CAP XCI Riccardo e una domenica sfigata
Riccardo
Il rumore assordante di un motore in azione mi porta al mondo reale, svegliandomi di colpo. Apro un occhio e vedo il numero undici sulla sveglia digitale.
Emetto una specie di lamento e mi giro sull'altro fianco.
I vetri della casa tremano sotto al frastuono di quello che ha l'aria essere il maledetto tagliaerba del vicino.
Odio quando quell'uomo decide di occuparsi del giardino la domenica mattina!
Dannazione! Che lo faccia il sabato pomeriggio o in qualsiasi altro giorno, non la domenica, all'alba! A quest'ora la gente normale dorme, mentre le persone fuori di testa come lui rompono i timpani!
Il rombo si fa più intenso. Tappo le orecchie e copro la testa, stringendo le lenzuola alla base del collo. Vorrei affacciarmi alla finestra e tirare il mio bilanciere in testa a colui che ha osato intaccare la mia tranquillità. Perchè adesso lo so!
Sveglia di cacca equivale a giornata di cacca!
Pensare che ieri sera mi ero addormentato così bene, come poche altre volte nella mia vita.
Sono tornato a casa ridendo da solo per quelle dannate mutande di Arianna; erano davvero qualcosa di orrendo e sexy allo stesso momento!
Finalmente il motore del trabiccolo infernale si ferma.
Allento la presa sul lenzuolo e torno a respirare.
Mi giro e rigiro nel materasso, attorcigliandomi con le lenzuola, fino a diventare un grosso e lungo involtino primavera. Poi mi dò una scossa.
Devo alzarmi!
Forse non sarà il miglior risveglio degli ultimi tempi, ma non posso farmi rovinare la giornata da un vicino mattiniero e ingombrante!
Oggi sarà un giorno speciale, anzi una notte speciale!
Finalmente potrò toccare con mano la verità!
Dei brividi mi salgono lungo la schiena, mentre penso che tra meno di dodici ore avrò in pugno le prove che cerco da una vita intera.
Adrenalina e Paura. Poi angoscia.
Ansia di non riuscire a portare a termine il piano di azione.
Ansia di rimandare ancora una volta.
No! Non posso permettermi altri giorni di attesa.
Devo scattare quelle maledette foto e devo farlo questa notte stessa.
In testa elaboro e affino i più semplici e comuni particolari del piano.
Dove lasciare la moto, come nascondere il piede di porco dentro la felpa, in quale punto del cancello scavalcare. Tutto sembra prendere forma e colore.
Ogni movimento, ogni azione, ogni singolo spostamento.
Poi ricordo la promessa: portare con me Arianna.
Improvvisamente la piantina virtuale scompare dal cervello, sostituita da un groppo enorme tra stomaco e cuore.
Purtroppo non ho saputo dirle di no.
Non ho potuto e forse neanche voluto farlo.
Lei ci tiene ad essere presente. Vuole darmi una mano e io, nonostante abbia davvero un grande timore a condurla in quel luogo, non posso non acconsentire alla sua volontà altruista.
Però, dannazione!
Se le succedesse qualcosa?
Se si facesse del male oppure, peggio ancora, se qualcuno le facesse del male?
Se sua madre la scoprisse?
E' comunque un reato oltrepassare una proprietà privata e io non voglio che lei corra dei rischi inutili.
Uno sbadiglio ingloba metà della mia faccia, le braccia si stirano verso l'alto.
Il cervello si mette in azione, nel giro di pochi istanti vaglia tutta una sequela di possibili ipotesi per distogliere Arianna dal partecipare. Potrei nasconderla dentro il portapacchi della moto, fingere di dimenticarmi di passarla a prendere, oppure far finta di caricarla sul sellino e partire, lasciandola invece sul marciapiede davanti casa.
Ogni possibilità sembra stupida e infattibile.
Non c'è soluzione, devo assolutamente mettermi l'anima in pace!
Arianna sarà con me, terrore o non terrore!
Poi, come un'illuminazione la mia testa, tra veglia e residui di sonno, partorisce una delle idee più geniali della storia.
Dannazione! Perchè non ci ho pensato prima?
Schizzo a sedere sul letto, scompigliandomi i capelli già arruffati.
Arianna verrà e farà il palo!
