CAP LXXVI Riccardo tra incubi e pazzie

Riccardo

- Vai a casa – dice mio zio, in piedi in fondo al letto, – E' inutile stiamo qui entrambi - posa le mani sulla sbarra di metallo, - Marie deve riposare e tu domattina hai scuola! -

- Non lascerò mia sorella da sola! -

- Non è sola, ci sono io con lei e qualsiasi cosa succeda ti chiamerò! -

Scuoto la testa. - Dormirò qui! - sistemo meglio il poggiapiedi, - Non è poi così male! -

Lo zio fa un passo minaccioso verso di me, - Riccardo! Ho detto vai! -

Alzo gli occhi al soffitto, provo a controbattere di nuovo, ma invano.

Il suo sguardo è troppo duro e scuro per scontrarmici, così mi ritrovo ad acconsentire controvoglia. - Però qualsiasi cosa, tu chiamami! -

- Vedrai, non ce ne sarà bisogno. Marie dormirà tutta la notte e poi qui è al sicuro, ci sono i medici e loro sanno cosa fare in qualsiasi evenienza! -

Mi alzo dalla poltrona. Mi trascino all'attaccapanni in fondo alla camera e indosso la giacca e la Kefiah. Ricordo di non avere il telefonino con me.

L'ho lasciato questa mattina sotto al banco, quando la preside è piombata bruscamente in classe.

- Non chiamarmi al cellulare, l ho dimenticato a scuola – dico.

– Tranquillo, se sarà necessario farò il numero di casa! - batte una pacca sulla mia spalla.

Prima di andare via mi avvicino cauto a Marie. Poso un delicato bacio sulla sua fronte. E' fredda e leggermente umida.

- Notte sorellina -

E' straziante non ricevere nessuna risposta.

E' straziante non sentirsi dire: Notte fratellone.

Con il groppo in gola mi volto e esco dalla stanza.

L'ascensore mi porta alla hall, dove mi soffermo a ringraziare il giovane che si è proposto di portare i fiori e la lettera a Arianna.

E' stato gentile e gli prometto una pizza e una birra quando le cose andranno meglio. Se andranno meglio!

Lui si allunga per abbraccarmi, - Non preoccuparti, l'ho fatto volentieri! Mi sono detto: se questo ragazzo in un momento così brutto pensa a mandare dei fiori e scrivere una lettera a una ragazza, deve essere davvero qualcosa di importante! –

- Lo è! – ammetto. Prima di andare, gli rivolgo un ultimo sguardo, – Come ha reagito lei quando le hai dato il mazzo? -

Il ragazzo si sistema il cappello sulla testa e liscia i suoi baffetti, - In realtà non era in casa. Ho dato il tutto a una donna, credo fosse la madre. -

Mi volto deluso, – Okay, grazie lo stesso! -

Un alone di inquietudine si posiziona proprio sopra la mia testa.

Dove si trovava Arianna se non a casa?

Scaccio ogni brutta idea. Non voglio farmi delle inutili fissazioni mentali.

Arianna sarà andata semplicemente a casa di Giulia.

Le due sono di nuovo amiche, avranno di sicuro un sacco di cose sulle quali aggiornarsi.

Se quei fiori fossero finiti direttamente nelle sue mani, mi avrebbe fatto piacere, ma non importa, ciò che conta è che il regalo sia arrivato a destinazione!

Guardo l'orologio appeso nella sala d'ingresso. Sono le ventidue.

Altre domande a ruota. Una dietro l'altra.

Arianna sarà tornata? Avrà già letto la lettera? Cosa ne avrà pensato?

Il ragazzo torna dietro il bancone.

Pesco le chiavi della moto in fondo alle tasche dei jeans.

Cerco il due ruote nel buio del parcheggio. Salgo sù e metto in moto.

Guardo verso la finestra, che suppongo corrisponda alla stanza di Marie.

Solo un secondo, giusto il tempo di ripensare al magone allo stomaco di stamani, mentre guidavo, dietro all'auto di mio zio, in direzione dell'ospedale. Procedo verso il cancello.

Più mi allontano dall'ospedale e più ho il fiato corto.

Vacillo, incerto se tornare indietro. Poi scaccio l'idea.

Mio zio si arrabbierebbe. Infondo ha ragione, una doccia calda e un po' di riposo sono la cosa migliore. Sono stanco, abbattuto e tremendamente ferito.

