CAP CXVIII La legge è uguale per tutti

Il fatidico giorno è arrivato.

La prima udienza.

La prima volta che rivedrò mio padre dopo tutte le vicissitudini.

Il momento più timoroso e indesiderato della mia esistenza.

L'imponente mole del Palazzo di Giustizia si staglia di fronte, predominante e quasi terrificante.

Io, mia madre e il nostro avvocato attraversiamo la piazza e ci incamminiamo nella lunga scalinata di entrata.

L'interno è caotico e dispersivo, tanto da sentirsi un essere minuscolo nell'immensità del cosmo.

La gente si muove frenetica, uomini in uniforme e persone vestite di tutto punto procedono sicuri e frettolosi verso chissà quale meta.

Mi guardo intorno disorientata e seguo gli adulti al primo piano e poi in un lungo e stretto corridoio, fino ad arrivare alla sezione penale.

- Rispondi sinceramente e senza paura a ciascuna domanda che ti verrà posta - l'avvocato fa segno di accedere ad una grande stanza con sedie di legno, posizionate di fronte ad un bancone centrale, alle spalle del quale, la scritta "La legge è uguale per tutti" , trionfa predominante, - non sarai da sola, tua madre e io ti resteremo vicini - mi rassicura, - sarò pronto ad intervenire ogni volta che le domande della controparte non saranno congrue alla situazione! -

Annuisco e mi lascio guidare fino ad una delle postazioni alla destra del lungo tavolo.

L'aria che si respira è singolare.

Fa freddo, ma ho i palmi e la schiena sudata.

Le mani tremano e i piedi non riescono a stare fermi e composti.

Poi la tensione aumenta al massimo quando arriva in aula mio padre, scortato da due uomini in divisa. In abito scuro e mocassini, il responsabile di simile distruzione, attraversa la stanza, e, non appena raggiunge la nostra altezza, si volta.

I suoi occhi grigi finiscono prima su quelli di mia madre e poi sui miei.

Disprezzo, rabbia, desolazione allo stato puro.

Tutto quello che entrambe proviamo verso questo individuo viene trasmesso da un semplice e puro sguardo esplicativo.

Sento il respiro di mia madre aumentare dietro di me e vedo papà lasciarsi trascinare malvolentieri fino alla postazione dedicata, esattamente dalla parte opposta alla nostra.

Non vedo l'ora di arrivare al termine della mattina.

Non vedo l'ora di sputare fuori tutto e poi tornarmene a casa.

Al sicuro.

Per fortuna i miei desideri vengono esauditi all'istante. Il giudice non tarda ad arrivare e con lui altre persone con indosso un lungo mantello scuro.

E' il giorno più forte e deciso che abbia mai vissuto. Rispondere alle domande sulla mia esistenza, portando a galla ricordi dell'infanzia, per ricostruire la realtà della doppia vita di quello che faceva credere essere un marito fedele e perfetto, apre un abisso profondo dentro di me.

Le richieste sono specifiche e indagano anche i più piccoli dettagli.

Particolari che ritenevo irrilevanti, ma che invece si manifestano del tutto fondamentali.

In base al mio racconto, Domenico Colonna appare il classico padre assente e carico di lavoro, per poi trasformarsi nei giorni e nel tempo in un mostro violento e insensibile.

Mi vengono rivolti quesiti sulla notte del ritrovamento dell'auto, l'accoltellamento di Riccardo e la fuga in moto, con relativo inseguimento fino alla centrale di polizia.

Momenti di vita e situazioni reali che scavano solchi profondi e invalidanti quanto cicatrici.

Mamma mantiene una mano sulla mia spalla per tutto il tempo, ma il suo calore e il suo affetto non sono per niente sufficienti ad evitare il tracollo.

A fine interrogatorio sono distrutta.

Esausta e svuotata.

Ho infangato il nome di mio padre e della mia famiglia e, anche se so che ho detto solo cose giuste e vere, provo un'infinita tristezza.

Quando è il turno di mia madre io abbandono l'aula.