La piazzerò all'esterno della villa, così sarà al sicuro e in più servirà per avvertirmi in caso di pericolo. E' semplicemente perfetto!
Mi lascio scivolare giù dal letto. A piedi nudi mi dirigo verso il bagno.
Ho ancora gli occhi appiccicati dal sonno e il passo incerto.
Inavvertitamente e con una mossa decisa scontro il piede nell'angolo del letto, facendo scrocchiare tutte e cinque le dita contemporaneamente.
Urlo dal dolore e mi prendo l'arto tra le mani, lo stringo e salto come un canguro.
Il male della botta mi sale allo stomaco.
- Ma da quanto stai lì, tu? - grido contro lo spigolo assassino.
Non appena il mignolo, quello più colpito, cessa di pulsare, lascio ricadere il piede a terra e tiro un pugno per aprire la porta del bagno, - Questa giornata è iniziata di cacca! - poso le mani sulla superficie del lavabo, guardandomi allo specchio. Faccio un paio di respironi e impongo alla figura assonnata e imbestialita che ho di fronte, di calmarsi. - Coraggio ripeti con me! - le mie labbra si muovono in sincronia con quelle del ragazzo riflesso, - Oggi sarà una bellissima, stupenda, fantastica domenica! - provo ad essere convincente, - Sarà la tua giornata! Dovrà esserlo! Infondo sta andando tutto per il verso giusto! Arianna ormai fa parte della tua vita, Rebecca e Marcello hanno avuto la loro lezione! - vado verso la buca con maggiore autostima. Tiro giù i boxer, - E poi cosa più importante, stanotte porterai a termine il sogno della tua vita - alzo gli occhi al soffitto e sorrido, - Hai visto Riccardo? forse non è poi così male questa giornata!- sto per tirare su le mutande dopo aver urinato, quando mi accorgo di aver schizzato tutta la ciambella. Lascio andare le spalle, chiudo gli occhi e sospiro: - Bella giornata un corno! E' iniziata dannatamente male! - mi piego per pulire con la spugna la tavoletta. Avere il water sporco è una delle cose che detesto di più.
Mi lavo le mani e esco dal bagno, indossando una t-shirt pulita.
In mutante e maglietta scendo da basso e trovo mio zio di fronte al portatile.
Sta ritoccando alcune fotografie per un cliente, - Giorno! - mi saluta.
Sollevo la mano.
Lui alza lo sguardo dallo schermo, - Che c'è? Qualcuno ti ha tagliato la lingua? -
Vado ai fornelli, - Quel nostro vicino è fastidioso! - riempio una pentola con acqua, - Perchè quel tagliaerba non se lo caccia dove non batte mai il sole? - accendo la fiamma.
- Riccardo non è carino che usi questo linguaggio! - mi rimprovera mio zio.
- Mi ha svegliato! - protesto, - ha fatto partire la mia giornata nel peggiore dei modi! - prendo una padella dal cassetto, - e da adesso in poi la sfiga mi perseguiterà per tutta la domenica, me lo sento! -
Mi zio segue i miei spostamenti davanti al piano cottura, - E' solo un brutto risveglio! Il vicino è anziano, cerca di avere pazienza! -
Sbuffo, lavando i pomodorini.
Mio zio stringe gli occhi su di me, - E adesso cosa stai facendo? -
- Colazione - afferro il coltello e faccio a pezzi i datterini.
- Con quella? - indica il tegame, - e con quelli? - fa un cenno alle verdure.
- Cosa c'è? - lancio un'occhiata sfuggente all'uomo seduto curvo alle mie spalle, - è vietato farsi gli spaghetti appena alzati? - dico, annoiato di dover dare sempre troppe spiegazioni.
Mio zio scuote la testa, - fai pure! Se li preferisci a una bella tazza di latte fresco! - alza le sopracciglia perplesso, - hai un bello stomaco di ferro ragazzo! -
Verso l'olio nella padella e una volta scottato, vi rovescio i pomodorini tagliati.
- Tu non sei da Marie? - domando, razzolando il sughetto.
- Stamani tua sorella aveva un incontro con una psichiatra che viene dalla Germania - afferma, - un colloquio a porte chiuse -
L'odore dei pomodorini che cuociono apre la voragine creatasi nel mio stomaco.
