CAP XCII Come un pugile prossimo al K.O

L'orologio batte le due e tre quarti.

La domenica è trascorsa a base di studio, TV e ansia per questa notte.

Ormai manca poco, Riccardo sarà qui tra non molto per la missione.

Mi sento onorata e estasiata di poter dare un piccolo contributo alla sua disperata ricerca.

Per ovviare l'attesa del suo arrivo cammino avanti e indietro, come una detenuta in trappola nella propria cella di isolamento. La mia camera è in penombra.

La fioca luce della luna illumina il letto dove ho appallottolato un paio di cuscini sotto alle lenzuola, nella migliore sagoma umana possibile.

Lancio uno sguardo alle lancette dei secondi, che sembrano aver stipulato un contratto con le leggi di staticità. Non si muovono di un passo a differenza dell'angoscia, che cresce a dismisura.

Scosto le tendine, apro la finestra.

Una folata di vento gelido mi investe in pieno viso, facendomi rabbrividire.

Sono i primi giorni di un novembre che si preannuncia alquanto freddo e tempestoso.

Il viale davanti casa è buio. Non passano auto, non passa gente.

Tutto è assolutamente tacito e silente.

Respiro a pieni polmoni l'aria della notte, pensando a quando tutto sarà finito.

A quando Riccardo avrà scattato le foto all'auto incriminata e le avrà portate alla polizia, insieme al DVD in suo possesso.

Spero che il piano vada in porto e finalmente a questa brutta storia possa essere dato un nome: quello del colpevole!

Fino a quando il responsabile dell'incidente non verrà correttamente identificato, Riccardo non troverà pace in sé stesso e non potrà ricominciare a vivere svincolato dal dolore.

Sono assorta nei miei ragionamenti, quando l' Honda di Riccardo appare sulla strada, fermandosi a un passo dal cancello.

Chiudo i vetri e sgattaiolo fuori casa nel modo più silenzioso possibile.

Passo lentamente davanti camera di mia madre, poi con la massima attenzione scendo le scale. Solo quando mi chiudo la porta alle spalle, sul pianerottolo esterno, butto fuori un grosso respiro di sollievo.

Fascio la gola con una sciarpa di lana e tiro sù la cerniera del piumino.

Riccardo mi porge il casco come un pregiato elmo da portare in battaglia, - Ciao piccolina - i suoi occhi si stringono in un sorriso attraverso la visiera, - sali! -

Eseguo l'ordine in silenzio, allacciando le braccia alla sua vita.

E' il tragitto più lungo e strano che abbia mai percorso.

L'apprensione che proviene dal corpo di Riccardo, piegato e concentrato in avanti, è così forte da darmi i brividi. Più ci avviciniamo alla meta e più il panico sale.

La moto raggiunge Tivoli, abbandona la statale e imbocca una strada stretta e tortuosa, fino ad arrivare a una ampia cancellata, affiancata da spesse mura di mattoncini rossi.

Aldilà della barriera una villa immensa.

Il cuore si ferma insieme alla moto.

Riccardo scende e mi aiuta a togliere il casco, - Piccola! Sei pronta? - mi prende il viso tra le mani.

Annuisco, incerta.

- Andrà tutto bene, stai tranquilla! - dice, avvicinando la sua fronte alla mia. Poi si distanzia e diviene serio, - Il piano è questo: tu starai qui fuori ben nascosta e pronta con il cellulare in mano, mi chiamerai per ogni movimento strano, rumore, o qualsiasi altra cosa che ti insospettisce. Mi farai da palo! E' un ruolo davvero necessario visto come si sono concluse le mie ultime ispezioni in questo posto! -

- Da palo? - balbetto, - ma non posso lasciarti andare da solo là dentro! Io vengo con te, potrebbe essere pericoloso! -

- No Arianna! - dice duramente, - tu starai qui e mi avvertirai in caso di bisogno! Adesso procediamo prima che sia troppo tardi! -

Non faccio in tempo a realizzare che questa è la sua decisione finale, quella senza repliche, che Riccardo mi afferra le guance con slancio e mi stampa un bacio premendo forte sulle labbra.

Un bacio soffice e prepotente.

Un bacio carico di adrenalina e vigore.

Un bacio che mi lascia decisamente senza respiro.

Quando riapro gli occhi Riccardo è già lontano, in prossimità del cancello.

- Piccola non ti muovere da lì! - mi esorta, - chiamami se sospetti qualcosa e soprattutto incrocia le dita che riesca a fare quelle dannatissime fotografie! -

Mi lascio cadere a sedere sul bordo del marciapiede, sconfortata, impaurita e delusa.

