Capitolo XXII
"I tuoi polmoni fischiano, Janet. Devi andare da uno specialista, io qui non posso fare nulla. Hai bisogno di fare una radiografia." fece Julia dopo avere auscultato il torace di una delle ospiti del suo centro.
"Non ho soldi per andarci dottoressa! Crede che sia una delle sue amiche fighette con l'assicurazione?"
"Ti ho già detto e ripetuto che te la pago io la visita, ma ogni volta che prendo appuntamento tu non ti presenti!"
"Sto cercando un lavoro, non ho tempo..."
D'un tratto, qualcuno bussò alla porta del suo studio e Julia fece cenno di entrare.
"Ehi Julia, posso parlarti in privato?"
Era Abigail, la sua più stretta collaboratrice nel centro.
"È urgente?"
La donna annuì e subito Julia capì di che cosa si stava trattando.
"Janet, perdonami, devo parlare con Abigail. Torna in camera tua, parliamo dopo io e te, va bene?"
"E per la mia tosse? Non mi dà niente, dottoressa?"
"Sì, per ora un consiglio: smetti di fumare! Ora vai, ti prego..."
Rimaste sole, Abigail chiuse la porta dietro di sé e le due cominciarono a parlare a bassa voce.
"Li ho visti di nuovo, Julia."
"Sempre quella macchina con loro dentro?"
"Esatto. Io sono preoccupatissima, e se ci facessero del male?"
"Io... io non so più cosa pensare. Mi sento in trappola."
Da quando Kat aveva portato via da lì Rachel e Eliah, McCallister e i suoi avevano iniziato a marcare stretto Julia. Dapprima si erano palesati al centro per farle delle domande riguardo la scomparsa dei tre. Lei, bene istruita da Kat, aveva negato in tutti i modi di averli visti. Non erano riusciti a ottenere la minima informazione da lei. Forse però senza accorgersene aveva lasciato trapelare qualcosa, oppure speravano di farla crollare in qualche modo, ma da quel momento in poi Julia non aveva più smesso di sentirsi pedinata.
La sua vita era diventata un incubo in cui doversi ogni giorno guardare le spalle, senza nessuno che potesse aiutarla o perlomeno ascoltarla. Non parlò infatti ad anima viva di quello che era successo a Kat, nemmeno alla sua attuale compagna. Si sentiva murata dentro una cella buia in cui potere solo attendere una notizia così come si aspetta un miracolo.
L'unica a cui dovette confessare cosa stesse accadendo fu la sua collaboratrice, Abigail. Vedeva infatti quasi ogni giorno McCallister o qualcuno dei suoi nei pressi del loro centro di aiuto. La stavano pedinando nella speranza che qualcosa da Julia trapelasse. Doveva quindi metterla in guardia, le servivano altri occhi che potessero in qualche modo proteggere le ospiti della struttura.
"Hai avuto altre notizie da quella tua amica? Cosa pensa di fare? Non possiamo andare avanti così! E se ci succedesse qualcosa?" chiese con un tono ad ogni parola più concitato Abigail.
Proprio in quel momento, il telefono di Julia squillò. Era Kat. A Julia sembrò quasi provvidenziale quella chiamata. Indicò ad Abigail di lasciarla sola e infine rispose.
"Kat! Finalmente!"
"Julia! Va tutto bene?" ribatté lei, notando come la sua voce tremasse.
"No Kat, mi stanno sempre addosso quei bastardi! Mi sento sempre seguita, che devo fare? Io... io ho paura, non ce la faccio più..."
"Julia, calmati, ti prego..."
"Quando torni? Sei l'unica che può fare qualcosa qui!"
"L'unica? Ma scusa... non ti ha contattata il mio collega Greg?"
"Greg? Scusa, di chi stai parlando?"
"Ho detto al mio collega Greg Kowalsky di chiamarti, gli ho dato il tuo numero... Doveva venire da te..."
"Kat, io non ho sentito nessuno. Sei l'unica a cui posso chiedere aiuto, lo capisci o no? Per favore, io non ce la faccio più! Fai qualcosa..." disse Julia con la voce rotta dal pianto.
Un sospetto enorme si aprì come una voragine nella testa di Kat. Prima di contattare Julia, aveva tentato più e più volte di chiamare Greg, invano. Il suo numero stavolta risultava sempre irraggiungibile. Si sforzò lì per lì di non pensare all'ipotesi peggiore. Tuttavia, dopo l'inavvertita rivelazione di Julia, a Kat rimasero sempre meno motivi per essere ottimista riguardo la sorte di Greg.