In questo stato non posso essere d'aiuto nè a me stesso e nè tantomeno a Marie.

Appena giunto a casa, trovare le stanze vuote è frustrante.

Butto a terra Kefiah, giubbotto e mi disfo delle scarpe e dei jeans.

Salgo le scale a due a due e sfilo anche il golf e la maglietta.

Non mi preoccupo di sistemarli da qualche parte, lascio che cadano casualmente sul pavimento.

Apro il rubinetto della doccia. Tolgo i boxer e infilo sotto al getto bollente.

L'acqua lava la pelle e l'odore di disinfettante e malattia.

Lava le ferite immaginarie, che restano sempre aperte e sanguinanti.

Lava i capelli impregnati dalla sporcizia di una giornata lunga, stressante e infinita.

Indosso l'accappatoio e vado nella mia stanza alla ricerca degli auricolari.

Quando realizzo di aver lasciato anche l' Ipod in classe, insieme al telefono, allo zaino e al libro che stavo leggendo.

Impreco e prego che nessuno si sia rubato niente. Mi precipito allo stereo. C'è troppo silenzio qui. E il silenzio è maledettamente rumoroso per me!

Schiaccio play. "Smells like teen spirit" riempie la stanza.

I colpi di batteria di "Dave Grohl" tentano di riportare la calma dentro di me. Mi butto sul letto. Il cappuccio della spugna tirato sù.

Mi concentro solo sulla musica.

La testa riesce pian piano a svuotarsi. Ogni cattivo pensiero è strappato via dagli acuti di "Kurt Cobain".

Sistemo il cuscino sotto la nuca. Il mio corpo si lascia andare al sonno. Sono in uno stato di semi torpore.

Davanti ai miei occhi compare Marie.

E' sorridente e allegra. Sta bene.

Giochiamo a nascondino. Io conto e lei va a cercare rifugio.

Vedo la punta delle sue ballerine uscire da sotto la tenda bianca.

Sorrido. I suoi nascondigli erano e sono rimasti sempre gli stessi.

Dietro il tendaggio del salotto, sotto al letto o nel ripiano inferiore della credenza. Tuttavia fingo di cercarla. Dov'è Marie? Dov'è Marie?

Mi dirigo alla porta finestra. Scosto la tenda, pronto a correre verso la base. Il nascondiglio è vuoto. Le ballerine sono scomparse.

Il mio cuore accelera. Sudo freddo.

Cerco Marie per tutta la casa. Più urlo, più sudo. Più sudo, più non riesco a respirare. Marie non c'è più!

Mi sveglio di scatto. Seduto sul letto, realizzo che si tratta di un brutto sogno. Mi distendo di nuovo, senza riuscire più ad appisolarmi.

La musica dei "Nirvana" strilla nella stanza.

I pensieri non smettono di girare dentro la mia testa.

Da Marie ad Arianna, da Arianna a Marie.

Un grande frastuono impazzito che non sono assolutamente in grado di domare. Quando di nuovo lascio andare il mio corpo tra le braccia di Morfeo, lo stridore dei freni di un auto, mi sveglia di colpo.

Questa volta il ricordo più doloroso si manifesta inquietante.

I corpi dei miei genitori sono stesi a terra.

La mia voce e quella di Marie chiamano i loro nomi, senza ricevere risposta. La sirena delle ambulanze scava dentro alle orecchie.

Un suono tremendo, un pugnale nel petto.

Non voglio più dormire.

Il sonno riporta a galla troppo dolore, troppa angoscia.

Butto a terra l'accappatoio. Indosso il primo paio di mutande e jeans che trovo sul ripiano. A petto nudo frugo tra i cassetti.

Afferro una felpa nera e la indosso sulla t-shirt.

Mi precipito giù dalle scale ed esco di casa, nel buio della notte.

Salgo sulla moto e fuggo in direzione della statale.

Più avanzo e più aumento il gas.

Forse andare così veloce riuscirà a sfogare tutto il marcio che mi sta perseguitando. Forse la rabbia e la paura resteranno intrappolate all'asfalto e a quest'aria fredda. Il casco stringe le tempie, la Kefiah e il giubbotto di pelle riparano dalle sferzate del vento.

Vorrei urlare. Vorrei poterne essere capace, ma sono maledettamente bloccato. Ho la testa che scoppia, il cuore che sta per esplodere, ma non sono in grado di urlare tutto il male che provo. 

Non so per quanto tempo fuggo sulla mia Honda.