Non riesco a rimanere un secondo di più nella stesso luogo del colpevole, non riesco a stare ancora sotto pressione.

Fuori dalla stanza il corridoio pullula di gente.

Ci sono giornalisti e persone che non ho mai visto e conosciuto.

Non appena chiudo la porta dietro di me, tutti si voltano a guardarmi, quasi fossi un fenomeno da baraccone o la protagonista di un racconto poliziesco.

Abbasso la testa, evitando di incrociare qualsiasi sguardo e procedo nel corridoio verso l'accesso al terrazzo.

L'aria di dicembre mi accoglie rigida, congelando per sempre paura e senso di inadeguatezza. Mi sbilancio oltre il parapetto e focalizzo l'attenzione sulla grande scalinata d'ingresso. All'improvviso un viso familiare mi fa stringere gli occhi e aggrottare la fronte.

Mia nonna stretta in un visone e acconciata con uno chignon tirato, avanza verso l'ingresso, affianco a lei un'altra giovane donna e due bambini. Trattengo il respiro mentre riconosco che si tratta della seconda famiglia di mio padre.

La stessa che ho visto nei giornali e in Tv.

I quattro entrano nel palazzo. Chiudo gli occhi e abbasso la testa.

Non so stabilire con certezza quali sentimenti provi per loro.

Per quanto ne sappia, solo mia nonna era al corrente di tutte la menzogne del figlio. Lei lo ha aiutato a nascondere i fatti, a camuffare gli errori, rendendoli giganti e irrimediabili.

Ed è per questa donna che sento crescere un odio pazzesco, più o meno grande quanto quello che provo per mio padre.

La cosa certa è che non riuscirò a perdonarla, come mi ha chiesto di fare, perlomeno non saprò farlo a breve termine.

Per quanto riguarda il resto della famiglia non ho astio.

Certo! Saperne l'esistenza per me è stato un trauma abbastanza forte, ma non posso essere arrabbiata con loro, non posso odiarli.

La vera moglie e i due bambini sono solo altre vittime del gioco perverso di un uomo malato e di sua madre.

Nei loro riguardi sento semplicemente indifferenza. Estraneità e apatia.

Sfrego le mani e vi soffio dentro.

E' troppo freddo per restare all'esterno e, nonostante non voglia avere a che fare con la folla appostata all'ingresso dell'aula, sono costretta a rientrare.

Spero solo che l'interrogatorio di mia madre scorra veloce.

Ormai sono quasi quattro ore che siamo chiuse qua dentro.

Ore estenuanti e logoranti, che credo mi impegnerò al massimo per cancellare per sempre dalla mente.

Socchiudo i vetri uscendo e faccio il percorso inverso.

Arrivo nei pressi dell'aula e supero la massa di gente, mantenendo la testa china e il passo veloce.

Giro l'angolo decisa ad aspettare mia madre in disparte, quando per la fretta, vado a finire contro il torace di un ragazzo in camicia bianca.

Alzo lo sguardo per scusarmi della sbadataggine. Il mio cuore si blocca.

Il malcapitato non è affatto uno sconosciuto.

Non è un giornalista o un avvocato.

Non è un passante o un curioso.

Ma si tratta di qualcuno che conosco.

Qualcuno che ricordo anche fin troppo bene.

E' Riccardo.

Improvvisamente la testa prende a girare e lo stomaco si chiude.

Lui resta spiazzato e passa una mano tra i capelli nervosamente, - Arianna - sussurra soltanto.

Non riesco a spiccicare parola e faccio un passo indietro nel caos più totale.

Il signor Serio accorre da dietro, - Riccardo ti aspetto all'ingresso dell'aula, tra dieci minuti è il tuo turno - lancia un leggero sguardo, accompagnato da un vago cenno di saluto verso di me.

Ricambio appena, troppo rimbecillita e scossa.

Nel frattempo Riccardo annuisce, - Arrivo subito! - La sua attenzione non si sposta dai miei occhi e dal mio viso.

Sento le gambe tremare e il sudore di nuovo impadronirsi della schiena, forse molto di più di poco fa di fronte al giudice.

