CAP LVIII Adesso stringimi forte

Il sabato mattina le urla dei miei genitori mi destano molto prima del suono della sveglia. La voce potente di mio padre sbatte contro le pareti e si propaga dalla cucina, fino alla mia stanza, - Simonetta, tu non capisci e non capirai mai! Io lavoro! Sono tutta la settimana in giro e quando torno voglio essere lasciato in pace !!! -

Chiudo gli occhi. Desidero immensamente ritornare nel mondo dei sogni. Un universo incantato dove nessuno litiga, nè tradisce, nè odia.

Ormai le palpebre sono aperte e un'unica consapevolezza si fa spazio dentro di me: papà è tornato ed è più nero e imbestialito che mai!

Mi rigiro nel letto. Il telefonino lampeggia, segnalando un messaggio di buongiorno da parte di Riccardo.

Immediatamente penso alla nostra telefonata di ieri sera.

Due lunghe ore attaccati alla cornetta. Mi sono appisolata con la sua voce impressa nelle orecchie, mentre svelava il miglior scoop del secolo: il fidanzamento di Leo e Giulia.

È strano che Riccardo sia diventato amico intimo di Leo, confidente fedele a tal punto da avere l'esclusiva di una notizia tanto personale e sbalorditiva.

Un secondo grido mi desta definitivamente: - Ho detto no !!! -

Mi alzo. I miei capelli allo specchio appaiono enormemente arruffati.

- Ti ho solo proposto di andarcene questo week-end. Noi due da soli, non mi sembra di aver chiesto la Luna! - replica mia madre.

- Ti ripeto che sono appena tornato ed ho voglia di stare sul divano per tutto il fine settimana, chiaro? -

Papà non è un uomo dolce e comprensivo, nè con me nè con mia madre, ma questi litigi carichi e potenti non sono mai esistiti.

Non lo riconosco più o forse non l'ho mai conosciuto realmente.

Forse l'invecchiare e lo stress hanno messo a nudo il suo vero essere.

Una maledetta anima egoistica e maschilista.

Mia madre singhiozza: - Non ci pensi a me? Tutti i giorni chiusa in questa casa ad aspettarti. Alla malora tu e il tuo schifoso lavoro! -

- Il mio schifoso lavoro è quello che ti permette di mangiare, di andare dal parrucchiere e di crescere nostra figlia! –

Il pianto di mia madre è sempre più forte.

Mi vesto velocemente, districo i capelli e li tiro in una coda alta.

Mi faccio coraggio e scendo al piano inferiore.

- Che poi crescere è una parola grossa - sentenzia mio padre, - Arianna è una stupida ragazzina viziata. Tu le concedi troppa libertà! -

I miei piedi si soffermano indecisi sul pianerottolo, senza varcare la soglia di cucina. Lo zaino scivola dalla spalla e cade a terra.

I due si voltano, attirati dal rumore. Mi ritrovo di fronte agli occhi grigi di mio padre. Improvvisamente piombo indietro nel tempo. Alla scorsa domenica. Alle frustate della cinghia sulle mie cosce.

- P-p-posso fare colazione? – balbetto.

Mamma non smette di piangere. Papà scatta improvvisamente verso di me. Mi riscuoto, aspettandomi il peggio.

- Questa casa mi soffoca! Questa famiglia mi soffoca! Voi due mi annientate! - mi afferra un braccio, - Tu signorina hai ancora qualche altro segno addosso? - Abbassa il colletto del mio maglione e mi scruta la pelle del collo, alla ricerca di ipotetici lividi.

- Lasciami! Non ho niente! – mi ribello, – Come puoi preoccuparti dei segni quando sei tu il primo ad averne lasciati sul mio corpo e sul viso di mamma? Non ricordi più quello che hai fatto l'ultima volta? Ci hai picchiate! Vuoi farlo anche adesso? –

Lui affonda le dita sulla mia pelle, - Non provare a urlarmi contro! Sono tuo padre, non devi assolutamente mancarmi di rispetto! – mi strattona. - Se scopro che c' è anche solo un ragazzo che ti gira intorno e si approfitta di te, io giuro che...-

- Che..? – lo fisso negli occhi.

Tutto il disprezzo che ho in corpo saetta tra le mie e le sue pupille.

Papà respira forte ed emette una sorta di lamento. Poi la sua mano abbandona il mio braccio e si schianta con rapidità contro la mia guancia.