Forse un'ora, forse più. All'improvviso mi ritrovo in un luogo familiare. Tivoli.

La villa maledetta, quella del sospetto colpevole dell'incidente.

Mi fermo. Mantengo in equilibro il due ruote con la forza delle gambe.

Respiro a pieni polmoni. Alzo lo sguardo sul muro che recinta l'abitazione.

Il cancello è chiuso e parcheggiata di fronte la stessa auto dell'altra volta. Le mie labbra, screpolate dal freddo, tremano. Le mani cercano il pacchetto di sigarette nascosto nelle tasche della giacca.

Seduto sul sellino, penso a un modo per accedere all'interno dell'edificio.

Oltre il muro di mattoncini rossi si nasconde la verità.

So che è così. Lo sento.

Un'energia inaspettata mi colpisce a tradimento. C'è qualcosa che mi tira a entrare all'interno. Voglio scoprire tutto quello che c'è da conoscere su questa dannata vicenda.

Non mi basta sapere che l'auto che ha investito i miei genitori apparteniene alla proprietaria di questa immensa villa.

Non mi basta sapere che la donna ha probabilmente affermato il falso, dichiarando il furto dell'auto.

Non mi basta sapere che forse l' ha fatto per proteggere suo figlio.

Non è più sufficiente essere consapevole che, con tutta probabilità, la faccia dell'assassino corrisponde a quella dell'uomo visto proprio qui, una mattina di non molto tempo fa, mentre portava i propri bambini a scuola.

Basta alle incertezze!

Pretendo di arrivare in fondo all'indagine, punire il malvivente e porre fine al mio dannato incubo!

Per farlo occorrono elementi concreti. Anche il detective è stato chiaro a riguardo. Il video, con il numero di targa dell'auto pirata, da solo, non è sufficiente per riaprire il caso.

Occorre altro materiale da consegnare alla polizia.

In questa casa c'è il fulcro della mia disperata ricerca.

Una forza oscura spinge le braccia a gettare a terra il mozzicone, nascondere la moto dietro alcuni bidoni e tirare il cavalletto.

A passi lenti attraverso la strada.

La recinzione è alta, ma non troppo difficile  da valicare.

Una folata di vento agita gli alberi.

Non ci sono telecamere di sicurezza ai lati della villa tuttavia, per sentirmi maggiormente coperto, tiro sù il cappuccio della felpa e stringo i lacci, lasciando solo una piccola fessura per gli occhi e il naso.

Con la forza degli avambracci e una presa ben salda delle dita mi arrampico alle inferriate. Arrivo in cima, mi volto e riscendo di schiena, per saltare a terra in un balzo deciso. Mi ritrovo nel giardino della villa.

Un piccolo spiraglio di luce illumina la foschia. E' l'alba.

Il sole nasce, ma è ancora troppo presto perchè qualcuno possa svegliarsi.

Avanzo incerto e guardingo.

Il giardino è immenso. Prosegue per ettari dietro l'abitazione, in una boscaglia più fitta.

Procedo a piccoli passi, girandomi continuamente intorno. Ho il terrore che da un momento all'altro un cane guardiano spunti, ringhiandomi contro, oppure una trappola nascosta scatti a catturare un visitatore curioso.

Non accade niente di tutto ciò.

Il mio istinto mi guida verso un sentiero ciottoloso, circondato da imponenti statue di argilla.

Esse hanno sembianze umane, fanno venire la pelle d'oca.

Mi sento osservato dagli occhi vigili di Ecate e da quelli indagatori di Diana. Deglutisco mentre sposto lo sguardo sulle braccia tese di Eracle.

Quasi corro quando mi ritrovo a sbattere contro il forcone di Poseidone.

E' il passaggio più inquietante che abbia mai attraversato.

Al termine ho letteralmente il fiatone.

Vago tra gli alberi, il tempo passa senza che me ne accorga.

Solo quando un raggio di sole sbatte, rispecchiandosi sui vetri della casa, mi accorgo che l'alba si è trasformata in mattino.

Cammino verso il bosco fitto.

Più procedo, più percepisco una sorta di richiamo incoscio.

Le frasche degli alberi si muovono in sincronia con il vento, creando suoni surreali. Poi all'improvviso, nascosta tra gli arbusti, mi imbatto in una casetta di cemento. Mi soffermo a guardare la grande porta di metallo e le finestre blindate. Dell'edera circonda il casottino, avvolgendolo per una buona metà.

