CAP CXIX Vicinissima al cuore

Nel tardo pomeriggio finalmente a casa.

Il processo e il seguente incontro con l'avvocato per definire le udienze successive hanno reso la giornata lunga e stressante.

Per non parlare dell'incontro con Riccardo e della sua nuova fiamma.

Ho rifiutato tutte le chiamate di Isac e non ho risposto ai suoi messaggi.

Lui non c'entra ma io non voglio sentirlo.

Non adesso.

Non ho neanche rinfilato l'anello, è dentro al piumino, in fondo ad una delle due tasche. A marcire.

Sono completamente sotto sopra e ne' la telefonata con Giulia, ne' quella con Matteo sono riuscite a calmarmi.

Mi sono sfogata, ho raccontato loro ogni singolo dettaglio di ciò che ho provato nel rivivere la storia della mia vita e di quello che ho visto e non avrei mai voluto vedere una volta uscita dall'aula.

Riccardo con un'altra.

La più piccola e minuziosa pagliuzza di un amore, sbriciolata per sempre.

Purtroppo però i consigli degli amici non sono affatto sufficienti, non in questo caso. Non quando il dolore è un gigante troppo grande per un cuore sufficientemente debole. Il male schiaccia e divora fino a riportare nella depressione totale dei giorni più neri.

Ma io non voglio tornare a quel periodo.

Non posso chiudermi di nuovo in camera al buio a piangere.

Devo reagire, devo lottare, anche se, ormai non ne ho quasi più le forze.

L'odio di Riccardo ha annientato anche il minimo appiglio, caricando il corpo di un immenso stato di sofferenza.

Dolore che devo trovare il modo di fare uscire.

In qualsiasi maniera e forma.

Con qualunque metodo.

Buono o cattivo che sia.

Approfitto dell'assenza di mia madre, andata a prendere qualcosa per cena, e scendo in cucina alla ricerca di qualcosa che abbia la vaga forma di una bottiglia di alcool o liquore.

I gradi di una bevuta potrebbero scaldare il freddo che ho dentro e scongelare ogni parte rappresa del corpo.

Forse, non so.

Devo solo fare una prova.

Tanto non ho assolutamente niente da perdere.

Mi muovo frenetica aprendo e chiudendo gli sportelli, senza però trovare nulla se non un quasi inesistente residuo di Limoncello, che giace sul fondo di una bottiglia.

La rabbia acceca la vista.

Afferro il dolce e insufficiente liquore per il collo e lo scaravento contro il pavimento, provocando un frastuono pazzesco.

I vetri schizzano ovunque, fino a colpire gli Ugg e le caviglie.

Respiro a fatica e mi lascio cadere a terra.

Se solo avessi uno degli spinelli di Federico qui con me, potrei aspirare e buttare fuori fumo fino a far scomparire tutti i mali.

Ma non ne ho, così come non ho neanche un goccio di alcool.

E allora come posso annebbiare questo dolore immenso?

Come? 

Credo di impazzire mentre le lacrime e i singhiozzi torturano l'anima, portandola allo stremo.

I palmi contro il viso e le ginocchia a contatto con le mattonelle ghiacciate.

- Cosa ho fatto per meritarmi tutto ciò? Qual'è la mia colpa? -

Le pareti fanno eco al mio tono disperato e il cuore pompa a mille, quasi a uscire dal petto.

La disperazione si tramuta in nervoso e di nuovo in sconforto.

Gli occhi gonfi seguono il disastro compiuto con la bottiglia.

Le pupille si spostano sui residui in modo convulso, fino a fermarsi sul vetro più vicino. Le dita tremano mentre si allungano lentamente a prenderlo e stringerlo dentro il palmo.

E' freddo, è pericoloso, ma è decisamente quello che potrebbe servirmi in questo momento. Aspiro ed espiro e di nuovo aspiro.

Non voglio uccidermi, non voglio porre fine alla vita così drasticamente.

In realtà, neanche ne sarei in grado.

Però desidero placare il dolore interiore e per farlo l'unico sistema è stordirlo con altrettanto patire, fisico e carnale.

L'ho sentito dire, l'ho letto in qualche rivista, l'ho sempre giudicato un atto stupido e insensato, ma adesso rimangio tutto ciò che ho sempre pensato.

Ora capisco per quale motivo si è spinti a farsi del male.

Per distruggere qualcosa di più grande e profondo.

Qualcosa che non riusciamo a sopportare.

Pian piano alzo la mano e porto il vetro appuntito davanti agli occhi.

Scintilla mentre lo poso sull'avambraccio nudo, quasi a metà.

La carne pulsa sotto alla manica del golf, alzata sopra il gomito.

Per la paura, la frenesia e il timore.

Prendo tutto il coraggio e stringo i denti.