L'acqua arriva ad ebollizione. Vi butto gli spaghetti. Nel fare tutto questo procedimento non posso non pensare di quanti sapori mia sorella si stia privando.
- Zio? - sospiro, - credi che Marie ne uscirà mai da questa situazione? -
Lui si gratta la testa, - Dicono che questa psichiatra sia la migliore! -
Poso il mestolo sul piano, - Non ti ho chiesto se questa strizzacervelli sia brava, ti ho chiesto se secondo te mia sorella ce la farà? -
I suoi occhi si spostano sui miei, la sua bocca si apre per dire qualcosa, ma poi si chiude subito dopo, piegandosi verso il basso, accompagnata dalle spalle e dalla testa.
Cosa significa? E' un forse?
Oppure un non lo so, o un dannato no, dovremo farcene una ragione?
Un magone mi attanaglia lo stomaco. Vorrei girarmi e scagliarmi su queste pentole e rovesciarle a terra, invece rimango immobile e con voce fredda e metallica annuncio: - So che ce la farà! Ne uscirà, non può non uscirne! -
Mio zio mi guarda mestamente, - Lo spero anche io, Riccardo! - dice, - lo spero tanto!-
Respiro forte e punto i pugni sul piano.
Fa troppo male non avere risposte certe.
Fa troppo male non sentirsi mai rassicurati, sempre in bilico tra paura e realtà.
Però devo e voglio pensare positivo!
L'ultima volta che ho visto Marie stava mangiando della cioccolata e questo è un ottimo segno, non può non esserlo!
Marie ce la farà. Marie uscirà dal tunnel.
Non importa di chi sia il merito, se di quello stupido ricciolino biondo o di una sconosciuta strizzacervelli, quello che conta è che Marie guarisca.
Voglio la mia sorellina indietro. E' il bene più prezioso di una famiglia ormai distrutta.
Mio zio mi guarda in silenzio, mentre scolo la pasta e l'abbino al sugo di pomodoro.
Decido di non prendere un piatto e di mangiare direttamente dalla pentola.
Al diavolo ai piatti, un tegame è più che sufficiente!
Mio zio mi osserva sempre più perplesso, - Andrai da lei dopo? -
Annuisco, mandando giù una bella quantità di carboidrati con una sola forchettata.
- Le ho comprato un album e delle tempere - dice, alzandosi per posare sul tavolo una borsa di materiale per dipingere, - portagliele! Credo che le farà piacere riceverle! -
Spazzolo la porzione di cibo in meno di cinque minuti, senza prendere fiato.
Lui sposta lo sguardo dallo schermo del computer a me, - Mangia piano e bevi ogni tanto, non voglio che finisci pure tu in ospedale! -
Alzo gli occhi al soffitto e prima che ogni resto di cibo presente dentro il cavo orale prenda la via dell'esofago, apro le fauci, mostrandone il contenuto in risposta a mio zio, che mi guarda schifato e perplesso.
- Riccardo! - si lamenta, - sei alquanto irrispettoso e maleducato! -
Rido sonoramente. Poi afferro la borsa con i colori per Marie, lancio la padella vuota nel lavello e corro sù per la scalinata.
- Quella credi che abbia braccia e gambe per lavarsi da sola? - mi richiama mio zio.
- Tu sei sicuramente più bravo di me a rigovernare! - mi sporgo dalla ringhiera, - hai delle mani d'oro! -
Lui borbotta qualcosa di incomprensibile, io ancora ridendo mi fiondo in camera.
Apro l'armadio, alla ricerca di un abbigliamento comodo e spotivo.
Afferro il primo jeans della fila e lo indosso, per poi mettermi a frugare tra le felpe.
Penso a quello che direbbe mia mamma nel vedere il mio armadio in questo momento, un sorriso nostalgico mi si presenta a fior di labbra
Ogni piano sembra un vero e proprio campo di battaglia, soprattutto il reparto maglieria.
Golf, felpe, magliette, tutto un ammasso univoco e indistinto.
Frugo con lo sguardo fino a fermarmi su una t-shirt spiegazzata, in fondo alla cassettiera.
L'afferro per l'orlo, portandola alla luce.
Trattengo il respiro. E' la maglietta bianca dell' "Hard Rock Café".
Quella di Elisa.
La mole di spaghetti ingurgitata si riunisce, fermandosi alla bocca dello stomaco.
