Capitolo 24

Tara

Il rumore dei suoi passi, che mi seguono in quel corridoio stretto, mi riempiono di malinconia per quell'abbraccio che lui non può sapere quanto sia stato importante per me.

Finalmente, dopo tanti mesi, mi sono sentita al sicuro, protetta. Ho provato quella dolce sensazione che solo la mia famiglia riesce a trasmettermi e, ora, odio il suo telefono per averci interrotti riportandomi alla realtà. Di momenti come questo non ne potrò più avere. Non posso permettermi di farlo avvicinare troppo a me. Non voglio che lui soffra per i miei casini.

Quando il chiacchierare dei clienti riempie le mie orecchie mi sento nuovamente come in un fiume in piena. Veloce mi avvicino al bancone per vedere qual'è la prossima ordinazione da servire.

Lo sguardo del mio collega mi conferma che è ben visibile sul mio viso che ho pianto, preoccupato e confuso si avvicina dalla mia parte. Sta per dire qualcosa ma io scuoto il capo e la sua bocca si richiude in una linea sottile.

«Allora, io vado.» Chris è proprio dietro di me e sento la pelle del collo formicolare.

«Okay.» Annuisco senza guardarlo.

Fregandosene della distanza che provo a rimettere fra noi, la sua mano e fra i miei capelli e mi sospinge verso le sue labbra che lievi si poggiano sul mio capo.

«Non sei sola.» Bisbiglia roco. Ancora una lieve pressione prima di lasciarmi andare. «Andrea, mi passeresti un foglietto e una penna.»

Il nostro amico esaudisce subito il suo desiderio. Le sue mani con eleganza scrivono il suo nome e un numero sul pezzo di carta.

«Grazie.» Porge la penna ad Andrea che discretamente torna a fare finta di occuparsi di qualche comanda. «Questo è il mio numero.» Me lo porge tenendolo fra l'indice e il pollice e io lo guardo come se fosse impazzito mentre, in realtà, sento come un sollievo alla vista di quel foglio trascritto. «Prendilo.»

Resto ferma.

«Dai, Tara, prendilo!» La sua voce è comunque dolce nonostante sia irremovibile sul farmi avere quel numero.

Ballo indecisa sui tacchi, ma alla fine cedo e alzo lentamente la mano sinistra verso di lui. La carta quasi mi taglia la pelle quando con forza la stringo nel palmo accartocciandola per poi spingerla nella tasca del mio grembiule.

«Contento?»

Il suo sorriso parla per lui.

«Dovresti darmi il tuo.» Precisa indiscreto.

«No, penso proprio di no.» Sgarbata lo liquido prendendo in mano il vassoio. «Non dovevi andare?»

Arrabbiato mi guarda mordendosi le labbra.

«Okay, come vuoi.» Alza una mano verso Andrea e si volta svelto per andare via.

Respirare mi sembra improvvisamente più pesante a ogni passo che lo allontana da me. Anche se non dovrei lo guardo andare. Poco prima della porta si ferma a parlare con Simona, il mio petto pizzica. La risata della mia collega si sente fino a qua e io con gesti nervosi ricontrollo il numero del tavolo a cui devo portare l'ordinazione.

«Nove.» Ripeto ad alta voce per distrarmi da Simona e da lui. Faccio i primi passi voltandomi di schiena, ma poi la stanza sembrà svuotarsi e mi ritrovo a guardare verso l'entrata per una certezza che già ho: lui è andato via. Un lieve tremore fa vibrare i bicchieri fra le mie mani. Improvvisamente mi sento tremendamente sola.

Tra gli sguardi inquisitori di Andrea e quelli preoccupati di Simona la serata passa velocemente e quando vedo arrivare Manuela, la mia coinquilina, ne rimango molto sorpresa.

Il suo sorriso mi fa pensare a mia sorella.

«Che fai qua a quest'ora?» L'aria fredda che porta da fuori mi fa rabbrividire.

«Ho finito il drama e mi annoiavo e poi è da tanto che non riesco a vederti.» Le sue braccia mi avvolgono e io me ne resto ferma come imbambolata.

«Andrea, ciao!» Con una strana voce cerca di attirare l'attenzione del mio collega che non appena la vede corre dal nostro lato.

«Manuela, che bello vederti.» Allunga una mano verso di lei che la stringe quasi, come dire, timida.