Faccio per affondare l'arma nella carne tenera, quando la porta di casa sbatte e mia madre si affaccia alla cucina.

Mi vede e urla terrorizzata, con gli occhi che per poco non escono dalle orbite.

Il pezzo di vetro mi scivola di mano, finendo a terra, così come la sua borsa della spesa.

- Tesoro, cosa stai facendo? - mamma si dirige verso di me, nel panico più totale, - Oh mio Dio! - La sua voce trema più o meno quanto tutto il resto del corpo.

Osservo il tagliente che stringevo in mano fino a pochi attimi prima e poi alzo gli occhi su quelli sconvolti della persona che mi ha donato la vita, - Volevo annientare il dolore - spiego, come fosse la cosa più banale del mondo. Non so da dove le parole escano, probabilmente non sono io a formularle, ma il mio inconscio impazzito.

Lei si inginocchia al mio fianco, guardando il disastro presente sul pavimento e mi avvolge in un abbraccio, - Perché ? - Una lacrima scorre sul suo viso, copiando quelle che riempiono la mia faccia.

- E' troppo forte - singhiozzo, - il male che ho qui dentro - stringo una mano contro i seni, - è irresistibile, io devo farlo uscire oppure diventerò pazza! -

Lei mi stringe contro di se', - Non è così che supererai il dolore, non ferendoti, non arrecandoti altra sofferenza - piange.

- Allora come? - urlo, - sai spiegarmelo, sai in che modo posso cacciarlo via? - La mia voce si disperde tra la mobilia della cucina. Un grido furioso da far accapponare la pelle, - Come posso cancellare le emozioni che provo? - affogo nelle mie stesse lacrime, - come buttare fuori la sofferenza accusata in quell'aula di tribunale questa mattina? Come accettare che Riccardo abbia un'altra ragazza e solo perchè io sono sangue dello stesso sangue dell'uomo che gli ha distrutto la vita? - prendo fiato e sputo la peggiore verità, - come posso smettere di amarlo ? -

Mia madre sospira e scorre la mano sulla mia schiena, senza dire alcuna parola.

Forse perché in questo caso non ha delle risposte.

Infondo nessuno le avrebbe.

Nemmeno una madre.

Non c'è una persona che sa spiegare come sia possibile smettere di amare, di amare tanto.

I singhiozzi si fanno sempre più ravvicinati mentre mamma si alza e si allontana, lasciandomi in ginocchio, in balia di un tremito irrefrenabile.

Dal basso verso l'alto la guardo fare qualche passo incerto e infine lasciarsi cadere sopra una sedia.

Le sue labbra si muovono appena e la voce le esce in un sussurro bagnato e strozzato, - Tu non sei sangue del suo sangue -

Il silenzio invade la stanza.

Ghiaccio e freddo. Ibrido.

I vetri sparsi a terra cangiano colore nel buio e i miei occhi scintillano distrutti, - Cosa significa?-

Lei porta le mani davanti al viso e affonda in un pianto ancora più tormentato del mio, - Mi dispiace, avrei dovuto dirti prima la verità, ma non ci sono riuscita...-

- Cosa vuol dire la verità ? - Mi alzo in piedi stordita, confusa e completamente sotto sopra. Vado al suo fianco.

- Domenico non è il tuo vero padre - confessa.

Il cuore subisce una brusca inversione.

Forse sto sognando.

Forse adesso mi sveglierò e mi ritroverò sudata dentro al letto, reduce di uno degli incubi peggiori.

- Nessuno lo sa, neanche lui -

Fisso la parete di fronte, incapace di muovermi o rispondere.

- Ho deciso di nascondere la realtà nel momento stesso in cui ho scoperto di essere rimasta incinta, per paura e per leggerezza, non volevo rovinare un matrimonio imminente per una sbandata, non volevo farlo, così ho fatto pensare a Domenico che tu fossi sua figlia e lui naturalmente ci ha creduto e ci crede ancora adesso! - passa una mano sul viso e asciuga gli zigomi bagnati, - come vedi anche io ho mentito, anche io ho la mia parte di colpa in tutta questa storia! -

Le mie orecchie prendono a fischiare e gli occhi faticano a vedere.

Mi sento debole.

Improvvisamente incapace di mettere a fuoco gli oggetti nella stanza.

Non riconosco più la donna di fronte e neanche le sue parole.

- Ti ho rovinato la vita - allunga una mano, - tesoro, perdonami! -

Faccio un passo indietro come scottata.

Apro e chiudo la bocca, incapace di emettere alcun suono.

I vetri e il liquido giallastro appiccicato a terra attirano la mia attenzione.

Non riesco a vedere altro se non il disastro che mi circonda, il caos di cose ed emozioni che si diverte a riempirmi la vita intera.

Domenico Colonna non è mio padre.

