoto, fino a che non riuscì finalmente a mettere a fuoco, e lo vide.

In giardino, sulle sponde del lago, appoggiato al tronco di un albero, sedeva tranquillo Harry Potter.

Era attorniato dal suo gruppetto, e libri di Trasfigurazione e Difesa contro le Arti Oscure erano adagiati sull'erba soffice, in attesa di essere sfogliati, per la preparazione ai temuti G.U.F.O.

Il caldo venticello di giugno sollevò i suoi capelli ricci, smuovendoli leggermente, e scoprendo la sua cicatrice.

Il suo braccio era piegato dietro la testa, e una gamba era stesa per lungo, mentre l'altra era piegata.

Invece di studiare, però, Harry Potter osservava il cielo.

I suoi occhi verdi crutavano l'azzurro cristallino di quel pomeriggio d'estate, come se potessero attraversarlo e andare oltre quello strato di atmosfera, arrivando a raggiungere galassie infinite.

A Pansy Parkinson mancò il respiro.

In quel momento, i suoi occhi verdi si erano congiunti con i suoi, creando un contatto elettrostatico, che era durato fino a che Pansy non si era tirata indietro, nascondendosi dietro il muro, sotto le coperte, nel suo letto.

Eppure sentiva ancora su di sé quello sguardo.

Era dunque così?

Si stava... innamorando di Harry Potter?

Quella constatazione la stupì più di quanto si aspettasse.

Per anni, appresso a Draco, s'era illusa di saper distinguere quello che veniva comunemente chiamato amore, credendo addirittura di provarne un po' per quel giovane Malfoy.

Si sbagliava di grosso.

L'amore d'allora non era minimamente paragonabile a quello che provava attualmente per Harry Potter.

Quello che provava per Harry era... emozione, adrenalina, dolore, paura, timore, premura, e ancora, era batticuore, e ginocchia deboli, e respiro mozzo, e mani che tremavano, e cuore in gola, e farfalle nello stomaco.

Rendere quell'ipotesi un fatto vero e proprio, la fece sentire più leggera; come se, adesso che aveva accettato questo fatto con se stessa, s'era tolta un grosso peso.

Aveva finalmente messo da parte un poco del suo amaro orgoglio Serpeverde per guardare in faccia la realtà.

Aveva cominciato ad amare Harry Potter.

Quello era l'anno dei G.U.F.O., l'anno in cui si prendeva la prima, vera certificazione da mago ordinario, almeno una scelta poteva farla, no?

Si alzò, si lavò il viso, s'aggiustò la gonna e i capelli, si stampò un sorriso sincero sul volto e uscì dalla camera, e in seguito dalla Sala Comune dei Serpeverde, sfilando di fronte a Draco Malfoy, Vincent Crabbe e Gregory Goyle senza nemmeno degnarli di uno sguardo.

Camminò tranquillamente, canticchiando di tanto in tanto.

L'aria estiva le stava proprio facendo bene!

Si concesse addirittura di sorridere alla piccola Lovegood, e continuò a camminare, e canticchiare.

La scuola era in subbuglio per l'estate, e i ragazzi del quinto e del settimo anno erano animatamente eccitati, di fronte ai loro libri, in preparazione per gli esami.

Il giorno seguente Pansy avrebbe avuto la prova di scritta e pratica di Occlumanzia, e non aveva aperto libro.

Ma come diceva Draco, "L'importante non è quello che sai, ma chi conosci*", e si dava al caso che i signori Malfoy conoscessero il Capo della Commissione Magica d'Esame, e che Pansy fosse la loro prediletta.

Arrivata a pochi metri dall'albero dove Harry Potter sedeva, Pansy si fermò.

Il sorriso sul suo volto scomparve silenziosamente com'era apparso.

Cosa stava facendo? Aveva davvero intenzione di flirtare con Harry Potter?

Soprattutto ora che si era ingraziata la Umbridge?

Non poteva permettersi passi falsi.

Se voleva farlo, doveva farlo di nascosto.

Fece dietrofront, e marciò sui propri passi, finché non raggiunse un albero abbastanza basso, un punto dal quale avrebbe potuto vedere Harry Potter senza essere vista a sua volta.

Si arrampicò e si nascose.

E aspettò.

E aspettò ancora.

Il sole spiccava in alto nel cielo, malgrado fossero le cinque passate.

Come lei, non aveva intenzione d'andarsene.

Pansy pensò che forse la compativa.

O forse, semplicemente, non voleva che lei riuscisse nel suo intento.

Finalmente, verso le cinque e mezza, i tre si ritirarono per la cena.

Pansy si ricordò che avrebbe dovuto presentarsi anche lei.

Corse a perdifiato dentro il castello, spintonando chiunque si trovasse di fronte, entrando con ferocia nella Sala Comune e salendo con furia le scale che la dividevano dalla camera.

Tutta quell'ala del castello era deserta.

Pansy si specchiò.

Era un disastro.