Non ricordavo di averla e ritrovarla così, tra le mani, mi riporta indietro nel tempo alla velocità di un razzo stellare. Lentamente la porto al naso per inalare il profumo di lei ancora presente.
I ricordi pungono come spille.
L'uscita al famoso pub l'agosto di un anno fa e l'acquisto delle maglie.
La troppa birra.
Al ritorno la fuga nel nostro nascondiglio.
Elisa che si sfila la sua t-shirt, io la mia.
La notte di sesso acerbo e immaturo.
Infine lo scambio voluto, desiderato, come cimelio di un amore impossibile e invivibile.
E' passato del tempo da allora, sono successe molte cose.
Stiamo crescendo e al contempo cercando entrambi di ravversare le nostre vite.
Io adesso ho una casa e presto anche lei l'avrà.
Meritiamo di essere felici.
Meritiamo quelle emozioni che pensavamo ci fossero state negate per sempre.
Dobbiamo andare avanti per il nostro cammino, ma senza dimenticare ciò che siamo stati.
Il viso di Elisa che mi incoraggia con Arianna, i suoi occhi brillanti di speranza e la sua voce più vera e più donna che mai, mi portano ad abbassare la maglietta, lasciandola cadere di nuovo dentro l'armadio, insieme ai ricordi.
Afferro la prima felpa che trovo e la passo dalla testa.
Poggio una mano sull'anta del mobile e prima di chiuderla butto fuori un bel respiro e con esso tutte le immagini di quello che sono stato.
Adesso devo concentrarmi.
Se voglio vincere i ricordi, devo lottare per la mia nuova vita e per la mia fedele vocazione.
La mano si stringe in un pugno, mentre penso che sarò sereno solo quando quel pirata assassino verrà chiuso a marcire in un carcere! Solo quando lui e tutti coloro che gli vogliono un briciolo di bene finiranno in rovina!
Espiro, ispiro e di nuovo espiro prima di serrare con slancio l'anta. Prendo piumino, telefono, chiavi e borsa di colori e fuggo verso la mia Honda in direzione dell'ospedale.
Quando raggiungo il nosocomio un debole sole fa capolino tra le nuvole bianche e dense.
All'ingresso faccio un cenno di saluto al mio amico volontario, poi mi lascio portare dall'ascensore fino al quinto piano. Nel reparto di DCA attraverso il lungo corridoio, verso la camera ventidue. Marie avrà di sicuro terminato il colloquio di cui parlava lo zio.
La borsa con album e tempere si muove al fianco dei miei passi veloci.
Più avanzo e più l'odore di cibo preriscaldato si infiltra rivoltante nelle narici.
Le infermiere ritirano i pasti, i miei piedi rallentano la corsa.
Non ho più tutta questa fretta.
La voglia di vedere mia sorella è improvvisamente calata.
È il momento del pranzo e inevitabilmente sento le gambe tremare e lo stomaco contrarsi.
Se Marie sta facendo una delle sue solite scenate? Oppure se è piazzata dentro al letto con le lenzuola fin sopra la testa per non vedere neanche il vassoio?
Le due donne raggiungono la sua camera e quando ne escono sento che si sbilanciano in sentiti complimenti: - Prenditi tutto il tempo cara - dice una delle due, - torneremo dopo a recuperare il vassoio! - proseguono con un grande carrello di metallo, oltrepassandomi.
Cautamente mi avvicino alla stanza e mi affaccio.
Marie è seduta al tavolo e sta portando alla bocca qualcosa che ha l'aspetto di una minuscola polpetta di carne.
Lo stomaco smette di stringersi e le gambe si stabilizzano.
Un sorriso mi spunta spontaneo ai lati della bocca, mentre deduco il fatto palese.
Mia sorella sta mangiando.
Alla velocità di una lumaca, ma lo sta facendo!
Resto ancora dietro la porta, per vederla portare alle labbra il bicchiere con l'acqua.
Pian piano si gira verso il letto e accenna un sorriso.
Seguo la direzione del suo sguardo, non appena raggiungo l'oggetto del suo interesse, il mio cuore si blocca di colpo.
La mia espressione muta da felice a perplessa a scioccata in meno di un nano secondo.
Seduto sul letto a gambe incrociate c'è Matteo.