Questo non era certo l'aiuto che avrei voluto dare al mio ragazzo: stare ad aspettarlo fuori da una villa a chilometri di distanza da casa!

Con il telefono in mano e il cuore in gola, sospiro e guardo verso l'enorme edificio.

Il silenzio che lo avvolge è inquietante e al contempo rumoroso.

Gli alberi che circondano la villa sembrano proteggerla e custodirla, come una perla rara dentro la sua conchiglia.

Il freddo raggiunge le ossa, nonostante indossi il piumino, i guanti e il cappuccio fin sopra la testa. I denti battono e l'alito produce nuvole di fumo.

Cerco di immaginare cosa starà facendo Riccardo aldilà della muraglia, spero solo che tutto proceda come previsto. Le foto di quell'auto nascosta sono la prova compromettente che lui auspica ed io mi auguro che riesca a farle. Non può fallire!

La sua motivazione, il suo coinvolgimento è così forte, così potente, così ingombrante, da superare qualsiasi tipo di ostacolo.

Le chiome degli alberi si muovono spinte dal vento, un gufo canta solitario.

Sfrego le mani sulle braccia, rabbrividendo.

Poi ad un tratto qualcosa nella monotonia della notte cambia.

Una luce.

Una debole luce della finestra più alta si accende.

Qualcuno si è svegliato!

Devo avvertire Riccardo, subito!

Le mie mani tremano e il telefono finisce sull'asfalto.

Mi piego e lo riafferro, completamente in preda all'ansia.

Riassetto la cover che si è immancabilmente sfilata nella caduta e compongo il numero di Riccardo, veloce.

Uno squillo.

Silenzio.

Un altro squillo.

Ancora nessuna risposta.

Al terzo suono finalmente la voce del mio ragazzo mi riempie le orecchie: - Piccola cosa succede? -

- Una luce! - lo incalzo, - una luce si è appena accesa nella villa, fai presto per favore! -

- Va bene, stai tranquilla! Ho già fatto le foto - dice, - non puoi capire come è ridotta questa dannata auto! Il cofano è completamente distrutto! Fa davvero tanto male vedere tutto questo disastro! -

Comprimo il cellulare contro l'orecchio, - lo so, però adesso vieni via! Hai in mano le foto, non pensare ad altro! -

- Come faccio a non pensare? Questa è la prova più concreta della morte dei miei genitori! - sospira, - questa dannata macchina è l'oggetto che ha rovinato la mia vita per sempre! - il respiro di Riccardo oltrepassa il microfono, sbattendo contro il mio timpano affranto, - quel pirata è un assassino! Un assassino maledetto e pagherà! - grugnisce, - pagherà per il resto dei suoi gior...-

La sua voce di colpo scompare, sostituita da un tonfo sordo e un fruscio.

Il mio cuore schizza alle stelle.

- Riccardo? - balbetto, -Riccardo ? -

Niente.

La linea è completamente disturbata.

Cricchia e frigge.

Poi una seconda voce maschile mi fa ghiacciare il sangue.

Due toni di voce si alternano, in lontananza, inconfondibili e incomprensibili.

La paura mi assale e diviene l' unica padrona del mio corpo.

- Riccardo rispondi! - lo prego, - Riccardo?-

Il suo nome si perde in chissà quale meandro, mentre le voci dall'altro capo si fanno sempre più lontane e distorte, fino a quando sono sostituite dalla voce della signorina della segreteria. Poi il nulla.

Il mio cuore plana in caduta libera.

Riccardo?

Riccardo perché non rispondi?

Chi è lì con te?

Sei stato scoperto?

Sei in pericolo?

Una valanga di quesiti senza risposta.

Sposto lo sguardo dalla luce ancora accesa, alla cinta muraria e agli alberi.

Non posso più stare qui fuori ad aspettare.

I miei piedi, il mio corpo si impossessano di una forza mai vista.

In meno di un battito di ciglia mi catapulto contro il cancello. Con una agilità che mi meraviglio di possedere scavalco le inferriate, poggiando le suole delle scarpe da ginnastica negli stessi identici punti di Riccardo poco fa.

Atterro instabile sulla caviglia, che cede facendomi cadere a terra.

Impreco e zoppicando mi rimetto in piedi.

La storta che ho preso un mese fa, in questo momento torna a farsi sentire. Senza dare troppa importanza al dolore, che pulsa dalla nocca alle dita dei piedi, corro nel giardino più curato e esteso mai visto. Pian piano l'erba verde si trasforma in boscaglia.

Mi addentro là dove gli alberi si fanno più fitti.

Dove sei amore mio? Dove?

Il vento è in crescendo. Stringo forte la sciarpa davanti alla bocca.