Rametti e foglie sparse fra i capelli e nella camicia.

Polvere e terra sulla gonna, graffi sulle mani per via dell'arrampicata.

Si lavò le mani, spazzolò i capelli, e si cambiò la divisa, ma restavano comunque alcuni rametti impertinenti fra i ciuffi dietro le orecchie, e i graffi sulle mani delicate.

Corse a perdifiato in Sala Grande, fino a che non raggiunse il suo posto al suo tavolo.

La cena era già in corso. Gli avvisi della serata erano già stati dati, e ormai la maggior parte degli studenti era al secondo, se non al dolce.

Pansy adocchiò Harry Potter: le dava la schiena. Sedeva con la solita combriccola, ed era assorto nei suoi pensieri.

Uno spintone le fece perdere di vista il ragazzo, così Pansy si voltò infuriata verso chi l'aveva malamente spostava.

Draco si era appena seduto al suo fianco, allargando gambe e braccia, e sedendo come un vero Re alla sua tavola.

Uno dei gomiti poggiati sul tavolo sfiorava il braccio di Pansy.

Con non-chalance, Pansy ritirò il braccio, facendo attenzione a non toccare più quel ragazzo.

Acquietò la sua rabbia, cercando di contenere anche i vari sbruffi di disappunto per ogni aspetto negativo dei suoi compagni di Casata.

Alla fine della cena, Harry Potter fu uno dei primi ad alzarsi da tavola, e con lui Pansy Parkinson.

La ragazza capì che era il momento giusto per fare... qualunque cosa avesse architettato il suo alter-ego buono.

Senza destare sospetti, si mosse lentamente per i corridoi, seguendo Harry Potter in giro per la scuola.

In via del tutto eccezionale, grazie a un desiderio del corpo studentesco del quinto e del settimo anno, gli studenti avevano il permesso di rimanere fuori dai letti fino alle dieci di sera, ora passata in biblioteca per il solo scopo scolastico che avrebbe giovato sul risultato degli esami.

Harry Potter si diresse proprio lì.

Pansy lo osservò prendere dei libri e sedersi in un angolo, da solo, a studiare.

La luce di una candela illuminava il suo bel volto, creando effetti di luce che non rendevano giustizia nemmeno al più bel quadro di Giotto.

Le ritornò in mente la prima volta in cui aveva parlato con lui... la volta in cui era scattata la scintilla.

Era stato così inaspettato che era rimasta senza parole.

Un attimo prima era da sola, in aula di Pozioni, e l'attimo dopo si era ritrovata a ridere con l'ultima persona che avrebbe mai immaginato.

Ritirava il suo materiale, dopo l'ennesima lezione con Piton, ed era rimasta indietro rispetto agli altri perché Zabini aveva combinato un disastro con una Pozione, e aveva dovuto pulire lei.

E poi c'era stato il rumore di passi, e la voce di Harry Potter che le chiedeva "Hai bisogno di aiuto?"

Lei lo aveva guardato con sgomento, cercando di capire se lui si riferisse a lei.

"Eri sola, così..." aveva continuato lui, nervoso. Gesticolava, e guardava a terra. "Niente. Come non detto." Aveva concluso, girandosi per uscire.

"Harry" l'aveva chiamato poi lei. Harry si era girato, guardandola in viso, lo sguardo leggermente speranzoso. "Non ho bisogno, ma grazie." Gli aveva poi sorriso.

Aveva sorriso anche lui, ed era rimasto a guardarla un poco, prima di riprendere a parlare. Non che lei fosse stata da meno: lo studiava da sotto le ciglia, un poco incuriosita, un poco civettuola.

"Sì, beh, quell'idiota di Zabini ha sporcato anche me, per cui credo ce l'abbia nel sangue." Aveva commentato, mentre le guance gli divenivano rosate.

Pansy era rimasta a guardarlo stupita, prima di scoppiare a ridere in una fragorosa risata.

Non aveva mai riso davvero, aveva sempre fatto risate forzate e maligne, eppure quel pomeriggio era scoppiata a ridere con gusto.

Ritornò con un sorriso timido alla realtà.

Pansy non si era accorta di aver smesso di respirare.

Eppure, quando lui le rivolse la parola, dovette prendere un grande respiro prima di rispondere.

«Mi stai seguendo?» aveva chiesto lui schietto, guardandola.

In biblioteca erano quasi soli, anche se c'era ancora qualche gruppetto sparso per alcuni banchi.

Pansy lo guardò, poi uscì definitivamente fuori dal suo nascondiglio, andandosi a sedere proprio di fronte a lui.

«No.» rispose, una volta seduta.

«Perché sei qui?» gli chiese ancora. Non c'era sospetto nella voce, semplice curiosità.

«Tu che dici?» gli rispose di rimando. Le era difficile fare la brava ragazza, non aveva mai risposto bene a tanta gente, quindi si sforzava di mantenere un tono calmo e socievole.

«Io devo studiare.» ammise lui, alzando le spalle e tornando a guardare il libro.