Cosa ci fa quello sciocco nella stanza con mia sorella?
Sento la rabbia e il nervoso salire.
Un fumo nero mi annebbia il cervello. Non vedo altra mossa se non quella di catapultarmi dentro la stanza per fare una strage di ricci biondi e boccolosi.
Dannazione! Questa giornata non va affatto come dovrebbe!
Tutta colpa del vicino e del suo maledetto tagliaerba infliggi iella!
Sto per spalancare la porta, come il più potente dei gladiatori sceso nell'arena, quando una mano mi blocca le spalle, - Riccardo Serio? -
Mi volto, imbufalito. Mi ritrovo di fronte a una signora sulla cinquantina con abito lungo.
- Sì - annuisco incerto, - sono io! -
La tipa sorride, mettendo in evidenza due profonde rughe ai lati della bocca, - Piacere, sono la dottoressa Dora Arnold, Marie mi ha detto di avere un fratello molto carino, ma non pensavo così tanto! -
Mi lascio stringere la mano, a disagio.
- Posso parlarti un momento? - chiede, con un accento tipicamente tedesco.
- Certo! -
La donna mi prende a braccetto, come fossimo due vecchi conoscenti, - Perfetto! Vieni, andiamo nella mia stanza, lì avremo un po' più di privacy! -
Confuso e reticente mi lascio trascinare via.
Mi volto appena per dare un ultimo sguardo alla camera ventidue, senza però riuscire a vedere niente più che una Marie intenta a tagliare a spicchi una mela, e un Matteo ancora appostato sul letto.
Cosa vuole quel ragazzo da noi?
Perchè deve passare la domenica mattina appollaiato nel letto di ospedale di una ragazza che a malapena conosce?
La dottoressa mi fa strada in un grande studio.
- Prego accomodati! - mi indica una poltroncina di pelle rossa.
Mi siedo, guardandomi intorno spaesato.
Lei si posiziona di fornte a me, - Voglio essere breve e concisa - dice, - io sono una psichiatra che lavora come consulente esterna dell'ospedale, vengo attivata nei casi più particolari! - sfrega le mani l'una all'altra, - il mio lavoro è quello di interagire con i ragazzi e le ragazze affette da disturbi alimentari, capire le cause e studiarne insieme una via d'uscita - si sporge in avanti, facendo tintinnare la grande collana di pietre, che le pende dal collo, - sarò sincera con te, Riccardo, il caso di tua sorella è molto delicato - confessa, - oggi ho parlato con lei per la prima volta e mi è sembrata una ragazza triste e sola Un'adolescente che sta attraversando un periodo molto nero della propria vita - gli occhi della dottoressa incrociano i miei, - Marie è malata, questo penso sia palese, anche se spesso molti familiari non vogliono vederlo o accettarlo! - dice, - Marie è in una fase di negazione del proprio corpo e della propria fisicità, si comporta come se volesse sparire e non lasciare più traccia di se stessa a nessuno - la dottoressa Arnold si schiarisce la voce, - qui in ospedale medici e infermieri l'hanno accolta e curata a livello fisico- tira fuori dal cassetto la cartella clinica di Marie, - con le sacche nutrizionali i valori dei suoi esami ematici sono tornati nella norma, e anche il suo peso si è stabilizzato - sfoglia i documenti, lentamente, - tutto questo è necessario per evitare le complicanze legate alla denutrizione ma, dopo questa prima fase fisiologica, dovremo occuparci della sfera psicologica - solleva di nuovo lo sguardo sul mio, - Marie ha bisogno di un appoggio nel suo lungo e doloroso viaggio interiore e per concederglielo sarà necessario trasferirla in un centro specializzato! Io sono disponibile per inserirla nella mia clinica a Berlino - conclude.
Di colpo tutte le parole dette dal medico cominciano a volteggiare nella stanza.
Rimango imbambolato e interdetto, con un unico nome in testa, - Berlino? - balbetto.