"Devo lasciarti Julia. Ti chiamo appena posso."
"Cosa?!"
Kat non lasciò nemmeno finire di parlare Julia che staccò la chiamata. Con il cuore in gola e la mano tremante, digitò il numero del commissariato.
"Stazione di polizia, mi dica."
"Ecco... - fece Kat schiarendosi la gola - gradirei parlare con l'agente Greg Kowalsky."
"Chi lo desidera?"
"Sono... sono sua cugina. Maria Kowalsky." disse Kat, camuffando la sua voce.
"Certo... potrebbe attendermi un momento in linea?"
Alle orecchie di Kat giunse allora una melodia rilassante, in totale contrapposizione al battito del suo cuore impazzito.
"Signora Kowalsky?" chiese una voce diversa dalla precedente.
"Eh? Ah, sì, sono io. È possibile parlare con Greg?"
"Guardi mi rincresce molto che non sia stata avvertita anche lei della cosa. L'ispettore Kowalsky purtroppo non è più tra noi."
"Cosa?" disse Kat quasi incapace di scandire altre parole.
"È ancora da chiarire il movente, ma è stato trovato senza vita in un motel. Stiamo indagando a riguardo, i nostri migliori agenti..."
Kat si lasciò scivolare come una ruota sgonfia sul pavimento del bagno della stazione di servizio. Era in quel momento un motore che girava a vuoto, il corpo svuotato di tutto l'ossigeno e la testa intrappolata in un turbine di ansia.
Avevano trovato Greg, prima o poi avrebbero fatto qualcosa anche a Julia. E chissà, un giorno sarebbero arrivati anche a Rachel e ad Eliah.
Tante volte si era sentita sola, ma mai come in quel momento. Anche nelle operazioni più pericolose, aveva sempre un compagno che le guardasse le spalle prima di fare irruzione. Stavolta tutto dipendeva da lei, doveva affrontare un pericolo enorme cercando di salvare sé stessa e gli altri.
Era tutto troppo. Non riusciva a gestire la spaventosa prospettiva che si stava spalancando innanzi ai suoi occhi. Si accavallarono sfrenate nella sua mente visioni catastrofiche di ogni tipo su lei, Julia, Eliah, Rachel.
Avrebbe raccolto il corpo ormai gelido di Rachel tra le sue braccia tremanti, come quello di Eloise?
Iniziò all'improvviso a mancarle il respiro, una morsa le occluse il petto e le chiuse la gola, non riusciva più ad incamerare un briciolo d'aria dalle sue narici. Avvezza a quei sintomi, quasi in automatico, la sua mano si indirizzò verso la tasca del suo grembiule da amish e tirò fuori i medicinali da cui non si separava mai. Si mise in bocca una pillola e, tra mille spasmi, attese che finalmente il suo respiro si sciogliesse e la sua testa si placasse.
Piano piano la sua tempesta cessò. Rimase ancora seduta per terra, esausta, a fissare la luce al neon del bagno, mentre delle lacrime scivolarono giù dai suoi occhi senza che lei se ne accorgesse.
***
Non appena riuscì a rimettersi in sesto, Kat uscì dalla stazione di servizio e si diresse verso Isaac, il quale la attendeva a bordo del suo calesse.
Subito questi si accorse che la Kat che aveva visto scendere dal calesse era molto diversa da quella che stava lì facendo ritorno.
"Kat! Hai davvero una brutta cera! Ti senti male?"
"Sto bene." rispose lei senza nemmeno guardarlo.
"Dico sul serio, vuoi che ti porti dal dottor Schultz?"
"Ho detto che sto bene. Andiamo."
Le parole di Kat furono così categoriche che Isaac non osò controbattere ancora. Impartì così l'ordine ai cavalli di muoversi e il loro trotto iniziò a condurli fuori dal paese.
Si stavano in quel momento apprestando ad attraversare un largo viale costeggiato da bianchi villini bifamiliari, quando una macchina bloccò loro il passaggio.
"E questi che vogliono ora..." fece Kat stizzita.
"Tieni a mente una cosa: noi amish non reagiamo a nessuna provocazione. Mai." le intimò Isaac, come se quella scena fosse l'incipit di una storia il cui esito già conosceva a menadito.