Non solo lui ha una doppia vita, una doppia famiglia, una doppia identità, ma non è neanche mio padre.

La testa scoppia mentre cerca di mettere insieme i pezzi.

Io non sono Arianna Valenti.

Non sono Arianna Colonna.

E allora chi sono?

Non lo so più.

Non so più niente.

- Potrai farlo? - riprende mia madre, - potrai trovare la forza per perdonarmi? -

Sollevo gli occhi e incrocio i suoi, arrossati e lucidi, in attesa di una risposta . Una risposta difficile da dare, se non addirittura impossibile.

L'unica persona della quale mi fidavo, mi ha delusa profondamente.

Mia madre.

Anche lei ha mentito, anche lei ha la sua parte di reato.

Ed io mi trovo di colpo da sola.

Ancora una volta.

E in questo caso è peggio di sempre, perchè non posso contare su nessun altro se non me stessa.

- Hai ragione ad essere arrabbiata con me, ad essere confusa e sotto shock, ma non potevo tenere dentro questo segreto, non dopo averti trovata in tale stato - afferma, - non vedendo quello che provi per Riccardo! -

Quest'ultimo nome mi risveglia improvvisamente dal torpore, - Cosa c'entra lui con tutta questa faccenda? -

Lei si avvicina ancora, - Vi amate, è evidente! Non è giusto che i vostri sentimenti siano separati da una bugia, da una identità non vera! - muove la mano sul mio braccio, accarezzandolo, - io ho sbagliato a mentire, ma la vita adesso mi sta offrendo la possibilità di rimediare, ormai per la mia felicità è troppo tardi, ma per la tua, tesoro, c'è ancora tempo - accenna un sorriso, - stare con Riccardo ti rende contenta e io non voglio sentirmi uno schifo maggiore di quanto non lo sia già, quindi ti prego vai da quel ragazzo e digli la verità, tu non sei la figlia dell'assassino dei suoi genitori e lui non può odiarti per questo! -

Deglutisco, improvvisamente consapevole della palese realtà.

- E' giusto che Riccardo sappia, non far passare troppo tempo! -

Il cuore si riempie di nuova speranza.

Non sono figlia di un assassino, di un farabutto, di un uomo falso e senza scrupoli.

E questa di fronte a me non appare più come una mentitrice sconosciuta, piuttosto come la donna forte e in gamba che ho sempre saputo.Mia madre ha nascosto un fatto importante, ma non sono in grado di condannarla, non adesso che ha deciso di rivelare la verità per salvaguardare il mio amore e quello di Riccardo.

Per salvarmi e salvarci.

Guardo le sue dita sulla mia pelle e alzo di nuovo la testa.

Occhi scuri uguali, occhi appena più leggeri.

Lentamente mi avvicino.

Mi fermo.

Poi prendo uno slancio e mi butto tra le sue braccia.

- Ti voglio bene mamma! - I singhiozzi si alternano alle lacrime in un pianto liberatorio e speranzoso, - ti perdono, ti perdono, ti perdono - ripeto all'infinito, fino allo stremo.

Lei mi abbraccia e si unisce a me.

Sembriamo due folli.

Due bambine.

Due donne.

Due persone dilaniate dalla vita, ma positive per il futuro e finalmente vere.

L'una per l'altra, l'una affianco all'altra.

Quando ci scostiamo, lei mi asciuga il viso, - Grazie per aver capito, sei diventata una donna - afferma, - la mia donna! -

Sorrido appena e poi stringo gli occhi contro i suoi, - Parlerò con Riccardo e gli dirrò la verità, Domenico non è mio padre e non è neanche tuo marito, il matrimonio era fasullo e quell'uomo non ha niente a che fare con noi, non è nessuno! -

Le parole mi costano care e fanno ancora male, infondo quindici anni della mia vita sono passati affianco a quell'uomo, quell'individuo che ha cercato se pur a modo suo di tenere in piedi quelle che sono solo sembianze di una famiglia.

E quindici anni sono duri da cancellare o anche semplicemente superare.

Sono quindici anni. Sono la mia intera vita.

Mia madre strofina le mani sulle mie braccia, la lana del golf si scalda sotto al suo tocco e la testa focalizza l'unica domanda possibile, - Ma allora mio padre, chi è? -

Mamma alza gli occhi al soffitto e increspa appena la bocca in un sorriso nostalgico - Ricordi quando ti avevo parlato di un amore grande, prima di Domenico? - torna a guardarmi, - un bellissimo studente fuggito a Barcellona in Erasmus e tornato dopo alcuni anni per una sola notte? - Le sue guance si tingono di rosso, - quell'uomo era Walter - sospira - tuo padre -

Il cuore si stringe e le labbra tremano, - Vuoi dire che io sono figlia del tuo vero amore? -

- Sei il più bel regalo che la vita mi abbia fatto, che Walter mi abbia lasciato prima di tornarsene lontano per sempre -

Aggrotto la fronte e cerco di calmare i battiti veloci e i pensieri che girano vorticosamente, - Lui non sa di me, non è vero? -

Mamma abbassa la testa, piegando all'ingiù gli angoli della bocca, non c'è bisogno di parole. Capisco che questa bugia le è costata un amore.