Prova a vedere dalla finestra, ma è troppo buio per distinguere i contorni di qualsiasi cosa vi sia all'interno.

Sul retro della struttura sembra esserci una piccola porticina di legno. Prendo la rincorsa e tento di abbatterla con una spallata ben assestata.

Il colpo è secco e deciso, ma non abbastanza sufficiente.

Impreco. Mi lancio contro una seconda volta.

Sento che all'interno c'è qualcosa di utile al mio caso.

Questo è il posto giusto!

La porta non vuole cedere al mio peso.

Mi affretto di nuovo nello sfondamento, quando sento delle voci echeggiare in giardino. Mi vado a nascondere dietro il tronco di un grande albero. Cerco di tranquillizzarmi, nessuno verrà mai fin quaggiù.

Niente paura.

Le voci sono schiamazzi di bambini, che escono per iniziare la loro giornata.

Purtroppo le mie supposizioni non vanno esattamente a buon fine.

Dei passi attraversano il sentiero circondato dalle statue, fino alla casetta.

Mi sporgo appena, rimanendo sempre nascosto dietro al vecchio tronco.

Ho la testa dentro al cappuccio e le gambe pronte a scattare.

Mi abbasso, evitando qualsiasi rumore. Stringo gli occhi oltre un grande cespuglio. Una figura percorre tutto il perimetro del casottino.

Arriva davanti alla porta di legno e si blocca.

Trattengo il respiro. L'uomo gira la testa nella mia direzione.

I suoi occhi, quegli occhi grigi che cangiano colore fin dalle prime luci del mattino, mi trasmettono una brutta sensazione di inquietudine.

Un orrendo fastidio, che si sovrappone a quello del primo incontro, quella solita mattina di inizio ottobre.

Per fortuna i bambini lo reclamano.

L'uomo riporta i suoi mocassini di nuovo sul sentiero.

Mi lascio scivolare con la schiena contro l'albero e poso il sedere a terra.

Appena gli schiamazzi dei piccoli cessano e il motore dell'auto si allontana, mi rimetto in piedi e inzio a correre.

Tra gli alberi, nel sentiero acciottolato, nel giardino.

Arrivo di fronte alla villa e mi scaglio sul cancello.

Con tutta la forza e l'adrenalina in mio possesso, lo valico senza paura.

Ho il cuore a mille.

Solo quando la moto mi riporta sulla statale, in un territorio imparziale, riesco a sciogliere i nervi tesi e procedere ad una velocità rispettabile.

Ormai è giorno.

Più viaggio, più scopro che la rabbia e il dolore di ieri e di questa notte sono passo passo sostituiti dalla determinazione.

Non importa se non ho dormito affatto, se ho appena perso dieci anni della mia vita, ciò che conta è avere in mente un obiettivo. Ed io ce l'ho!

Scoprire cosa nasconde l'uomo dagli occhi grigi e dai mocassini, dentro quella sigillata capanna di cemento.

Tornerò alla villa questa notte stessa e aprirò quella maledetta porta di legno. Lo farò per aiutare Marie a risalire e il mio animo a placarsi.

La moto mi porta di nuovo in città. Non ho voglia di recarmi a scuola, ma decido di farlo per recuperare tutte le mie cose. Quando varco l'ingresso del parcheggio è molto tardi.

Il cortile è vuoto e le lezioni sono iniziate.

- Ehi ragazzo !!! - urla il bidello, vedendomi varcare l'ingresso, - Occorre una buona giustificazione per entrare a quest'ora! - mi insegue.

Me ne sbatto delle sue grida di richiamo, a grandi falcate raggiungo la mia classe. Entro e mi chiudo la porta alle spalle, lasciando il bidello fuori, in preda ad un attacco isterico.

L'insegnante di letteratura mi guarda sorpresa. - Buongiorno Serio! -

Faccio un passo avanti, - Scusi il ritardo, posso partecipare ugualmente alla lezione? -

La professoressa alza lo sguardo contro il mio, - Sa che abbiamo iniziato venti minuti fa? -

Annuisco, abbassando la testa.

Lei muove una mano a indicare la mia postazione, – Prego! – dice, stizzita, - Si accomodi! -

Raggiungo il mio posto. Sul banco c'è lo zaino che avevo lasciato.

Dentro ci sono tutti i libri, ma non l'Ipod e nè il telefonino.