Pansy buttò un occhio al libro Oracolo Dei Sogni e si rilassò. Divinazione era una materia in cui andava abbastanza bene.

«Hai bisogno d'aiuto?» gli chiese, spostandosi di sedia, ed avvicinandosi di più.

«Se ci capisci qualcosa tra tazze di tea e sogni di morti, magari...» ironizzò Harry, alzando le spalle, e voltando pagina.

«Cos'è che non capisci?» gli chiese.

Il cuore le batteva forte per via della vicinanza, ma fece un respiro profondo e si calmò, anche se lo stomaco continuava a fare capriole.

In pochi minuti ruppero il ghiaccio, ed entrarono in sintonia.

Pansy era felice di avere, per la prima volta, un allievo.

Dal canto suo, Harry scherzava di tanto in tanto, così da rendere meno pesante lo studio.

«Questo l'hai capito?» domandò Pansy indicando una definizione.

«Credo di sì. Il mio Occhio Interiore deve essersi finalmente svegliato.»

Pansy rise, e portò la mano alla pagina, per voltarla.

Nello stesso istante lo fece anche Harry, e le loro mani si toccarono.

Pansy smise subito di ridere, e guardò Harry.

I loro sguardi s'incatenarono.

Il respiro era veloce, il battito del cuore incontrollabile.

Le loro mani si toccavano ancora.

Le guance di Pansy cominciarono a bruciare, la bocca asciutta.

Harry la guardò, poi guardò le sue labbra.

Erano così vicini...

La tensione era palpabile.

Harry si piegò, e, lentamente, si avvicinò al viso di Pansy.

La ragazza socchiuse gli occhi.

Stava per ricevere il primo bacio, perlopiù da Harry Potter.

Sporse le labbra, aspettando quel contatto...

Lo desiderava. Sentiva ogni parte di sé fremere al pensiero di quel contatto.

E all'ultimo momento afferrò il libro di Divinazione e lo mise in mezzo a loro, dividendoli.

Aveva la nausea, e paura di scoppiare, o svenire.

Lo desiderava con tutto il suo corpo.

Con tutta la sua anima.

Con tutta se stessa.

Malgrado ciò, si costrinse a ridere.

Tolse il libro e guardò Harry, che la scrutava con sguardo confuso e imbarazzato.

Non era una risata cattiva, era una risata di sconfitta.

Pansy gli scompigliò i capelli, e le sue dita bruciarono al contatto con quei ricci.

Lo guardò, e gli carezzò una guancia.

«Studia, Harry...» commentò con un timido sorriso, scuotendo la testa.

Harry la guardò, gli occhioni verdi sembravano enormi pozzi di delusione.

Abbassò lo sguardo sul libro, mentre le guance gli si sbiancavano.

Pansy, a dispetto della sua precedente reazione, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia.

«Buono studio, ci vediamo domani. In bocca al lupo per i G.U.F.O.!» disse alzandosi.

«A-anche a te.» balbettò imbarazzato Harry, guardando il libro.

Da pallide, le sue guance si fecero rosse.

Alzarsi da quella sedia fu la cosa più difficile che avesse mai fatto in sedici anni di vita.

Eppure lo fece.

Così come uscì dalla biblioteca.

E tornò in camera sua.

Era come se i loro cuori fossero stati legati da una cordicella invisibile, eppure indistruttibile.

Ma no, non andava bene.

Perché lui era Harry Potter. E lei Pansy Parkinson.

Cosa avrebbero detto i Serpeverde?

E tutta la scuola?

Cosa avrebbe detto Draco?

Quello che aveva fatto quella sera era stato azzardato e irresponsabile, ma non aveva rovinato nulla, per fortuna. Né aveva cominciato qualcosa.

Eppure, una cosa l'aveva spezzata.

Il piccolo, innocente cuore di Pansy Parkinson.

Perché sì, perché per una volta che aveva deciso di scegliere, si era ritrovata a percorrere la stessa strada che ormai tutti credevano che avrebbe attraversato.

È vero, aveva cominciato ad amare Harry Potter.

Ed era tutta colpa sua.

Per questo, quella sera, aveva anche smesso di amarlo.

Lo aveva chiuso con un pezzetto del suo cuore, in un angolo di sé, nei meravigliosi ricordi che avrebbe un giorno ricordato, delle infinite serate prima degli esami, ad Hogwarts.

Note
L'incantesimo *Anteoculatia fa si che all'avversario spuntino corna ratificate
La citazione *"l'importante non è quello che sai, ma chi conosci" è presente nel 5o libro "l'Ordine della Fenice"
Per qualunque dubbio, commentate :)

Un ulteriore commento dell'ultimo minuto:
Un istante di silenzio per il nostro amato professore Alan Rickman.
Sempre nei nostri cuori.
Amato per quello che era, apprezzato per quello che aveva fatto.
Un esempio di vita per chiunque.
Ti ricorderemo, Alan.
Sempre.

Becca

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