Era chiaro che sarebbe stato chiamato anche lui a testimoniare, ma non mi ero affatto preparata psicologicamente alla visione. E adesso, incontrarlo, o meglio venirmi a scontrare così, non è assolutamente di grande aiuto.

- Hai già fatto la tua dichiarazione? - La sua voce è forte e profonda.

- Sì -

Lui stringe maggiormente lo sguardo contro il mio, - Cosa ti hanno chiesto? -

Trattengo il fiato e poi lo lascio andare lungamente, - Tutto, dalla mia infanzia ad oggi! -

- Hai raccontato anche della scoperta dell'auto? - fa un passo verso di me.

- Già -

Ci osserviamo per un tempo infinito, entrambi consapevoli che da quella notte le nostre vite sono cambiate per sempre.

- Tuo padre é presente, non è vero? -

Annuisco.

Lui stringe forte i pugni, sussurrando a denti stretti - Assassino-

Il gelo e di nuovo un respiro.

- Hai avuto paura là dentro ? - sposta la testa in direzione dell'aula, cercando di smorzare i toni contratti.

Alzo e abbasso le spalle, - Un po' - ammetto, - le mie mani stanno ancora tremando -

Riccardo abbassa lo sguardo sulle mie dita, per prendere visione dell'angoscia riferita e resta improvvisamente a bocca aperta. Mi accorgo che sta fissando il mio anulare sinistro.

Quando rialza la testa, del verde immenso delle sue iridi non resta che un vago ricordo.

Istintivamente nascondo le mani nelle tasche dei jeans.

Sento il cuore tremare.

Non voglio che Riccardo pensi che mi sia già consolata.

Non voglio che creda che io sia felice con un altro ragazzo, perchè non lo sono assolutamente.

Questo anello è un legame effimero che devo solo riuscire a troncare.

Un fidanzamento improduttivo, da sciogliere il prima possibile, non appena il coraggio sarà abbastanza forte e determinato.

Ma purtroppo è troppo tardi.

Riccardo ha visto.

Ha immagazzinato l'immagine della fedina, imprimendosela come un marchio a fuoco dentro la testa ed io non posso più fare niente.

Lui stringe forte la mascella e distoglie lo sguardo, ponendo fine al dialogo più lungo e tranquillo scambiato negli ultimi tempi, - Devo andare - dice freddamente, facendo un passo avanti a testa alta.

Sento le piastrelle scivolare sotto i piedi.

Non posso lasciarlo sfuggire così.

Non posso permettere che la menzogna infanghi ancora di più quel briciolo di apparenza che è rimasta del nostro rapporto, - Aspetta! - lo richiamo.

Lui si volta,

- Io...io...- mi faccio coraggio, - io volevo dirti che spesso l'apparenza inganna - butto fuori, - quello che brilla come oro, spesso è solo un abbaglio, non sono innamorata di Isac, e questo...- sfilo lentamente l'anello dal dito, - questo è solo uno stupido oggetto di metallo, che non conta niente per me! - cerco i suoi occhi, rigirando il cerchietto nel palmo della mano, - io ti amo - confesso, - ti amo ancora -

Le sue labbra si socchiudono e gli occhi si abbassano.

Lo spazio tra noi è vivo e parla.

Dice cose che nessuno dei due sa spiegare a voce.

Parole troppo complesse e sentimenti difficili da manifestare.

Nel suo sguardo ballano odio e disprezzo per me e la mia famiglia e adesso anche gelosia, delusione e sfiducia. Sentimenti del tutto privi di giustificazione perchè io lascerei oggi stesso Isac per stare con lui, se solo tornasse sui suoi passi e mettesse fuori dall' anima ogni sorta di odio e rancore.

Quanto vorrei che tutto fosse come prima.

Quanto lo desidererei.

Mi avvicino appena e fisso le sue labbra.

Il bacio scambiato giorni fa non è possibile classificarlo come un errore o uno sbaglio.

Esso è stato ed è ancora attrazione.

Amore impulsivo che tenta di combattere l'odio viscerale.