Ogni angolo, ogni arbusto, ogni stelo di erba sembra voler ostacolare la mia ricerca.

All'improvviso mi ritrovo di fronte a un sentiero.

Le statue che lo delimitano hanno l'aspetto di enormi e terrificanti divinità greche.

Sono rivolte verso il percorso e sembrano spiare la mia intrusione.

Il panico sale così come l'angoscia.

Io corro e corro. Batto le gambe sul sedere e muovo le braccia a darmi la spinta in avanti.

Sempre più veloce, nonostante il dolore lanciante alla caviglia e il fiato in esaurimento.

Poi come per magia davanti ai miei occhi appare una piccola casetta di cemento.

Deve essere il luogo segreto di cui parlava Riccardo.

Mi affanno alla ricerca di un accesso. Tra le foglie di edera si materializza una porticina di legno, aperta. Mi avvicino, la voce di Riccardo diviene sempre più chiara e decisa.

- Sei un farabutto! Un assassino, meriti di marcire in galera! -

- Ragazzino! Non ti permetto di accusarmi con simili fandonie! - replica un'altra voce maschile.

Il sangue si gela.

Di colpo.

- Fandonie? Tu sei il responsabile! Tu hai causato l'incidente! Tu hai ucciso i miei genitori e nascosto quest'auto per anni!-

- Piantala ! Non hai nessun diritto di invadere una proprietà privata e né di sputare addosso accuse a persone che non conosci! -

- Altrimenti? - la voce di Riccardo è dolore concreto, odio allo stato puro, - cosa succede? ucciderai anche me, come hai fatto con mia madre e mio padre? -

Un grido gutturale, seguito da un urlo di sofferenza e dolore, riempie la stanza: - Ho detto piantala !!! - .

Tremo, non so da quale parte del mio corpo riesco a trovare la forza per avanzare di un altro passo verso l'entrata. Ho la pelle ricoperta da uno spesso strato di sudore freddo e le ginocchia prossime al cedimento.

Mi affaccio.

Il luogo è buio.

Al centro una vecchia auto metalizzata, completamente ammaccata.

Dei respiri ansanti richiamano la mia attenzione.

Devio lo sguardo verso le due figure alla mia destra. Il mio cuore si congela.

Non c'è cosa peggiore alla quale avrei voluto assistere.

Fa più freddo del freddo.

Più male del male.

Le pareti paiono pendere su sé stesse, mentre il fulcro del mio sguardo rimane statico e allucinante. Riccardo è stretto al muro, su di lui l'imponente figura di un uomo che sfila la lama di un cortello dal suo braccio.

Porto le mani alla bocca e soffoco un grido.

Riccardo stringe i denti e getta indietro la testa.

Il cerchietto sul suo sopracciglio brilla contro la lama ancora alzata.

Mi sembra di vivere un sogno, un brutto sogno, di quelli che non vedi l'ora di finire al più presto, di quelli che ti lasciano l'amaro in bocca per tutto il giorno.

Quel sapore metallico di sangue e disperazione.

Ma tutto ciò non è finzione.

È reale.

Dannatamente e schifosamente umano.

Del sangue rosso affiora e scende dalla manica del piumino di Riccardo.

Lui vi porta sopra l'altra mano e caccia un urlo ancora più straziante del primo, - Uccidimi se è quello che vuoi fare! Non ho paura della morte !!! - incrocia con gli occhi il coltello puntato alla sua gola, - non ho paura di te! -

L'uomo emette un suono quasi disumano e impugna meglio l'arma, scagliarsi un'altra volta contro il corpo ferito del mio fidanzato.

Improvvisamente tutta la voce in mio possesso riaffiora, magicamente, - Nooo !!! - grido.

L'uomo si blocca, riscuotendosi e fa un passo indietro.

Riccardo punta nella mia direzione e i nostri sguardi si incrociano.

I suoi occhi sembrano rimproverarmi per non essere stata al mio posto. Paiono dire che è troppo pericoloso, che non dovrei stare qui in questo momento.

Poi è un istante, una interminabile e reale frazione di secondo.

Anche l'uomo inferocito si gira, le sue iridi grigie e cangianti incontrano i miei pozzi neri.

Silenzio.

Glaciale e carico, rotto solo dal rumore dell'arma che cade a terra.

Un suono sordo e inaspettato.

Un suono che fa da cornice a quella che sembra solo un'allucinante situazione irreale.

Infine la sua voce, quella inconfondibile, amata e detestata voce: - Arianna?-

Non respiro più.
Non penso più.
Non sento più.

I miei occhi si sgranano, le pupille escono fuori dalle orbite e la bocca si spalanca, asciutta.

Stordita come un pugile prossimo al K.O sussurro: - papà? -

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