CAP. XXXV Divieti
- Eccoti trovato! –
Scendo dalla scala, abbracciata al mio sacco a pelo. Prendo lo zaino da campeggio e inizio a ficcare dentro le mie cose. Non posso credere che trascorrerò l'intera notte a scuola insieme a Riccardo. Sono la felicità fatta persona e sprizzo gioia da ogni poro della mia pelle.
Accendo la radio. Parte una vecchia canzone di Bon Jovi. Mi metto a saltare sul letto come una pazza scatenata. Fingo che il mio pugno sia una specie di microfono e canto il ritornello a squarciagola:
" It's my life
and it's now or never
i ain't gonna live forever
i just want to live while i'm alive
It's my l..."
All'improvviso mi blocco, insieme alla musica che si è improvvisamente interrotta.
Mi volto. Sulla porta c'è mio padre con le mani sui fianchi.
- Vuoi smetterla di fare questo putiferio? -
- Papà, quando sei tornato?- scendo dal letto, disorientata.
- Proprio adesso e già mi hai mandato in bestia con questa musica!-
- Scusami - abbasso umilmente la testa.
Mio padre è davvero arrabbiato e i miei occhioni da cucciola non placano il suo malumore. A differenza di mia madre, lui è molto duro e testardo. Mamma dice che dovrei aprirmi un pò di più. In fondo al suo cuore è sensibile e dolce, ma io non riesco a indugiare oltre quella maschera di marmo. Ho sempre paura di fare o dire la cosa sbagliata.
Proprio come adesso. Sono a disagio e la tensione tra noi è altissima.
Poi lui si avvicina, posa una mano sul mio viso, voltandomelo di lato. - E questo cos' è? - Le sue dita ruvide sfiorano l'incavo del mio seno.
- Co..co...cosa?-
Mio padre mi afferra per un orecchio e mi trascina in bagno, davanti allo specchio.
Ho la camicietta sganciata e un evidentissimo succhiotto alla base del seno.
Lo sfioro con le dita.
-Chi è stato?-
Sento le lacrime pungermi gli occhi, mentre le immagini di me e Riccardo nello stanzino delle pulizie mi attraversano la mente. La passione travolgente dei suoi baci e il leggero dolore dei suoi denti e della sua lingua sulla mia pelle. Non dico niente. Papà mi gira di scatto e mi tira una sberla così forte da lasciarmi senza fiato.
- Tu signorina hai preso una piega molto brutta, questi segni sulla tua pelle non voglio vederli mai più! Capito?- mi strattona malamente.
- Lasciami, ti prego! –
Le lacrime ricoprono il mio viso e lo schiaffo mi brucia da morire.
- Non voglio che diventi una poco di buono come molte ragazzine della tua età...tu non sai niente dei ragazzi... niente!-
-Per favore, papà - lo imploro.
-Cosa credi? Gli uomini si approfittano di te perchè sei carina e quando hanno ottenuto ciò che vogliono ti lasciano andare! –
- Non è vero! Tu non sai niente, lasciami !!! - cerco di liberarmi dalla sua presa ancora troppo stretta.
Lui non conosce Riccardo e neanche me.
Non sono una sprovveduta e il nostro amore è vero, reale. E' stupendo.
Poi sento dei passi veloci per le scale e scorgo mia madre sulla porta.
-Domenico, cosa succede? -
Mio padre afferra la mia camicietta e, sbottonandola quasi del tutto, mostra alla mamma il succhiotto.
- Oh! Ma è solo una ragazzina, i primi amori, le prime cotte, Domenico, lasciala le stai facendo male così...- sospira lei, impietosita.
- Non difenderla, Simonetta, non provare a difenderla, questi sono comportamenti da sgualdrina! – grida lui, spintonando mia madre malamente, tanto da farla precipitare a terra.
- Papà !!! – urlo, - lasciami e non toccare la mamma! - riesco a fuggire in camera, inseguita dalla sua furia e da mia madre che si é appena rimessa in piedi.
Con le dita che tremano faccio per riagganciare la camicietta.
- E questa? –
Mio padre prende tra le mani la borsa che stavo preparando pochi attimi prima. La mette a testa in giù e rovescia sul pavimento tutte le mie cose. Poi vede il sacco a pelo a terra.
- Dove pensi di andare ? -
- C'è occupazione a scuola – balbetto.
- Tu non ci andrai per nessuna ragione al mondo! - calcia lo zaino ormai vuoto.