- Esattamente! E' uno dei centri migliori al mondo, sono certa che Marie con l'aiuto dei miei collaboratori riuscirà a recuperare! - porta i capelli dietro le spalle, - naturalmente il tutto è possibile solo dietro consenso da parte dell'istituto e di tuo zio, che dovrà anche partecipare con un contributo economico! -
- Ma Berlino è distante! - replico, - e io non potrò vederla, non c'è la possibilità di trovare un centro in Italia? -
Lei si sporge in avanti, - Riccardo! - mi afferra le mani sul tavolo, - sono io che gestisco quella struttura! Posso assicurarti che per lei sarebbe la salvezza! Per favore, pensaci, non ragionare egoisticamente, rifletti sulle esigenze di tua sorella! -
- Ma lei sta già meglio! - dico, - l'ho appena vista mangiare della cioccolata e della carne e...-
- Riccardo! - la dottoressa mi frena, - quello non significa niente! - dice. Poi aggiunge: - Certo! è un passo avanti, probabilmente le è scattato qualcosa dentro che l'ha spinta a reagire, ma non è affatto sufficiente per guarire! La sua malattia è una bestia feroce, infima, subdola e prepotente - stringe le mani più forte sulle mie, - Marie dovrà imparare a convivere con i suoi dolori, accettare quello che la vita le riserva, comprendere sé stessa e, per farlo nel migliore dei modi, senza rischiare inutili ricadute, dovrà essere seguita da specialisti del settore! - la sua voce è chiara e sicura, - da sola non ce la farà mai, dipende troppo dagli avvenimenti esterni, mentre la guarigione è necessario avvenga in seguito a un elaborato percorso interiore. Prima Marie ha bisogno di rafforzare sè stessa, poi può affacciarsi agli eventi della vita e goderseli nel modo più sano e pulito possibile! -
Poso lo sguardo sulle nostre mani legate, comprendendo a pieno il concetto, - Per quanto tempo dovrà rimanerci? - domando.
- Non c'è un periodo preciso, forse dei mesi oppure un anno, quello che le servirà! Tutto dipende da come reagisce ai nostri piani psicoterapeutici - dice, - domani telefonerò al responsabile dell'istituto dei Castelli Romani e questa sera stessa contatterò vostro zio. Poi se tutti sarete d'accordo provvederò a trovarle un posto nel giro di qualche giorno! -
Deglutisco.
Qualche giorno e Marie sarà trasferita in Germania.
Così presto!
Dovrei essere contento.
E' una notizia buona per la sua salute, ma non riesco a non pensare al distacco.
Alcuni mesi, un anno, un sacco di tempo senza poterla vedere, abbracciare.
La dottoressa Arnold accavalla le gambe, appoggiandosi allo schienale della poltrona girevole e lasciandomi il tempo di metabolizzare la notizia.
Fisso il tavolo, aspettando che la testa faccia il punto della situazione.
- E Marie? - domando, - lei sa della possibilità di questo trasferimento? -
La donna sospira, - Non ancora, voglio prepararla con calma! -
- Se lei non fosse d'accordo? -
- Lo sarà, è la sua unica via d'uscita! -
I miei occhi restano incollati ai suoi, - E se lei non volesse uscirne? -
- Non credo! - picchietta le dita sul tavolo, - nel colloquio di questa mattina ho avuto l'impressione che nonostante la rabbia, l'odio, il dolore intrappolati dentro, ci sia qualcosa che mette in dubbio il suo comportamento! - afferma, - mi spiego meglio: Marie ha tentato il suicidio, ha smesso di alimentarsi, si ribella, vuole nascondersi alla vita, ma, è allo stesso tempo curiosa del mondo! Fa domande sui rapporti umani, sul destino, sull'amore e pretende delle risposte! E, credimi, un individuo che desidera infliggersi la morte ha ormai smesso da tempo di interrogarsi! - tira indietro la sedia, alzandosi, - tua sorella ha diritto ad avere una possibilità! In lei vedo quella speranza che, con un duro lavoro, potremo trasformare in salvezza! -
Il mio cuore si divide in due enormi blocchi staccati di cemento, - Okay! Se questo è il bene per Marie, io sono d'accordo con il trasferimento! -
La dottoressa sorride e viene dalla mia parte del tavolo, - Sei in gamba ragazzo! - mi abbraccia, - Marie è fortunata ad avere un fratello come te, vedrai, riuscirà a superare questa malattia e la vostra vita diverrà più serena e luminosa! Ve lo meritate dopo tutto il male che avete passato! -
Quando esco dallo studio, i miei pensieri fanno un duello all'ultimo sangue con il mio cuore.