Non capisco bene cosa stia accadendo. Gli sguardi fra i due non mi convincono. All'improvviso realizzo. Sono sempre stata troppo concentrata su di me per accorgermene, ma quei due si piacciono.

Manuela, dopo un inizio titubante ora continua a ridacchiare alle battute di Andrea che canto suo sembra aver dimenticato il suo lavoro.

Sorrido contenta, perché starebbero benissimo insieme quei due e riprendo a lavorare.

Quando il locale è ormai mezzo vuoto mi lascio andare sulla sedia accanto a Manuela. Sospirando di sollievo nel momento in cui i tacchi lasciano i miei piedi. Una smorfia segue il sollievo quando mi accarezzo il collo, una lieve fitta mi ricorda cosa è successo quel pomeriggio. Immagini orribili mi intrappolano in quell'incubo

«Tara, Tara!» La mano della mia coinquilina sventola davanti al mio viso.

«Hmmm» Mi giro verso di lei sgranando gli occhi.

«Ehi, non mi sentivo?» E ora anche lei mi guarda come se fossi un cucciolo ferito.

«Niente, scusa, sono stanca.» Rimetto le scarpe.

«Dicevamo con Andrea e Simona di andare da qualche parte insieme, ti va?»

Guardo l'orologio poco distante. «Ma è tardi e sono davvero distrutta.»

«Dai ti prego.» Afferra le mie mani. «Non faccio mai niente lo sai e neanche tu. » Cerca di impietosirmi e ovviamente ci riesce.

«Va bene. Andiamo.» Mi arrendo facendole battere le mani dalla gioia.

«Vai a cambiarti. Simona e già di là.» Andrea mi invita con la mano e non mi resta che farlo.

Sapevo che non era una buona idea sin da quando siamo usciti dal pub e ora che la musica assordante ci circonda come i corpo di varie persone che si agitano, vorrei solo tornare a casa.

Tre paia di occhi non mi mollano un attimo neanche quando i bicchieri ormai quasi vuoti raggiungono le loro labbra. Volevano andare in un posto più tranquillo ma ho come l'impressione che questa uscita sia solo una scusa che hanno cercato per parlare con me e quindi nonostante le loro proteste li ho portati nel posto meno adatto per le confidenze.

Sento la pressione delle loro domande anche se non le hanno neanche pronunciate e i piccoli sbuffi che Simona emette ogni tanto mi dicono anche quanto sono infastiditi per il mio comportamento.

Manuela guarda le sue mani giocare con il bicchiere mentre Andrea con le braccia pogiate una sulla mia spalliera e una dietro a quella di Manuela alza e abbassa velocemente la gamba destra come unico sintomo che la calma che mostra non è reale.

«Forza Andiamo a ballare.» Mi alzo invitando gli altri a fare lo stesso. Se l'azzurro di Andrea potesse uccidere ora sarei stesa a terra ai suoi piedi.

«Va bene, cazzo. Se è questo che vuoi.» Il ragazzo prende la mano di Manuela e alla fine tutti e quattro siamo in pista avvolti dal fumo che sa di talco.

Lascio che la musica fluisca nel mio corpo, mi lascio avvolgere dal suono trovando quel conforto che solo fra le braccia di Chris ho provato dopo tanto tempo. Ballo. Ballo fino allo sfinimento.

Quando ormai anche i miei amici si lasciano andare all danza torno a sedermi al divanetto che abbiamo fortunamente trovato. Quella confusione, quella agitazione, quell'adrenalina che mi circonda è come se uscisse da me stessa. E così che mi sento dentro. Un volteggiare di luci, suoni, volti e improvvisamente non riesco a respirare sono asfissiata per l'aria che mi manca in quel luogo troppo chiuso, troppo accaldato.

Prendo un cubetto di ghiaccio dal bicchiere che ho davanti e lo passo sul retro del collo, potrei svenire se non trovo subito un modo per prendere un po' d'aria.

Afferro la giacca e senza dire niente mi avvio verso il buttafuori nella speranza che ci sia un posto tranquillo dove riprendersi un po'.

Roberto, il ragazzo corpulento all'ingresso che conosce Simona, mi indica una zona alla sua sinistra. Uno stretto corridoio fra il muro esterno del locale e una recinzione che impedisce di entrare a chi è senza biglietto.

La percorro fino a una zona più tranquilla e appoggio il mio corpo stanco al muro bianco e... e chiudo gli occhi.

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