Mamma si getta contro di lui: - Domenico non toccarla !!! -

- Questo è quello che tua figlia merita e quello che dovresti imparare a darle anche tu una volta ogni tanto! –

Lo schiaffo e le parole cattive non bruciano solo a livello fisico, ma grattano il cuore in maniera devastante.

Mio padre mi punta un indice contro, - Hai quindici anni ed io sono responsabile della tua vita. Fino a quando non sarai maggiorenne tu non avrai voce in capitolo! - mi spinge contro il muro e si fa strada nel corridoio, passando oltre il mio corpo avvilito.

Corre per le scale senza voltarsi indietro.

Non appena la porta della camera matrimoniale sbatte, chiudendosi, faccio un grosso sospiro di sollievo.

Mia madre si avvicina e mi avvolge tra le sue braccia.

- Non ti lascio qui da sola con lui. Starò con te e non andrò a scuola. – dico.

Lei si asciuga gli occhi con il canovaccio legato in vita, - Devi andare. Me la caverò, stai tranquilla. - mi accarezza la guancia dove ho ricevuto lo schiaffo. - Ti fa male? -

- Non ha importanza - la rassicuro.

Infondo è la verità.

Il dolore sulla pelle non è più grande di quello dentro al mio cuore.

Raggiungo il liceo nella confusione mentale più totale.

Riccardo parcheggia il suo ciclomotore e mi viene incontro.

Il suo bellissimo sorriso pian piano sfuma mentre si avvicina, - Che è successo? -

Non riesco a dire niente e mi getto tra le sue braccia, liberando un singhiozzo dietro l'altro. Lui mi stringe nel più intimo e caloroso degli abbracci. Passa una mano sulla mia schiena e mi bacia tra i capelli.

Se solo mio padre sapesse che nella mia vita esiste questo fantastico ragazzo, non credo si limiterebbe ad una semplice sberla.

Forse mi farebbe a piccoli pezzi, per darmi direttamente in pasto ai coccodrilli. Non voglio pensarci. Papà non saprà mai dell'esistenza di Riccardo. Lui è la cosa più bella che ho e la difenderò al massimo.

Niente e nessuno potrá mai portarmela via.

Gli occhi di Riccardo finiscono sul rossore della mia guancia, - Ehi piccolina, ma cosa...? - scivola un dito sopra, - Tuo padre? -

Annuisco. Mi asciugo gli occhi e il naso con la manica del piumino.

- Non tornerai a casa finchè c'è lui - sentenzia.

- Non posso abbandonare mia mamma. Devo farmi forte per lei! -

Riccardo mi prende le mano, - Non se ne parla. Non tornerai in quella casa. Parlerò con mio zio. Verrai a stare da me fino a quando tuo padre non se ne sarà andato di nuovo. Lunedì mattina riparte, non è vero? - La sua voce si fa più flebile, - Si tratterebbe solo di due giorni. Due giorni io e te. -

Due giorni. Insieme. Al solo pensiero il cuore palpita a mille.

La realtà però fa male e, controvoglia, mi trovo a rifiutare, - Non credo sia una buona idea. Se papà non mi vedrà rincasare, se la prenderà con mia madre ed io finirei per sentirmi ancora più in colpa! -

- Allora verrò io da te! -

- No - replico secca e decisa, - Papà non deve sapere che ho un fidanzato. E' proprio questo il punto. Se scoprisse che mi sto vedendo con un ragazzo, credo che lo cercherebbe per ucciderlo con le sue stesse mani!-

- Non ha importanza. Io sono pronto – afferma, - Pronto a morire! -

I suoi occhi scavano dentro la mia anima.

Il mio respiro si smorza di fronte a queste parole, pronunciate con tutto l'amore e la semplicità possibile.

Non riesco ad emettere alcun suono di risposta. Il cuore esplode e gli occhi possono solo fissare le labbra rosee di Riccardo e bramarle più di qualsiasi altra cosa al mondo. Per fortuna il desiderio si esaudisce in breve tempo.

Le dita di Riccardo lasciano le mie mani e si spostano sotto la mia nuca, per avvicinare i nostri profili.

La bocca di Riccardo stampa alcuni baci delicati e superficiali sulla mia, - Non sto scherzando. Morirei anche oggi stesso per te. – sussurra.