Da un lato mi sento felice che Marie possa avere una chance, dall'altro ho paura.
Paura di saperla a chilometri di distanza.
Paura che al centro non si trovi bene.
Paura che la guarigione sia solo una maledetta illusione.
A capo chino e con in mano la busta dei colori torno alla ventidue.
Apro la porta socchiusa e mi paralizzo.
Di fronte a me vedo una scena alla quale mai e poi mai avrei voluto assistere.
Marie e Matteo sono in piedi, stretti l'uno all'altro e si stanno baciando.
Si stanno dannatamente, fottutamente, volgarmente baciando!
Perchè lo stanno facendo?
Non avrei dovuto lasciarli da soli! Sarei dovuto intervenire prima, prima di essere trascinato nello studio della dottoressa. Adesso è troppo tardi!
Marie è in punta di piedi e Matteo le accarezza i capelli.
Il mio stomaco si stringe in una morsa e gli occhi bruciano.
Mi sento uno stupido!
Immobile, senza dire niente, fisso i due.
Dove è andata a finire tutta la rabbia? La bruta furia terrena che fa parte della mia indole?
Matteo piega la testa sempre più. Sembra voler mangiare mia sorella in un unico boccone.
Entro nella stanza. Le mani tremano e la busta con i colori che stringo tra le dita, finisce a terra in un tonfo sordo. I due si staccano e si voltano.
I miei occhi incrociano quelli di Marie.
Lei è stupita, mantiene le mani ferme sulle braccia del biondino che ha di fronte.
Il suo sguardo parla.
Sta dicendo milioni di cose. Cose che mi fanno pensare, riflettere e trattenere dallo scattare senza criterio come sono solito fare. Le sue iridi verdi brillano e paiono aver vissuto uno dei momenti più belli della vita.
Un respiro forte.
Un battito in più.
Uno spiffero di aria fresca.
La sua bocca è semiaperta e favella senza emettere alcun suono.
Dice che è il primo bacio.
Quello vero.
Quello inaspettato e palpitante.
Pian piano sposto lo sguardo su Matteo, che le cinge la vita e mi guarda, duramente.
Come a difendere la preda, come a proteggere un dono prezioso.
In testa mi rimbalzano le parole di Arianna. Devo mantenere a freno la gelosia, devo lasciar andare le cose come vanno. Faccio un paio di passi indietro.
Non so perchè.
Non so come mai.
L'istinto di protezione di Matteo, gli occhi e la bocca di Marie mi lasciano di stucco.
Mi sento come un intruso, un qualcosa in più in una camera già piena.
Chiudo gli occhi.
Fa male ammetterlo. Fa male sapere il corpo della mia sorellina nelle mani di un ragazzo, soprattutto, di quel ragazzo!
Sono stato troppo ingenuo, stupido e sciocco.
Perché non ho mai messo in conto che Marie fosse una donna e come tale potesse provare dei sentimenti verso il genere opposto?
Avrei dovuto lavorare su questo, adesso sarei sicuramente meno turbato e più tranquillo.
Però, dannazione!
Proprio Matteo!
Un enorme senso di angoscia mi attanaglia.
Ho paura che lui possa farla soffrire.
Ha portato Arianna in una bisca di fumo, fingendosi un grande amico, come posso fidarmi di lui? Però non voglio mancare di rispetto a Marie, senza contare che ho fatto una promessa ad Arianna. Ma dove avevo la testa, quando ho accettato di dare a Matteo una possibilità?
Lo avevo nella cacca, dannazione!
Pian piano riapro le palpebre. I piccioncini sono ancora legati, uniti di fronte a me.
L'aria è satura, pregna della loro complicità.
Fa male accettare che forse Arianna ha ragione, probabilmente quei due sono davvero innamorati, ma devo farlo, per il bene di tutti quanti!
E così, senza che neanche me ne renda conto, indietreggio fino al corridoio, poi fuggo via, sotto gli occhi perplessi di Marie e di Matteo.
Lasciarli soli, in balia delle loro emozioni, credo appartenga alle cose più insensate, coraggiose, stupide e belle della mia esistenza!
Quando esco dall'ospedale mi chiedo se ho fatto la cosa giusta o se me ne pentirò per il resto della mia vita. Salgo sulla moto, domandandomi quale altra sfortuna questa domenica abbia in serbo per me!
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