Guardo in ogni cerniera e anche sotto al banco. Niente.

Dannazione! Lo immaginavo!

Qualcuno se li è sicuramente presi.

Porto le mani ai capelli, tirandoli indietro.

La professoressa ci stimola a leggere un passo sull' "Amor cortese".

Mi guardo intorno, disorientato.

La donna cerca i miei occhi, - Non ha il libro, Serio? -

Nego con una semplice mossa della testa.

Lei sospira e sposta l'attenzione dietro di me, – Megan, puoi essere così gentile da prestare il testo al tuo compagno ritardatario e smemorato? -

La ragazza sbuffa., - Ma professoressa! Devo scrivere gli appunti sopra! -

La donna batte entrambe le mani sul piano e si rivolge alla classe, - C'è qualcuno così altruista da concedere il proprio libro? -

Tutti restano in silenzio.

Alla fine l'insegnante, prima di perdere l'ultimo briciolo di pazienza rimasto, mi obbliga a fare cambio posto con Megan.

- Così Serio potrai leggere con Rebecca e tu, Megan, hai il tuo testo per gli appunti! -

Mi alzo controvoglia. Porto il sedere sulla sedia alla destra di Rebecca.

La professoressa inizia a leggere il brano incentrato sull'umiltà, la cortesia, l'adulterio e la religione dell'amore.

Cerco di restare concentrato, ma non riesco a non lasciarmi distrarre dallo scollo provocante che la bionda al mio fianco ha scelto di anteporsi questa mattina.

Mi domando se è un abbigliamento presentabile per venire a scuola!

Rebecca si avvicinca al mio orecchio, – Riccardo! Attento alle distrazioni! -

Torno a guardare all'istante sulla pagina del libro.

Al termine della lettura, Rebecca tira fuori dallo zaino il mio cellulare e il mio Ipod.

- Li avevi lasciati sul banco ieri, me li sono presi perchè non te li rubassero! – me li porge.

Prendo tra le mani i due oggetti. A stento la ringrazio del suo gesto, che pare avere qualcosa simile all'altruismo.

- Non preoccuparti, è stato un piacere per me! Non ti dispiace se mi sono ascoltata alcune delle tue canzoni?-

Poso gli occhi sul lettore musicale, rigirandolo tra le mani.

- Certo che hai della musica davvero incompresibile là dentro! Dovevo immaginarlo ti piacesse un repertorio così rock! E'molto adatto a tipi tenebrosi come te! -

Vorrei dirle che quelle canzoni sono la mia vita.

Sono la mia scarica di adrenalina e relax. Il mio mondo.

Mi hanno fatto compagnia nei giorni bui e sostenuto nei momenti di sconforto. La musica dei "Nirvana" e dei "Led Zeppelin" mi ha aiutato a sfogarmi, a buttare fuori tutto il dolore e il male, che altrimenti non sarei mai riuscito ad espellere.

E'inutile, lei non capirebbe. Per lei quelle voci sono solo e soltanto urla. Parole e note mischiate l'una all'altra.

Distolgo il mio sguardo dal suo. Mi alzo per tornare al mio posto, scambiandomi di nuovo con Megan.

- E comunque! - La voce di Rebecca mi raggiunge alle spalle, - L'ultima traccia è stata una vera e propria sorpresa.  A quanto pare il misterioso Riccardo sotto sotto è anche molto dolce e romantico! -

Le rivolgo un'occhiata torva, - Piantala! Tu non sei nessuno per giudicare. Poi, chi ti ha dato il permesso di ascoltare la mia musica? -

Rebecca sorride, - Ehi calmati! Il mio voleva solo essere un complimento! Quell'ultima canzone mi ha meravigliata! - poggia i gomiti sul banco, si protende in avanti sopra il peso dei suoi seni, – "Story of my life" è uno dei miei brani preferiti! -

Mi volto di scatto. Non si merita affatto uno straccio di risposta.

Quella è la canzone mia e di Arianna. Solo il fatto che Rebecca l'abbia ascoltata mi fa salire i nervi alle stelle.

Faccio un respiro profondo, cercando di riportare il respiro regolare.

La campanella suona il cambio dell'ora.

Ne approfitto per sbloccare lo schermo del cellulare e inviare un messaggio a mio zio per conoscere le condizioni di Marie. Leggere la sua risposta tempestiva mi dà un po' di sollievo.