Il suo odore invade le mie narici. Il sapore buono ed eccitante che solo le sue labbra possiedono, irrompe in ogni singola papilla.

Quando anche le nostre lingue si toccano, ho la pelle d'oca e il cuore in tumulto. Presto il contatto diventa un turbine, dal quale non vorrei staccarmi più. 

Ho voglia di lui anche se è già perfettamente incollato a me.

Ho voglia di lui anche se il suo cuore è in danza con il mio.

Ho voglia di lui in maniera disperata e incontenibile.

Con Riccardo sono sicura e protetta. Mi sento la sua donna, e lui non è altro che il mio più desiderato amore.

La campanella d'inizio lezioni pone fine al nostro idillio.

- Credo che dovremo andare – realizzo.

Riccardo mi accarezza le guance, dolcemente.

- Grazie. So quello che hai passato per la tua famiglia e lo sforzo che stai facendo per allontanare i tuoi problemi, pensando ai miei - confesso.

- Adesso ci sei tu nella mia vita. Tu e Marie. E'per voi che devo lottare, e per incastrare quel maledetto assassino! - stringe fermamente la mascella, - Più passano i giorni, più mi convinco che i miei sospetti sono fondati. Troverò le prove che mi servono! E' solo questione di tempo! –

- Ci aiuteremo a vicenda – lo rassicuro.

- D'accordo! Adesso però asciugati la faccia. Non puoi entrare in classe così. - toglie dalla tasca un fazzoletto di carta.

Pulisco il viso dalle lacrime e dal dolore.

Improvvisamente davanti ai miei occhi ciondolano due fili di plastica bianchi. Impiego un nano secondo a capire che si tratta dei miei auricolari. Un' altro mezzo secondo a rendermi conto che il viso di Riccardo si è fatto scuro. Quasi gli esce del fumo nero dal naso e dalle orecchie.

La sua attenzione è diretta dietro di me.

Poi la voce che si alza alle mie spalle spiega ogni perché, - Il giorno che perderai la testa fammi un fischio che sarò io a riportartela!-

La risata che segue fa gelare il sangue. Mi volto.

A un passo da me, con il braccio sollevato e le cuffiette in pugno: Marcello.

Afferro gli auricolari, - Dove li hai presi ? – 

Non faccio a tempo a terminare la domanda, che mi pento di averla espressa. È un lampo e nella mia testa si fa spazio il ricordo delle cuffie sfilate malamente dall' Ipod, nel tragitto verso casa, dopo la rottura con Riccardo.

Il mio ragazzo avanza contro il nemico, - Perché non rispondi? Perché non dici dove li hai presi? -

Marcello alza le mani, - Calma bello! Non sono in vena di rogne. Fatti dire dalla tua dolce metà dove li ho trovati! - si dilegua verso l'entrata del liceo.

Riccardo è immobile coi pugni ancora chiusi, – Dannazione Arianna! Come fa quell' idiota ad avere i tuoi auricolari? -

Piego la testa, ficcando le cuffiette in tasca, - Credo di averli lasciati nella sua auto. -

- Dove? –

- Nella sua auto - ripeto.

- Quando? -

- Non ha importanza. Gli auricolari sono di nuovo in mio possesso e questo è ciò che conta! -

Riccardo non sembra molto d'accordo. La furia che sta trattenendo esplode, rompendo gli argini di una diga fin troppo instabile, - No che non lo è! Per me non lo è! Quello che conta veramente è che tu adesso mi dia una spiegazione abbastanza sensata del perché quei dannati auricolari fossero in quella dannata macchina! - mi afferra i polsi, stringendoli.

La dolcezza di pochi istanti fa si dissolve, per lasciare spazio alla gelosia e alla collera. Questo lato di Riccardo non mi piace, mi fa paura.

Tento di sottrarmi dalla sua stretta, - Lasciami andare. Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere! -

- Non giocare con me, Arianna – dice duramente, - Non prendermi in giro! Se so che tra te e lui c' è ancora qualcosa... -

- Ti stai facendo idee strane, quando la realtà è semplice e banale! –

- Allora parla, dannazione! – impreca.

Punto Riccardo dritto negli occhi, - Solo se mi liberi! -

Lui sbraita e stringe più forte la mia carne.