Un'esistenza intera di sofferenza.

- Vorrei vederlo, vorrei conoscerlo...-

Lei si allontana e va in salotto.

Si allunga sulla libreria e fruga dentro ad un vecchio volume.

Poi torna in cucina con in mano una polaroid ingiallita, - Lui è Walter - me la porge, - e la ragazza che tiene in braccio sono io, eravamo in gita a Venezia -

La coppia che mi appare davanti agli occhi è giovinezza e perfezione.

Due ragazzi belli e spensierati, immortalati di fronte al Ponte dei Sospiri in un attimo ilare ed eterno.Focalizzo l'attenzione su quello che ho appena scoperto essere mio padre e il respiro si mozza. I suoi occhi hanno la stessa linea dei miei, il neo vicino al naso e i capelli lisci tirati indietro da una bandana rossa.

- Mio padre - sussurro, - questo è mio padre! -

Mamma mi passa un braccio attorno al collo e osserva la foto, - Già, purtroppo la vita non è andata proprio come desideravo - riconosce, - ho sbagliato a sposare Domenico, ho sbagliato a mentire sulla maternità, ma adesso voglio rimediare! Mi metterò di nuovo in contatto con Walter e gli dirrò come stanno veramente le cose! -

Sollevo la testa, - Vuoi dire che lo chiamerai? - squillo, - ed anche io poi potrò parlare con lui? -

Lei annuisce, - certo, tesoro - mi stringe, - dammi solo un po' di tempo per organizzare le idee e ritrovare i contatti -

- Tutto il tempo che vuoi - affondo il capo nella sua spalla e lascio andare un lungo respiro.

Mamma si scosta, - E tu, cosa aspetti a dire a Riccardo come stanno realmente i fatti ? -

Faccio un passo indietro, improvvisamente invasa da una energia nuova e positiva.

Mamma ha ragione.

Devo dire tutto.

Non posso aspettare oltre.

Corro verso le scale. Dopo aver saltato i primi due gradini, mi rendo conto della foto che ho ancora stretta tra le mani. Mi volto e mi sporgo dalla ringhiera, - Posso tenerla? -

Mamma annuisce. Scruto l'immagine, ancora incredula e in totale confusione.

Prendo il cellulare, abbandonato sul piano del letto per chiamare Riccardo, ma ricordo che non ho più il suo numero. Non mi faccio prendere dallo sconforto. Basta chiamare Leo per averlo!

Sto per fare il numero del mio amico, quando lo sguardo cade sul diario lasciato sulla scrivania, in attesa di essere aperto per leggere i compiti delle vacanze, e come una lampadina che si accende mi ricordo del biglietto.

Il primo messaggio di Riccardo.

Quello lasciato tra le lenzuola la notte che era rimasto a dormire nel mio letto di nascosto.

Mi getto sull'agenda e frugo tra le pagine, fino a rovesciarla e strattonarla.

Dopo le torture il foglio desiderato esce magicamente. Tiro un sospiro di sollievo.

Davanti le sue dolci parole, dietro il suo numero di telefono.

Gli occhi mi brillano di felicità.

Compongo velocemente una cifra dietro l'altra e aspetto.

Aspetto di sentire una risposta, la voce, il respiro contro la cornetta.

Ma niente.

Altri squilli e altri ancora.

Niente.

Niente di niente.

Riprovo tante, infinite volte, anche se, nella testa, l'ipotesi che non risponderà si allarga a macchia d'olio.

Riccardo è troppo arrabbiato, orgoglioso e deluso da me, dall'anello di Isac, dalla situazione.

Oppure è semplicemente impegnato con la sua nuova e volgare ragazza.

Cerco di non pensare a cosa stia facendo adesso.

Cerco di non immaginare lui e la rossa insieme a letto o da qualsiasi altra parte sia possibile scambiare effusioni. E non mi arrendo.

Mi butto sul letto, pronta e convinta a chiamarlo, fino a quando non darà cenni vitali, al costo di fondere il cellulare o la linea.

Non tengo il conto di quante chiamate inoltro, ma so che sto quasi per cedere.

Anzi sono già in procinto di crollare.

Il sonno e la stanchezza sopraggiungono, imprevedibili e subdoli.

Sfinita chiudo gli occhi e senza che possa evitarlo mi addormento.

Il cellulare ormai scarico ancora all'orecchio e la foto dei miei genitori posata sul petto. Vicinissima al cuore.


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