Riccardo apre la bocca, ma non riesce ad emettere alcun suono, perchè succede un fatto che blocca qualsiasi cosa bella o brutta o terribile stesse dicendo e mi fa pentire improvvisamente di essere stata sincera ed averlo reso partecipe della verità più assoluta.

Una voce giunge alle nostre spalle.

Un tono femminile sconosciuto, ma eccessivamente irritante e cruento per ogni singola particella del mio cuore.

- Riccardo, Riccardo, finalmente ti ho trovato! -

Non faccio in tempo a girarmi che una giovane dai capelli rossi e gli occhi spalancati si mette in mezzo, - Scusami del ritardo - affanna, - non mi sarei mai perdonata se fossi entrato in quell'aula senza di me! -

Chi è questa ragazza?

Cosa vuole da Riccardo?

La testa esplode, invasa dai quesiti, come una bomba ad orologeria.

Una miccia, un fuoco d'artificio scoppiettante.

Riccardo sposta lo sguardo da me a lei, senza dire niente.

Mi irrigidisco e rimango letteralmente in apnea non appena vedo che la sconosciuta, senza preoccuparsi minimamente della mia presenza e di quella delle altre persone presenti nel corridoio, si butta al collo di Riccardo e gli lascia un coinvolgente bacio sulle labbra.

Dentro di me comicio a morire lentamente.

Anzi, credo di essere già nel regno degli inferi.

Bloccata come uno stoccafisso, stringo l'anello nel palmo così forte da volerlo distruggere per sempre. Le lacrime giungono agli occhi immediate mentre Riccardo si stacca dalla giovane e mi guarda.

I suoi occhi sembrano scusarsi, ma forse è solo una mia impressione.

Sicuramente lo è, perchè la ragazza dai capelli rossi e la pelle coperta di lentiggini lo prende sotto braccio e lo trascina via e lui, senza opporre la minima resistenza, le permette di farlo.

La mia ennesima dichiarazione d'amore resta sospesa in aria, così come il mio cuore, che cessa di battere e poi sprofonda dentro lo stomaco in un eclatante tuffo mozzafiato.

Ferma sul posto, guardo la coppia entrare nell'aula.

Riccardo si volta e i nostri sguardi si incontrano ancora una volta.

Ma è solo un attimo.

Sfuggente e incompreso.

La ragazza lo fa girare, indicandogli qualcosa all'interno della stanza e poi si indirizza verso di me, degnandomi di attenzione e sprecando un millesimo di secondo della sua esistenza.

Gli occhi le scintillano, le lentiggini quasi si confondono in un'unica macchia marrone, le labbra sorridono della mia rovina.

Non riesco a non passare in rassegna ogni minimo dettaglio del suo viso pulito e altezzoso, per scendere al collo e notare quello che mai avrei voluto vedere.

Sospetti che si avverano.

Incubi che divengono realtà.

La collana di perline bianche che Riccardo mi ha strappato da sotto al naso al negozio si materializza come un fulmine in mezzo al cielo.

Ed io giungo alla triste conclusione che quell'oggetto non era destinato a Marie come volevo credere a tutti i costi, ma comprato per impersonare un regalo infame e odioso.

Un dono per questa ragazza.

La sua nuova fidanzata.

Dallo stomaco sale un dolore immenso, fino alla gola e agli occhi.

La giovane prosegue fiera di se' stessa e della conquista conseguita ed io scappo via di corsa, giù per i gradini, fino a piano terra.

Nell'estrema fuga vado a scontrarmi con mia nonna e l'intera famigliola, che sale cauta e incerta.

Fingo di non vederli, fingo che non esistano affatto, e non impiego neanche poi così tanta fatica perché per me loro non sono davvero niente sulla faccia della terra.

Sono il nulla tanto quanto Riccardo è il mio tutto e ancora di più.

Raggiungo la scalinata esterna e le gambe non reggono.

Cado in ginocchio.

Stremata, afflitta e dilaniata.

Incurante delle persone, del traffico, del mondo intero scoppio in un pianto marcio e straziante. Un pianto senza ritorno.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top