- Ieri avevamo fatto un patto: avresti contato fino a dieci prima di saltare a conclusioni troppo affrettate. Non lo stai già rispettando! -

Riccardo molla la sua presa, mantenendomi comunque ferma per una spalla, - Avevi promesso che non avresti più avuto a che fare con Marcello, ricordi? -

- Ho rispettato il patto. Non ho e non voglio avere più niente a che fare con lui! -

- Le prove dimostrano il contrario - replica.

- Le prove sono solo quello che tu vuoi vedere. Rispetta il patto ed io ti racconterò come stanno le cose! -

Riccardo respira profondamente, – Uno,due,tre, quattro, cinque. Sto contando, cosa aspetti a parlare? –

- Il giorno che mi hai lasciata... - comincio.

- Sei, sette. -

- Quel giorno Marcello era fuori casa. Mi ha vista fuggire in lacrime e si è offerto di darmi uno strappo. Ho accettato. So che ti avevo promesso di non avvicinarmi più a lui, ma ero sconvolta e in condizioni pietose. Ho pensato che per un passaggio non ci sarebbe stato niente di male. Sono salita sui sedili posteriori e ho messo le cuffiette con la nostra canzone. Ho sperato con tutta me stessa che fosse sufficiente per non entrare in dialogo con lui ma...-

- Otto, nove. -

- ...Purtroppo mi sbagliavo. Marcello mi ha strappato via gli auricolari, imposessandosene. Ha cominciato a fare odiose battute su su di noi. Mi sono pentita di aver accettato il passaggio, anche adesso, sono pentita così tanto... - Non riesco più a resistere e finisco per esplodere in un pianto incontrollato, di nuovo. - Tra me e quel verme non esiste nulla. Lo odio e queste maledette cuffie non sono una prova di niente! - le estraggo a forza dalla tasca e le getto a terra, - Odio così tanto pure loro!-

Riccardo abbassa lo sguardo sui fili bianchi, attorcigliati ai nostri piedi, - Dieci - conclude.

Ho raccontato la pura e semplice verità. Adesso tocca a lui crederci o meno. Scegliere di fidarsi o non fidarsi di me.

L'attesa mi distrugge e vorrei tanto conoscere gli ingranaggi del suo cervello per sapere cosa stiano macchinando.

Poi le sue "Converse" fanno un passo verso le mie. La sua mano scivola dalla spalla al mio braccio, fino a sfiorarmi le dita, - Mi sono perso un passaggio. Hai parlato di una canzone, la nostra canzone...-

Annuisco. 

- Noi non abbiamo una canzone! -

- Stai sbagliando. Ne abbiamo una - dico.

- Dal momento che sono il diretto interessato, potrei sapere quale? –

- Quella sul pontile. Quella è stata la nostra prima canzone! -

Riccardo sorride, – "Story of my life". -

- "Story of my life" – ripeto.

- Per colpa del mio carattere troppo impulsivo, ho sbagliato anche questa volta. Perdonami. –

I miei occhi si incantano nelle mille sfumature dei suoi, – Okay. -

Non ci muoviamo per i successivi due secondi. Poi è Riccardo ad allargare  le braccia, - Adesso stringimi come solo tu sai fare! -

Non aspetto altro. Mi getto di schianto contro il suo corpo.

La sua vita tra le mie braccia e la mia testa sul suo torace.

Nel cortile ci sono studenti ritardatari, diretti verso l'entrata.

Nel parcheggio il rombo di alcuni motorini. Sono nel mio mondo.

Riesco a sentire solo il rumore del cuore di Riccardo che batte. Un suono stupendo e bellissimo, del quale ormai non potrei più farne a meno.

Questa melodia ritmica e decisa riesce a calmarmi. I singhiozzi si fermano, lasciando gli occhi tremendamente arrossati e gonfi.

Poi pian piano anche il respiro rallenta. Sono felice che Riccardo mi abbia ascoltata senza giungere a conclusioni affrettate e ingiuste.

Non è stato semplice, ma quello che conta è il risultato finale.

Il mio corpo si trasforma.

Mi sento una fragile, deliziosa e colorata farfalla. Non ho bisogno di niente, neppure di un tiro di mariujana per far avvenire la mutazione.

Il tutto succede spontaneamente.
Esco dal bozzolo di insicurezza e libro intorno alla mia luce. Leggera e positiva, come la più bella delle falene.

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