<< Marie si è svegliata. E' riuscita a bere dei cucchiaini di acqua.

I parametri sono in netto miglioramento, i medici sono fiduciosi per la sua ripresa. >>

Con il pollice scorro a visualizzare le chiamate perse.

Ce ne sono un paio di Arianna, insieme a un messaggio di ieri pomeriggio e una telefonata di questa mattina. Mi ha cercato.

Probabilmente era preoccupata per avermi visto fuggire in quel dannato modo. Ho fatto la mossa giusta a scriverle la lettera, almeno su questo fronte mi sento apposto con la coscienza.

Spero solo che le mie parole l'abbiano convinta a perdonarmi.

Ho scritto tutto ciò che c'era da rivelare e adesso il mio animo è pulito.

Non più segreti. Non più misteri. Tuttavia non sono abbastanza sereno.

Mi sento perso in mezzo all'oceano, senza una scialuppa, circondato da pesci giganti e voraci che si insinuano ovunque.

Solo lei, la mia Arianna, può aiutarmi a gettare le reti e farli abboccare.

Non posso stare con le mani in mano.

Non è sufficiente la strofa di "John Lennon", nè quella di "Elisa", nè di "Brian Adams" o degli "Evanescence".

Devo fare qualcos'altro.

Qualcosa di più memorabile, per riportare il suo cuore a un passo dal mio.

Devo farmi venire in mente un'altra idea, un'altra invenzione.

Un altro modo per riconquistarla, definitivamente.

La professoressa di lettere della prima ora lascia il posto a quella di storia, che fa il suo ingresso con una pila di libri sotto braccio.

Ho un lampo di genio.

Forse non è una delle mie pensate migliori, però può andare!

Il cervello inizia a frullare. Un sorrisetto mi spunta ai lati della bocca.

Per fare quello che ho intenzione di compiere occorre soltanto mettere da parte ogni sorta di vergogna e pudore e pensare all'unico vero obiettivo: riconquistare la ragazza della mia vita!

Dentro la testa metto a punto ogni passaggio. Non posso fare tutto da solo. Ho bisogno di qualcuno che possa darmi una mano.

Senza pensarci troppo invio un messaggio a Leo.

<< Amico ho bisogno di te! >>

L'insegnante si posiziona alla cattedra, narrando, battaglia dopo battaglia, la guerra dei Cent'anni.

Dopo circa una mezz'ora in cui guardo e riguardo il cellulare, senza segni di risposta, finalmente Leo si fa vivo.

<< Amico, qual'è il problema? >>

Con il telefono nascosto dentro l'astuccio scrivo velocemente:

<< Arianna è in classe questa mattina?  >>

La sua risposta affermativa mi permette di scrivere ancora.

<< Leo, al suono della campanella dell'intervallo vai dalla preside e con una scusa falla allontanare dal suo ufficio! >>

<< Cosa? Perchè dovrei farlo? >>

<< Non fare domande! Vai nell'ufficio di quella donna e inventati quello che vuoi, basta che la fai uscire il più lontano possibile dalla sua postazione! >>

<< Cosa dovrei inventarmi? Non ne sono capace! >>

<< Un incendio, un tubo rotto, qualcuno con un infarto in corso! Basta che la trascini via dalla sua stanza! >>

<< Tu mi fai paura, cosa hai in mente? >>

<< Fai come ti dico e basta. Ti prego aiutami! >>

Nessuna risposta.

<< Io con Giulia ti ho dato una mano, ricordi? >>

Tocco il suo tasto più sensibile, rammentandogli il pomeriggio in giro alla ricerca del braccialetto e del ristorante adeguato al loro primo appuntamento .

Quando il cellulare di nuovo lampeggia sorrido nell'aver fatto centro.

<< Okay, ti aiuterò! Prega qualsiasi Santo tu voglia, che non mi farai cacciare in qualche guaio, altrimenti giuro cancellerò ogni tua traccia dalla mia vita! >>

Ripongo il telefono dentro l'astuccio.

Sapevo che Leo mi avrebbe aiutato.

Sapevo che su di lui avrei potuto contare!

Torno a porgere attenzione alla professoressa, ai soldati che si apprestano ad entrare in campo con le loro armature. Più o meno come me, che dentro sto già preparandomi al mio piano di conquista.

Dopo un'ora e quarantacinque quando la lezione di storia sta per giungere al termine, penso che mancano solo pochi minuti, prima che la mia pazzia abbia inizio!

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