- Domenico !!! - grida mia madre dietro di lui, che neanche la degna di uno sguardo.
- Da oggi sei in punizione !-
- Non puoi – grido, accecata dalla rabbia. - Non puoi tornare il fine settimana e dirmi quello che devo o non devo fare, tu non ci sei mai, tu non mi conosci, non sai niente di me!-
- Io sono tuo padre, non permetterti di dire queste cose assurde! - fa un passo verso di me.
Io indietreggio fino all' armadio e allora lui mi stringe in un angolo.
- Tu devi obbedire e non permetterti mai più di offendere la mia condotta. Io sto fuori un' intera settimana per portare a casa i soldi per farti mangiare e andare a scuola, è chiaro? -
- Domenico piantala, lasciala in pace - mia madre cerca di calmarlo posando una mano sulla sua schiena.
Io e mamma ci scambiamo uno sguardo di intesa e timore allo stesso tempo.
Mio padre la ignora e indica con un cenno i miei seni. - E sentiamo, chi è l'autore di quel bellissimo autografo? –
Sposto lo sguardo ora verso di lui, ora verso mia madre. Non ho intenzione di fare il nome di Riccardo. Non ne ho proprio voglia.
- Sto aspettando..- papà batte a terra un piede isterico.
Io abbasso lo sguardo a terra, muta. Le lacrime iniziano a scendere ai lati delle mie guance.
Mio padre si fionda sulla scrivania e scollega il caricabatterie del portatile, dopodichè afferra il cellulare finito a terra insieme agli altri effetti personali.
- Perfetto, te la sei proprio cercata! Questi per il momento sono sequestrati e tu resterai qui dentro fino a lunedì mattina!-
Mia madre abbassa lo sguardo mortificata e mio padre la trascina fuori insieme al telefonino e al pc. Lo sento armeggiare alla porta. Il rumore della chiave che gira due volte nella toppa mi fa sussultare. Mi scaglio sulla maniglia e provo ad aprire, ma la mia mossa non va a buon fine. La porta è chiusa. Serrata.
- No non può essere, non può esistere - provo ancora e ancora, fino a quando perdo le forze e mi accascio sul pavimento, esausta. I singhiozzi si fanno insistenti. - Non ci credo, non ci credo, non ci credo -
Sono fuori gioco. Da sola, nella mia camera.
Senza cellulare, nè computer.
Isolata da tutto e da tutti e soprattutto da Riccardo.
Mi alzo da terra e prendo la rincorsa verso la porta. Mi ci scaglio contro, gridando.
Sono furiosa. Arrabbiata e delusa. Rimanere intrappolata così, senza nessun contatto con l'esterno mi scatena una collera mostruosa oltre che un attacco di panico imminente.
Giro per la stanza facendo dei respiri profondi e asciugo le lacrime. Provo a pensare, ma ho la mente tanto annebbiata che non mi passa per la testa nessuna soluzione.
Sulla scrivania c'è il mio diario. Dalle pagine fuoriesce il bigliettino che mi ha lasciato Riccardo la notte che è rimasto a dormire di nascosto nel mio letto. Scorro con le dita sul numero di telefono scritto a biro dietro al foglio. La cosa mi turba ancora di più poichè ho tra le mani il suo numero ma non posso comporlo. Non vedo via d'uscita.
Tra poco più di un'ora chiuderanno le porte del liceo. Tiro un calcio al sacco a pelo e lo faccio volare in fondo alla stanza.
Cosa penserà Riccardo se non mi vedrà e non risponderò alle sue chiamate?
Verrà a cercarmi? Troverà mio padre?
Si preoccuperà? Non voglio che si preoccupi...
Ho così paura! Non voglio perderlo.
Lui deve sapere che ci sono, che sono con lui, che voglio aiutarlo nella sua missione.
Lui deve convincersi che insieme scopriremo chi ha investito i suoi genitori. Siamo forti e motivati e ce la faremo. Riccardo ritroverà la sua serenità e saremo felici.
Ma se questa sera non mi vedrà, penserà che l'ho già abbandonato ancora prima di iniziare, oppure che non voglio passare la notte con lui...
Sto impazzendo. I pensieri si sovrappongono all'ansia e alle lacrime.
Raccolgo l'Ipod tra le cose sparse sul pavimento , indossando le cuffiette, mi butto sul letto. Chiudo gli occhi.
Con le note di Chandelier mi addormento stremata.
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