Dalla vettura uscirono infatti un gruppo di giovanotti, due ragazzi e una ragazza, con l'aria degli scavezzacolli di provincia e la faccia di chi non teme nulla.
"Ehi guarda chi c'è! Isaac Lapp!"
"Il nostro spaventapasseri preferito!"
Isaac teneva lo sguardo basso e fisso per terra. Con la coda dell'occhio osservò Kat per vedere come stesse reagendo e notò come fosse disorientata da quella scena. La afferrò così per il braccio e le rivolse uno sguardo affilato come una lama.
"Non reagire, ho detto. Lasciali fare, chiaro?"
La ragazza, che stava mangiando un cono gelato, si pose allora a pochi centimetri da Isaac.
"Ehi nonno, nemmeno questa volta farai un cazzo? Guarda che ho scommesso dei soldi con quei due cretini che ci sarei riuscita stavolta!"
Il cono gelato finì dritto sul naso di Isaac. Kat sobbalzò a vedere quella scena, ma si fermò non appena la morsa di Isaac sul suo braccio si strinse ancora di più.
La ragazza strofinò il gelato su tutta la faccia di Isaac, senza sortire però alcuna reazione da parte sua. Frustrata, gettò il cono per terra e cominciò ad imprecare.
"Merda Lapp, questa non me la dovevi fare! E ora dove li trovo i soldi?"
I sue due amici iniziarono a ridere a crepapelle e sfotterono la loro amica con tutte le volgarità che conoscevano.
"Tesoro hai sbagliato bersaglio, nonno Lapp è un uomo tutto d'un pezzo... dovevi provare con lei... Ehi, ma tu sei nuova? Non sei sua figlia!"
Incuriosito, uno dei due ragazzi si avvicinò a Kat e mise il suo volto a pochi centimetri dal suo, tanto che lei poteva sentire il suo fiato sul collo.
"È vero, non è tua figlia questa, Lapp! Da dove l'hai fatta uscire fuori questa biondina, nonnetto?"
Kat cercò in ogni modo di mantenere la calma in quel momento, anche se sentiva la rabbia montare dentro di sé come i pistoni di un motore in accelerazione. Forse in un altro momento avrebbe tenuto duro come stava facendo Isaac, ma dopo la notizia di Greg sentiva che il suo mondo stava andando ancora una volta in pezzi. Era esasperata, voleva come strapparsi di dosso i ceppi che la stavano costringendo, ancora una volta, ad assistere impotente ad un nuovo crollo. Non ce la faceva più a subire di nuovo tutto quel male su di sé.
"Ehi Lapp, sai che questa qui mi piace più di tua figlia? Da dove vieni, bellezza?"
Il ragazzo osò accarezzarle la guancia e fu lì che ogni inibizione in Kat venne meno. Si divincolò dalla presa di Isaac strattonando il suo braccio e afferrò con tutta la forza che aveva il polso del malcapitato.
"Ehi, che fai? Mi fai male così, me lo rompi il polso!" urlò il ragazzo.
"Kat! Che stai facendo? Lascialo andare!" le ordinò Isaac, invano.
La rabbia di Kat era diventata ormai una valanga inarrestabile. Si girò allora verso il ragazzo e con una testata lo fece stramazzare a terra con il naso sanguinante.
Gli altri due accorsero dal loro amico allarmati. Kat però non voleva perdere altro tempo con loro e scese dal calesse per affrontarli una volta per tutte.
"Lasciateci passare, adesso!" disse Kat perentoria.
I tre balordi non se lo fecero ripetere un'altra volta. Terrorizzati com'erano, presero di peso il loro amico ferito, salirono in fretta e furia in macchina e sgomberarono la strada.
Piano piano l'adrenalina si diluì nelle vene di Kat fino a scomparire del tutto. Solo in quel momento ritornò lucida e si rese conto del disastro che aveva combinato. Tornò allora a bordo del calesse senza proferir parola, trafitta dall'espressione tremenda che Isaac le riservò non appena sedette di nuovo accanto a lui.
I due si rimisero in viaggio verso casa senza più dirsi nulla. Mentre il loro mezzo attraversava quelle strade anonime di provincia, Kat scorse in lontananza i tre teppistelli parlare animatamente con lo sceriffo del paese...
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